L’ipotesi di recidiva obbligatoria, da applicarsi ove venga commesso un reato inserito nel catalogo di quelli di “grave allarme sociale”, confligge col principio di ragionevolezza e di proporzionalità tra offesa e sanzione, obbligando il giudice a compiere un automatico incremento di pena. Pertanto l’articolo 99, comma 5, c.p. è incostituzionale limitatamente alle parole «è obbligatorio e,».
Così ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza numero 185 depositata il 23 luglio 2015. La recidiva obbligatoria della “ex Cirielli”. L’intervento normativo del 2005 che introdusse la norma “incriminata” mirava, tra le altre cose - fu rimodellata anche la prescrizione dei reati - ad inasprire il trattamento sanzionatorio per i delinquenti incalliti. Con questa legge, che sollevò un vespaio di polemiche, si modificò la disciplina della recidiva e se ne previde un’ipotesi di applicazione obbligatoria. Se un soggetto, infatti, già condannato per un reato ne commette un altro rientrante nel catalogo dei delitti di “grave allarme sociale” articolo 407, comma 2, lett. a, c.p.p. , l’aumento di pena per la recidiva è obbligatorio. Ecco le censure di incostituzionalità violazione della ragionevolezza e della proporzionalità della pena. La Quinta Sezione della Cassazione e la Corte d’appello di Napoli sollevano questione di legittimità costituzionale, ritenendo violati sia il principio di ragionevolezza non vi sarebbero spazi per valutare la rilevanza e la significatività in concreto del “nuovo” reato sotto il profilo della espressione della maggiore pericolosità del soggetto che lo compiuto , sia quello di proporzionalità tra offesa e pena anche un fatto oggettivamente lieve, purché tecnicamente sussumibile in una delle fattispecie penali di allarme sociale, imporrebbe l’applicazione della recidiva . La Corte Costituzionale accoglie le censure via dal codice la recidiva obbligatoria. Con un’agile decisione la Consulta condivide tutte le censure di incosituzionalità la norma appare intanto irragionevole. E’ vero l’aumento di pena scatta obbligatoriamente sol che un soggetto pregiudicato commetta un reato rientrante tra quelli astrattamente definiti di particolare gravità. Astrattamente, appunto. Non è detto però che quell’illecito, rientrante nel novero dei reati “allarmanti”, sia in concreto grave e col meccanismo della recidiva obbligatoria al giudice di merito è inibito qualsiasi tipo di giudizio discrezionale. Egli deve soltanto compiere un gesto automatico riscontrata l’appartenenza del reato a quel famoso catalogo, deve aumentare la pena se l’imputato ha già un precedente penale. L’obbligatorietà dell’aumento della pena per effetto della recidiva, poi, costituisce un’inaccettabile violazione del principio di proporzionalità della pena. Anche questa censura coglie nel segno dato che il giudice secondo il meccanismo normativo sopra delineato non ha possibilità di vagliare discrezionalmente la sussistenza dei presupposti applicativi della recidiva cosa che può fare in tutti gli altri casi di recidività, così come la giurisprudenza costituzionale e di legittimità ormai unanimemente insegna , il trattamento sanzionatorio ne uscirebbe comunque più elevato. Rileva la Consulta che se vi è un precedente penale, anche se è lontano nel tempo e scarsamente rilevante sul piano dell’offensività, l’aumento di pena va applicato obbligatoriamente, sol che il secondo reato sia uno di quelli astrattamente considerati gravi. In effetti, è una disciplina per nulla compatibile con i principi della nostra Carta fondamentale. Le presunzioni assolute? Vanno bene solo se non sono irrazionali. Richiama se stessa, la Consulta. E il richiamo non cade affatto a sproposito «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di uguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali». Ci vuole, in altri termini, un aggancio con un principio empirico incontrovertibile per legittimare la presenza nel nostro ordinamento di una presunzione iuris et de iure, di quelle che non ammettono prova contraria. La commissione di un reato inserito in un elenco nel quale sono raggruppati gli illeciti astrattamente gravi non costituisce un “dato di esperienza generalizzato”. Nulla può impedire, infatti, che il fatto storico, concretamente all’attenzione del giudice, sia di modesta rilevanza offensiva, ovvero non sia espressivo – per il modo in cui si è manifestato – di una particolare pericolosità del reo. Ben venga, quindi, l’intervento del Giudice delle Leggi che ha, con poche e ben calibrate parole, restituito al giudice penale il diritto-dovere di valutare nel caso concreto la ricorrenza dei presupposti per fare applicazione della recidiva. Il principio illuministico del giudice “bocca della legge” va bene soltanto se con esso si esprime il rifiuto dell’arbitrio. Ma la legge non può trasformare il giudice in un robot, privandolo d’autonomia decisionale proprio nel momento più delicato del giudizio la quantificazione della pena. Questa, in effetti, va comunque proporzionata all’entità di un accadimento reale.
