Testimonianza della persona offesa: i riscontri esterni servono, se…

In tema di violenza sessuale, le regole dettate dall'art. 192, comma 3, c.p.p. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone.

Ciò vale, in particolare, proprio in tema di reati sessuali, l'accertamento dei quali passa, nella maggior parte dei casi, attraverso la necessaria valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi. Lo ha confermato la Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 36900, depositata il 14 settembre 2015. Il caso. La pronuncia in esame trae origine da una sentenza di annullamento della condanna con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze di un uomo per il reato di violenza sessuale, previsto e punito dall’art. 609 bis del codice penale, in danno della propria convivente. Nello specifico, il ricorrente deduceva, fra gli altri motivi, l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 192 e 194 c.p.p., con specifico riguardo alla valutazione della testimonianza della presunta vittima di violenza. Per il ricorrente, la Corte di Appello di Firenze non aveva valutato correttamente l’evidente contrasto fra le riferite violenze e l’atteggiamento di controllo emozionale della donna violentata che aveva addirittura fatto sì che la donna dormisse tranquillamente per 8 ore dopo l’asserito stupro . La testimonianza della persona offesa Come è noto, in generale, nel nostro sistema processuale manca una specifica normativa dettata a tutela della vittima-testimone, la cui posizione viene sostanzialmente equiparata a quella di qualsiasi altro teste che debba essere escusso, e ciò ad eccezione delle sole regole dettate in tema di audizione del minore le quali, pertanto, possono ritenersi uniche eccezioni in materia. Tali regole infatti limitano, in considerazione della necessità di tutelare soggetti in condizioni di maggiore debolezza psichica, il diritto al pieno contraddittorio dell’imputato che, in sede dibattimentale, trova la sua espressione nella cross-examination di ciascuna fonte di prova orale. La decisività della deposizione dibattimentale, se da un lato esalta il principio del pieno contraddittorio nella formazione della prova dinanzi al Giudice, dall’altro espone la vittima del reato al pericolo di maggiori pressioni o sollecitazioni, al fine di ottenere una più o meno completa ritrattazione, aumentando così notevolmente la possibilità che, alle sofferenze patite al momento della consumazione dell’episodio delittuoso, ne seguano altre, ancor più penose, nel periodo antecedente l’audizione dibattimentale od anche in sede di incidente probatorio. deve essere scevra da contraddizioni logiche. Ciò premesso sul piano generale, ci si è chiesti se ed in che termini la testimonianza della persona offesa specie nel caso di delitti contro la libertà sessuale possa essere ritenuta attendibile e credibile, in particolare nelle ipotesi in cui si tratti dell’unica prova diretta della riferita violenza. Uno degli aspetti più rilevanti della riforma dei reati sessuali intervenuta con la legge n. 66/1996 è consistito nella eliminazione della distinzione tra violenza carnale ed atti di libidine a differenza di quanto avviene in altre legislazioni penali europee, fra cui ad esempio quella spagnola, che ancora distingue fra aggressioni, abusi e molestie sessuali , sicché l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 609 bis c.p. sussiste ogni qual volta che un qualunque atto di natura sessuale sia compiuto con violenza. L’unificazione delle fattispecie risponde a giustificazioni di carattere sia astratto che tecnico sotto il primo profilo, infatti, è rispondente all’esigenza di affermare il principio assoluto di inviolabilità del corpo umano e della pari gravità di ogni condotta lesiva del predetto bene, attribuendosi maggiore rilevanza alla dignità della persona, sicché la mutata oggettività giuridica del reato e l’unicità del bene giuridico protetto, la libertà sessuale corollario del più ampio diritto alla libertà personale, impongono di riconoscere la natura illecita a qualunque violazione del diritto