Abusi su minori: la valutazione della testimonianza della persona offesa deve essere completa

La valutazione della testimonianza del minore, quale persona offesa, deve essere svolta alla luce delle indicazioni che la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha elaborato proprio in riferimento agli abusi sessuali che hanno come vittime bambini. In questi casi è necessario che l’esame della credibilità sia onnicomprensivo.

Così ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 30352 depositata il 14 luglio 2015. Il caso. La Corte di Appello di Roma condannava un uomo per violenza sessuale aggravata nei confronti di minore di anni quattordici ex art. 609 ter c.p., compiuta in concorso con la madre della minore. L’imputato ricorreva in Cassazione richiamando l’attenzione sull’attendibilità della minore a testimoniare, dato che non era stata espletata sulla vittima nessuna consulenza psicodiagnostica, ritenuta invece necessaria per poter tenere conto del vissuto della minore e del vuoto affettivo di cui la stessa versava. Il ricorrente censurava anche la valutazione sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore, sia in relazione alla metodologia seguita per raccogliere la testimonianza, sia per il fatto che era stata espressamente censurata la non univocità delle dichiarazioni fornite. La Corte di Cassazione, con sentenza n. 39405/2013, accoglieva il motivo di ricorso sull’attendibilità della minore e annullava con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo esame. La Corte territoriale, con la sentenza oggi impugnata, assolveva l’imputato. Avverso tale decisione ricorreva il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Roma denunciando la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione e violazione di legge per inosservanza della previsione di cui all’art. 627, comma 3, c.p.p., il quale stabilisce che il giudice di rinvio si uniforma alla sentenza della corte di cassazione per ciò che concerne ogni questione di diritto con essa decisa . Valutazione della testimonianza della persona offesa. La Corte si sofferma sulla valutazione della testimonianza della piccola persona offesa, da svolgere alla luce delle indicazioni che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato proprio in riferimento agli abusi sessuali con bambini in tenera età come vittime. In tali casi il giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni della persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all’art. 192 c.p.p., i cui commi 2 e 4 richiedono la presenza di riscontri esterni v. Cass., sez. I, n. 29372/2010 . Si stabilisce però che, nel caso in cui la parte offesa sia minore, sia necessario che l’esame della credibilità sia onnicomprensivo e tenga conto di più elementi quale l’attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle ovvero l’attitudine psichica rapportata all’età a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne in modo coerente e compiuto nonché il complesso delle situazioni relative alla sfera interiore del minore, il contesto delle relazioni con l’ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute cfr. Cass., sez. III, n. 39994/2007 Cass., sez. III, n. 29612/2010 . Sempre riprendendo concetti già espressi dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte specifica la necessità di una valutazione rigorosa e neutrale, da parte dei giudici, delle dichiarazioni rese dai bambini, con l’opportuno aiuto delle scienze che risultano rilevanti nella materia – pedagogia, psicologia, sessuologia - al fine di esprimere un giudizio di attendibilità, attraverso un’articolata analisi critica, anche e soprattutto, degli elementi probatori di conferma. Vicenda processuale. Per gli Ermellini la sentenza impugnata colma il vuoto motivazionale, ma perviene all’assoluzione dell’imputato sulla base di un unico elemento, il mancato esperimento di una perizia ginecologica sulla minore, senza porlo in alcun modo in raffronto con il complessivo quadro probatorio. Una valutazione così preponderante di tale elemento induce la Corte a ritenere sussistente la denunciata violazione dell’art. 627, comma 3, c.p.p Per questi motivi la Corte annulla la sentenza impugnata, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 2 – 14 luglio 2015, n. 30352 Presidente Brusco – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 30 maggio 2012 confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Roma il 3 giugno 2011, previa derubricazione dall'ipotesi contestata di cui all'art. 609 octies c.p., in art. 609 bis c.p., infliggendo la pena di anni otto di reclusione a B.S., perché in concorso con la madre della minore, addetta all'attività lavorativa di badante in casa della madre dell'imputato, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, costringeva la minore S.J.D., minore di anni dieci, a subire con violenza la penetrazione sia vaginale che anale con un dito ed il tentativo di penetrazione con il pene, tenendola ferma distesa sul letto, premendole l'addome, mentre la madre le teneva fermi i piedi. 