Corte Costituzionale, sentenza 8 – 23 luglio 2015, numero 185 Presidente Criscuolo – Redattore Lattanzi Ritenuto in fatto 1.– La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con ordinanza del 10 settembre 2014 r.o. numero 227 del 2014 , ha sollevato, in riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, una questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 4 della legge 5 dicembre 2005, numero 251 Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, numero 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione . Il giudice a quo premette che, con sentenza emessa il 21 dicembre 2011, la Corte d’assise di Napoli aveva dichiarato N.F. colpevole dei reati di cui agli articolo 81, cpv., 600 e 600-bis cod. penumero e, applicate le circostanze attenuanti generiche ed esclusa la contestata recidiva, lo aveva condannato alla pena di cinque anni e sei mesi di reclusione. Il giudice di primo grado aveva altresì condannato N.M., per il reato di cui all’articolo 600-bis cod. penumero , alla pena di giustizia, assolvendola dall’imputazione ex articolo 600 cod. penumero per non aver commesso il fatto. La Corte d’assise d’appello di Napoli, in accoglimento dell’appello del procuratore generale, aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado e, ritenendo, con riferimento a N.F., obbligatoria la recidiva contestata ed equivalenti le circostanze attenuanti generiche, aveva rideterminato la pena in otto anni e due mesi di reclusione. La Corte rimettente riferisce che gli imputati avevano proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione contro la sentenza di secondo grado, sostenendo, tra l’altro, che erroneamente era stata ritenuta obbligatoria l’applicazione della recidiva e aggiungendo che, nel caso in cui questo motivo non fosse stato accolto, si sarebbe dovuta sollevare una questione di legittimità costituzionale «degli articolo 99 e 69 cod. penumero , dell’articolo 407, comma 2, cod. proc. penumero in riferimento agli articolo 3, 25, 27 e 111 Cost.». Il giudice a quo ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale sentenza numero 192 del 2007 e di legittimità Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, numero 35738 , l’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , prevede un’ipotesi di recidiva obbligatoria, che si affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa disciplinate dai primi quattro commi del medesimo articolo, che diventano obbligatorie nel caso in cui il soggetto commette un nuovo delitto incluso fra quelli indicati dall’articolo 407, comma 2, lettera a , del codice di procedura penale, non occorrendo che anche il delitto per il quale vi è stata precedente condanna rientri nell’elencazione di cui al menzionato articolo 407 Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, numero 20798 . La questione di legittimità costituzionale sarebbe pertanto rilevante, in quanto la richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità «rende ragione [] della qualificazione come obbligatoria della recidiva [semplice] applicata nel caso di specie all’imputato, posto che [] entrambi i reati per i quali è intervenuta condanna sono ricompresi nel “catalogo” di cui all’articolo 407, comma 2, lett. a , cod. proc. penumero » e che l’imputato è gravato da un precedente penale per il reato di rissa di cui all’articolo 588 cod. penumero La questione sarebbe inoltre non manifestamente infondata, con riferimento all’articolo 3 Cost., sotto il duplice profilo della manifesta irragionevolezza e dell’identità di trattamento di situazioni diverse cui la norma dà luogo, e all’articolo 27, terzo comma, Cost. La Corte rimettente ricorda che la giurisprudenza costituzionale, intervenuta in seguito alla sostituzione, ad opera dell’articolo 4 della legge numero 251 del 2005, dell’articolo 99 cod. penumero , ha messo a fuoco la fisionomia dell’istituto della recidiva, individuando il suo fondamento nella più accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosità del reo sentenza numero 192 del 2007 . Con riferimento alla recidiva facoltativa, in particolare, l’aumento di pena per il fatto per il quale si procede può essere disposto «solo allorché il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» ordinanza numero 409 del 2007 conformi, ex plurimis, ordinanze numero 193, numero 90 e numero 33 del 2008 . In linea con l’impostazione adottata dalla Corte costituzionale – prosegue il giudice a quo – le sezioni unite della Corte di cassazione hanno sottolineato, da una parte, che «il giudizio sulla recidiva non riguarda l’astratta pericolosità del soggetto o un suo status personale svincolato dal fatto reato» e, dall’altra, che il riconoscimento e l’applicazione della recidiva quale circostanza aggravante postulano, invece, «la valutazione della gravità dell’illecito commisurata alla maggiore attitudine a delinquere manifestata dal soggetto agente, idonea ad incidere sulla risposta punitiva – sia in termini retributivi che in termini di prevenzione speciale – quale aspetto della colpevolezza e della capacità di realizzazione di nuovi reati, soltanto nell’ambito di una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito da questo commesso, che deve essere concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti, e avuto riguardo ai parametri indicati dall’articolo 133 cod. penumero – sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, numero 20798 . Alla luce della richiamata giurisprudenza costituzionale e di legittimità, quindi, l’applicabilità della recidiva richiede una relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo illecito, che deve risultare da un accertamento condotto, nel caso concreto, sulla base di criteri enucleati dalle sezioni unite della Corte di cassazione, quali la natura dei reati, il tipo di devianza di cui sono il segno, la qualità dei comportamenti, il margine di offensività delle condotte, la distanza temporale e il livello di omogeneità esistente fra loro, l’eventuale occasionalità della ricaduta e ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero ed indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, numero 35738 . Ad avviso della Corte rimettente, «I criteri indicati dalle Sezioni unite riflettono le condizioni “sostanziali” per l’applicazione della circostanza aggravante, fungendo così da strumento necessario ad assicurare che, nel caso concreto, l’applicazione della recidiva sia coerente con il suo fondamento, ossia con la riconoscibilità, nella ricaduta nel delitto, di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo». Tuttavia, prosegue il giudice a quo, l’accertamento, nel caso concreto, della significatività del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo è precluso nell’ipotesi di recidiva obbligatoria prevista dalla norma censurata, che pone appunto un automatismo basato su una presunzione. «Attesa, evidentemente, l’identità del fondamento della recidiva facoltativa e di quella obbligatoria, l’oggetto di detta presunzione coincide con le condizioni “sostanziali” per l’applicazione della circostanza aggravante, sicché lo scrutinio di legittimità costituzionale della norma censurata rinvia, in prima battuta, alla valutazione della ragionevolezza della presunzione assoluta di più accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosità del reo delineata dal legislatore con riferimento ai delitti espressivi ricompresi nel “catalogo” di cui all’articolo 407, comma 2, lett. a , cod. proc. penumero ». Richiamata la giurisprudenza costituzionale relativa alle presunzioni assolute sentenza numero 139 del 2010 , la Corte rimettente conclude che i criteri in forza dei quali il giudice, nei casi di cui ai primi quattro commi dell’articolo 99 cod. penumero , accerta se in concreto la reiterazione del delitto sia espressione di più accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosità del reo non possono formare oggetto di una presunzione assoluta basata esclusivamente sul titolo del reato. Infatti, «il riferimento ad un determinato reato espressivo ovvero a una categoria o a un “elenco” di reati espressivi è in radice inidoneo a fornire alla presunzione in cui si sostanzia la norma censurata dati di esperienza generalizzati in ordine alla sintomaticità del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo Corte cost., sentenza numero 183 del 2011 , sintomaticità il cui accertamento [] richiede la verifica in concreto di una serie di elementi [] insuscettibili di trovare effettiva espressione nella mera indicazione del titolo del nuovo delitto commesso e, dunque, di formare oggetto della presunzione assoluta di cui alla norma censurata». La norma censurata sarebbe allora manifestamente irragionevole, perché l’applicazione obbligatoria della recidiva, «Svincolata dall’accertamento in concreto sulla base dei criteri applicativi indicati e affidata alla sola indicazione del titolo del nuovo delitto», viene privata di una base empirica adeguata a preservare il fondamento della circostanza aggravante ossia l’attitudine della ricaduta nel delitto ad esprimere una più accentuata colpevolezza e una maggiore pericolosità del reo , risolvendosi in una presunzione assoluta – appunto – di più accentuata colpevolezza o di maggiore pericolosità del tutto irragionevole. La manifesta irragionevolezza della norma impugnata, peraltro, troverebbe ulteriore conferma nel criterio legislativo di individuazione dei reati che comportano la recidiva obbligatoria, «criterio incentrato sul catalogo di cui all’articolo 407, comma 2, lett. a , cod. proc. penumero , che contiene “un elenco di reati ritenuti dal legislatore, a vari fini, di particolare gravità e allarme sociale” Corte cost., sentenza numero 192 del 2007 » invero, una valutazione di gravità e allarme sociale di determinati reati effettuata in relazione ad istituti processuali quali la durata delle indagini preliminari ovvero la sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare è priva di correlazione con l’accertamento della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni applicative della recidiva e, in particolare, è inidonea ad esprimere una «relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo delitto», in grado di offrire un congruo fondamento giustificativo al giudizio di più accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosità in cui deve sostanziarsi l’applicazione della recidiva. L’articolo 3 Cost. sarebbe violato anche per l’identico trattamento riservato, dall’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , a situazioni diverse «infatti, ad identica riconducibilità del nuovo delitto nel “catalogo” di cui all’articolo 407, comma 