É necessario il giudizio controfattuale per attribuire rilievo alla condotta colposa del sanitario

Per poter attribuire incidenza causale alla condotta colposa posta in essere dal personale medico – sanitario, si deve procedere alla formulazione del giudizio controfattuale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 30350, depositata il 14 luglio 2015. Il caso. Il Tribunale di Monza riteneva responsabili del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p. il medico ginecologo e l’ostetrica che si erano occupati del parto di una neonata deceduta dopo pochi giorni dalla nascita. L’accusa era di aver ritardato il taglio cesareo, a causa della sottovalutazione dei segni di rottura dell’utero della partoriente. La Corte d’appello di Milano, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva il medico ginecologo con la formula per non aver commesso il fatto”, mentre confermava il giudizio di responsabilità per l’ostetrica, sulla base della parziale incoerenza dell’ iter argomentativo seguito dal Tribunale con i principi argomentativi espressi dalle Sezioni Unite Franzese in tema di nesso di causalità, che avrebbero richiesto da parte del giudice di prime cure l’individuazione del momento in cui la condotta alternativa lecita, da parte dei sanitari, avrebbe impedito l’evento – momento che veniva individuato dalla Corte d’appello territoriale nelle avvisaglie di rottura dell’utero segnalate dalla partoriente all’ostetrica e da questa sottovalutate. In questa prospettiva, la Corte di merito riteneva che, se anche il medico, attenendosi alle linee guida per le pazienti già sottoposte a taglio cesareo, avesse visitato la paziente ogni due ore dall’inizio del travaglio, all’ultima visita effettuata dal sanitario prima del cambio turno non sarebbero state riscontrabili, come confermato dal consulente d’ufficio, le condizioni per procedere al parto cesareo. L’addebito di responsabilità a carico dell’ostetrica, invece, veniva confermato in appello, sul rilievo che la stessa aveva sottovalutato i sintomi presentati dalla partoriente e, conseguentemente, omesso di chiamare il medico, assumendo così la posizione di garanzia rispetto alla gestante e la conseguente responsabilità per l’iniziativa di staccare il monitoraggio, di accompagnarla in bagno e di praticare un cateterismo del tutto infruttuoso. Avverso tale pronuncia del giudice di secondo grado ricorreva per cassazione l’ostetrica, lamentando la manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte aveva individuato il momento in cui la condotta alternativa lecita avrebbe impedito l’evento nel momento in cui la partoriente aveva segnalato all’ostetrica le avvisaglie della rottura di utero da questa sottovalutate, arrivando però a diversa ed opposta conclusione per il coimputato. Imprescindibile il giudizio controfattuale. I giudici di Piazza Cavour hanno sottolineato come i giudici di merito, che avevano fondato la responsabilità dell’ostetrica sulla sottovalutazione dei sintomi presentati dalla partoriente e sulla mancata chiamata del medico, dalla quale era derivata l’assunzione di una posizione di garanzia rispetto alla gestante, non hanno affrontato il punto relativo al nesso di causalità, sotto il profilo dell’evitabilità dell’evento attraverso un comportamento alternativo idoneo ad evitare la more della neonata – questione che, invece, veniva puntualmente affrontata con riferimento alla posizione del medico ginecologo né il Tribunale ne la Corte d’appello, infatti, si erano confrontati con il dato decisivo emergente dalla relazione dei consulenti tecnici in forza del quale in caso di rottura dell’utero i tempi utili per l’esecuzione del taglio cesareo sono quantificabili in 5 – 10 minuti al massimo, da cui discende la necessità di accertare il momento in cui la rottura dell’utero si è verificata e di accertare se le compromissioni delle condizioni di salute del feto avrebbero potuto trovare rimedio in una diversa condotta dell’imputata, risultando la detta condotta evidentemente priva di incidenza causale in caso di impossibilità di intervenire con un parto cesareo nei tempi indicati. In forza di tutte le considerazioni sovraesposte, pertanto, gli Ermellini hanno disposto l’annullamento con rinvio alla Corte d’appello territoriale per procedere alla formulazione del giudizio controfattuale.