Qualche precisazione sulla clausola di riconsegna per l'esecuzione della pena: la residenza nel territorio richiede il “radicamento”

Con riferimento alla procedura per l'esecuzione del mandato di arresto europeo, le eventuali pronunce di rigetto in rito” non spiegano alcun effetto preclusivo se le situazioni ostative che le hanno giustificate vengono frattanto superate. Ai fini della operatività della condizione di riconsegna per l'esecuzione della pena, il requisito della residenza sussiste se vi è un concreto radicamento dell'individuo sul territorio nazionale.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, con la sentenza n. 41516 depositata il 15 ottobre 2015. Il Mandato d'arresto europeo uno strumento fondamentale per la cooperazione giudiziaria. È senza alcun dubbio l'istituto che – anche dal punto di vista simbolico – rappresenta meglio di tutti la concretizzazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie tra i paesi dell'Unione. La regola generale che lo anima è molto semplice ogni stato membro deve eseguire il mandato di arresto europeo e deve consegnare il soggetto da esso raggiunto al Paese emittente. Salva, naturalmente, la ricorrenza di alcune ipotesi eccezionali, sulle quali non ci addentriamo per brevità. Nel caso in esame le questioni affrontate dalla Suprema Corte sono due la prima di esse attiene alla eventuale efficacia preclusiva di una sentenza di rifiuto dell'esecuzione del MAE per ragioni procedurali. Le sentenze in rito” non hanno efficacia preclusiva. Nel caso che ci occupa l'Italia, cui veniva chiesta la consegna di un cittadino ceco, aveva già deciso per il suo diniego a causa della mancata trasmissione, a cura della Repubblica Ceca, dei documenti a sostegno del MAE Si può ripetere la procedura? Sì, dice la Suprema Corte, a condizione che lo Stato richiedente trasmetta i documenti e i provvedimenti giudiziari interni non inviati nel corso della prima richiesta. Dicono gli Ermellini, infatti, che l'emissione di una sentenza che non disponga l'esecuzione del MAE per vizi procedurali, non inficianti, quindi, la struttura del mandato stesso, è inidonea a privarlo di effetti giuridici. L'unico effetto immediato di una decisione che rigetta la richiesta di consegna è, precisano da Piazza Cavour, soltanto l'impossibilità di emettere un provvedimento restrittivo nei confronti del soggetto colpito” dalla richiesta di consegna. Altra questione l'operatività della clausola di riconsegna per l'esecuzione della pena. Altro problema come funziona il meccanismo che consente, dopo la celebrazione del giudizio penale nello Stato richiedente, il rientro” dell'imputato presso il Paese ove si trovava prima del MAE per ivi scontare la pena? Nel caso che ci occupa, infatti, la decisione della Corte d’appello che disponeva la consegna del cittadino ceco, conteneva la clausola di riconsegna – a processo terminato – dell'imputato all'Italia ai fini dell'esecuzione della pena. Il perno centrale della clausola di riconsegna è quella della residenza nel territorio in questo caso, quello italiano . Perfetto, ma quando un soggetto, ai fini della operatività di questa clausola, può dirsi residente? Spiegano i Supremi Giudici che la ricorrenza di questo presupposto è ancorata ad una serie di indici sintomatici, il possesso dei quali dimostrerà che il soggetto in questione è radicato nel territorio nazionale. Ecco alcune di queste spie” presenza nel territorio da almeno cinque anni, svolgimento di un lavoro stabile, possesso di una regolare posizione fiscale e contributiva, presenza di un nucleo familiare stabilmente inserito nel territorio. Tutti questi elementi, unitariamente valutati, dimostrano che il soggetto destinatario del MAE non è occasionalmente presente sul territorio nazionale, e legittimano l'apposizione della condizione di riconsegna per l'esecuzione della pena. La mancanza del requisito del radicamento, invece, esclude qualunque condizionamento della consegna del destinatario del MAE, che dovrà affrontare il processo e scontare la pena nel territorio dello