2, lett. a , cod. proc. penumero , ben possono corrispondere situazioni connotate, dal punto di vista delle condizioni “sostanziali” di applicazione della circostanza, da profonda diversità, avuto riguardo, ad esempio, al tipo di devianza di cui i reati sono sintomatici o all’eventuale occasionalità della ricaduta». La norma censurata, insomma, darebbe luogo ad un’illegittima uguaglianza di trattamento di situazioni diverse, in quanto precluderebbe l’accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. Ad avviso della Corte rimettente, infine, la questione sarebbe non manifestamente infondata anche con riferimento al principio di proporzionalità della pena riconducibile all’articolo 27, terzo comma, Cost., in quanto la preclusione dell’accertamento giurisdizionale della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni “sostanziali” legittimanti l’applicazione della recidiva rende la pena palesemente sproporzionata – e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato – vanificandone, già a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalità rieducativa. 2.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 7 gennaio 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. Ad avviso della difesa dello Stato, come rilevato dalla Corte di cassazione, la maggiore severità della disciplina della recidiva reiterata nel caso di realizzazione di un delitto di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero , «non è irragionevole in quanto limitata a fattispecie specifiche, caratterizzate da notevole allarme sociale, indice del perdurare della capacità a delinquere del reo», secondo una scelta legislativa non in contrasto con i principi costituzionali, essendo finalizzata a sanzionare più severamente, sia pure comprimendo gli spazi di discrezionalità del giudice, chi abbia continuato a commettere reati nonostante l’irrogazione di precedenti condanne. La questione, comunque, sarebbe inammissibile in quanto la Corte rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità ipotizzati. Infatti il giudice a quo non ha considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, vi sarebbero delle ipotesi in cui è consentito non applicare l’aumento di pena per la recidiva, ancorché obbligatoria. Ciò accade, in primo luogo, nel caso di concorso tra la recidiva obbligatoria non reiterata e una o più circostanze attenuanti, in quanto il divieto di prevalenza sancito dall’articolo 69, quarto comma, cod. penumero , opera solamente nelle ipotesi di recidiva reiterata di cui al quarto comma dell’articolo 99 cod. penumero e non anche in quelle di recidiva obbligatoria di cui al quinto comma del medesimo articolo. L’esclusione della recidiva obbligatoria dalle limitazioni poste al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee permetterebbe, dunque, al giudice di ritenere prevalenti, su di essa, eventuali circostanze attenuanti, «in tal modo recuperando la possibilità di adattare la pena al caso concreto, venuta meno la causa della obbligatorietà della recidiva». Insomma, la perdita di discrezionalità nella decisione sull’applicabilità della recidiva «verrebbe compensata dalla facoltà di ritenerla subvalente nel giudizio di bilanciamento con circostanze di segno opposto». In secondo luogo, come hanno ricordato le sezioni unite della Corte di cassazione, la recidiva è circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo e pertanto soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza più grave, e ciò pur quando l’aumento che ad essa segua sia obbligatorio, per avere il soggetto, già recidivo per un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero L’applicabilità dell’articolo 63, terzo comma, cod. penumero , quindi, può comportare una deroga al regime di obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva di cui al quinto comma dell’articolo 99 cod. penumero 3.– La Corte d’appello di Napoli, terza sezione penale, con ordinanza del 19 novembre 2014 r.o. numero 35 del 2015 , ha sollevato, in riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, Cost., questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , come sostituito dall’articolo 4 della legge numero 251 del 2005. La Corte rimettente – richiamato «interamente il contenuto della ordinanza emessa dalla V sezione della S.C.C. in data 3 luglio 2014, dep. 10 settembre 2014, che in tutto [] condivide» – ritiene la questione non manifestamente infondata, con riferimento all’articolo 3 Cost., sotto il duplice profilo della manifesta irragionevolezza e dell’identità di trattamento di situazioni diverse cui la norma impugnata dà luogo, e all’articolo 27, terzo comma, Cost. Sotto il profilo della ragionevolezza, la norma censurata introdurrebbe un «discutibile automatismo basato su una presunzione assoluta di più accentuata colpevolezza e maggiore pericolosità del reo, delineata dal legislatore con un altrettanto discutibile riferimento alla categoria disomogenea dei reati cui all’articolo 407, co. 2 lett. a c.p.p.», individuati a fini processuali durata delle indagini preliminari o sospensione dei termini di durata massima della custodia cautelare , senza alcuna correlazione con le condizioni che fondano l’aumento di pena per la recidiva. Si tratterebbe, peraltro, «di un elenco comprensivo di alcuni – ma non di tutti – i delitti di particolare gravità e allarme sociale». La norma censurata si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’articolo 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento, «sub specie di trattamento identico, riservato dall’articolo 99, co. 5 c.p. a situazioni diverse quelle in cui il nuovo delitto è indice di maggiore colpevolezza/pericolosità, e quelle in cui invece non lo è». Sarebbe violato infine il principio di proporzionalità della pena sancito dall’articolo 27, terzo comma, Cost. Ad avviso del giudice rimettente, la questione sarebbe anche rilevante «atteso che vengono in rilievo, per tutti gli imputati, precedenti datati e disomogenei rispetto alla regiudicanda». 