Il divieto di reformatio in pejus copre anche le quote intermedie di pena

Il divieto sancito dall’art. 597, comma 4, c.p.p., risulta violato qualora il giudice di appello, pur diminuendo complessivamente la pena, a seguito di assoluzione parziale da un capo di imputazione ovvero di eliminazione di una circostanza aggravante che influiva sul calcolo della pena finale, operi un diverso computo delle pene intermedie per effetto del vincolo della continuazione in misura maggiore rispetto a quanto previsto dal giudice di primo grado.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 17113/15 depositata il 24 aprile. Il caso. La Corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava l’imputato per il reato di atti sessuali con minorenni, commesso a danno della nipote e, assolvendolo però dalle condotte poste in essere dopo il settembre 2007, riduceva la pena originariamente inflittagli. L’imputato propone ricorso in Cassazione, articolando plurimi motivi di doglianza. Motivi inammissibili. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione delle norme processuali in tema di valutazione delle prove, per aver il giudice di merito ritenuto credibile la vittima degli abusi nonostante la minore età. La doglianza, risultando improntata ad una rivalutazione degli atti processuali, risulta inammissibile. Stessa sorte per il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente si duole per il mancato riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità. La Cassazione ribadisce i principi giurisprudenziali relativi alle condizioni necessarie per il riconoscimento dell’attenuante in parola, in materia di reati contro la libertà sessuale, tra cui assume rilevanza la valutazione complessiva del fatto, con riferimento anche alle modalità esecutive della condotta, ai mezzi adoperati, al livello di coartazione esercitato sulla vittima e all’incidenza del danno ad essa arrecato, principi a cui la Corte sarda si è adeguatamente conformata. Il divieto di reformatio in pejus. Fondato risulta invece l’ultimo motivo di ricorso afferente alla violazione del divieto di reformatio in pejus , in cui sono incorsi i giudici dell’appello nella rimodulazione della pena per effetto della minore durata della condotta. La giurisprudenza ha più volte affermato che il divieto sancito dall’art. 597, comma 4, c.p.p., risulta violato qualora il giudice di appello, pur diminuendo complessivamente la pena, a seguito di assoluzione parziale da un capo di imputazione ovvero di eliminazione di una circostanza aggravante che influiva sul calcolo della pena finale, operi un diverso computo delle pene intermedie per effetto del vincolo della continuazione, in misura maggiore rispetto a quanto previsto dal giudice di primo grado. Il divieto di reformatio in pejus trova dunque applicazione anche nel calcolo delle componenti intermedie della pena, come risulta dall’art. 597, c.p.p., comma 4, quale conseguenza della necessità di superare quell’indirizzo giurisprudenziale, formatosi sotto il vigore dell’art. 515 c.p.p. abrogato, in forza del quale, anche nella ipotesi di accoglimento dell’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti unificati ex art. 81 c.p., la pena poteva restare in concreto immutata elevando le componenti intermedie di computo del trattamento sanzionatorio . Nel caso in esame, la Corte territoriale, assolvendo parzialmente l’imputato, ha diminuito la pena complessiva, tuttavia tale risultato è stato conseguito riducendo la pena base ma contemporaneamente innalzando la quota di aumento derivante dalla continuazione per tutte le condotte comprese nel periodo di tempo considerato. L’operazione così effettuata, pur portando ad una pena complessiva inferiore rispetto a quella sancita in primo grado, si configura come violazione del divieto di reformatio in pejus a causa dell’intervento di variazioni nel calcolo intermedio, peggiorative rispetto alla situazione iniziale. Per questi motivi, la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aumento di pena per la continuazione del reato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Cagliari.