Quasi due ore tra l’incidente stradale ed il prelievo ematico: non viene meno il fondamento dell’accertamento

In tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolico nel sangue mediante prelievo eseguito in conformità alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato a tale riguardo non è sufficiente il solo lasso temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e il momento dell’accertamento.

Il principio è stato riaffermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 40722/15, depositata il 9 ottobre. Il caso. Il Tribunale giudicava un uomo colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica e lo condannava alla pena ritenuta di giustizia. La Corte d’appello confermava la pronuncia di primo grado. Avvero tale sentenza, ricorre per cassazione l’uomo, lamentando che la Corte d’appello aveva affermato la sua penale responsabilità nonostante il prelievo ematico sulla persona del medesimo sia stato effettuato a circa un’ora e quarantacinque minuti di distanza dal momento in cui si era verificato l’incidente stradale nel quale era rimasto coinvolto e quindi nonostante non sia stato possibile accertare l’entità effettiva dell’intossicazione alcolica in cui egli versava mentre era alla guida del veicolo. L’accertamento strumentale del tasso alcolemico vale a dimostrare il reato Sul punto, gli Ermellini hanno innanzitutto precisato che il lasso di tempo che può intercorrere tra l’ultimo momento in cui la persona è stata alla guida e quello dell’accertamento del tasso alcolemico non influisce sulla fisionomia del reato, ma sulla dimostrazione processuale della sussistenza dello stato di alterazione psico-fisica da sostanze alcoliche in concomitanza dell’azione di guida. A tal proposito, i Giudici di Piazza Cavour hanno inoltre rilevato che in merito all’incidenza del decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l’esecuzione del test alcolemico, la giurisprudenza di legittimità ha formulato il principio di diritto secondo cui è necessario verificare anche la presenza di altri elementi indiziari. Non solo successivi insegnamento del Supremo Collegio hanno anche puntualizzato che va escluso che valga una sorta di aritmetica delle prove , come se, a fronte di un accertamento strumentale a distanza di un tempo non breve dall’atto di guida, sia necessario aggiungere elementi indiziari per ottenere il risultato di prova sufficiente dell’accusa. Bisogna, infatti, considerare attentamente anche la distribuzione degli oneri probatori se è vero che l’accusa è tenuta a dimostrare l’avvenuta integrazione del reato, offrendo la prova di ciascuno degli elementi essenziali dell’illecito, è altrettanto vero che tale prova è già data dall’esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal cds e dal relativo regolamento. Sarà l’imputato, eventualmente, a dover dimostrare la sussistenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell’accertamento, come, ad esempio, l’assunzione di bevande alcoliche successivamente alla cessazione della guida, la sussistenza di patologie che alterano il metabolismo dell’alcol o l’esistenza di un difetto degli strumenti di misurazione utilizzati. ma l’imputato può fornire prova contraria. Né, prosegue il Supremo Collegio, l’incidenza della c.d. curva alcolimetrica può essere predicata in astratto, perché va concretamente dimostrato che, per aver assunto la sostanza alcolica in assoluta prossimità dell’accertamento o per altre ragione, il tasso esibito dalla misurazione strumentale eseguita a distanza di tempo non rappresenta la condizione organica del momento in cui si era ancora alla guida . Gli Ermellini, dunque, ritengono di aderire al consolidato principio in forza del quale in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolico nel sangue mediante prelievo eseguito in conformità alla previsione normativa, grava sull’imputato l’onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell’accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato a tale riguardo non è sufficiente il solo lasso temporale intercorrente tra l’ultimo atto di guida e il momento dell’accertamento. Nel caso di specie, la Corte d’appello ha accertato che il duplice test ematico aveva individuato valori tali da poterne derivare che al momento del sinistro l’imputato doveva avere nell’organismo un tasso alcolemico superiore a 1,5 mg/l. Poiché non vi è dimostrazione l’uomo abbia assunto sostanze alcoliche successivamente al sinistro e quindi i valori discendenti riscontrati dopo più di 120 minuti dall’incidente non possono che segnalare il tratto discendente della curva alcolemica, ed in forza delle particolari modalità del sinistro, che aveva coinvolto il solo ricorrente alla guida di un motoveicolo, la motivazione fornita dalla Corte d’appello deve considerarsi puntuale e non manifestamente illogica. Il motivo di ricorso, pertanto, conclude la Corte, deve ritenersi aspecifico e quindi inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 9 settembre – 9 ottobre 2015, n. 40722 Presidente Brusco – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. C.S. ricorre avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Trento ha confermato la pronuncia di condanna emessa nei suoi confronti dal Tribunale di Trento, sezione distaccata di Borgo Valsugana, che lo ha giudicato colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica [articolo 186, comma 2 lett. c Cod. str. commesso il 10.7.2011] e lo ha condannato alla pena di mesi otto di arresto ed euro duemila di ammenda. 