4.– È intervenuto nel giudizio di legittimità costituzionale, con memoria depositata il 14 aprile 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. Ad avviso della difesa dello Stato, la questione sarebbe manifestamente inammissibile, perché l’ordinanza di rimessione presenta un’assoluta carenza di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza. La questione, nel merito, sarebbe infondata, in quanto la Corte rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità ipotizzati. Al riguardo, l’Avvocatura generale dello Stato formula le medesime considerazioni svolte in relazione all’ordinanza di rimessione della Corte di cassazione. La difesa dello Stato ricorda, infine, che la Corte di cassazione ha già ritenuto la maggiore severità della disciplina della recidiva reiterata nel caso di realizzazione di un delitto di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero , non irragionevole in quanto limitata a fattispecie specifiche, caratterizzate da notevole allarme sociale, e indicative del perdurare della capacità a delinquere del reo. Considerato in diritto 1.– La Corte di cassazione, quinta sezione penale, dubita, in riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 4 della legge 5 dicembre 2005, numero 251 Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, numero 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione . La Corte rimettente ricorda che, secondo la giurisprudenza costituzionale sentenza numero 192 del 2007 e di legittimità Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, numero 35738 , l’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , prevede un’ipotesi di recidiva obbligatoria, che si affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa disciplinate dai primi quattro commi del medesimo articolo Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, numero 20798 , e ritiene che la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , con riferimento all’articolo 3 Cost., non sia manifestamente infondata. Infatti, a suo avviso, l’applicazione obbligatoria della recidiva, «Svincolata dall’accertamento in concreto sulla base dei criteri applicativi indicati [dalla giurisprudenza] e affidata alla sola indicazione del titolo del nuovo delitto», viene privata di una base empirica adeguata a preservare il fondamento della circostanza aggravante ossia l’attitudine della ricaduta nel delitto ad esprimere una più accentuata colpevolezza e una maggiore pericolosità del reo , risolvendosi in una presunzione assoluta di più accentuata colpevolezza o di maggiore pericolosità, del tutto irragionevole. La manifesta irragionevolezza della norma impugnata, peraltro, troverebbe ulteriore conferma nel criterio legislativo di individuazione dei reati che comportano la recidiva obbligatoria – «criterio incentrato sul catalogo di cui all’articolo 407, comma 2, lett. a , cod. proc. penumero , che contiene “un elenco di reati ritenuti dal legislatore, a vari fini, di particolare gravità e allarme sociale” Corte cost., sentenza numero 192 del 2007 » – che è privo di correlazione con l’accertamento della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni della recidiva e, in particolare, è inidoneo ad esprimere una «relazione qualificata tra i precedenti del reo e il nuovo delitto» in grado di offrire un congruo fondamento giustificativo al giudizio di più accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosità, da cui deve essere sorretta l’applicazione della recidiva. La norma censurata violerebbe, in secondo luogo, il principio di uguaglianza dettato dall’articolo 3 Cost., in quanto darebbe luogo ad un’illegittima uguaglianza di trattamento di situazioni diverse, precludendo l’accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo. Infine, la questione sarebbe non manifestamente infondata in relazione al principio di proporzionalità della pena, riconducibile all’articolo 27, terzo comma, Cost., in quanto la preclusione dell’accertamento giurisdizionale della sussistenza, nel caso concreto, delle condizioni “sostanziali” legittimanti l’applicazione della recidiva renderebbe la pena palesemente sproporzionata – e, dunque, inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato – vanificandone, già a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalità rieducativa. 2.