Sostituzione di persona e falso in scrittura privata possono materialmente concorrere, se…

Il delitto di sostituzione di persona art. 494 c.p. è sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica, come si evince dall'inciso se il fatto non costituisce altro delitto contro la fede pubblica contenuto nella norma incriminatrice esso, tuttavia, in tanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell'art. 494 c.p. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica viceversa, quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate, si ha concorso materiale di reati.

Lo ha ribadito la sez. V Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 33531, depositata il 29 luglio 2015. La necessaria induzione in errore Il delitto di sostituzione di persona, previsto e punito dall’art. 494 c.p., contempla quattro distinte ipotesi di modalità della condotta. La prima concerne l’illegittima sostituzione della propria all’altrui persona la seconda consiste nell’attribuire a sé o ad altri un falso nome la terza presuppone l’attribuzione a sé o ad altri di un falso stato la quarta si ha infine nel caso dell’attribuzione sempre a sé o ad altri di una qualità cui la legge riconnette effetti giuridici. Il legislatore ha peraltro congegnato la norma de qua in modo che, qualunque sia la specifica modalità della condotta posta concretamente in essere dal soggetto attivo, il reato si consumi solo ove si verifichi pure l’induzione in errore di un terzo, il quale intenda appurare l’effettiva identità dell’agente, o del suo stato, o di una sua qualità personale. In altri termini, il delitto de quo si consuma già solo per il fatto che l’induzione in errore sia avvenuta, a prescindere cioè dal conseguimento del vantaggio o dalla verificazione di un danno. Peraltro – come sostenuto dal pm nel capo di imputazione relativo alla sentenza impugnata – la sostituzione di persona ben può concorrere materialmente con il delitto di falso in scrittura privata, il quale non assorbe la fattispecie incriminatrice di cui al citato art. 494 c.p., atteso che, in tema di falsità in scrittura privata, il delitto di cui all’art. 485 c.p. assorbe quello di sostituzione di persona, di cui all’art. 494 c.p. laddove si tratti di un unico fatto riconducibile ad entrambe le previsioni criminose diversamente, laddove si ravvisi una pluralità di fatti, si verifica un concorso materiale di reati. la tutela penale contro i delitti di falsità La sentenza in commento consente di richiamare l’elaborazione dottrinale e giurisprudenziale formatasi in tema di rilevanza penale delle falsità documentali. Secondo parte della dottrina, vi sarebbero tre modelli di tutela astrattamente prospettabili nel caso di falsità documentali. Il primo concepisce il falso come l’inganno della fiducia che la collettività ha nei documenti, intesi quali strumenti di certezza del diritto. Il secondo definisce invece il falso quale abuso del potere documentale, in relazione ai singoli documenti falsificati dal pubblico ufficiale, e dunque in violazione dell’art. 97, comma 1, Cost Anche il terzo modello attribuisce alla nozione di falso la qualità di abuso del potere documentale, ma inteso come categoria generale, caratterizzato dall’offesa alle funzioni del documento, e cioè a quella di garanzia della provenienza del contenuto, a quella di prova della veridicità del contenuto ed a quella di perpetuazione di quanto in esso contenuto. I modelli accolti dal vigente codice penale sono sostanzialmente il primo ed il secondo, fra quelli sopra richiamati. ed il concorso di reati. In generale, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta ingannevole che induce il soggetto passivo in errore sull'attribuzione all'agente di un falso nome o di un falso stato o di false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici, non essendo invece necessario il raggiungimento del vantaggio perseguito, che attiene al dolo specifico del reato. Sul piano del dolo specifico del delitto di sostituzione di persona, esso consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale o non patrimoniale, ovvero di recare ad altri un danno. Quanto al delitto di falsità in scrittura privata, sussiste l'uso del documento idoneo ad integrare tale