Stato che ne ha richiesto la consegna. È una disciplina sicuramente affascinante, quella analizzata dalla sentenza in commento, ma ancor più interessante è osservare come tra le norme che abbiamo illustrato si regge un equilibrio tra due principi di diversa tradizione. Quello, più risalente, della sovranità di ogni Stato e quello, più moderno, del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 14 – 15 ottobre 2015, n. 41516 Presidente Milo – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 09/09/2015, ha disposto la consegna di R.M. all'autorità giudiziaria della Repubblica Ceca - Tribunale circoscrizionale Praga 8- che ne aveva fatto richiesta con atto dell'11/11/2014, per la celebrazione di un procedimento penale a suo carico per i reati di falso e truffa ed ha contestualmente previsto che, in applicazione dell'art. 19 lett. c l. 22 aprile 2005 n. 69, nell'ipotesi di condanna, il R. venga consegnato all'autorità italiana per l'espiazione della pena. 2.1. La difesa di R. deduce nel suo ricorso violazione della disposizione di cui all'art. 707 cod. proc. pen Si osserva in fatto che la medesima Corte territoriale aveva già pronunciato il rigetto della richiesta di consegna con sentenza divenuta definitiva il 07/07/2015, a causa della reiterata mancanza di trasmissione da parte dell'autorità richiedente dei provvedimenti interni a sostegno del mandato di arresto Europeo, e della scadenza del termine fissato e successivamente prorogato, per la loro trasmissione. La situazione descritta, secondo l'esponente, preclude l'accoglimento della richiesta alla ricezione degli atti intervenuta in epoca successiva a tale data, in conseguenza della mancata emissione di un nuovo mandato di arresto Europeo, in conformità a quanto previsto dall'art. 707 cod. proc. pen. che impone, per l'accoglimento dell'istanza in condizioni sopravvenute analoghe a quelle verificatesi nel caso concreto, la nuova emissione della richiesta di estradizione. Si contesta l'autonomia del procedimento in esame rispetto a quello estradizionale posta immotivatamente dalla Corte di merito a sostegno della propria decisione, determinazione contrastata dal richiamo contenuto nell'art. 39 l. n. 69 del 2005 alle disposizioni del codice procedurale, a cui si ritiene che debba correlarsi la cogenza nella fattispecie della disposizione dettata in tema di estradizione. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge in relazione all'art. 19 lett. c l.n. 69 del 2005, nella parte in cui la pronuncia impugnata ha disposto la consegna dell'interessato allo Stato italiano solo ai fini dell'esecuzione della pena, e non a seguito della sua audizione nel procedimento, come testualmente previsto dalla disposizione invocata. 3.1. Ha proposto ricorso il P.g. presso la Corte d'appello di Bologna, che ha contestato la decisione di consegna, nella parte in cui ha previsto l'espiazione dell'eventuale pena in Italia, assumendo che le condizioni di fatto accertate nel procedimento escludessero l'estremo della residenza e del radicamento in Italia del richiedente, unica condizione che legittima l'applicazione di tale disposizione alla persona che non possegga la cittadinanza dello Stato richiesto. Si chiede conseguentemente l'annullamento di tale capo della pronuncia, o in subordine, l'annullamento della sentenza sul punto, con rinvio per nuovo esame al riguardo, stante la mancanza, contraddittorietà o illogicità della motivazione in proposito. 3.2. Con memoria depositata il 12/10/2015 la difesa del ricorrente si oppone all'accoglimento del ricorso del P.g. evidenziando le condizioni di fatto che, secondo la sua prospettazione, legittimano l'accertato radicamento del R. nel territorio nazionale, in situazione che consente l'apposizione sul provvedimento di consegna delle garanzie richieste allo Stato membro di emissione previste dall'art. 19 lett. c l. n. 69 del 2005. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto dalla difesa è infondato, mentre deve trovare accoglimento quello del P.g 2. L'eccezione procedurale riguardante la mancanza di un autonomo provvedimento di attivazione del procedimento successivo al giudicato sulla richiesta di arresto dell'interessato, che si ritiene ostativa alla reintroduzione del procedimento di consegna, non può trovare accoglimento. Alla luce dei principi che disciplinano la materia si deve infatti ritenere che nella procedura del mandato di arresto Europeo l'emissione di una sentenza che, per motivi estranei ai requisiti strutturali della richiesta ed a valutazioni di merito, non ne disponga l'esecuzione, non esclude l'efficacia giuridica del provvedimento, che permane quale istanza di consegna, pur a seguito della pronuncia di rigetto, venendo meno solo la sua idoneità a consentire l'emissione di un provvedimento restrittivo sulla base dei medesimi presupposti. Giova ricordare in argomento che il favor sulla collaborazione delle autorità giudiziarie tra gli Stati al quale è improntato il sistema è stato di recente ribadito con sentenza della Corte di giustizia Europea C-237/15 che ha richiamato l'inesistenza di un obbligo dello Stato richiesto di porre in libertà l'arrestato, sia pure alla scadenza dei termini previsti dall'art. 17 della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009, conclusione improntata alla necessità che il procedimento permetta nel concreto la collaborazione tra gli Stati. Nello stesso senso si rileva che, in forza del contesto in cui si colloca l'articolo 15, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI, oltre che sulla base della giurisprudenza costante della Corte di giustizia Europea in argomento, risulta che il principio del riconoscimento reciproco, che costituisce la pietra angolare della cooperazione giudiziaria, implica, a norma dell'articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, che gli Stati membri siano tenuti in linea di principio a dar corso a un mandato d'arresto Europeo e che questi ultimi possano rifiutarsi di eseguire tale mandato soltanto nei casi espressi di non esecuzione di cui agli articoli 3, 4 e 4 bis della decisione quadro e subordinare l'esecutorietà alle sole condizioni definite all'articolo 5 della medesima disposizione, circostanza che ha condotto ad escludere che la decisione quadro debba essere interpretata nel senso che, dopo la scadenza dei termini di cui all'articolo 17 della stessa disposizione, l'autorità giudiziaria dell'esecuzione non possa più adottare la decisione sull'esecuzione del mandato d'arresto Europeo, e ad escludere che lo Stato membro di esecuzione non sia più tenuto a proseguire il procedimento di esecuzione di detto mandato. Tale interpretazione è implicitamente confermata anche dalla pronuncia di questa Corte Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235348 , ove si chiarisce che i termini per la trasmissione degli atti non sono posti a presidio dell'efficacia della richiesta, ma hanno natura ordinatoria e funzione di accelerazione interna per la definizione del procedimento e di limite alla discrezionalità dell'autorità italiana sull'entità della durata del giudizio. Ne consegue che, pur nella possibilità di disporre la liberazione dell'interessato a causa di ritardi nella procedura, per la scarsa collaborazione dello Stato richiedente, e pur essendo riconosciuto che, per esigenze di giustizia interna, il procedimento possa chiudersi con un rigetto dell'istanza, ove i documenti non pervengano nel termine concesso all'autorità richiedente S.U.cit. , tale decisione non possa ritenersi preclusiva di un successivo giudizio di merito, preclusione che può sopraggiungere solo in presenza di una riscontrata rinuncia dell'autorità richiedente all'esecuzione del mandato. Tale ultima evenienza non ricorre nella fattispecie in quanto anche alla scadenza del termine di cui all'art. 17 l.n. 69/2005, in attuazione della legge quadro, non può considerarsi intervenuta alcuna perenzione dell'azione, ma solo la perdita di efficacia della misura principio pacifico per tutte da ultimo Sez. F, n. 35525 del 07/08/2014, Brindusescu, Rv. 261744 . 