La pena sostitutiva è revocata nel caso di arresto in flagranza per altro reato che ne impedisca l’adempimento

La nozione di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità non è limitata all’inadempimento in senso stretto dell’obbligo di prestazione dell’attività non retribuita, ma comprende anche quei comportamenti colpevoli dell’agente che, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono su di essa determinando la pratica impossibilità di prosecuzione della prestazione concordata con l’ente pubblico.

Lavori di pubblica utilità. Con la sentenza n. 34234 depositata il 5 agosto 2015, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione interviene in tema di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento dei lavori di pubblica utilità, ribadendo un principio di rilievo nella materia de quo . In particolare, secondo gli Ermellini, la nozione di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità non è limitata all’inadempimento in senso stretto dell’obbligo di prestazione dell’attività non retribuita - come può essere la mancata presentazione sul luogo di svolgimento del lavoro o la grave negligenza nella prestazione dell’attività -, ma comprende anche quei comportamenti colpevoli dell’agente che, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono su di essa determinando la pratica impossibilità di prosecuzione della prestazione concordata con l’ente pubblico. Condotta di rilevanza penale causa dell’inadempimento degli obblighi. In buona sostanza, per i Giudici di Piazza Cavour, tra i comportamenti inadempienti deve essere annoverata la condotta, di rilevanza penale, attuata dal soggetto ammesso al lavoro di pubblica utilità che, avendone determinato l’arresto in flagranza ed il successivo stato di detenzione, ha reso materialmente impossibile la prosecuzione della prestazione a favore della collettività. Nel caso di specie, il Tribunale territoriale aveva condannato il ricorrente, colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza aggravato, alla pena di mesi otto di arresto ed euro 2.400 di ammenda, sostituita con il lavoro di pubblica utilità da svolgersi presso il Comune. Quest’ultimo successivamente comunicava l’avvenuta sospensione della misura e l’impossibilità della sua prosecuzione, in quanto il ricorrente era stato nel frattempo arrestato dai Carabinieri in flagranza dei reati di tentata estorsione e detenzione di stupefacenti al fine di spaccio. Inevitabile la revoca della pena sostitutiva da parte del Tribunale territoriale, con ripristino di quella sostituita. Doglianze della difesa. In sede di cassazione il ricorrente contestava che il Tribunale si era limitato a fare riferimento a quanto dichiarato dal Comune, senza accertare l’effettivo inadempimento degli obblighi imposti dall’esecuzione della pena del lavoro di pubblica utilità. Egli, inoltre, evidenziava l’estraneità della vicenda per cui era stato tratto in arresto rispetto al lavoro in essere con il Comune. Per i giudici di legittimità il ricorso non può che essere infondato, in quanto l’art. 186, comma 9 bis , d. lgs. n. 285/1992 prevede che il giudice procedente disponga la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, con ripristino della pena sostituita, in caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità. Arresto in flagranza di gravi reati. Nel caso specifico, correttamente il giudice procedente ha disposto la revoca della pena sostitutiva perché l’interruzione della prestazione del lavoro di pubblica utilità, determinata dal comportamento colpevole dell’interessato tratto in arresto in flagranza di gravi reati, costituisce violazione dell’obbligo comportamentale al quale è tenuto il soggetto che sta eseguendo una pena sostitutiva, integrante la causa di revoca della pena alternativa del lavoro di pubblica utilità stabilita ai sensi della normativa richiamata. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 29 maggio – 5 agosto 2015, numero 34234 Presidente Cortese – Relatore Locatelli Ritenuto in fatto Con sentenza dei 11.3.2013 il Tribunale di Bergamo dichiarava F.I. colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza aggravato previsto dall'articolo 186 comma 2 Iett.c , 2 sexies,3 e 4 cod. strada, condannandolo alla pena di mesi otto di arresto ed euro 2.400 di ammenda , sostituita con il lavoro di pubblica utilità da svolgersi presso il Comune di Lovere. Con nota del 14.10.2013 il Comune di Lovere comunicava l'avvenuta sospensione della misura e l'impossibilità della sua prosecuzione in quanto F.I. in data 27.9.2013 era stato arrestato dai Carabinieri di Lovere in flagranza dei reati di tentato estorsione e detenzione di stupefacenti al fine di spaccio. Con ordinanza del 31.3.2014 il Tribunale di Bergamo, a norma dell'articolo 186 comma 9 bis cod.strada, revocava la pena sostitutiva dei lavoro di pubblica utilità, con ripristino di quella sostituita. Avverso l'ordinanza il difensore proponeva ricorso per mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione e falsa applicazione dell'articolo 186 comma 9 bis cod. strada il Tribunale si è limitato a fare riferimento a quanto dichiarato dal Comune di Lovere e quanto accaduto durante lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, senza accertare l'avvenuto inadempimento da parte di F. agli obblighi imposti dall'esecuzione della pena del lavoro di pubblica utilità estraneità della vicenda per cui F. è stato tratto in arresto rispetto al rapporto di lavoro in essere con il Comune di Lovere. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. L'articolo 186 comma 9 bis dei d.lgs. numero 285 del 1992 prevede che il giudice procedente o il giudice dell'esecuzione disponga la revoca della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, con ripristino della pena sostituita, in caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento dei lavoro di pubblica utilità . La nozione di violazione degli obblighi non è limitata all'inadempimento in senso stretto dell'obbligo di prestazione dell'attività non retribuita, quale può essere la mancata presentazione sul luogo di svolgimento del lavoro di pubblica utilità o la grave negligenza nello prestazione dell'attività, ma comprende anche quei comportamenti colpevoli dell'agente che, pur essendo formalmente estranei alla prestazione di pubblica utilità, si ripercuotono su di essa determinando la pratica impossibilità di prosecuzione della prestazione concordata con l'ente pubblico. Tra i comportamenti inadempienti deve essere annoverata la condotta, di rilevanza penale, attuata dal soggetto ammesso al lavoro di pubblica utilità, che, avendone determinato l'arresto in flagranza ed il successivo stato di detenzione, ha reso materialmente impossibile la prosecuzione della prestazione a favore della collettività. Tale è la situazione accertata dal giudice di merito nel caso in esame, atteso che, nelle spontanee dichiarazioni rese in udienza, il ricorrente aveva confermato di non aver potuto proseguire il lavoro di pubblica utilità essendo stato arrestato dai Carabinieri in flagranza di reato dal certificato del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria in atti risultava che il ricorrente era stato associato alla Casa circondariale di Bergamo in data 27.9.2013 ed aveva proseguito la detenzione in regime di arresti domiciliari a decorrere dal 30.9.2013. Ne consegue che il giudice di merito ha legittimamente ritenuto che l'interruzione della prestazione del lavoro di pubblica utilità, determinata dal comportamento colpevole dell'interessato tratto in arresto in flagranza di gravi reati, costituisce violazione dell'obbligo comportamentale al quale è tenuto il soggetto che sta eseguendo una pena sostitutiva, integrante la causa di revoca della pena alternativa del lavoro di pubblica utilità stabilita dall'articolo 186 comma 9 bis d.lgs. numero 285 del 1992. A norma dell'articolo 616 cod.proc.penumero il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.