Risponde di peculato il notaio che non versa integralmente le somme ricevute a titolo di imposta dai clienti

Costituisce peculato il ritardato pagamento da parte del notaio della differenza tra le somme versate a titolo di imposta integrale dai clienti e quella deliberatamente autoliquidata dal professionista in misura ridotta, conseguendo egli il lucro costituito dagli interessi bancari maturati sulle somme non versate per tutto il periodo in cui l’Agenzia delle Entrate non provveda alla liquidazione della maggior imposta dovuta.

Il mancato versamento integrale delle somme ricevute dai clienti. Con la sentenza n. 33879, depositata il 31 luglio 2015, la sez. VI Penale della Corte di Cassazione si sofferma sul delitto di peculato con mancato adempimento degli obblighi di legge da parte del notaio. In particolare, la Corte di appello territoriale riformava parzialmente la sentenza emessa in esito al giudizio abbreviato con cui il ricorrente era stato ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 314 c.p. e condannato alla pena di due anni di reclusione, oltre alle pene accessorie infatti la pena veniva ridotta nella misura finale ad 1 anno e 8 mesi di reclusione con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Il notaio non aveva tempestivamente versato all’Erario le somme ricevute dai clienti a titolo di imposta per atti di compravendita immobiliare. Queste ultime venivano liquidate volutamente dall’imputato in modo irregolare ed inferiore al dovuto. Solo in seguito la somma veniva richiesta per via telematica nel suo pagamento integrale dall’Agenzia delle Entrate ed infine effettivamente versata dal professionista. Lucro costituito dagli interessi bancari sulla somma non versata. In che cosa consiste in questa ipotesi il peculato? La Corte territoriale risponde ritenendo che costituisce peculato il ritardato pagamento da parte del notaio della differenza tra le somme versate a titolo di imposta integrale dai clienti e quella deliberatamente autoliquidata dal professionista in misura ridotta, conseguendo egli il lucro costituito dagli interessi bancari maturati sulle somme non versate per tutto il periodo in cui l’Agenzia delle Entrate non provveda alla liquidazione della maggior imposta dovuta. La principale contestazione del ricorrente nei confronti della sentenza impugnata si riferisce alla configurazione del delitto di peculato e della violazione degli artt. 3- bis , 3- ter e 3- quater d.lgs. n. 463/1997, introdotti dal d.lgs. n. 9/2000, i quali disciplinano la c.d. procedura di adempimento unico informatico riguardante sia l’imposta di registro che quelle di atto. In definitiva, per la difesa dell’imputato il nuovo sistema telematico di liquidazione delle imposte da parte dei notai per gli atti da essi rogati e che si fonda su una interazione diretta, secondo modalità telematiche, tra Agenzia delle Entrate e professionisti, consente a quest’ultima di richiedere il pagamento integrativo delle imposte dovute anche quando il soggetto obbligato abbia provveduto a liquidarle in maniera inesatta, sia per colpa, anche grave, che per dolo. Diverso momento in cui configurare il peculato. In buona sostanza, per il ricorrente, la sanzione penale di cui all’art. 314 c.p. scatta unicamente a seguito del mancato pagamento della maggior imposta richiesta dalla Agenzia delle Entrate e quindi dopo la scadenza della procedura amministrativa che si svolge in forma telematica, solo a quel punto manifestandosi inequivocabilmente la volontà del notaio di non adempiere all’obbligazione tributaria che gli spetta e di trattenere per sé la somma versatagli a detto titolo dai clienti. Gli Ermellini non ritengono fondato il ragionamento giuridico seguito dalla difesa dell’imputato. Infatti, secondo i giudici di Piazza Cavour, la procedura amministrativa prevista dagli artt. 3- bis e 3- ter d.lgs. n. 463/1997 disciplina una condotta del tutto distinta da