3. Ciò premesso in linea teorica, nel concreto deve verificarsi se la pronuncia in rito della Corte d'appello di Bologna del 26/06/2015, intervenuta nella specie, abbia fatto venir meno l'efficacia della richiesta di consegna la risposta non può che essere negativa, non solo in quanto, a fronte dell'invio degli atti a sostegno del mandato, la precedente istanza risulta possedere tutti i requisiti per la sua piena valutazione, ma anche perché proprio tale invio, e la mancata revoca del mandato di arresto Europeo emesso in precedenza, attestano la persistente volontà dell'autorità richiedente all'esecuzione del provvedimento. Alla luce della ricostruzione svolta risulta corretta la determinazione della Corte territoriale che ha ritenuto non ostativo il precedente rigetto, sia pure passato in giudicato, per la natura procedurale della decisione, e non ha considerato necessaria alla ripresa del procedimento la formulazione di una nuova richiesta da parte dell'autorità straniera. Pur mancando nel provvedimento una giustificazione espressa la decisione si sostiene in ragione della differente natura dei procedimenti, atteso che solo l'avvio della procedura estradizionale prevede l'espressione di una volontà politica di persistenza dell'interesse alla collaborazione, mentre nel caso che ci occupa, sulla base dei principi fondamentali posti a base della comunicazione diretta degli organi giudiziari degli Stati Europei, deve intendersi persistente l'efficacia della richiesta di consegna, ove non revocata peraltro nel caso di specie, in ragione dell'intervento medio tempore di una pronuncia interna che attestava la mancanza di documentazione integrativa e non poneva in dubbio la validità del mandato di arresto Europeo, l'attivazione dell'autorità richiedente, sia pur tardiva, non consente di connettere il silenzio alle richieste di integrazione ad una revoca implicita, stante la correlazione di quanto inviato al contenuto del provvedimento posto a base della procedura. Così superato il problema formale della carenza di un nuovo mandato, in ragione della differenza strutturale tra la procedura estradizionale e quella in esame, l'applicazione dell'art. 707 cod. proc. pen. al caso di specie, consentita attraverso la disposizione di chiusura contenuta nell'art. 39 l.n. 69 del 2005, oltre che i principi generali, escludono la possibilità di una seconda pronuncia sui medesimi presupposti, mentre, come già chiarito, tale condizione di fatto è inesistente poiché, a fronte del permanere del mandato di arresto Europeo, ad esso è sopraggiunta la documentazione relativa al provvedimento di cattura interno che illustra le condizioni legittimanti dell'istanza, documento che costituisce presupposto necessario e sufficiente, ove argomentato sui gravi indizi e sui presupposti legittimanti la misura, a permettere la consegna. Le condizioni di fatto descritte consentono di ravvisare gli estremi che legittimano l'emissione del provvedimento di consegna, risultando verificata la presenza di una domanda efficace, fondata su elementi che non hanno costituito oggetto di precedente valutazione. 4. Tale interpretazione, che esclude l'effetto preclusivo di pronunce in rito ove le situazioni ostative vengano superate, è stata già condivisa da questa Corte proprio in materia di estradizione Sez. 6, n. 8812 del 25/02/2011, Balliu, Rv. 249640 , circostanza che ulteriormente confronta sull'applicabilità del medesimo principio nella procedura che ci occupa, alla luce dei più radicati principi di obbligatoria collaborazione che collegano gli Stati dell'Unione, richiamati nella pronuncia della Corte di giustizia Europea cui si è fatto riferimento. 