reato art. 485 c.p. qualora il documento falso esca dalla sfera dell'agente in modo giuridicamente rilevante. Rientra in tale fattispecie, ad esempio, la produzione in sede di giudizio di divorzio di un documento falsamente attestante la comproprietà della casa coniugale, invece interamente di proprietà dell'altro coniuge, a nulla rilevando la circostanza che il fine della produzione documentale non sia l'accertamento della proprietà dell'immobile ma la mera assegnazione della casa coniugale. Né, in tal caso, sussiste il falso inutile, attesa la funzionalità della produzione dell'atto alla prova delle circostanze dedotte e, comunque, al suo rafforzamento.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 marzo – 29 luglio 2015, n. 33531 Presidente Palla – Relatore Miccoli Motivi della decisione 1. Con sentenza del 25 febbraio 2014 la Corte di Appello di Bari ha riformato, con una pronunzia di assoluzione con formula perché il fatto non sussiste , la sentenza emessa dal Tribunale monocratico di Bari, sezione distaccata di Altamura, con la quale CA.Se. era stato assolto dal delitto continuato di cui agli artt. 81 - 494 cod. pen. capo A e dal delitto continuato di cui agli artt. 81 - 485 cod. pen. capo B con la formula perché il fatto non costituisce reato . CA.Se. , avvocato, in seguito ad opposizione a decreto penale, era stato rinviato a giudizio per il reato di cui all'art. 81, 494 cod. pen., per aver spedito, a mezzo posta, alla Procura della Repubblica del Tribunale di Bari due denunce, datate rispettivamente 18 aprile 2008 e 2 maggio 2008, attribuendo falsamente a sé il nome dell'avv. C.P. all'epoca dei fatti Presidente dell'Associazione degli Avvocati e Praticanti Procuratori di Gravina in Puglia , con ciò inducendo in errore gli investigatori, con danno per lo stesso avvocato C. e, secondo l'imputazione, per gli inquirenti . In dibattimento all'udienza del 4 gennaio 2011 il Pubblico Ministero contestava anche il delitto di cui agli artt. 81 e 485 cod. pen 2. Propone ricorso il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Bari, deducendo il vizio di motivazione, giacché, a fronte di dettagliate doglianze avanzate con l'atto di appello in ordine alla decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto insussistente il dolo specifico proprio dei reati contestati, la Corte territoriale ha ignorato completamente gli specifici vantaggi perseguiti dall'avv. CA. con le condotte poste in essere, omettendo di rispondere ai motivi proposti dall'appellante. 3. Propongono ricorso anche le parti civili, la ASSOCIAZIONE AVVOCATI E PRATICANTI DI GRAVINA IN PUGLIA, in persona del legale rappresentante pro - tempore, e l'avv. C.P. , deducendo violazione di legge e vizio di motivazione. 3.1. Anche le parti civili lamentano la mancata valutazione da parte della Corte territoriale delle censure proposte con l'atto di appello, peraltro in ordine a profili non vagliati dal giudice di primo grado. I ricorrenti, in particolare, rilevano che erroneamente il giudice di primo grado aveva ritenuto l'insussistenza dell'elemento soggettivo del dolo specifico, sostenendo tra l'altro che l'imputazione di cui all'art. 485 cod. pen., contestata ex art. 517 cod. proc. pen., fosse strutturalmente monca . Sostengono, inoltre, che il giudice di primo grado e, di conseguenza la Corte territoriale, hanno trascurato che il dolo specifico è rappresentato dal vantaggio che può essere sia illecito che lecito ed addirittura solo morale. 3.2. Con un secondo motivo le parti civili deducono la violazione di legge in relazione agli artt. 485 e 494 cod. pen. Si censura, in particolare, la tesi del giudice di merito secondo la quale le false sottoscrizioni finalizzate a fine di giustizia non integrerebbero i reati sopra citati. 4. Propone ricorso anche il CA. , lamentando la violazione di legge e censurando la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha disposto la compensazione delle spese tra l'imputato e la parte civile. In data 5 marzo 2015 è stata depositata nota a firma dell'imputato, nella quale questi si duole del fatto che né a lui né al suo difensore di fiducia sono stati notificati i ricorsi del Procuratore Generale e delle parti civili. 