2. II ricorrente articola tre motivi - con un primo si deduce l'erronea applicazione degli artt. 168bis e ss. cod. pen., 464bis cod. proc. pen. e della legge n. 67/2014, in relazione all'art. 2, co. 4 cod. pen., per aver la Corte di Appello rigettato la richiesta di applicazione dell'istituto della messa alla prova, introdotto dalla menzionata legge n. 67/2014 istituto che avendo natura sostanziale avrebbe dovuto trovare applicazione ex art. 2, co. 4 cod. pen. nonostante l'assenza di norma transitoria. - con un secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio motivazionale per aver la Corte di appello ritenuto la responsabilità dell'imputato nonostante il prelievo ematico sulla persona del medesimo sia stato effettuato a circa un'ora e quarantacinque minuti di distanza dal momento in cui si era verificato l'incidente stradale nel quale era rimasto coinvolto il ricorrente e quindi nonostante non sia stato possibile accertare l'entità effettiva dell'intossicazione alcolica in cui versava il C. nel momento in cui era alla guida dei veicolo. La motivazione data al riguardo dalla Corte di appello si presenta illogica e in violazione di legge perché fa discendere dal fatto che alle ore 23,18 venne rilevato un tasso alcolemico pari a 2,08 g/I e poco dopo la mezzanotte il tasso di 1,65 g/I, l'accertamento della circostanza che al momento dell'incidente ore 21,30 il tasso fosse certamente superiore a 1,5 g/I. Ad avviso dell'esponente non é logico ritenere che se tra i due prelievi ematici si era nella fase discendente dei valori, nel momento dei sinistro il tasso alcolemico era certamente superiore ad 1,5 g/I, poiché, alla luce della dottrina medico legale per la quale i valori in questione iniziano ad incrementarsi per un tempo che va dai trenta ai centoventi minuti dall'ingestione della sostanza alcolica, é indispensabile individuare un punto di partenza della curva di assorbimento dell'alcol per poter conoscere il tasso alcolemico correlato ad un determinato momento. In assenza di tali informazioni si determina una incertezza insuperabile che deve condurre ad una pronuncia assolutoria o a ritenere, secondo il principio del favor rei, l'ipotesi di cui all'art. 186, co. 2 lett. a Cod. str. - con il terzo motivo si deduce vizio motivazionale in relazione al diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche e della sospensione condizionale della pena, lamentando, a tal ultimo riguardo, la mancata considerazione di specifici elementi di fatto portati all'attenzione della Corte distrettuale con i motivi di appello. Considerato in diritto 3. II ricorso è infondato. 3.1. In merito all'applicazione dell'istituto della messa alla prova di cui agli artt. 3 e 4 della legge n. 67 del 28 aprile 2014, questa Corte ha già ripetutamente precisato che nel giudizio di impugnazione davanti alla Corte d'appello o alla Corte di cassazione , l'imputato non può chiedere la sospensione dei procedimento con la messa alla prova di cui all'art. 168-bis cod. pen., né può altrimenti sollecitare l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito, perché il beneficio dell'estinzione del reato, connesso all'esito positivo della prova, presuppone lo svolgimento di un iter processuale alternativo alla celebrazione dei giudizio. Ed ha altresì rese esplicite le ragioni per le quali la mancata applicazione della disciplina della sospensione dei procedimento con messa alla prova nei giudizi di impugnazione pendenti alla data della sua entrata in vigore, stante l'assenza di disposizioni transitorie, non determina alcuna lesione del principio di retroattività della lex mitior , né profili di dubbia legittimità costituzionale in relazione all'art. 3 Cost. cfr., per la dettagliata motivazione degli assunti, Sez. F, n. 35717 dei 31/07/2014 - dep. 13/08/2014, Ceccaroni, Rv. 259935 pronuncia alla quale sono seguite, tra quelle oggetto di massimazione, Sez. F, n. 42318 del 09/09/2014 - dep. 10/10/2014, Valmaggi, Rv. 261096 Sez. 6, n. 47587 del 22/10/2014 - dep. 18/11/2014, Calamo, Rv. 261255 Sez. 3, n. 22104 del 14/04/2015 - dep. 27/05/2015, Zheng, Rv. 263666 . Del tutto in linea con la giurisprudenza di legittimità é quindi la decisione qui impugnata, che proprio sulla stretta inerenza dell'istituto in parola al giudizio di primo grado e sull'assenza di norma transitoria ha fondato il rigetto dell'istanza avanzata in favore dell'odierno ricorrente. 