Shaboo: 68 le dosi di metanfetamina, come si può sostenere la lieve entità?

La modifica legislativa che ha trasformato la lieve entità” da circostanza attenuante a effetto speciale a titolo autonomo di reato non influisce sulla struttura della fattispecie che continua a fare riferimento alla quantità e qualità della sostanza, nonché ai mezzi, modalità e circostanze dell’azione, tutti elementi che non devono presentare il carattere dell’abnormità, a pena di escludere la minima offensività.

Questo è il caso di cui si è occupata la Cassazione con la sentenza n. 29800/2015, depositata lo scorso 10 luglio. Il caso. L’imputata era stata condannata con rito abbreviato perché riconosciuta colpevole del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente di tipo metanfetamina shaboo o ice , in quantità utile al confezionamento di n. 68 dosi singole. Gli altri due coimputati concorrenti nel reato erano stati giudicati separatamente. La sentenza del Tribunale trovava conferma dalla Corte d’appello in termini di c.d. doppia conforme e, in particolare, con riferimento alle circostanze dell’acquisto della droga e al ruolo di compartecipe. Per i giudici di merito l’imputata era rimasta sull’autovettura durante l’acquisto materialmente effettuato dagli altri correi e il ruolo di concorrente sarebbe dimostrato dalla presenza in loco. Sovrapponibile era poi l’accertamento del quantitativo complessivo di sostanza stupefacente e la suddivisione in dosi. Attività di spaccio. Per i giudici non era dimostrata la qualità di assuntrice di sostanza stupefacente di talché non poteva invocarsi l’uso personale né sussisteva l’ipotesi del comma 5 dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990 c.d. lieve entità . In proposito la Corte d’appello aveva valorizzato il quantitativo e la gravità della condotta denotante attività di spaccio organizzata seppure rudimentale e, in particolare, la presenza di correi e strumenti idonei al frazionamento. Per la Corte di Cassazione la motivazione del provvedimento impugnato non è manifestamente illogica. Contributo causale. Quanto al ruolo concorsuale, la Suprema Corte ricorda che l’apporto può essere fornito in concreto anche da soggetto che non abbia materialmente commesso o partecipato a commettere il fatto incriminato e anche per la sola presenza sul locus commissi delicti . Connivenza o concorso. È discrimine condiviso quello che distingue la connivenza non punibile dal concorso di persone, confine che è stato chiarito dalla giurisprudenza proprio in riferimento ai reati in materia di stupefacenti. Nel primo caso si ha una condotta meramente passiva dell’agente mentre si ravvisa concorso quando, in qualsiasi modo, l’agente partecipa a realizzare l’illecito, anche solo con l’agevolare o rafforzare il proposito criminoso altrui. In presenza di una doppia conforme e dell’assenza di vizi di legittimità nella motivazione, l’apprezzamento di fatto sviluppato dai giudici di merito non può essere rinnovato dalla Corte di Cassazione il ricorso che si fondi su tale profilo è inammissibile. Uso personale? Analoga conclusione deve raggiungersi riguardo alla finalità illecita che connota la detenzione della sostanza stupefacente. I giudici del fatto hanno valorizzato quantitativo di droga e strumenti deputati al frazionamento e confezionamento nonché l’assenza di indicatori dell’uso personale meramente affermato. Il fine di spaccio deve essere provato dall’accusa. Per vero, la Cassazione riconosce che non spettava all’imputata provare l’uso personale, nel senso che, in osservanza dei principi generali, è la pubblica accusa che deve provare gli elementi costitutivi del reato. Il fine di spaccio è, infatti, elemento costitutivo del reato di illecita detenzione art. 73, d.P.R. n. 309/90 . Tanto però è stato svolto e i giudici hanno ritenuto raggiunta la prova della destinazione illecita della detenzione desumendola dalla quantità di principio attivo nonché dalla modalità di presentazione, peso, confezionamento frazionato. L’apprezzamento di tali parametri è stato adeguatamente motivato, quindi, è insindacabile in sede di legittimità. La ratio dell’ipotesi della lieve entità. Il fondamento razionale della fattispecie attenuata” – che, tuttavia, oggi è titolo autonomo di reato – deriva dal principio di ragionevolezza implicito nell’art. 3 Cost. che impone proporzione tra offensività del fatto e qualità e quantità della pena, come monito, da un lato, per il legislatore in fase di attuazione delle scelte politico-criminali e, quindi, nella definizione delle fattispecie incriminatrici e, dall’altro, per il giudice in fase di giudizio. Il principio sotteso è esplicitato sovente nella legislazione penale, proprio perché di portata generale, dove è considerata la lievità come attenuante in senso proprio o lato. Per vero, anche quando non esplicitamente imposto da norme ad hoc, i mezzi, le modalità o le circostanze dell’azione rilevano ai fini della commisurazione della pena da infliggere in concreto ai sensi dell’art. 133 c.p. Non c’è spazio per la lieve entità. Nel caso analizzato non era accoglibile