5. Partendo dall'esame dei rilievi fatti nella nota appena indicata, va evidenziato che l'omessa notificazione alle parti private del ricorso in cassazione non determina né l'inammissibilità dell'impugnazione né la nullità del successivo grado di giudizio, potendo da detta omissione in astratto derivare soltanto la mancata decorrenza del termine per l'impugnazione incidentale della parte privata, che risulta non consentita in sede di legittimità. 6. I ricorsi del Procuratore Generale e delle parti civili vanno accolti nei termini qui di seguito indicati, mentre le questioni poste dall'imputato nel suo ricorso vengono assorbite nella decisione di annullamento della sentenza impugnata. 7. I fatti per cui è processo sono stati ricostruiti nella sentenza di primo di primo grado. L'imputato CA.Se. , avvocato del foro di Gravina in Puglia, ha redatto due denunce, datate rispettivamente 18 aprile 2008 e 2 maggio 2008, le ha sottoscritte con il nome dell'avv. C.P. , all'epoca dei fatti Presidente dell'Associazione degli Avvocati e Praticanti Procuratori di Gravina in Puglia, e le ha inviate alla Procura della Repubblica di Bari. Con le due denunce si sollecitava l'intervento dell'Autorità Giudiziaria al fine di indagare sulla gestione degli affari nell'Ufficio del Giudice di Pace di Gravina in Puglia in ordine ad alcune cause aventi ad oggetto sinistri stradali , relativamente all'operato di un giudice di pace, di alcuni avvocati e di alcuni medici. Il CA. si è giustificato affermando di essere stato autorizzato dall'avv. C. ad apporre la firma falsa, circostanza però negata dall'interessato. 8. Come si è detto l'azione penale è stata esercitata con decreto penale, nel quale è stato contestato il reato di cui agli artt. 81 e 494 cod. pen., per aver spedito, con lettere raccomandate, alla Procura della Repubblica del Tribunale di Bari due denunce, datate rispettivamente 18 aprile 2008 e 2 maggio 2008, attribuendo falsamente a sé il nome dell'avv. C.P. all'epoca dei fatti Presidente dell'Associazione degli Avvocati e Praticanti Procuratori di Gravina in Puglia , con ciò inducendo in errore gli investigatori, con danno per lo stesso avvocato C. e, secondo l'imputazione, per gli inquirenti . In dibattimento all'udienza del 4 gennaio 2011 il Pubblico Ministero ha contestato anche il delitto di cui agli artt. 81 e 485 cod. pen. perché con più azioni di un medesimo disegno criminoso formava le due denunce , sottoscrivendole a nome dell'avv. C.P. , ignaro del tutto. In Gravina in Puglia in date antecedenti e prossime al 30 aprile e al 2 maggio 2008 . 9. Va subito detto che i suddetti reati possono concorrere, perché fanno riferimento ad azioni diverse e separate formazione di atti falsi e presentazione degli stessi alla Procura della Repubblica da parte di soggetto diverso dall'apparente mittente - autore delle denunce, con ciò inducendo in errore gli inquirenti. A tal proposito va ricordato quanto più volte affermato da questa Corte Il reato di sostituzione di persona può ritenersi assorbito da un altro delitto contro la fede pubblica quando si tratti di una unicità di azione o di omissione riconducibile contemporaneamente alla previsione dell'art. 494 cod. pen. e di altra norma posta a tutela della fede pubblica nella specie è stato ritenuto il concorso di reati nella ipotesi in cui l'agente, oltre ad avere ingannato varie persone attribuendosi un falso nome, abbia firmato, poi, con tale nome, una scrittura privata . V mass n 149780 e ivi citate Conf. Mass. n 142684 . Sez. 1, n. 6098 del 02/05/1984, Pilone, Rv. 165068 . Ed ancora Il delitto di sostituzione di persona art. 494 cod. pen. è sussidiario rispetto ad ogni altro reato contro la fede pubblica, come si evince dall'inciso se il fatto non costituisce altro delitto contro la fede pubblica contenuto nella norma incriminatrice esso, tuttavia, in tanto può ritenersi assorbito in altra figura criminosa in quanto ci si trovi in presenza di un fatto unico, riconducibile contemporaneamente sia alla previsione dell'art. 494 cod. pen. sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica viceversa, quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate, si ha concorso materiale di reati. In applicazione di tale principio la Corte ha ritenuto la sussistenza