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 dicembre 2014 – 24 aprile 2015, n. 17113 Presidente Squassoni – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza dell'8 maggio 2014 la Corte di Appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l'Udienza Preliminare del Tribunale di quella città del 13 febbraio 2013 emessa nei confronti di C.G. , imputato del reato di cui all'art. 609 quater commi 1 nn. 2 e 5 e 2 cod. pen., con la quale lo stesso era stato condannato alla pena di anni quattro e mesi dieci di reclusione, assolveva il detto imputato dalle condotte poste in essere dopo il settembre 2007 perché il fatto non sussiste e riduceva, per l'effetto, l'originaria pena infintagli dal G.U.P. ad anni quattro di reclusione, confermando nel resto, comprese le statuizioni civili. 1.2 La Corte distrettuale ricostruiva dettagliatamente i tratti della vicenda, confermando la decisione in punto di responsabilità - limitatamente alle condotte verificatesi fino al mese di agosto 2007 - sulla base di plurimi dati probatori tra loro incrociati e che possono così sintetizzarsi a la provata attendibilità della minore abusata b le dichiarazioni dei congiunti adulti - la madre, il padre separato dalla moglie da anni ma affettivamente assai legato e vicino alla figlioletta, al pari del proprio coniuge , la nonna, il compagno della madre e l'ex compagna del padre - ai quali la bambina, dopo il raggiungimento dei dodici anni, aveva gradatamente confidato gli abusi subiti ad opera dello zio c l'esito dell'incidente probatorio d la constatata assenza di condizionamenti da parte degli adulti nei riguardi della giovanissima vittima e l'elevata genuinità delle dichiarazioni e la precisione dei racconti riferiti con grande serenità e cognizione di causa f la relazione della pedagogista che aveva avuto in cura la bambina per circa quattro anni. Quanto alle testimonianze addotte dalla difesa, la Corte confermava i giudizi negativi già espressi dal Tribunale per la genericità delle loro dichiarazioni. La Corte territoriale escludeva, poi, la possibilità che venisse riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di minore gravità, tenuto conto delle modalità della condotta, della loro invasività e soprattutto delle gravi conseguenze patite dal minore sia sul piano della sua sessualità che sul piano relazionale con il mondo degli adulti. Veniva anche esclusa la possibilità di concedere le attenuanti generiche in termini di prevalenza rispetto alle aggravanti. 1.3 Avverso la sentenza propone ricorso l'imputato personalmente, articolando quattro motivi a nullità della sentenza per inosservanza delle norme processuali in tema di valutazione delle prove con riferimento alla confermata credibilità della minore abusata e vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in ordine alla affermata sussistenza del reato b inosservanza dell'art. 192 cod. proc. pen. e vizio di motivazione per mancanza e/o apparenza della motivazione e sua contraddittorietà in riferimento al confermato giudizio di colpevolezza per le condotte comprese tra il giugno 2006 ed il settembre 2007, anche in considerazione dell'incerto tenore delle dichiarazioni rese dalla stessa parte offesa in ordine all'epoca di cessazione degli abusi sessuali e vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità in ordine al diniego della circostanza attenuante speciale del caso di minore gravità d violazione di legge per inosservanza dell'art. 597 cod. proc. pen., perché la Corte, pur avendo ridotto la pena in conseguenza dell'esclusione dei fatti commessi dopo il settembre 2007, aveva però, in sede di rideterminazione della pena, applicato sulla pena base ricalcolata un aumento per la continuazione in misura nettamente superiore un anno rispetto a quella ritenuta dal Tribunale allo stesso titolo tre mesi , così incorrendo nel divieto di reformatio in pejus . Considerato in diritto 1. Il ricorso va accolto in parte per le ragioni che seguono. Come premessa in fatto va ricordato che all'odierno ricorrente viene contestato il delitto p. e p. dagli artt. 81 cpv. 609 quater commi nn. 1 e 5 e 2 cod. pen. per avere compiuto atti sessuali con la minore infradecenne C.S. nipote ex fratre in un periodo di tempo compreso tra il ed il omissis . Tali atti erano consistiti in cunnilingus ripetuti con la nipotina di appena sei anni morsi nel culetto strofinamenti delle zone genitali della bambina toccamenti manuali nelle parti intime ed erano proseguiti per alcuni anni fin quando la bambina non aveva raggiunto l'età pubere. 