quella integrante il delitto di peculato e le sanzioni da essa previste possono sicuramente concorrere con quella stabilita dalla previsione di carattere penale. Diversamente interpretando, si vedrebbe accolto l’errato assunto che l’interversione del possesso del denaro pubblico si verifichi soltanto quando il notaio non abbia versato nel termine previsto l’importo della maggior somma dovuta a titolo di imposta e liquidato con procedura di correzione per via telematica dall’Agenzia delle Entrate. Peculato reato istantaneo. In realtà, ribadiscono i giudici del Palazzaccio - affermando nuovamente un consolidato orientamento giurisprudenziale - , il peculato è un reato istantaneo che si consuma nel momento in cui l’agente si appropria della cosa mobile o del denaro della Pubblica Amministrazione di cui abbia il possesso per ragione del suo ufficio o dà ad essi una diversa destinazione, ovvero ne disponga uti dominus . Vero è il principio in materia di INVIM in base al quale le somme corrispondenti all’ammontare dell’imposta sono, fin dal momento della consegna al notaio da parte dei soggetti obbligati, illico et immediate pecunia publica , con la conseguenza che anche il possesso di eventuali eccedenze resta strettamente connesso ad un obbligo fiscale del notaio stesso, la cui appropriazione integra il paradigma dell’art. 314 c.p. Il mancato immediato versamento dell’importo integrale all’Agenzia delle Entrate delle imposte versate dai suoi clienti, ha fatto sì che disponesse del denaro indebitamente, lucrando gli interessi bancari maturati sulle somme non versate – anche più di un milione di euro – per tutto il periodo in cui l’Agenzia della Entrate non ha provveduto alla liquidazione delle maggiori imposte dovute. Da qui il rigetto del ricorso con la condanna per il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 10 giugno – 31 luglio 2015, n. 33879 Presidente Milo – Relatore Villoni Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d'Appello di Roma ha parzialmente riformato quella emessa in esito a giudizio abbreviato dal GIP del locale Tribunale in data 23/11/2012, con cui M.A. era stato ritenuto responsabile del delitto di peculato art. 314 cod. pen. e condannato alla pena di due anni di reclusione, oltre alle pene accessorie assolvendo l’imputato da uno degli episodi in addebito, la Corte territoriale ha, invece, ridotto la pena alla misura finale di un anno e otto mesi di reclusione, concedendo altresì il beneficio della sospensione condizionale della pena. La contestazione riguarda il mancato versamento tempestivo all'Erario delle somme versate dai clienti al M. , di professione notaio, a titolo d'imposta per atti di compravendita immobiliare, imposta liquidata dall'imputato in modo volutamente irregolare ed inferiore al dovuto, successivamente richiesta, per via telematica, nel suo pagamento integrale dall'Agenzia delle Entrate ed infine effettivamente versata dal professionista. Condividendo la qualificazione giuridica accolta dal giudice di primo grado, la Corte romana ha ritenuto che costituisce peculato il ritardato pagamento da parte del notaio della differenza tra le somme versate a titolo d'imposta integrale dai clienti e quella deliberatamente auto liquidata dal professionista in misura ridotta, conseguendo egli il lucro costituito dagli interessi bancari maturati sulle somme non versate per tutto il periodo in cui l'Agenzia delle Entrate non provveda alla liquidazione della maggior imposta dovuta. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso l'imputato, che deduce i seguenti motivi di censura a violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'art. 314 cod. pen. ed agli artt. 3-bis, 3-ter e 3-quater d. lgs. n. 463 del 1997, introdotti dal d. lgs. n. 9 del 2000, i quali disciplinano la c.d. procedura di adempimento unico informatico riguardante sia l'imposta di registro che quelle di atto. Il ricorrente sostiene che il nuovo sistema telematico di liquidazione delle imposte da parte dei notai per gli atti da essi rogati e che si fonda su un'interazione diretta, secondo modalità telematiche, tra Agenzia delle Entrate e professionisti, consente a questa ultima di richiedere il pagamento integrativo delle imposte dovute, anche quando il soggetto obbligato abbia provveduto a liquidarle in maniera inesatta, sia per colpa, anche grave, che per dolo. Secondo tale ricostruzione, la sanzione penale per art. 314 cod. pen. scatta unicamente a seguito del mancato pagamento della maggior imposta richiesta dalla Agenzia delle Entrate e quindi dopo la scadenza della procedura amministrativa che si svolge in forma telematica, solo a quel punto manifestandosi in maniera inequivocabile la volontà del notaio di non adempiere all'obbligazione tributaria che gli spetta e di trattenere per sé le somme versategli a detto titolo dai clienti. Ciò premesso e per il periodo temporale antecedente la chiusura del procedimento telematico, non residua alcuno spazio per l'applicazione della sanzione penale, circostanza confermata dal fatto che nessuna condanna è intervenuta dall'introduzione del nuovo sistema di liquidazione dell'imposta, atteso che le segnalazioni di eventuali irregolarità sono sempre state eseguite all'indirizzo dei Consigli Notarili per la applicazione eventuale delle sanzioni amministrative né eventuali ritardi, rispetto ai termini di legge, dell'amministrazione tributaria nel procedere alla corretta liquidazione dell'imposta possono rilevare nel senso di trasformare un illecito amministrativo in comportamento penalmente rilevante b violazione di legge e vizio di motivazione per mancata applicazione del principio di specialità di cui all'art. 9 della L. n. 689 del 1981 nel caso in esame, connotato da palese concorso tra fattispecie penale e norma amministrativa. L'illecito amministrativo di cui al cbn. disp. degli artt. 3-ter d. lgs. n. 463 del 1997 e 13 d. lgs. n. 471 del 1997 deve, infatti, essere considerato speciale rispetto alla norma penale di carattere generale, trattandosi dello stesso fatto punito da entrambe le previsioni concorso eterogeneo di norme e in cui trova applicazione l'art. 9 L. n. 689 del 1981. Nel prevedere in maniera specifica le modalità di richiesta al notaio degli importi per cui è risultato impossibile l'addebito ed in particolare la notifica dell'avviso di liquidazione, il citato l'art. 3-ter indica, infatti, tutte le cadenze del provvedimento amministrativo di recupero, stabilendo che nel caso in cui non segua, nel termine di quindici giorni dall'avviso di liquidazione, il pagamento delle imposte, vengono applicati gli interessi e la sanzione si è, dunque, al cospetto di norme che disciplinano lo stesso fatto, ancorché poste a presidio di interessi giuridici diversi, circostanza che nella specie deve, però, ritenersi irrilevante. Si deduce, infine, che per fatto punito previsto dall'art. 9 L. n. 689 del 1981 non può farsi riferimento al fatto inteso in senso naturalistico, come evidenziato dalla sentenza n. 97 del 1987 in tema di concorso tra fattispecie di reato e violazione di natura amministrativa poiché, pertanto, la condotta descritta dalla norma penale che disciplina il peculato e che consiste nell'appropriazione del denaro destinato al pagamento dei tributi è del tutto sovrapponibile alla condotta del notaio prevista dalla nuova disciplina del cd. adempimento unico informatico, ne discende l'applicazione dell'art. 9 cit. in ossequio al principio di specialità c vizio di motivazione in ordine all'elemento psicologico del reato con riferimento alle incertezze della nuova disciplina d violazione di legge riguardo alla diversa qualificazione giuridica della condotta in termini di peculato commesso mediante profitto dell'errore altrui art. 316 cod. pen. , identificandosi questo nel ritardo con cui l'Agenzia delle Entrate ha lasciato scadere il termine di legge di sessanta giorni per la tempestiva emissione dell'avviso di liquidazione, consentendo in tal modo al notaio di trattenere per un tempo più o meno lungo la somma dovuta. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato. 2. Spetta pacificamente al notaio la qualifica di pubblico ufficiale non solo nell'esercizio del suo potere certificativo in senso stretto, ma in tutta la sua complessa attività, disciplinata da norme di diritto pubblico legge notarile e diretta alla formazione di atti pubblici negozi giuridici notarili , ivi compresa l'attività di adempimento dell'obbligazione tributaria, nella specie consistente nel mancato versamento da parte del notaio di somme affidate da clienti, destinate al pagamento dell'imposta di registro in relazione agli atti rogati Sez. 5, sent. n. 47178 del 16/10/2009, PM in proc. Materazzo e altri, Rv. 245383 . Ciò premesso, reputa il Collegio che la procedura amministrativa prevista dagli artt. 3-bis e 3-ter d. lgs. n. 463 del 1997 disciplini una condotta del tutto distinta da quella integrante il delitto di peculato e le sanzioni da essa previste possono, quindi, ben concorrere con quella stabilita dalla previsione di carattere penale. La diversa opinione sostenuta dal ricorrente della piena sovrapponibilità delle condotte sanzionate in via amministrativa e in sede penale, con la conseguente applicabilità del principio di specialità di cui all'art. 9 L. n. 689 del 1981 e del concorso eterogeneo di norme, si basa sul non condivisibile assunto che l'interversione del possesso del denaro pubblico si verificherebbe soltanto quando il notaio non abbia versato, nel termine previsto, l'importo della maggior somma dovuta a titolo d'imposta e liquidato con procedura di correzione per via telematica dall'Agenzia delle Entrate. Tale qualificazione della condotta non tiene, però, conto della consolidata giurisprudenza di questa Corte di Cassazione secondo cui quello di peculato è reato istantaneo Sez. 6, sent. n. 12141 del 19/12/2008, Lombardino, Rv. 243054 che si consuma nel momento in cui l'agente si appropria della cosa mobile o del denaro della P.A. di cui ha il possesso per ragione del suo ufficio o da ad essi una diversa destinazione Sez. 1, sent. n. 19759 del 01/04/2008, Simeone, Rv. 240334 Sez. 6, sent. n. 15108 del 20/02/2003, Tramarin, Rv. 224573 Sez. 6, sent. n. 3021 del 17/10/1990, Caselli, Rv. 186594 Sez. 6, sent. n. 7179 del 07/04/1982, La Mantia, Rv. 154697 ovvero ne dispone uti dominus Sez. 6 sent. n. 43279 del 15/01/2009, Pintimalli, Rv. 244992 Sez. 6, sent. n. 1256 del 03/11/2003, P.G. in proc. Bosinco ed altri, Rv. 229766 . In materia di INVIM, inoltre, questa stessa Corte ha affermato più volte che le somme corrispondenti all'ammontare dell'imposta sono, fin dal momento della consegna al notaio da parte dei soggetti obbligati, illieo et immediate pecunia publica , con la conseguenza che anche il possesso di eventuali eccedenze resta strettamente connesso ad un obbligo fiscale del notaio stesso, la cui appropriazione integra il paradigma dell'art. 314 cod. pen. Sez. 6 sent. n. 28302 del 14/01/2013, Mottola, Rv. 225890, principio da ultimo ribadito da Sez. 6 sent. n. 20132 dell'11/03/2015, Varchetta . Alla luce di tale giurisprudenza e dei principi ivi affermati, la condotta ascritta al ricorrente di non avere immediatamente versato all'Agenzia delle Entrate l'importo integrale delle imposte versategli dai clienti, da lui stesso determinato in maniera corretta ma auto liquidato per via telematica in misura volutamente inferiore al dovuto, integra senza meno il reato di cui allo art. 314 cod. pen. da quel preciso momento, infatti, egli ha disposto del denaro indebitamente, ancorché temporaneamente, trattenuto uti dominus , lucrando - come ben evidenziato dalla Corte territoriale - gli interessi bancari maturati sulle somme non versate, talora di importo ingente, come nel