in concorso dei delitti di falso materiale e sostituzione di persona nella condotta di un soggetto che, contraffatto un documento di identità, se ne era servito per trarre i terzi in errore sulla sua identità Sez. 5, n. 4981 del 27/01/1998, Lancia, Rv. 210600 . Quindi, il delitto di sostituzione di persona può ritenersi assorbito in altra figura criminosa solo quando ci si trovi in presenza di un unico fatto, contemporaneamente riconducibile sia alla previsione di cui all'art. 494 cod. pen., sia a quella di altra norma posta a tutela della fede pubblica per contro, si ha concorso materiale di reati quando ci si trovi in presenza di una pluralità di fatti e quindi di azioni diverse e separate si vedano anche Sez. 2, sent. n. 8754 del 28/01/2005, Maisto, Rv. 231147 in fattispecie di falsificazione del tesserino ufficiale di riconoscimento del soggetto cui successivamente si era sostituito per commettere ulteriori reati Sez. 2, sent. n. 6597 del 19/12/2013, Brizzi, Rv. 258536, in fattispecie di falsificazione della carta d'identità del soggetto, cui l'imputato si era poi sostituito per commettere ulteriori reati nonché più di recente Sez. 6, n. 13328 del 17/02/2015, Scarano, Rv. 263076, con riferimento alla condotta dell'imputato che aveva esibito un documento d'identità falsificato al fine di stipulare sotto falso nome un contratto di locazione per fini illeciti, osservando che l'atto di esibizione era stato preceduto da una distinta attività di falsificazione . 10. Erroneamente il giudice di primo grado ha ritenuto l'imputazione di cui agli artt. 81 e 485 cod. pen. strutturalmente monca , perché non è stato contestato espressamente contestato il dato relativo all'elemento psicologico. Sul punto sia le parti civili che il pubblico ministero avevano articolato un dettagliato motivo di appello, sul quale, però, la Corte territoriale non ha in alcun modo motivato. Di tale omessa motivazione fondatamente si dolgono in questa sede con il loro ricorso le parti civili. L'imputazione in esame non può ritenersi affatto monca perché alcun riferimento è contenuto all'elemento psicologico di cui all'art. 485 c.p., e, in particolare, al dolo specifico, cioè alla coscienza e volontà di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno . Né da tale assunto può farsi derivare, come ritenuto dal giudice di primo grado, che rispetto al capo B della imputazione, l'avv. Ca.Se. , che pure ha commesso sul piano oggettivo il fatto materiale del delitto a lui contestato, deve essere assolto perché il fatto, così come contestato, non costituisce reato, non essendo nella imputazione specificato, quanto al profilo psicologico, alcun elemento fattuale del quale verificare se sia stata o meno raggiunta la prova della responsabilità penale così la sentenza di primo grado . Premesso che nel delitto di falso in scrittura privata l'integrazione del dolo specifico consiste nel perseguimento, da parte dell'agente, di un vantaggio o un danno per sé o per altri e non occorre il perseguimento di finalità illecite, poiché l'oggetto di esso è costituito dal fine di trarre un vantaggio di qualsiasi natura, legittimo od illegittimo tra le tante, Sez. 5, n. 22578 del 16/03/2012, Lupi, Rv. 252968 , non si può certo escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo di un reato perché nella imputazione il Pubblico Ministero non ne ha precisato gli elementi fattuali . È del tutto evidente, infatti, che entrambi i giudici di merito abbiano, all'esito della articolata istruttoria dibattimentale, ricostruito i fatti in tutti i loro aspetti oggettivi e soggettivi e, in relazione ad essi, l'imputato ha esercitato pienamente il diritto di difesa, tanto che in entrambe le sentenze sono state valorizzate proprio le sue dichiarazioni con riferimento alle finalità perseguite. Nella sentenza di primo grado si legge che in realtà, l'avv. Ca. sottoscrisse quelle due denunce con il nome dell'avv. C. non allo scopo specifico di recare danno a questi, ma al fine di attribuire all'avv. C. , cioè al Presidente dell'Associazione degli avvocati di Gravina e quindi ad un importante esponente del foro, i fatti descritti in quelle due denunce. L'avv. Ca. usò indebitamente il nome dell'avv. C. per copertura, per attribuire