– La Corte d’appello di Napoli, terza sezione penale, sempre con riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, Cost., muove analoghe censure all’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , richiamando «interamente il contenuto della ordinanza emessa dalla V sezione della S.C.C. in data 3 luglio 2014, dep. 10 settembre 2014», con cui è stata sollevata la medesima questione di legittimità costituzionale. 3.– Le ordinanze di rimessione sollevano questioni identiche o analoghe, sicché i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione. 4.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità della questione sollevata dalla Corte d’appello di Napoli r.o. numero 35 del 2015 , perché l’ordinanza di rimessione presenta un’assoluta carenza di descrizione della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza. L’eccezione è fondata. La Corte rimettente – dopo aver enunciato le ragioni della non manifesta infondatezza della questione, anche attraverso il rinvio all’ordinanza della Corte di cassazione – ha ritenuto la questione rilevante «atteso che vengono in rilievo, per tutti gli imputati, precedenti datati e disomogenei rispetto alla regiudicanda». Il giudice a quo, però, ha omesso, sia di indicare il capo di imputazione e il titolo di reato per cui procede, sia di descrivere il fatto contestato agli imputati. Dall’ordinanza di rimessione non emerge se il reato per cui si procede e a cui si riferisce la recidiva rientra nel catalogo dell’articolo 407, comma 2, lettera a , del codice di procedura penale, situazione che costituisce il presupposto per l’applicazione della norma censurata. La mancanza di indicazione del reato contestato e di descrizione della fattispecie impedisce a questa Corte di verificare la rilevanza della questione, rendendola manifestamente inammissibile ex multis, ordinanze numero 16 del 2014 e numero 295 del 2013 . 5.– Ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, anche la questione sollevata dalla Corte di cassazione r.o. numero 227 del 2014 sarebbe inammissibile, perché il rimettente non ha preliminarmente verificato la possibilità di una soluzione interpretativa diversa da quella posta a base dei dubbi di costituzionalità, non avendo considerato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, vi sarebbero delle ipotesi in cui al giudice è consentito non applicare l’aumento di pena per la recidiva, ancorché obbligatoria. Ciò accade, in primo luogo, nel caso di concorso tra la recidiva obbligatoria non reiterata e una o più circostanze attenuanti, in quanto il divieto di prevalenza sancito dall’articolo 69, quarto comma, cod. penumero , opera solamente nelle ipotesi di recidiva reiterata di cui al quarto comma dell’articolo 99 cod. penumero e non anche in quelle di recidiva obbligatoria di cui al quinto comma del medesimo articolo. L’esclusione della recidiva obbligatoria dalle limitazioni poste al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee permetterebbe, dunque, al giudice di ritenere prevalenti, su di essa, eventuali circostanze attenuanti, «in tal modo recuperando la possibilità di adattare la pena al caso concreto, venuta meno la causa della obbligatorietà della recidiva». In secondo luogo, come hanno ricordato le sezioni unite della Corte di cassazione, la recidiva è circostanza aggravante ad effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore a un terzo e pertanto soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell’applicazione della pena prevista per la circostanza più grave, e ciò pur quando l’aumento che ad essa segua sia obbligatorio, per avere il soggetto, già recidivo per un qualunque reato, commesso uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero L’applicabilità dell’articolo 63, terzo comma, cod. penumero , perciò, può comportare una deroga al regime di obbligatorietà dell’aumento di pena per la recidiva di cui al quinto comma dell’articolo 99 cod. penumero L’eccezione è priva di fondamento. La Corte rimettente – premesso che la Corte d’assise d’appello di Napoli, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato gli imputati per i reati di cui agli articolo 81, cpv., 600 e 600-bis cod. penumero , ha rideterminato la pena, ritenendo la contestata recidiva obbligatoria e le circostanze attenuanti generiche equivalenti – ha ritenuto la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , rilevante, in quanto la giurisprudenza costituzionale e di legittimità sulla disciplina della recidiva, così come ridisegnata dalla legge numero 251 del 2005, «rende ragione [] della qualificazione come obbligatoria della recidiva [semplice] applicata nel caso di specie all’imputato, posto che [] entrambi i reati per i quali è intervenuta condanna sono ricompresi nel “catalogo” di cui all’articolo 407, comma 2, lett. a , cod. proc. penumero » e che l’imputato è gravato da un precedente penale per il reato di rissa di cui all’articolo 588 cod. penumero Il giudice a quo chiarisce, quindi, che la recidiva contestata ad uno degli imputati ed applicata dalla sentenza di appello è semplice ma obbligatoria, rientrando il nuovo episodio delittuoso nell’elenco dell’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero Considerato che la recidiva obbligatoria si affianca alle diverse forme di recidiva facoltativa disciplinate dai primi quattro commi dell’articolo 99 cod. penumero Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, numero 