5. Infondato, ancorché irrilevante per quanto si dirà, risulta l'ulteriore rilievo difensivo, attinente alla mancata previsione nel provvedimento impugnato dell'obbligo di riconsegna del R. , dopo la sua audizione in quel procedimento, poiché va ribadito quanto già più volte affermato da questa Corte che l'espressione dopo essere stata ascoltata , contenuta nella L. 22 aprile 2005, n. 69, art. 19, lett. C , con riferimento alla consegna ai fini di un'azione penale, del cittadino o di persona residente dello Stato italiano, deve essere intesa nel senso che la persona consegnata deve essere restituita una volta esaurito il processo a suo carico, con l'emissione di una sentenza esecutiva, secondo la disciplina specifica prevista dall'ordinamento dello stato di emissione sul punto, da ultimo Sez. 6, n. 938 del 07/01/2010, D.R., Rv. 245803 . 6. Deve trovare invece accoglimento il ricorso dell'accusa, con riferimento alla mancanza delle condizioni per l'applicazione della disposizione di cui all'art. 19 lett. c l.n. 69 del 2005. Il provvedimento impugnato ha concluso applicando la riserva di cui all'art. 19 cit., e sollecitando la riconsegna del R. a seguito della condanna, riconoscendogli la qualità di residente. Deve ricordarsi in argomento che l'estremo della residenza, diversamente da quello di cittadinanza, non è connessa ad un dato formale, ma presuppone un accertamento di radicamento concreto nel territorio, ricavabile da una serie di indicatori costituiti dalla presenza nel territorio da almeno un quinquennio di un'attività lavorativa stabile di una posizione fiscale e contributiva dalla presenza di un nucleo familiare, anch'esso inserito stabilmente, elementi tutti che devono convergere nella dimostrazione della natura non estemporanea e tendenzialmente continuativa della presenza sul territorio principio pacifico da ultimo Sez. 6, n. 50386 del 25/11/2014, Batanas, Rv. 261375 , che non risultano specificamente accertati nel concreto né verificati, sulla base della prospettazione contenuta nel ricorso dell'accusa, di fatto confermata dal richiamo alle condizioni di vita dell'interessato contenuto nella memoria difensiva. L'esigenza della verifica di tali condizioni deriva dalla natura necessariamente unitaria dei criteri interpretativi al riguardo, come tratteggiati dalla Corte di giustizia Europea che ha, nella specifica materia, il compito di dettare elementi interpretativi unitari della disciplina, che ne garantisca univocità di applicazione in tutto il territorio dell'Unione. Quell'autorità ha definito gli elementi indicativi della residenza, recepiti dalla nostra giurisprudenza, anche al fine di consentire che la necessità di disporre l'esecuzione della pena nello Stato richiesto, corrisponda all'intento di non precludere l'efficacia di un trattamento rieducativo all'interno di una comunità nella quale si è effettivamente inseriti e non costituisca, al contrario, una modalità per scegliere lo stato di esecuzione, a seconda delle contingenti convenienze dell'imputato. 7. Come si accennava nel provvedimento non sussiste alcun approfondimento al riguardo, poiché in esso si conferisce all'interessato la qualità di residente, senza specificare i presupposti sulla base dei quali tale verifica è stata realizzata, mentre la memoria depositata dal difensore in questa sede fa riferimento a circostanze di fatto, quale la pretesa presenza in Italia da circa tre anni, in assenza di una occupazione stabile, ma saltuaria e temporanea e circoscritta agli ultimi mesi, elementi che, proprio sulla base dei principi sopra richiamati, escludono la ricorrenza della condizione ritenuta rilevante al fine di accertare nel concreto il presupposto del radicamento. In tal senso, conseguentemente, deve disporsi l'annullamento senza rinvio della pronuncia impugnata, limitatamente all'apposizione della condizione di riconsegna per l'esecuzione della pena, ai sensi dell'art. 19 lett. c l.n. 69 del 2005. 8. Il rigetto del ricorso del R. ne impone la condanna al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen La Cancelleria è tenuta agli adempimenti di cui all'art. 22 comma 5 l.n. 69 del 2005. P.Q.M. In accoglimento del ricorso del P.g., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla statuizione di consegna subordinata alla condizione di cui all'art. 19 lett. c l.n. 69 del 2005. Rigetta il ricorso proposto da R.M. , che condanna al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, l.n. 69 del 2005.