quelle denunce ad altri ad un importante avvocato del posto , per non esporsi personalmente, .omissis. L'avv. Ca. usò il nome dell'avv. C. per dare autorevolezza a quelle accuse e, al tempo stesso, rimanere coperto, ma non allo scopo specifico, principale e dominante di danneggiare l'avv. C. . Da tutto ciò, nella sentenza di primo grado, si fa conseguire il rilievo che il dolo specifico, richiesto tanto dall'art. 494 c.p. quanto dall'art. 485 c.p. e individuato dalla Pubblica Accusa nella volontà di recare danno all'avv. C. non è stato provato in alcun modo . Erra il giudice di primo grado e, ancor più, per quanto si dirà qui di seguito la Corte di Appello a non ritenere integrato nel caso in esame l'elemento soggettivo proprio dei reati contestati sulla base delle risultanze processuali come sopra riportate. È del tutto evidente, infatti, che l'imputato, nel sottoscrivere falsamente le due denunce e nel presentarle alla Procura della Repubblica sostituendosi all'avv. C. , ha avuto come finalità quella di dare maggiore autorevolezza a quanto evidenziato negli atti e di non esporsi personalmente. Si tratta, cioè, di vantaggi che rientrano pienamente nell'elemento soggettivo proprio dei reati contestati. Si è già detto del reato di cui all'art. 485 cod. pen., per il quale non occorre il perseguimento di finalità illecite, poiché l'oggetto di esso è costituito dal fine di trarre un vantaggio di qualsiasi natura, legittimo od illegittimo Sez. 5, n. 22578 del 16/03/2012, Lupi, Rv. 252968 Sez. 2, n. 44612 del 23/10/2007, De Roma, Rv. 238791 . La giurisprudenza di questa Corte ha anche da tempo precisato che nel delitto di falso in scrittura privata il vantaggio o il danno perseguito dall'agente, che costituisce l'oggetto del dolo specifico, può essere di qualsiasi natura e può consistere in qualsiasi utilità patrimoniale o non patrimoniale, legittima o illegittima, sicché il delitto sussiste anche quando si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato mediante l'uso di una scrittura genuina. Conf. mass n 144751 Conf. mass n 144750 Conf. mass n 144373 Conf. mass n 143358 Conf. mass n. 142293 Conf mass n 141070 . Sez. 5, n. 2516 del 27/11/1981, Pichierri, Rv. 152643 . E così per il delitto di cui all'art. 494 cod. pen., si è precisato, anche di recente, che, integra il delitto di sostituzione di persona la condotta ingannevole che induce il soggetto passivo in errore sull'attribuzione all'agente di un falso nome o di un falso stato o di false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici, non essendo invece necessario il raggiungimento del vantaggio perseguito, che attiene al dolo specifico del reato Sez. 5, n. 11087 del 15/12/2014, Volpicelli, Rv. 263103 . Mentre, con riferimento al dolo specifico, si è detto che esso consiste nel fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio anche non patrimoniale ovvero di recare ad altri un danno Sez. 5, n. 41012 del 26/05/2014, Cimadomo, Rv. 260493 Sez. 5, n. 13296 del 28/01/2013, Marino, Rv. 255344 . Peraltro, nel caso in esame i giudici di merito non hanno affatto considerato che il danno per l'avv. C. è insito proprio nella finalità perseguita dall'imputato di rimanere coperto” ovvero di non esporsi personalmente”, dovendo mettersi in conto che una denunzia di fatti falsi avrebbe potuto comportare il pericolo di una imputazione per calunnia in danno dell'apparente firmatario degli atti presentati alla Procura della Repubblica. 11. Sotto altro profilo non si può dubitare dell'idoneità delle condotte commesse dal CA. a integrare il reato di cui all'art. 485 cod. pen., che sussiste qualora il documento falso esca dalla sfera dell'agente in modo giuridicamente rilevante Sez. 5, n. 10548 del 12/11/2014, Cariani e altro, Rv. 263455 , come in effetti accaduto nel caso in esame nel momento in cui le denunzie con le false sottoscrizioni sono state presentate alla Procura della Repubblica, come atti prodromici dell'avvio di indagini a carico dei soggetti indicati negli stessi atti. Integra, peraltro, il delitto di sostituzione di persona qualsiasi condotta ingannevole tesa a far attribuire all'agente, da parte del soggetto passivo, un falso nome o un falso stato o false qualità personali cui la legge attribuisce specifici effetti giuridici Sez. 5, n. 11406 del 12/06/2014, Resta, Rv. 263057 Sez. 6, n. 4394 del 08/01/2014, Spinelli, Rv. 258281 . Il CA. , dopo aver formato le denunzie con le firme false, le ha trasmesse con lettera raccomandata alla Procura della Repubblica, così traendo in inganno gli inquirenti sul reale autore delle stesse denunce. 