20798 e che, nel caso di specie, si tratta di un’ipotesi di recidiva sì obbligatoria ma semplice, l’aumento relativo è quello, indicato dal primo comma dell’articolo 99 cod. penumero , di un terzo della pena da infliggere per il nuovo reato. Non viene pertanto in considerazione l’applicabilità dell’articolo 63, terzo comma, cod. penumero È vero, invece, che, trattandosi di recidiva semplice, non dovrebbe operare, nella fattispecie in esame, l’articolo 69, quarto comma, cod. penumero , che introduce, nei casi previsti dall’articolo 99, quarto comma, cod. penumero , ossia nelle ipotesi di recidiva reiterata, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti. Però la Corte d’assise d’appello di Napoli ha ritenuto la recidiva equivalente alle attenuanti generiche e con il ricorso per cassazione gli imputati hanno contestato l’applicazione della recidiva e non anche il giudizio di comparazione, che è rimasto sottratto al sindacato di legittimità della Corte di cassazione. Perciò la Corte era inevitabilmente tenuta a fare applicazione della norma impugnata. 6.– Nel merito la questione sollevata dalla Corte di cassazione è fondata. 7.– L’articolo 4 della legge numero 251 del 2005 ha sostituito l’articolo 99 cod. penumero , introducendo nel quinto comma un’ipotesi di recidiva obbligatoria, che ricorre «Se si tratta di uno dei delitti indicati all’articolo 407, comma 2, lettera a , del codice di procedura penale». Nel ricostruire i lineamenti della recidiva dopo l’avvenuta sostituzione dell’articolo 99 cod. penumero , effettuata con l’articolo 4 della legge numero 251 del 2005, la giurisprudenza costituzionale ha messo a fuoco l’istituto, individuando il suo fondamento nella più accentuata colpevolezza e nella maggiore pericolosità del reo, e ha prospettato la facoltatività di tutte le ipotesi di recidiva diverse da quella del quinto comma dell’articolo 99 cod. penumero , e quindi anche la facoltatività della recidiva reiterata, prevista dal quarto comma sentenza numero 192 del 2007 ordinanze numero 171 del 2009, numero 257, numero 193, numero 90 e numero 33 del 2008 . In particolare è stato chiarito che nel caso di recidiva facoltativa l’aumento di pena può essere disposto «solo allorché il nuovo episodio delittuoso appaia concretamente significativo, in rapporto alla natura ed al tempo di commissione dei precedenti, sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo» ordinanza numero 409 del 2007 conformi, ex plurimis, ordinanze numero 193, numero 90 e numero 33 del 2008 . 8.– L’orientamento prospettato da questa Corte è stato recepito dalla giurisprudenza di legittimità, che ha riconosciuto la natura facoltativa di tutte le ipotesi di recidiva, ad eccezione di quella rappresentata dal quinto comma dell’articolo 99 cod. penumero , e ha ritenuto che quando la contestazione concerne una delle ipotesi contemplate dai primi quattro commi dell’articolo 99 cod. penumero è compito del giudice verificare in concreto se la reiterazione dell’illecito è effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, tenendo conto della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistenti fra loro, dell’eventuale occasionalità della ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante, significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero riscontro formale dei precedenti penali. All’esito di tale verifica si ritiene che al giudice sia consentito negare la rilevanza aggravatrice della recidiva ed escludere la circostanza, non applicando il relativo aumento della sanzione Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio 2010, numero 35738. In senso conforme, Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, numero 20798 . 9.– Nel caso della recidiva prevista dall’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , questa verifica è preclusa l’aumento della pena consegue automaticamente al mero riscontro formale della precedente condanna e dell’essere il nuovo reato compreso nell’elenco dell’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero , senza che il giudice sia tenuto ad accertare in concreto se, in rapporto ai precedenti, il nuovo episodio delittuoso sia indicativo di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo. La norma censurata, quindi, introduce un vero e proprio automatismo sanzionatorio, basato sul titolo del nuovo reato, e più precisamente sulla sua appartenenza al catalogo dell’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero . Ad avviso del giudice rimettente, è questo automatismo che, per la sua irragionevolezza, si pone in contrasto con gli articolo 3 e 27 Cost. 9.1.– Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l’individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalità legislativa, il cui esercizio non può formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimità costituzionale, salvo che si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie ex multis sentenze numero 68 del 2012, numero 47 del 2010, numero 161 del 2009, numero 22 del 2007 e numero 394 del 2006 . Nel caso di specie, il rigido automatismo sanzionatorio cui dà luogo la norma censurata – collegando l’automatico e obbligatorio aumento di pena esclusivamente al dato formale del titolo di reato commesso – è del tutto privo di ragionevolezza, perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo. L’obbligatorietà stabilita dal quinto comma dell’articolo 99 cod. penumero impone l’aumento della pena anche nell’ipotesi in cui esiste un solo precedente, lontano nel tempo, di poca gravità e assolutamente privo di significato ai fini della recidiva. È da notare che «la funzione del quinto comma è quella di prefigurare, in rapporto a ciascuna delle forme di recidiva facoltativa in precedenza disciplinate, altrettante ipotesi di recidiva obbligatoria» Corte di cassazione, sezioni unite penali, 24 febbraio 2011, numero 20798 . Ciò significa che mentre nei primi quattro commi dell’articolo 99 cod. penumero sono previste ipotesi di diversa gravità della recidiva, con il passaggio da quella semplice primo comma a quella aggravata secondo comma , a quella pluriaggravata terzo comma e a quella reiterata quarto comma , che possono avere un significato assai diverso ai fini della valutazione della colpevolezza e della pericolosità del reo, nel quinto comma tutte queste diverse ipotesi vengono irragionevolmente parificate in una previsione di obbligatorietà, che comporta un aumento di pena solo in ragione del titolo del reato che è stato commesso. Ne deriva che il giudice nell’applicare la pena prevista per questo reato deve aumentarla, anche se l’aumento è privo di una reale giustificazione, oggettiva o soggettiva. L’irragionevolezza della norma impugnata è ancor più manifesta se si considera che l’elenco dei delitti che comportano l’obbligatorietà, contenuto nell’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero , concerne reati eterogenei, collegati dal legislatore solo in funzione di esigenze processuali e in particolare del termine di durata massima delle indagini preliminari, e quindi inidonei ad esprimere un comune dato significativo ai fini dell’applicazione della recidiva. 9.2.– L’automatismo sanzionatorio introdotto dalla norma censurata non potrebbe giustificarsi neppure ritenendo che esso si fondi su una presunzione assoluta di più accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosità del reo. Secondo la giurisprudenza costituzionale, «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit». In particolare, «l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» ex multis, sentenze numero 232 e numero 213 del 2013, numero 182 e numero 164 del 2011, numero 265 e numero 139 del 2010 . Nel caso di specie, la presunzione in questione, relativa alla colpevolezza e alla pericolosità del reo, sarebbe giustificata unicamente dall’appartenenza del nuovo episodio delittuoso al catalogo dei reati indicati dall’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero , ma non potrebbe trovare fondamento in un dato di esperienza generalizzato. Un dato del genere infatti non esiste, posto che per le ragioni indicate ben possono ipotizzarsi accadimenti reali contrari alla generalizzazione presunta. In conclusione, l’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , nel prevedere che nei casi di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a , cod. proc. penumero , la recidiva è obbligatoria, contrasta con il principio di ragionevolezza e parifica nel trattamento obbligatorio situazioni personali e ipotesi di recidiva tra loro diverse, in violazione dell’articolo 3 Cost. 9.3.– La previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato formale del titolo di reato, senza alcun «accertamento della concreta significatività del nuovo episodio delittuoso – in rapporto alla natura e al tempo di commissione dei precedenti e avuto riguardo ai parametri indicati dall’articolo 133 cod. penumero – “sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del reo” sentenza numero 192 del 2007 » sentenza numero 183 del 2011 , viola anche l’articolo 27, terzo comma, Cost., che implica «“un costante ‘principio di proporzione’ tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa, dall’altra” sentenza numero 341 del 1994 » sentenza numero 251 del 2012 . La preclusione dell’accertamento della sussistenza nel caso concreto delle condizioni che dovrebbero legittimare l’applicazione della recidiva può rendere la pena palesemente sproporzionata, e dunque avvertita come ingiusta dal condannato, vanificandone la finalità rieducativa prevista appunto dall’articolo 27, terzo comma, Cost. 10.– Deve pertanto dichiararsi l’illegittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , come sostituito dall’articolo 4 della legge numero 251 del 2005, limitatamente alle parole «è obbligatorio e,». P.Q.M. La Corte Costituzionale riuniti i giudizi, 1 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’articolo 4 della legge 5 dicembre 2005, numero 251 Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, numero 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione , limitatamente alle parole «è obbligatorio e,» 2 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 99, quinto comma, cod. penumero , come sostituito dall’articolo 4 della legge numero 251 del 2005, sollevata, in riferimento agli articolo 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dalla Corte d’appello di Napoli, con l’ordinanza indicata in epigrafe.