alla libera estrinsecazione della propria sessualità a prescindere dalle concrete modalità esecutive della condotta. Vi è, inoltre, una motivazione di carattere più propriamente tecnico e pratico, consistente nelle necessità di una maggiore semplificazione dell’accertamento del reato e di una più intensa tutela della dignità della persona offesa. Sul punto, l’orientamento dominante in giurisprudenza sostanzialmente confermato dalla sentenza in commento afferma che il diritto processuale penale non opera alcuna discriminazione sia in ordine alla capacità a testimoniare della persona offesa dal reato, sia in ordine alla valenza probatoria delle sue deposizioni rispetto a quelle di altre persone. Pertanto in caso di necessità, per essere la persona offesa l'unico testimone che abbia avuto percezione diretta del fatto da provare o, comunque, l'unico in grado di introdurre una tale percezione nel processo, anche la sola deposizione di essa può, nell'ambito del libero convincimento del giudice, essere posta a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato. In tal caso il giudice di merito deve valutare con particolare attenzione tutti gli elementi, sia di natura intrinseca che estrinseca, su cui ha basato il suo convincimento di attendibilità e veridicità delle deposizioni della persona offesa, dando conto di tale valutazione con motivazione dettagliata e rigorosa, specificamente riferita alla detta qualità Cass. n. 6930/1990 . Anche nella pronuncia in esame, la Cassazione conferma dunque che il controllo sulla psicologia della persona offesa-testimone va fatto con oculatezza, a maggior ragione nelle ipotesi in cui essa costituisce l’unico soggetto che può riferire circa il commesso reato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 dicembre 2014 – 14 settembre 2015, n. 36900 Presidente Teresi – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il sig. A.T. ricorre per l'annullamento della sentenza del 10/03/2014 della Corte di appello di Firenze che ha confermato la condanna alla pena di quattro anni di reclusione inflitta, all'esito di giudizio abbreviato, dal Giudice per l'udienza preliminare del Tribunale di quello stesso capoluogo con sentenza del 10/04/2013 per i delitti di violenza sessuale aggravata dalla coabitazione di cui agli artt. 609-bis, 61, n. 11, cod. pen. capo A della rubrica , lesioni personali volontarie di cui agli artt. 582 e 585, cod. pen. capo B della rubrica e sequestro di persona di cui all'art. 605, cod. pen., commessi tra il OMISSIS ai danni della convivente K.E. . Si contesta all'imputato di aver costretto la propria compagna convivente a subire con percosse e minacce un rapporto sessuale completo e di averla segregata in casa per tutta la notte, fino al giorno dopo, impedendole di uscire, di telefonare, di rispondere all'amica presentatasi sotto casa, fino a quando non erano intervenuti i Carabinieri allertati proprio da quest'ultima e liberandola solo quando si era reso conto che altrimenti sarebbero intervenuti i Vigili del Fuoco. Con unico motivo di gravame eccepisce, ai sensi dell'art. 606, lett. c e e , cod. proc. pen., limitatamente ai soli reati di violenza sessuale e sequestro di persona, mancanza e manifesta illogicità della motivazione nonché violazione degli artt. 192 e 194, cod. proc. pen Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato. 3. L'appello avverso la sentenza di primo grado aveva devoluto alla Corte territoriale temi difensivi ben precisi circa l'attendibilità della persona offesa. Nello specifico, l'imputato aveva eccepito che a la vittima aveva riferito che questi aveva eiaculato in vagina b i sanitari del nosocomio, tuttavia, non avevano rinvenuto tracce di spermatozoi c la donna aveva espressamente rifiutato la somministrazione di anticoncezionali d dopo la presunta violenza sessuale la convivente aveva tranquillamente dormito per oltre otto ore, dalle ore 4,00 del mattino alle ore 12,30, allorquando fu svegliata dalla voce dell'amica che la chiamava dabbasso e addosso a lui non erano state rinvenute le chiavi di casa con le quali avrebbe chiuso