12. Fondata è anche la doglianza delle ricorrenti parti civili in ordine alla erronea valutazione operata dalla Corte territoriale dalla quale è scaturita la pronunzia assolutoria con la formula perché il fatto non sussiste . La Corte di Appello, dopo aver riportato integralmente il testo della sentenza di primo grado, ha affermato che va confermata la pronunzia assolutoria già adottata, ma con la formula sopra indicata sebbene abbia ritenuto la mancanza del dolo specifico, che è tipizzato dalla norma quale elemento costitutivo della fattispecie penale . Va in proposito evidenziato che, in tema di scelta tra le varie formule assolutorie, va pronunciata assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste solo quando manchi uno degli elementi oggettivi del reato azione, evento, nesso di causalità , mentre deve assolversi con la formula perché il fatto non costituisce reato quando manchi l'elemento soggettivo dolo, colpa Sez. 4, n. 1339 del 05/06/1992, Battaglia ed altri, Rv. 193033. E, come è noto, ai fini dell'applicazione della esatta formula di assoluzione, il giudice deve innanzitutto stabilire se il fatto sussiste nei suoi elementi obiettivi condotta, evento, rapporto di causalità e, solo in caso di accertamento affermativo, può scendere all'esame degli altri elementi imputabilità, dolo, colpa, condizioni obiettive di punibilità, etc. da cui è condizionata la sussistenza del reato Sez. 3, n. 28351 del 21/05/2013, F, Rv. 256674 . Erra quindi la Corte territoriale nell'adozione della formula perché il fatto non sussiste , che attiene al mancato accertamento solo degli elementi oggettivi del reato. Giova riportare in questa sede quanto articolatamente precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 40049 del 29/05/2008 P.C. in proc. Guerra, Rv. 240815 in ordine alla adozione delle formule assolutorie. Per quanto riguarda in particolare l'assoluzione perché il fatto non costituisce reato, già con la sent. n. 200 del 1986 la Corte costituzionale aveva evidenziato la sostanziale diversità esistente tra le formule perché il fatto non sussiste e perché l'imputato non l'ha commesso che indicano, rispettivamente, l'insussistenza materiale del fatto storico e la totale estraneità dell'imputato e la formula perché il fatto non costituisce reato, la quale invece si caratterizza perché riconosce la sussistenza della materialità del fatto storico e la sua riferibilità all'imputato, ma nega la punibilità per la mancanza dell'elemento soggettivo oppure per la presenza di una causa di esclusione dell'antigiuridicità o anche secondo la norma all'epoca vigente di una causa di esclusione della punibilità. La Corte quindi riconobbe che soltanto le prime due formule hanno un contenuto ampiamente liberatorio ed escludono ogni pregiudizio attuale o potenziale per il prosciolto, mentre nel caso di formula perché il fatto non costituisce reato non può negarsi il diritto dell'imputato di impugnare per ottenere una formula più favorevole, che escluda la sussistenza materiale del fatto storico o la sua riferibilità all'imputato stesso. 6. Relativamente al contenuto delle diverse formule che qui vengono in rilievo, è parimenti pacifico, in dottrina e giurisprudenza, che la formula perché il fatto non sussiste indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato la condotta, l'evento o il nesso di causalità , ossia l'esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell'ambito di una fattispecie incriminatrice, anche soltanto a livello di tentativo. La formula perché l'imputato non l'ha commesso presuppone invece la sussistenza di un fatto penalmente rilevante, ma dichiara l'impossibilità di attribuirne la commissione all'imputato, o perché è stata raggiunta la prova positiva della totale estraneità dell'imputato al fatto o perché manca o è insufficiente la prova del suo coinvolgimento Sez. II, 7 luglio 1981, n. 