3.2. A riguardo del secondo motivo va innanzitutto precisato, in rapporto alla lamentata violazione di legge, che il periodo di tempo che può intercorrere tra l'ultimo momento in cui la persona è stata alla guida e quello dell'accertamento del tasso alcolemico non rifluisce sulla fisionomia del reato bensì su quello della dimostrazione processuale della sussistenza dello stato di alterazione psico-fisica da sostanze alcoliche in concomitanza dell'azione di guida. Per tale motivo ogni questione che attiene alle modalità di accertamento del tasso alcolemico non attiene alla corretta applicazione dell'art. 186, co.2 lett. c Cod. str. A tal ultimo proposito deve rammentarsi che, in merito all'incidenza del decorso di un intervallo temporale di alcune ore tra la condotta di guida incriminata e l'esecuzione del test alcolemico, la giurisprudenza di questa Corte ha formulato il principio di diritto secondo cui è necessario verificare, ai fini della sussunzione del fatto in una delle due ipotesi di cui all'art. 186, comma secondo, lett. b e c C.d.s., la presenza di altri elementi indiziari Sez. 4, n. 47298 del 11/11/2014 - dep. 17/11/2014, Ciminari, Rv. 261573 . Alcune pronunce successive Sez. 4, n. 24206 del 04/03/2015 - dep. 05/06/2015, Mongiardo, Rv. 263725 Sez. 4, n. 27155 del 12/03/2015 - dep. 30/06/2015, Barbarino, n.m. hanno anche puntualizzato che va però escluso che valga una sorta di aritmetica delle prove come se, dato un accertamento strumentale a distanza di un tempo non breve dall'atto di guida durata invero difficile da determinare una volta per tutte , sia necessario aggiungere elementi indiziari per ottenere il risultato di 'prova sufficiente' dell'accusa. Occorre tener conto anche della distribuzione degli oneri probatori. Non v'è alcun dubbio che l'accusa sia tenuta a dare dimostrazione della avvenuta integrazione del reato, offrendo la prova di ciascuno e tutti gli elementi essenziali dell'illecito fermo restando che nella realtà della dialettica processuale, oggetto di prova è solo ciò che risulta controverso . Ma tale prova, per espressa indicazione normativa e per radicata interpretazione giurisprudenziale , è già data dall'esito di un accertamento strumentale che replichi le cadenze e le modalità previste dal Codice della strada e dal relativo regolamento. La presenza di fattori in grado di compromettere la valenza dimostrativa di quell'accertamento non può che concretizzarsi ad opera dell'imputato, al quale compete di dare dimostrazione, ad esempio, di aver assunto bevande alcoliche successivamente alla cessazione della guida di essere portatore di patologie che alterano il metabolismo dell'alcol di un difetto degli strumenti di misurazione utilizzati dagli accertatori e così seguitando. Anche l'incidenza della cd. curva alcolimetrica - prescindendo dalla valutazione dei suoi fondamenti scientifici - non può essere predicata in astratto, perché va concretamente dimostrato che, per aver assunto la sostanza alcolica in assoluta prossimità al momento dell'accertamento o per altra ragione, il tasso esibito dalla misurazione strumentale eseguita a distanza di tempo non rappresenta la condizione organica del momento in cui si era ancora alla guida. E' stato quindi formulato il seguente principio di diritto in tema di guida in stato di ebbrezza, in presenza di un accertamento del tasso alcolico nel sangue mediante prelievo eseguito in conformità alla previsione normativa, grava sull'imputato l'onere di dare dimostrazione di circostanze in grado di privare quell'accertamento di valenza dimostrativa della sussistenza del reato a tale riguardo non è sufficiente il solo lasso temporale intercorrente tra l'ultimo atto di guida e il momento dell'accertamento Sez. 4, n. 24206 del 04/03/2015 - dep. 05/06/2015, Mongiardo, Rv. 263725 . Principio che questo Collegio ritiene di dover ribadire. Ne consegue la genericità della doglianza, non rappresentativa di concrete evenienze in grado di privare di valenza dimostrativa l'accertamento strumentale. Nel caso di specie la Corte di appello ha accertato che il duplice test ematico - il primo richiesto dai sanitari del Pronto soccorso al quale era stato presentato il C., il secondo dai Carabinieri intervenuti presso il nosocomio - avevano individuato un valore pari a 2,08 g/I e poi un valore di 1,64 g/I e ne ha derivato che al momento del sinistro l'imputato doveva avere nell'organismo un tasso alcol-emico superiore a 1,5 mg/I. Si tratta di una deduzione che, proprio assumendo le premesse sostenute dal ricorrente, risulta non manifestamente