il portoncino di ingresso una volta uscito dopo che la compagna si era svegliata f la donna, asseritamente segregata in casa, avrebbe potuto invocare aiuto affacciandosi al balcone o utilizzando il proprio telefono cellulare che nessuno le aveva sottratto e che certamente non era stato trovato sulla sua persona. La Corte di appello ha respinto la tesi difensiva così argomentando a è possibile che la vittima, sentita nell'immediatezza del fatto, senza l'ausilio di un interprete e in considerazione della sua elementare conoscenza della lingua italiana, sia stata fraintesa e non abbia mai affermato che il compagno aveva eiaculato in vagina ma che, piuttosto, aveva avuto un rapporto completo, concetto quest'ultimo tradotto e interpretato dai verbalizzanti come eiaculazione in vagina b i sanitari avevano più correttamente riportato che la vittima aveva subito un rapporto completo” c inoltre la donna potrebbe aver utilizzato il bagno ed essersi lavata dopo la violenza d il rifiuto di assumere la terapia anticoncezionale potrebbe giustificarsi con il fatto che, trattandosi di donna di quarantasette anni, forse si trovava in menopausa d l'esito negativo delle perquisizioni personali dell'imputato non prova nulla sia perché non si può escludere che la polizia giudiziaria non stesse cercando le forbici che la donna avrebbe solo successivamente affermato esser state utilizzate per impedirle di rispondere all'amica accorsa in suo aiuto e di aprirle la porta dell'appartamento, sia perché egli avrebbe potuto liberarsi delle chiavi di casa e del telefono cellulare della persona offesa quando aveva compreso che i Carabinieri, chiamati dall'amica della convivente, lo attendevano sotto casa e il fatto che la persona offesa avesse dormito per otto ore dopo la riferita violenza è circostanza priva di significato. 4. Questa Suprema Corte deve ribadire il costante insegnamento secondo il quale, in generale, la testimonianza della persona offesa, perché possa essere legittimamente utilizzata come fonte ricostruttiva del fatto per il quale si procede non necessita di altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, Rv. 253214 ma, anzi, al pari di qualsiasi altra testimonianza, è sorretta da una presunzione di veridicità secondo la quale il giudice, pur essendo tenuto a valutare criticamente, verificandone l'attendibilità, il contenuto della testimonianza non può assumere come base del proprio convincimento l'ipotesi che il teste riferisca scientemente il falso salvo che sussistano specifici e riconoscibili elementi atti a rendere fondato un sospetto di tal genere, in assenza dei quali egli deve presumere che il dichiarante, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza così, da ultimo, Sez. 4, n. 6777 del 24/01/2013, Grassidonio, Rv. 255104 cfr. anche Sez. 6, n. 7180 del 12/12/2003, Mellini, Rv. 228013 e Sez. 4, n. 35984 del 10/10/2006, Montefusco, Rv. 234830, secondo le quali in assenza di siffatti elementi, il giudice deve presumere che il teste, fino a prova contraria, riferisca correttamente quanto a sua effettiva conoscenza e deve perciò limitarsi a verificare se sussista o meno incompatibilità fra quello che il teste riporta come vero, per sua diretta conoscenza, e quello che emerge da altre fonti di prova di eguale valenza ” . 4.1. La testimonianza della persona offesa, soprattutto quando portatrice di un personale interesse all'accertamento del fatto, deve essere soggetta ad un più penetrante e rigoroso controllo circa la sua credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca del racconto Sez. u, 41461/2012, cit. , ma ciò non legittima un aprioristico giudizio di inaffidabilità della testimonianza stessa espressamente vietata come regola di giudizio e non consente di collocarla, di fatto, sullo stesso piano delle dichiarazioni provenienti dai soggetti indicati dall'art. 192, commi 3 e 4, cod. proc. pen. con violazione del canone di giudizio imposto dall'art. 192, comma 1, cod. proc. pen. . 