11125, Trupiano, m. 151326 e 151328 . È opportuno ricordare - per quel che si osserverà in seguito circa gli effetti della sentenza penale di assoluzione nel giudizio civile o amministrativo di risarcimento dei danni ai sensi dell'art. 652 cod. proc. pen. - che, per quanto concerne la formula assolutoria da utilizzare, la regola di giudizio contenuta nell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen. impone l'adozione delle due formule in esame sia nel caso che sia stata raggiunta la prova positiva della insussistenza del fatto o della sua non commissione da parte dell'imputato, sia anche nel caso di mancanza, o di insufficienza o di contraddittorietà della relativa prova, dal momento che la diversa entità della prova non può riverberarsi sulla formula assolutoria da utilizzare, che deve rimanere uguale in entrambi i casi. In considerazione del loro contenuto, queste due formule assolutorie debbono essere adottate in via preferenziale rispetto a tutte le altre, essendo le uniche totalmente liberatorie poiché con tutte le formule diverse la sentenza di proscioglimento in realtà attribuisce all'imputato un fatto, o non esclude l'attribuzione di un fatto, che può non costituire reato ma tuttavia essere giudicato sfavorevolmente dall'opinione pubblica o comunque dalla coscienza sociale Corte cost., sent. n. 151 del 1967 . E ciò sia quando sia stata raggiunta la prova positiva dell'insussistenza del fatto o della sua non commissione da parte dell'imputato, sia quando la prova contraria manchi del tutto o sia insufficiente o contraddittoria. Accertata dunque l'insussistenza del fatto o mancando la prova della sua sussistenza , l'assoluzione con la formula perché il fatto non sussiste deve essere pronunciata con prevalenza su qualsiasi altra e rende superflua ogni valutazione della condotta Sez. IV, 5 giugno 1992, n. 1340, Battaglia, m. 193032 . Tale formula, avendo una maggiore ampiezza di effetti liberatori, prevale anche su quella perché il fatto non è previsto dalla legge come reato Sez. Un., 27 settembre 2007, n. 2451/08, Magera, m.238195 . Inoltre, pur essendo entrambe ampiamente liberatorie, la formula perché il fatto non sussiste è logicamente pregiudiziale rispetto a quella per non aver commesso il fatto, perché non è possibile assolvere taluno per non aver commesso il fatto senza aver potuto prima risolvere affermativamente la questione della sussistenza del fatto stesso. Si tratta peraltro di una pregiudizialità solo logica, che non opera, ad esempio, nell'ipotesi di sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma 1, cod. proc. pen., nel qual caso il giudice dovrà comunque dichiarare la causa di assoluzione emersa per prima. 7. La formula perché il fatto non costituisce reato ha sostituito, nel nuovo codice, quella più grossolana, contenuta nell'art. 479 del codice di rito del 1930, del proscioglimento per essere l'imputato non punibile perché il fatto non costituisce reato o per altra ragione. In tal modo la formula in esame è stata resa autonoma da quella della non punibilità per altra ragione, riferibile alle cause di non punibilità in senso stretto. La formula perché il fatto non costituisce reato, quindi, viene ora normalmente utilizzata nelle ipotesi in cui, pur essendo presenti gli elementi oggettivi del reato, manchi invece l'elemento soggettivo della colpa o del dolo, ovvero sussista una scriminante, o causa di giustificazione, comune o speciale cfr. Sez. V, 20 marzo 2007, n. 27283, Olimpio Sez. VI, 1 marzo 2001, n. 15955, Fiori, m. 218875, in riferimento alla scriminante di cui all'art. 598 cod. pen. . Nella vigenza dell'art. 479 del precedente codice di rito, peraltro, la formula era utilizzata anche nel caso di ricorrenza di una causa di non punibilità o non imputabilità Sez. Ili, 30 giugno 1982, n. 10276, Boscolo, m. 155896 Sez. II, 7 luglio 1981, n. 11125, Trupiano, m. 151327 Sez. VI, 27 giugno 1978, n. 2242, La Valle, m. 140539 . Secondo l'opinione prevalente in dottrina, tale formula, dunque, sostanzialmente rileva l'insussistenza di uno degli elementi essenziali della fattispecie penale, ulteriori e diversi rispetto a quelli concernenti la sua struttura materiale. Esula dall'oggetto del presente giudizio prendere posizione su