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 giugno – 14 luglio 2015, n. 30350 Presidente Brusco – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto Con sentenza in data 4 ottobre 2011 il Tribunale di Monza riteneva L.R. e B.A. responsabili del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p. in danno della neonata P.F. , nata mediante taglio cesareo il omissis e deceduta il omissis per sindrome da aspirazione massiva di liquido amniotico e di sangue in neonata a termine, per rottura d'utero in corso di travaglio. Al L. , nella qualità di medico ginecologo, ed alla B. , nella qualità di ostetrica, è stato contestato di aver ritardato il taglio cesareo, con evidente sottovalutazione dei rischi materno/fetali in particolare, avevano omesso una adeguata monitorizzazione e sorveglianza ostetrica, sottovalutando i segni di rottura dell'utero della partoriente, iniziando un'accelerazione del travaglio con ossitocina, in modalità e dosi non corrette. La rottura dell'utero ed il tardivo intervento con taglio cesareo d'urgenza avevano comportato la compromissione ingravescente della ossigenazione del feto. La Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva L.R. con la formula per non aver commesso il fatto , mentre confermava il giudizio di responsabilità della B. . Il giudice di secondo grado osservava che l'iter argomentativo seguito dal Tribunale non risultava del tutto coerente con i principi espressi dalle sezioni unite Franzese in tema di nesso di causalità. L'applicazione corretta di tali principi avrebbe richiesto l'individuazione da parte del primo giudice del momento in cui la condotta alternativa lecita, in ipotesi richiesta ai sanitari, avrebbe impedito l'evento. Tale momento veniva individuato dalla Corte di merito nella rottura dell'utero della partoriente o, più precisamente, nelle avvisaglie che quest'ultima aveva segnalato all'ostetrica e che questa aveva sottovalutato. In questa prospettiva, attraverso un'attenta ricostruzione del fatto, per quanto concerne la posizione del medico, la Corte di merito arrivava alla conclusione che, quand'anche il Dott. L. avesse visitato la paziente ogni due ore dalle 15 in poi o anche solo dall'inizio del travaglio - con ciò adeguandosi alle linee guida per le pazienti già sottoposte a taglio cesareo - ciò che rilevava era che alle 20,15, quando lo stesso procedeva alla visita della partoriente, prima del cambio di turno, non era riscontrabile alcunché di anomalo sotto il profilo clinico circostanza pacifica in atti , neppure in quel momento sussistendo le condizioni per procedere al cesareo. Il consulente d'ufficio aveva, infatti, escluso che si potesse intervenire chirurgicamente prima delle 20,15, richiedendo la situazione estrema attenzione ma non ancora un parto cesareo d'urgenza. In ogni caso, poiché i tempi utili per l'intervento erano quantificabili in 5-10 minuti al massimo dalla rottura dell'utero , doveva concludersi che il taglio cesareo, indipendentemente dal momento in cui venne deciso, essendo stato iniziato alle 20,44 ed essendosi concluso alle 20,46. era stato eseguito troppo tardi rispetto alle possibilità di salvezza della bambina. L'addebito di responsabilità a carico della B. veniva, invece, confermato sul rilievo che la stessa avrebbe dovuto chiamare immediatamente il medico - unico competente alla trattazione del travaglio - senza sottovalutare i sintomi presentati dalla partoriente il crack delle ore 19,45, alle quali aveva fatto seguito alle ore 20,21, momento in cui è stato collocato temporalmente dal Tribunale la rottura dell'utero, la caduta a terra della donna, a seguito di shock vagale . Tale omissione aveva comportato la piena assunzione della posizione di garanzia da parte dell'ostetrica rispetto alla gestante e la conseguente responsabilità per l'iniziativa di staccare il monitoraggio, di accompagnarla in bagno e di praticare un cateterismo del tutto infruttuoso, ritardando in tal modo il momento di apprezzamento della sopraggiunta bradicardia fetale. Propone ricorso per cassazione la B. lamentando con un unico motivo la manifesta illogicità della motivazione laddove la Corte di merito, dopo aver correttamente focalizzato l'attenzione sulla individuazione del momento in cui la condotta alternativa lecita avrebbe impedito l'evento, illogicamente aveva individuato tale momento nelle avvisaglie che la partoriente aveva segnato all'ostetrica, da questa sottovalutate, arrivando però a diversa ed opposta conclusione per il coimputato, sostenendo che se pure fosse intervenuto alle 19,46, immediatamente dopo la percezione del crack da parte della donna, non avrebbe comunque chiesto il cesareo, in quanto non vi erano elementi che indicassero l'urgenza di intervenire. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei termini di seguito precisati. I giudici di merito hanno fondato la responsabilità della B. sulla sottovalutazione dei sintomi presentati dalla partoriente, sia di quelli che deponevano per la minaccia di rottura dell'utero la sensazione dolorosa al ventre e l'impressione riferita dalla donna di non avere più contrazioni sia di quelli che potevano indurre a sospettare un quadro clinico di rottura dell'utero il crack avvertito dalla partoriente alle 19,45 o, come collocato temporalmente l'evento dal Tribunale, lo svenimento della donna alle 20,21 . In questa prospettiva sono state valorizzate dal giudice di appello le seguenti condotte colpose avere assunto l'iniziativa di staccare il monitoraggio alla paziente, di accompagnarla in bagno e di praticare un cateterismo del tutto infruttuoso, così ritardando il momento dell'apprezzamento della sopraggiunta bradicardia fetale. E proprio sulla circostanza che la B. , assumendo le iniziative sopra indicate, ometteva di chiamare immediatamente il medico di turno, la Corte di Appello ha fondato l'assunzione della posizione di garanzia da parte dell'imputata rispetto alla gestante e la conseguente responsabilità per la morte della neonata. Non è in discussione, pertanto, nel caso in esame, la configurabilità di una condotta colposa dell'imputata, consistita nella sottovalutazione dei sintomi presentati dalla partoriente, che indicavano fattori di rischio per la madre e sofferenza fetale, imponendole di sollecitare tempestivamente l'intervento del medico, unico competente ad assumere la decisione sulla esecuzione del parto cesareo, che nella situazione venutasi a creare, si palesava necessario ed urgente. Ciò premesso, va rilevato che i giudici di merito, con riferimento alla posizione della B. , non hanno affrontato il punto relativo al nesso di causalità, sotto il profilo della evitabilità dell'evento attraverso un comportamento alternativo idoneo ad evitare la morte della neonata. La questione è stata, invece, trattata puntualmente con riferimento alla posizione del medico ginecologo, laddove la Corte di Appello, oltre a ritenere indimostrato il ritardo ad arrivare al letto della paziente, ha ritenuto che, seppure il Dott. L. avesse disposto per l'immediato taglio cesareo, non avrebbe potuto evitare l'evento, così come riferito dai consulenti tecnici che hanno giudicato assolutamente tardivo un cesareo effettuato 30/40 minuti dopo la rottura dell'utero tale conclusione si riferisce, ovviamente, all'ipotesi che colloca la rottura dell'utero alle 19,45, in corrispondenza del crack avvertito dalla donna e non all'altra, secondo la quale la rottura dell'utero sarebbe avvenuta alle 20, 21, coincidente con lo svenimento della partoriente, quando le consegne erano passate ad altro medico . Tale giudizio contro fattuale - il quale impone di accertare se la condotta doverosa che non è stata tenuta fosse in grado, qualora eseguita, di evitare l'evento concretamente verificatosi - non è stato, invece, compiuto con riferimento all'ostetrica. I giudici di merito, neanche quello di primo grado, invero, non si sono confrontati con il dato decisivo, pure riportato in sentenza ed emergente dalla relazione dei consulenti tecnici, secondo il quale, in caso di rottura dell'utero evento estremamente raro, nell'ordine percentuale tra lo 0,8 ed il 2,8 per mille i tempi utili per l'intervento cesareo sono quantificabili in 5-10 minuti al massimo. Tenuto conto che nella fattispecie in esame l'intervento è iniziato alle ore 20,44 e la nascita è avvenuta alle ore 20,46, il giudicante avrebbe dovuto individuare con certezza il momento in cui la rottura dell'utero si è verificata ed accertare se le compromissioni delle condizioni di salute del feto avrebbero potuto trovare rimedio in una diversa condotta dell'imputata. È evidente, infatti, che la condotta colposa della B. risulterebbe priva di incidenza causale se non fosse stato possibile intervenire con un sollecito parto cesareo nei termini delineati dai consulenti tecnici. La Corte distrettuale non indica, infatti, quali siano i dati che conforterebbero l'ipotesi che una sollecitazione tempestiva da parte dell'ostetrica dell'intervento del medico avrebbe evitato l'evento. La sentenza deve quindi essere annullata con rinvio alla Corte di Appello di Milano perché proceda, ove possibile ed alla luce dei principi qui posti, ad una formulazione del giudizio controfattuale, tenuto conto del momento in cui è ragionevole collocare la rottura dell'utero e della efficienza impeditiva della condotta che l'ostetrica avrebbe dovuto tenere secondo le leges artis al fine di evitare l'evento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d'Appello di Milano.