caso di quella dell'ammontare di più di un milione di Euro relativa al rogito in data 14 dicembre 2009 punto 2, pag. 7 sentenza per tutto il periodo in cui l'Agenzia delle Entrate non ha provveduto alla liquidazione delle maggiori imposte dovute. Ricade poi nell'ambito applicativo della procedura di adempimento unico informatico la condotta di autoliquidazione e versamento dell'imposta in misura inferiore a quella dovuta, sia stata essa determinata da colpa o da dolo, come stabilisce testualmente l'art. 3-ter d. lgs. n. 467 del 1997, la quale, quindi, può essere o meno preceduta da quella di peculato nei termini prima specificati. Il dolo o la colpa grave ivi previsti riguardano, infatti, le sole modalità di autoliquidazione dell'imposta, soggetta eventualmente a rettifica da parte dell'amministrazione ed in tale prospettiva non è nemmeno necessario, come ritenuto dalla Corte territoriale, ipotizzare che la specifica disciplina tributaria riguardi il caso in cui il notaio si faccia consegnare dalle parti le somme esattamente corrispondenti all'autoliquidazione, sia pure errata, da lui eseguita. Secondo la ricostruzione che qui viene accolta, infatti, è ravvisabile una precisa distinzione di piani oltre che una netta scansione temporale tra il comportamento attuato dal professionista nel rapporto con i soggetti tenuti al pagamento dell'imposta al momento della ricezione delle somme di denaro a detto titolo e la procedura telematica, volta unicamente a semplificare l'adempimento dell'obbligazione tributaria e le modalità di recupero delle maggiori somme a tale titolo dovute da parte dell'Agenzia delle Entrate. Deve ritenersi, pertanto, che l'introduzione della procedura di adempimento unico informatico non abbia operato alcuna erosione rispetto all'ambito di applicazione dell'art. 314 cod. pen. e l'argomento speso dal ricorrente dell'assenza di recenti condanne penali a carico di notai a partire dalla relativa adozione significa semplicemente e verosimilmente che il meccanismo di autoliquidazione telematica dell'imposta rende meno praticabili condotte illecite di appropriazione, salvo smentite come la vicenda sottesa al ricorso dimostra. 2. Infondati sono anche i residui motivi di ricorso terzo e quarto . Il primo assume che la Corte d'Appello non avrebbe adeguatamente argomentato in ordine all'elemento psicologico del reato ed alla convinzione maturata dal ricorrente che l'erronea liquidazione costituisse solo illecito disciplinare e non più il delitto di peculato. Orbene, a prescindere dal fatto che tale doglianza non risulta affatto essere stata dedotta con i motivi d'appello, risulta evidente, per quanto anzidetto, la sua infondatezza, atteso che la condotta di appropriazione del denaro pubblico è cosa distinta, anche sul piano naturalistico, dalla procedura amministrativa di autoliquidazione telematica e non sono ipotizzabili confusioni concettuali di sorta, specie da parte di un soggetto dotato di alte e specifiche competenze tecnico - professionali come il notaio. Palesemente infondata è, invece, la censura inerente la diversa qualificazione giuridica del fatto in termini di peculato commesso mediante profitto dell'errore altrui art. 316 cod. pen. , che il ricorrente pretende di fondare su di un peraltro insussistente errore da parte dell'Agenzia delle Entrate. Vale rilevare, infatti, che l'ufficio tributario ha semplicemente omesso di procedere, per ragioni ignote ma verosimilmente legate a disfunzioni di carattere organizzativo interno, alla corretta liquidazione della imposta dovuta entro il termine di legge di sessanta giorni per la tempestiva emissione dell'avviso di liquidazione difetta, dunque, in aggiunta a tutto quanto dianzi esposto, lo stesso presupposto per la configurabilità della diversa figura di reato, costituito dall'errore altrui. 4. Al rigetto del ricorso segue, come per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.