alcune questioni su cui non vi è uniformità di opinioni in dottrina, ed in particolare stabilire se la formula perché il fatto non costituisce reato possa essere utilizzata anche in altre ipotesi, come quando il giudice accerti l'assenza di determinati presupposti della condotta, o la mancata integrazione di un presupposto dell'evento o la carenza di una qualità soggettiva in capo all'agente, ovvero se in tali casi la formula assolutoria da adottare sia quella perché il fatto non sussiste. Allo stesso modo, non deve in questa sede essere valutata la tesi secondo cui, quando sia accertata, da un lato, l'integrazione di un fatto-reato completo di tutti i suoi elementi costitutivi, ma, dall'altro lato, l'esistenza di una condizione obiettiva di non punibilità o di una causa di non punibilità in senso stretto, il giudice dovrebbe pronunciare il proscioglimento con una formula diversa da quella perché il fatto non costituisce reato, e precisamente quella della non punibilità per un'altra ragione, e ciò perché il vigente codice di procedura, non riproducendo più il riferimento cumulativo alla persona non punibile perché il fatto non costituisce reato o per un'altra ragione contenuta nel vecchio codice, avrebbe tenuto ben distinte le ipotesi del fatto che non costituisce reato da quelle basate su situazioni di non punibilità. Quel che interessa in questa sede è che non vi sono comunque incertezze sul punto che, nel caso in cui siano integrati gli elementi oggettivi del reato contestato ma sussista altresì una causa di giustificazione, che elimina l'antigiuridicità penale, ed esclude di conseguenza il reato, la formula di proscioglimento da adottare è quella che il fatto non costituisce reato cfr. Sez. V, 20 marzo 2007, n. 27283, Olimpio Sez. VI, 1 marzo 2001, n. 15955, Fiori, m. 218875 Sez. VI, 8 aprile 1999, n. 7836, Barbieri Sez. V, 25 marzo 1997, n. 5109, Landonio, m. 208153 Sez. VI, 14 luglio 1989, n. 16706, Gatto, con riferimento all'art. 152 dell'abrogato codice di rito Sez. III, 30 giugno 1982, n. 10276, Boscolo, m. 155896 Sez. III, 10 ottobre 1975, n. 5066/76, Patruno, m. 133394 Sez. VI, 22 ottobre 1971, n. 1226/72, Castaldi, m. 120341 . È anche pacifico che, ai sensi dell'art. 530, comma 3, cod. proc. pen., l'assoluzione con la formula perché il fatto non costituisce reato va pronunciata non solo quando vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione, ma anche quando vi è dubbio sull'esistenza della stessa Sez. V, 25 settembre 1995, n. 10332, Lajacona, m. 202658 . In particolare, si ritiene che il concetto di dubbio sull'esistenza di una causa di giustificazione, sussistendo il quale il giudice deve pronunziare sentenza di assoluzione, va ricondotto a quello di insufficienza o contraddittorietà della prova, di cui agli artt. 529, comma 2, e 530, comma 2, cod. proc. pen., sicché, quando la configurabilità di cause di giustificazione sia stata allegata dall'imputato, è necessario procedere ad un'indagine sulla probabilità della sussistenza di tali esimenti la presenza di un principio di prova o di una prova incompleta porterà all'assoluzione, mentre l'assoluta mancanza di prove al riguardo, o la esistenza della prova contraria, comporterà la condanna. Allorquando, nonostante tale indagine, non si sia trovata alcuna prova che consenta di escludere la esistenza di una causa di giustificazione, il giudizio sarà parimenti di condanna, qualora non siano stati individuati elementi che facciano ritenere come probabile la esistenza di essa o inducano comunque il giudice a dubitare seriamente della configurabilità o meno di una scriminante Sez. I, 8 luglio 1997, n. 8983, Boiardi, m. 208473 Sez. I, 30 ottobre 2002, n. 38399, La Terra, m. 222467 Sez. V, 20 marzo 2007, n. 27283, Olimpio, m. 237253 Sez. II, 4 luglio 2007, n. 32859, Pagliaro, m. 237758 ”. 13. In ragione delle suesposte considerazioni, l'impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d'appello di Bari, che nella piena libertà delle valutazioni di merito di sua competenza dovrà porre rimedio alle rilevate violazioni di legge e carenze motivazionali, uniformandosi al quadro dei principi di diritto in questa sede stabiliti. P.Q.M. La Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di Bari.