illogica. Infatti, non essendo affermato da alcuno che il C. ebbe ad assumere sostanze alcoliche successivamente al sinistro, i valori discendenti riscontrati dopo più di centoventi minuti dall'incidente non possono che segnalare il tratto discendente della curva alcolemica, che quindi aveva trovato il valore di picco già prima dell'accertamento delle ore 23,18. Ora, tale osservazione, unitamente alla considerazione fatta dalla Corte di Appello della significatività delle particolari modalità del sinistro, che aveva coinvolto il solo C. alla guida di un motoveicolo, dà vita ad una motivazione puntuale e non manifestamente illogica, che risulta contrastata da una generica critica, mancante della dimostrazione da parte dell'imputato - nel processo di merito - che egli aveva assunto sostanze alcoliche in un tempo tanto prossimo al fermo da rendere concretamente possibile che solo dopo l'incidente i valori erano ascesi alla soglia rilevante ai sensi dell'art. 186, co. 2 lett. c Cod. str., o di differenti circostanze pure conducenti alla medesima conclusione. Il motivo é pertanto aspecifico e quindi inammissibile. 3.3. Infondato é il terzo motivo. Per ciò che concerne la motivazione del diniego delle attenuanti generiche, la sentenza impugnata esibisce una argomentazione del tutto sufficiente si rimarca la estrema gravità del fatto, in ragione dell'elevato stato di ubriachezza, dedotto dalle modalità di verificazione dell'incidente. Non si ravvisa, quindi, né una omessa motivazione né una motivazione manifestamente illogica. Quanto alla esplicazione delle ragioni che hanno condotto al diniego della sospensione condizionale della pena, la Corte territoriale ha giustificato tale giudizio ancora facendo richiamo alla gravità del fatto e poi anche al precedente penale risultante a carico del C Orbene, se é da reputarsi apparente la motivazione con la quale il giudice per giustificare il diniego dei benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna, consideri esaustivo il riferimento alla gravità del reato - nella specie, peraltro, di natura contravvenzionale guida in stato di ebbrezza - e ometta di indicare i concreti elementi di valutazione fondanti il negativo giudizio prognostico ostativo ai benefici richiesti, nonostante l'incensuratezza dell'imputato Sez. 4, n. 2773 dei 27/11/2012 - dep. 18/01/2013, Colo', Rv. 254969 , ove alla valutazione del fatto si accompagni quella di uno o più precedenti penali dell'imputato non può certo affermarsi la carenza di motivazione, neppure sotto il profilo della sua mera apparenza. D'altro canto, la circostanza che si tratti di reato che, perché giudicato con sentenza di patteggiamento, risulti estinto ai sensi dell'art. 445 cod. proc. pen., non esclude certo che il giudice possa tenerne conto nel giudizio prognostico prefigurato dall'art. 163 cod. pen. Invertendo l'orientamento che in precedenza, ma prima dell'entrata in vigore delle norme sul cd. 'patteggiamento allargato', era stato espresso anche dal massimo consesso di legittimità, le sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la sentenza di patteggiamento, in ragione dell'equiparazione legislativa ad una sentenza di condanna in mancanza di un'espressa previsione di deroga, costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, comma primo, n. 1 cod. pen., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa Sez. U, n. 17781 del 29/11/2005 - dep. 23/05/2006, Diop, Rv. 233518 . Ne consegue la legittimità della considerazione di una sentenza di applicazione della pena ai fini della predetta revoca. Quando poi, come nel caso che occupa, il reato oggetto del patteggiamento si sia estinto ex art. 445, co. 2 cod. proc. pen., gli effetti di tale estinzione devono intendersi limitati, con riferimento alla reiterabilità della sospensione condizionale, ai soli casi in cui sia stata applicata una pena pecuniaria o una sanzione sostitutiva, per l'espresso disposto dell'ultimo periodo del citato comma, con la conseguenza che, ove sia stata applicata una sanzione detentiva, di questa occorre comunque tenere conto ai fini della valutazione, imposta dagli artt. 164, ultimo comma, e 163 cod. pen. circa la concedibilità di un secondo beneficio cfr. Sez. U, n. 31 del 22/11/2000 - dep. 03/05/2001, Sormani, Rv. 218529 . Peraltro, quanto appena rammentato attiene alla valenza quale condizione ostativa del precedente che si sia formato a seguito di sentenza di applicazione della pena e a riguardo del quale sia decorso il termine che ne importa l'estinzione. Nel caso che occupa la Corte di Appello ha valutato il menzionato precedente quale fattore che concorre a determinare una prognosi sfavorevole circa la futura condotta del C Valutazione della cui legittimità, a fortiori, non é possibile dubitare. 4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.