1.1 La prima censura concerne il giudizio di attendibilità intrinseca della minore che, giudicata elevata dal giudice di merito, doveva invece considerarsi compromessa dai vari suggerimenti degli adulti appartenenti alla sua cerchia familiare di riferimento con i quali la bambina, dopo le sue prime rivelazioni, era entrata in contatto. Prosegue il ricorrente rilevando che, tenuto conto della notevole distanza temporale tra l'insorgenza degli abusi ed il momento delle dichiarazioni endoprocedimentali, la Corte di merito avrebbe dovuto approfondire con il dovuto rigore il tema della credibilità del racconto, verificandola alla luce delle incertezze e contraddizioni che lo avevano caratterizzato. Secondo il ricorrente la Corte di merito sarebbe incorsa in una ulteriore omissione nel processo di valutazione delle prove, non annettendo importanza a quanto riferito dai testi addotti dalla difesa i quali, a più riprese, avevano dichiarato di non avere mai assistito a quegli indebiti contatti, talvolta a mò di gioco, tra zio e nipotina. 1.2 Si tratta di censure che, globalmente considerate, sono improntate ad una rilettura degli atti improponibile nel giudizio di legittimità. Ed in ogni caso va dato atto che il giudice di appello, di fronte ad una vicenda che aveva quali protagonisti lo zio e la nipotina la quale vedeva nel congiunto un sostituto della figura paterna in relazione alla intervenuta separazione dei genitori verificatasi quando la bambina aveva pochi anni di vita, ha scrutinato con estrema attenzione e cura tutti gli elementi di prova raccolti, mettendo a confronto sia le dichiarazioni della minore in sé considerate, sia queste rispetto alle dichiarazioni degli adulti cui la bambina, di volta in volta, aveva rivolto le prime confidenze. Ne è sortito un giudizio complessivo omogeneo ed accurato in cui è da escludere che lo stesso sia stato il frutto di valutazioni superficiali o affrettate o, peggio ancora, apodittiche. 1.3 La Corte ha tenuto conto del percorso sofferto della minore nel cercare di rievocare e ricostruire quanto accadutole e nella rielaborazione del suo dramma interiore, cogliendo l'essenza del racconto rappresentata dalla acquisita consapevolezza da parte della giovanissima S. che quelli che in un primo tempo la stessa, prepubere, aveva visto come giochini affettuosi e scherzosi accettandoli, con il passare degli anni, grazie alla progressiva conoscenza di alcuni aspetti della materia sessuale illustratile dalla madre, aveva compreso nel loro pieno disvalore fino a vergognarsene, riuscendo, posi con grandi sforzi a rimuoverli dalla propria mente. 1.4 In questo senso la Corte ha opportunamente dato rilevanza ai risultati del supporto pedagogico apprestato alla minore dallo specialista la Dott.ssa P. che la aveva avuto in cura per circa quattro anni a far data dal 2005, per sopperire a disturbi nell'apprendimento manifestati dalla bambina all'età di circa otto anni, enucleando gli elementi utilizzati per ribadire il grado di capacità a ricordare e narrare della bambina e valorizzare la consapevolezza di sé. 1.5 È dunque da escludere che la Corte di merito si sia acriticamente appiattita sulle considerazioni svolte dal primo Giudice, essendosi, invece, diffusamente soffermata su tutti gli elementi probatori in suo possesso, rivisitandoli anche alla luce delle doglienze sollevate dall'appellante e rispondendo puntualmente ad esse, senza peraltro enfatizzare quelle discordanze, pur colte nel narrato della bambina che, ben a ragione, sono state ritenute irrilevanti nell'economia complessiva del racconto e non in grado di intaccarne la credibilità. La Corte ha anche escluso che da parte della minore vi fosse un rancore manifesto verso lo zio, semmai evidenziando quel senso di frustrazione e delusione per avere perso dal punto di vista relazionale ed affettivo una figura di riferimento alla quale, almeno inizialmente, aveva annesso una importanza decisiva nel proprio percorso di crescita. 2. Anche il secondo motivo non può essere condiviso afferma il ricorrente che la Corte, disinteressandosi e sottovalutando le incertezze narrative della minore che non è stata in grado di confermare se gli abusi fossero cessati all'epoca in cui la bambina frequentava la 5A classe elementare ovvero la 1^ media inferiore, non avrebbe dato credito alla tesi difensiva secondo la quale la cessazione degli abusi sarebbe coincisa con il momento in cui il fratello dell'imputato CO.St. , padre della minore si era trasferito in Inghilterra estate del 2006 . Da qui la censura di manifesta illogicità per avere il giudice distrettuale ricompreso le condotte penalmente rilevanti nell'arco temporale intercorrente tra la data del e la data del omissis epoca in cui la bambina aveva iniziato a frequentare la 2^ media inferiore e non invece all'anno . 