la prospettata lieve entità” prevista dal comma 5 dell’art. 73, d.P.R. n. 309/90, per la sussistenza della quale occorre accertare una minima offensività penale della condotta, deducibile sotto il profilo qualitativo e quantitativo, nonché dai mezzi, modalità e circostanze dell’azione. Se viene meno anche un solo indice previsto dalla legge, la lieve entità non è configurabile. In altri termini, l’ipotesi più lieve, ad avviso dei giudici di merito, non sussisteva e l’argomentazione in proposito è giudicata dalla Cassazione come satisfattiva, esprimendo il convincimento basato su una attenta e complessiva disamina dei profili della condotta. Nessun novum. Le novità di cui al d.l. n. 146/2013, convertito in legge n. 79/2014 non hanno comportato conseguenze nel caso esaminato. Il provvedimento, infatti, ha trasformato la lieve entità da circostanza attenuante ad effetto speciale a titolo autonomo di reato ma i presupposti per la configurabilità della lieve entità sono rimasti immutati. Identici sono i parametri che caratterizzavano la circostanza attenuante e, oggi, la fattispecie autonoma di reato. Principi cardine rimangono quelli della valutazione congiunta dei parametri normativi mentre rimane ostativo al riconoscimento della lieve entità anche solo un parametro che risulti esorbitante, nel senso di platealmente dimostrativo della non lievità del fatto. Il ricorso, per questi motivi, è giudicato inammissibile per colpa della ricorrente che ha inteso sottoporre alla Corte, in assenza di una motivazione manifestamente illogica, le valutazioni espresse dai giudici di merito chiedendo di sindacarle. La ricorrente è stata quindi sanzionata con la condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 giugno – 10 luglio 2015, n. 29800 Presidente Romis – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto S.M. ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, resa in esito a giudizio abbreviato, l'ha riconosciuta colpevole del reato di detenzione illecita di sostanza stupefacente del tipo metanfetamina [shaboo o ice] [grammi 7,5 lordi, con percentuale di purezza del 96,66%, utile per il confezionamento di 68 dosi medie singole], in concorso con altri due coimputati, separatamente giudicati. La doppia conferma statuizione di responsabilità valorizzava, per quanto interessa, le circostanze dell'acquisto della droga, cui pure materialmente non aveva partecipato l'imputata, rimasto sull'autovettura, durante l'acquisto, il ruolo compartecipativo, dimostrato dalla presenza in loco, il quantitativo complessivo della droga e la suddivisione dello stesso in due bustine, tale da non accreditare la versione difensiva dell'imputata [l'avere dato 50 Euro al coimputato che provvedeva all'acquisto per una porzione di droga da utilizzare per uso personale], la qualità di assuntrice di sostanze stupefacenti non era stata comunque dimostrata. La Corte di merito negava l'ipotesi della lieve entità del fatto valorizzando il quantitativo della droga, ma anche la gravità della condotta, definita come denotante un'attività di spaccio organizzata sia pure rudimentale [sul punto venivano considerate sia la presenza di tre correi, ma anche la disponibilità di strumenti atti al frazionamento della droga, nella disponibilità di uno dei correi]. Con il ricorso si censurano gli argomenti posti a supporto della condanna di cui si sostiene l'insussistenza ai fini di una condanna al di là di ogni ragionevole dubbio. Si ripropone l'assenza di prova del contributo causale e la tesi dell'acquisto per uso personale. Si invoca la qualificazione del fatto ex articolo 73, comma 5, del dpr n. 309 del 1990. Considerato in diritto Il ricorso è manifestamente infondato, perché, al di là della ricchezza degli argomenti spesi in fatto, si è in presenza di una doppia statuizione di responsabilità, assistita da motivazione che non può essere censurata in quanto non è affatto manifestamente illogica e risulta peraltro anche adottata in ossequio ai principi vigenti in materia. La Corte territoriale ha ricostruito il ruolo concorsuale efficiente che, come è noto, può essere fornito anche da chi senza avere materialmente commesso o partecipato a commettere il fatto incriminato con la sua presenza in loco. Ciò in ossequio al principio pacifico secondo cui, in tema di concorso di persone nel reato, mentre la connivenza non punibile postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, si ha concorso nel reato, penalmente rilevante, ogni qualvolta l'agente partecipa in qualsiasi modo alla realizzazione dell'illecito e, quindi, anche quando con la propria presenza agevola o rafforza il proposito criminoso altrui Sezione V, 24 giugno 2008, Venuto . In questa prospettiva, non è in cassazione che può procedersi a rinnovarsi l'apprezzamento sviluppato dal giudice di merito. Ciò vale anche in relazione alla finalità illecita della condotta incriminata [non arbitrariamente desunta dal quantitativo della droga, dal possesso dello strumentario atto a confezionare le dosi] e alla parallela smentita - con argomenti non illogici, siccome desunti principalmente