2. Avverso la sentenza proponeva ricorso in cassazione l'imputato, per mezzo del proprio difensore, chiedendone l'annullamento per mancanza, mera apparenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in ordine alla ritenuta responsabilità per il delitto di violenza sessuale aggravata ex art. 609 ter c.p., nn. 1 e 5, non avendo i giudici di appello fornito risposta alle doglianze avanzate quanto all'attendibilità della minore a testimoniare, posto che sulla stessa non era stata espletata alcuna consulenza psicodiagnostica, necessaria in quanto si sarebbe dovuto tenere conto dei vissuto della minore e del vuoto affettivo in cui la stessa versava, nonché dal fatto che la stessa proveniva da una situazione di estremo degrado, come evidenziato dalla perizia psicologica. Il ricorrente censurava anche la valutazione sull'attendibilità delle dichiarazioni rese dalla minore, che sarebbe stata limitata alla sola credibilità intrinseca del racconto, in assenza di riscontri e senza tenere conto delle altre circostanze concrete, sia in relazione alla metodologia seguita per raccogliere la testimonianza, sia per il fatto che era stata espressamente censurata la non univocità delle dichiarazioni, per le difformità tra le versioni fornite in particolare il ricorrente evidenziava che avrebbero dovuto essere considerate le prime dichiarazioni, laddove la minore aveva escluso il contatto con il pene e le difformità con le altre. Mancava inoltre - secondo la prospettazione della difesa del ricorrente - una ricostruzione della genesi del disvelamento. In sintesi i giudici di appello avrebbero fatto ricorso ad una motivazione per relationem senza considerare tali circostanze. Del pari sarebbero stati erroneamente ritenuti indicatori di abuso i frequenti conati di vomito riscontrati nella permanenza nella casa di accoglienza, mentre non sarebbero stati svolti accertamenti ginecologici di alcun tipo. Peraltro la metodologia e le tecniche utilizzate per la raccolta delle dichiarazioni della minore non avevano rispettato le linee guida nazionali in tema di ascolto del minore. La Corte di appello aveva poi travisato anche la prova offerta dalla consulenza tecnica di parte dei Prof. B., quanto all'omosessualità dell'imputato ed alla inverosimiglianza di un interesse dello stesso per il mondo femminile ed infantile. Lamentava inoltre l’apparenza e comunque la manifesta illogicità della motivazione quanto ali' esclusione dell'ipotesi alternativa avanzata dalla difesa, circa l'odio per l'imputato scatenato all'indomani della decisione dello stesso di allontanare la bambina dalla casa della di lui madre, vissuta dalla minore come un ulteriore abbandono. Inoltre il ricorrente censurava la mancanza di motivazione in ordine alla circostanza che la minore aveva sovrapposto la narrazione degli abusi con asserite percosse e maltrattamenti fisici subiti dai genitori. Censurava la gravata sentenza anche in ordine al trattamento sanzionatorio adottato. 3. La Corte di Cassazione con sentenza n. 39405 del 2013 perveniva all'accoglimento del motivo dì ricorso sull'attendibilità della minore, considerando assorbite le altre censure e disponeva l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Roma per nuovo esame. 4. La Corte territoriale con la sentenza oggi impugnata, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva il B. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. 5. Avverso tale decisione ricorre il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Roma denunciando violazione di legge per inosservanza della previsione di cui all'art. 627 comma 3 cod. proc. pen. e contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Considerato in diritto 6. Sussistono i vizi denunciati. La Corte territoriale invero è pervenuta all'assoluzione dell'imputato dopo aver analiticamente esaminato gli elementi evidenziati nella sentenza rescindente e ritenendo del tutto infondate le doglianze della difesa in ordine alla mancanza di disamina delle circostanze poste a sostegno dell'appello dell'imputato. Come giustamente evidenziato dal ricorrente la sentenza impugnata ha anche preso espressa posizione sull'ulteriore elemento avanzato dalla difesa, ovvero la dichiarata omosessualità dell'imputato che avrebbe costituito, in tesi, un ostacolo alla perpetrazione del delitto di cui all'imputazione. In tale complessiva ottica non appare di particolare rilievo la circostanza che i giudici territoriali abbiano ritenuto inconferente il riferimento contenuto nella sentenza di annullamento alle linee scientifiche da seguire per l'analisi del minore dettate dalla carta di Noto, ritenuta non applicabile ratione temporis. La sentenza impugnata ha infatti nel resto sostanzialmente