4.2.In tema di reati sessuali, l'argomento è reso oltremodo sensibile dalla particolare dinamica delle condotte il cui accertamento, spesso, deve essere svolto senza l'apporto conoscitivo di testimoni diretti diversi dalla stessa vittima. In questi casi, la deposizione della persona offesa, seppure non equiparabile a quella del testimone estraneo, può essere assunta anche da sola come fonte di prova della colpevolezza, ove venga sottoposta ad un'indagine positiva sulla credibilità soggettiva ed oggettiva di chi l'ha resa, dato che in tale contesto processuale il più delle volte l'accertamento dei fatti dipende necessariamente dalla valutazione del contrasto delle opposte versioni di imputato e parte offesa, soli protagonisti dei fatti, in assenza, non di rado, anche di riscontri oggettivi o di altri elementi atti ad attribuire maggiore credibilità, dall'esterno, all'una o all'altra tesi Sez. 4, n. 30422 del 21/06/2005, Rv. 232018 Sez. 4, n. 44644 del 18/10/2011, Rv. 251661 . 4.3.Ciò non significa che la testimonianza della persona offesa vittima di reato sessuale abbia maggiore valenza rispetto altre prove, dovendosi il giudizio di attendibilità delle une e delle altre fondare su dati concreti, razionalmente verificabili e non su considerazioni aprioristiche. 4.4.Nel caso in esame appare evidente lo sforzo, metodologicamente errato, di conciliare le oggettive incongruenze tra quanto riferito dalla persona offesa in ordine alla condotta tenuta dall'imputato che aveva eiaculato in vagina e gli esiti negativi degli accertamenti medici. Tale sforzo che si spiega logicamente con la evidente rilevanza della questione posta dall'imputato si fonda su troppe congetture l'incomprensione linguistica che aveva comportato la traduzione di rapporto completo” in rapporto con eiaculazione in vagina”, il possibile utilizzo del bagno per lavarsi, la probabile menopausa volte in qualche modo a giustificare la scelta contraddittoria della donna di non assumere la terapia anticoncezionale congetture che peraltro sono smentite, nei fatti, dal comportamento dei sanitari la cui proposta di somministrazione della terapia anticoncezionale presuppone la perfetta comprensione di quanto accaduto e ciò benché essi avessero correttamente scritto, secondo gli stessi Giudici territoriali, che la donna aveva subito un rapporto completo” . 4.5.In questi casi la rinnovazione dell'esame della persona offesa costituisce l'unico strumento a disposizione del giudice quando non può decidere allo stato degli atti senza creare una insanabile frattura logica tra i fatti accertati e le conseguenze che ritenga di trarne. 4.6.La tesi difensiva del litigio violento tra conviventi, prima di essere scartata dai Giudici territoriali con motivazione non corretta, avrebbe dovuto essere valutata con maggiore aderenza ai fatti anche mediante, come detto, il rinnovato esame della persona offesa sugli aspetti fattuali la cui sussistenza la Corte di appello ha solo ipotizzato , poiché tale tesi non è inconciliabile, sul piano logico, con il comportamento successivamente tenuto dall'imputato che aveva riferito ai Carabinieri che la propria compagna stava dormendo volto sicuramente ad occultare quantomeno i segni delle percosse inferte alla donna. 4.7. È un dato di fatto che le forbici con le quali quest'ultima aveva riferito d'esser stata minacciata non furono trovate in casa, così come non furono trovati sulla persona dell'imputato le chiavi di casa con cui avrebbe chiuso dall'esterno il portoncino di ingresso e il telefono della persona offesa per impedirle di mettersi in contatto con altre persone , circostanze - anche queste - che mal si conciliano con la tesi accusatoria della segregazione in casa, che la Corte di appello ha però superato con considerazioni del tutto ipotetiche i Carabinieri non hanno trovato questi oggetti semplicemente perché non li andavano trovando, salvo non spiegare cosa andassero realmente cercando e perché abbiano perquisito l'imputato e la sua abitazione e che non spiegano perché, per esempio, la donna non avrebbe potuto chiedere aiuto dal balcone di casa secondo quanto prospettato in sede di motivi di appello . 4.8.Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.