dalle modalità di confezionamento della droga - della tesi dell'acquisto per uso personale. È noto, in proposito che, ai fini della configurabilità del reato previsto dall'articolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, non è la difesa a dover dimostrare l'uso personale della droga detenuta, ma è invece l'accusa, secondo i principi generali, a dover provare la detenzione della droga per uso diverso da quello personale. Infatti, la destinazione della sostanza allo spaccio è elemento costitutivo del reato di illecita detenzione della stessa e, come tale, deve essere provata dalla pubblica accusa, non spettando all'imputato dimostrare la destinazione all'uso personale della sostanza stupefacente di cui sia stato trovato in possesso di recente, Sezione VI, 10 gennaio 2013, Proc. gen. App. Catanzaro in proc. Grillo . Il giudice, in questa prospettiva, in caso di contestazione della detenzione illecita deve prendere in esame, oltre alla quantità di principio attivo, tutti gli indici indicati dalla norma modalità di presentazione, peso lordo complessivo, confezionamento frazionato, altre circostanze dell'azione cfr. ora l'articolo 75, comma 1 bis del dpr n. 309 del 1990 . L'apprezzamento sviluppato è incensurabile laddove assistito da adeguata motivazione. Ciò che qui deve ritenersi, non essendovi spazio per la lettura alternativa, opinabile, offerta nel ricorso, avendo il giudice, del resto in modo conforme rispetto alla decisione di primo grado, considerate come significative le suindicate circostanze fattuali. In questa prospettiva, anche il profilo del possibile uso personale, proposto già in sede di merito, ha trovato una risposta non illogica. Inaccoglibile è la doglianza relativa al fatto di lieve entità. Il giudicante ha fatto corretta e logica applicazione del principio in forza del quale, in tema di sostanze stupefacenti, il fatto di lieve entità articolo 73, comma 5, del dpr 9 ottobre 1990 n. 309 può essere riconosciuta solo in ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia dal dato qualitativo e quantitativo, sia dagli altri parametri richiamati dalla norma mezzi, modalità e circostanze dell'azione , con la conseguenza che, ove venga meno anche uno soltanto degli indici previsti dalla legge, diviene irrilevante l'eventuale presenza degli altri. Ciò in quanto la finalità dell'attenuante si ricollega al criterio di ragionevolezza derivante dall'articolo 3 della Costituzione, che impone - tanto al legislatore, quanto all'interprete - la proporzione tra la quantità e la qualità della pena e l'offensività del fatto Sezione IV, 13 maggio 2010, Lucresi . Qui, il giudicante ha ampiamente motivato sulle ragioni che deponevano per l'insussistenza dell'attenuante e il relativo giudizio regge al vaglio di legittimità anche a fronte di motivazione sicuramente satisfattiva, siccome basata su una complessiva ed attenta disamina dei diversi profili della condotta, con conseguente valorizzazione negativa - nei termini suindicati - di quelli ritenuti significativi, con particolare riguardo al quantitativo della droga, ma senza trascurare la riferita pericolosità della condotta. Nessuna conseguenza, sotto questo specifico profilo, deriva dal novum normativo introdotto dal decreto legge 23 dicembre 2013 n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014 n. 10, con scelta confermata dal decreto legge n. 36 del 2014, convertito dalla legge n. 79 del 2014, in forza del quale quella che prima era, pacificamente, una circostanza attenuante, è stata trasformata in reato autonomo. Infatti, i presupposti del reato autonomo sono rimasti quegli stessi che potevano giustificare [o, per converso, negare] la concessione dell'attenuante. Va affermato con chiarezza, infatti, che nella ricostruzione della nuova fattispecie autonoma di reato sono utilizzabili gli stessi parametri che caratterizzavano la previgente previsione di circostanza attenuante. Il fatto di lieve entità , cioè, deve essere apprezzato considerando i mezzi, le modalità e le circostanze dell'azione nonché la qualità e quantità delle sostanze stupefacenti, riproponendo l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza, che vale tuttora per cogliere il proprium anche della nuova fattispecie di reato. I principi cardine, in proposito, sono quelli della valutazione congiunta dei parametri normativi e della rilevanza ostativa anche di un solo parametri quando risulti esorbitante e cioè chiaramente dimostrativo della non lievità del fatto. La valutazione congiunta, infatti, consente di apprezzare, in modo equilibrato, il fatto in tutte le sue componenti, senza peraltro trascurare le connotazioni particolari che assumono, nel concreto, i singoli parametri di riferimento. Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa della ricorrente Corte Cost., sent. 7-13 giugno 2000, n. 186 , consegue la condanna della ricorrente medesima al - pagamento delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille Euro, in favore della cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di 1.000,00 Euro in favore della cassa delle ammende.