seguito le linee tracciate nella sentenza n. 39405 di questa Corte che aveva ritenuto la sentenza annullata gravemente carente quanto alle risposte che avrebbe dovuto fornire in relazione alle doglianze avanzate dal difensore del B. avverso la sentenza di primo grado, essendosi sottratta alle puntuali censure prospettate in sede di impugnazione. Secondo questa Corte nella citata decisione di annullamento non veniva fornita infatti risposta alle censure avanzate quanto alla valutazione della testimonianza della piccola persona offesa, che doveva essere svolta alla luce delle indicazioni che la giurisprudenza di questa Suprema Corte ha elaborato proprio in riferimento agli abusi sessuali con vittime bambini in tenera età. Infatti se è ben vero - così proseguiva la sentenza con cui è stato disposto il rinvio - che in tali casi il giudice può trarre il proprio convincimento circa la responsabilità penale anche dalle sole dichiarazioni rese dalla persona offesa, sempre che sia sottoposta a vaglio positivo circa la sua attendibilità, senza la necessità di applicare le regole probatorie di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4 che richiedono la presenza di riscontri esterni cfr., per tutte, Sez. 1, n. 29372 dei 27/7/2010, Stefanìni, Rv. 248016 , è stato però stabilito che nel caso di parte offesa dei reati sessuali di età minore è necessario che l'esame della credibilità sia onnicomprensivo e tenga conto di più elementi quali l'attitudine a testimoniare, la capacità a recepire le informazioni, ricordarle e raccordarle ovvero l'attitudine psichica, rapportata all'età, a memorizzare gli avvenimenti e a riferirne in modo coerente e compiuto , nonché il complesso delle situazioni che attingono la sfera inferiore del minore, il contesto delle relazioni con l'ambito familiare ed extrafamiliare e i processi di rielaborazione delle vicende vissute cfr. Sez. 3, n. 39994 del 26/9/2007, Maggioni, Rv. 237952 e Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010, P.C. in proc. R. e altri., Rv. 247740 , essendo necessaria una valutazione rigorosa e neutrale da parte dei giudici delle dichiarazioni rese dai bambini, con l'opportuno aiuto delle scienze che risultano rilevanti nella materia pedagogia, psicologia, sessuologia , al fine di esprimere un giudizio di attendibilità, attraverso una articolata analisi critica - anche e soprattutto - degli elementi probatori di conferma in tal senso si veda la parte motiva della già citata sentenza Sez. 3, n. 29612 del 27/7/2010 . 7. La sentenza impugnata ha certamente colmato detto vuoto motivazionale, pervenendo tuttavia all'assoluzione dell'imputato sulla base di un unico e giustamente definito inedito dal ricorrente elemento rappresentato dal mancato esperimento di una perizia ginecologica sulla minore. La iper valutazione di tale elemento cui la difesa del ricorrente faceva invero solo un rapido, fugace e generico accenno nell'atto di appello a pag. 28 si rilevava infatti solo incidentalmente come la bambina non fosse mai stata sottoposta ad accertamenti ginecologici , induce il Collegio a ritenere sussistente la denunciata violazione dell'art. 627, 3 comma cod. proc. pen., essendosi la Corte territoriale attestatasi su un percorso motivazionale del tutto eccentrico rispetto a quanto indicato dalla sentenza rescindente. Vero è che in caso di annullamento con rinvio per vizio di motivazione il giudice di rinvio resta libero di pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimità ovvero integrando e completando quelle già svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata mentre nella specie il risultato è assolutamente e sorprendentemente difforme tuttavia è stato sul punto osservato che la Corte di cassazione risolve una questione di diritto anche quando giudica sull'adempimento dei dovere di motivazione, sicché il giudice di rinvio, pur conservando la libertà di decisione mediante un'autonoma valutazione delle risultanze probatorie relative al punto annullato, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, restando in tal modo vincolato a una determinata valutazione delle risultanze processuali cfr. Sez. 5. n. 7567 de/ 24/09/2012, Rv. 254830 . Sussiste peraltro anche il vizio di contraddittorietà della motivazione, essendo la impugnata sentenza pervenuta alla sentenza assolutoria sulla base dell'unico elemento del mancato espletamento della perizia ginecologica, senza porlo in alcun modo in raffronto con il complessivo quadro probatorio, peraltro definito imponente dalla stessa Corte territoriale e tale da far ritenere del tutto infondate le doglianze della difesa su cui il giudice di rinvio era unicamente chiamato a pronunciarsi. 8. Si impone pertanto l'annullamento della impugnata sentenza, con rinvio per nuovo esame alla Corte d'appello di Roma. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame alla Corte d'Appello di Roma.