2.1 Il giudice di appello, nel rievocare la complessa vicenda come ricostruita anche nelle sue sequenze temporali dal G.U.P. ha effettivamente accennato ad una data 2006 coincidente con il trasferimento di CO.St. padre della minore in Inghilterra dove si sarebbe trattenuto per circa un anno, per poi rientrare a , città in cui è riseduto nel periodo successivo vds. pag. 4 della sentenza impugnata . Ma quando la Corte ha inteso ricostruire l'arco temporale di commissione degli abusi, non ha fatto riferimento soltanto alle indicazioni della giovanissima S. , ma anche a quelle dirette di CO.St. che ha precisato di avere proseguito ad abitare a S. la casa estiva in cui gli abusi sarebbero avvenuti fino all'estate del 2007, sicché quella iniziale incertezza manifestata dalla minore nei suoi ricordi relativi all'epoca di cessazione degli abusi è stata definitivamente superata attraverso la cognizione diretta della data di allontanamento del padre della minore dall'Italia. Ed allora nessuna manifesta illogicità o contraddittorietà può cogliersi nella decisione della Corte di aver dato rilevanza - come è logico che fosse - alle dichiarazioni peraltro giudicate disinteressate del padre in merito al suo trasferimento, che si pongono come riscontro di completamento rispetto al racconto della minore. 2.2 È noto, infatti, che può parlarsi di manifesta illogicità solo quando l'incoerenza sia evidente, ovvero di livello tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, Petrella, Rv. 226074 Sez. 3A 12.10.2007 n. 40542, Marrazzo e altro, Rv. 238016 . IL ragionamento seguito dalla Corte di merito è in linea con i criteri ermeneutici sopra illustrati. 3. Si profila corretta e coerente con i principi da tempo elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema in tema di riconoscimento della circostanza della minore gravità di cui al comma 4 dell'art. 609 quater cod. la decisione del giudice distrettuale confermativa del diniego della circostanza attenuante speciale. 3.1 Va ricordato, in proposito, che in materia di reati contro la libertà sessuale, la circostanza attenuante prevista dall'art. 609 bis cod. pen. per i casi di minore gravità deve considerarsi applicabile in tutte quelle fattispecie in cui, tenuto conto dei mezzi, delle modalità esecutive e delle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale della vittima sia stata compressa in maniera non grave Sez. 3^ 8.5.2000 n. 9528, Nitti C, Rv. 217708 . I parametri, infatti, dei quali occorre tenere conto ai fini della concedibilità di tale attenuante sono quelli previsti dall'art. 133 comma 1 del codice penale sub nn. 1 , 2 e 3 e non quelli indicati nel comma successivo in termini Sez. 3^ 26.10.2011 n. 45692, B., Rv. 251611 . Trattasi quindi di una circostanza attenuante che valorizza l'oggettività della condotta, rientrando nei compiti del giudice di merito quello di individuare gli elementi considerati rilevanti per la soluzione adottata e di rendere una motivazione puntuale che, se corretta, non è sindacabile in sede di legittimità. Quel che rileva in materia è, come ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità, una valutazione globale del fatto riferita ai mezzi adoperati, alle modalità esecutive della condotta, al livello di coartazione esercitato sulla vittima, alle sue condizioni psico-fisiche in vista di una verifica del grado di compressione più o meno rilevante della libertà sessuale e della incidenza del danno arrecato anche in termini psichici V. Sez. 3^ 13.11.2007 n. 45604 . Ed in ogni caso, ai fini del riconoscimento o meno dell'attenuante in parola, è stata esclusa dalla giurisprudenza di questa Corte la rilevanza della natura ed entità dell'abuso, essendo necessario invece valutare il fatto nel suo complesso secondo quegli indici sopra enunciati Sez. 3^ 5.2 2009 n. 10085 . 3.2 La Corte di Cagliari si è uniformata ai detti criteri e, nella descrizione della natura dell'atto, ha prestato attenzione non alla sua tipologia ed alla qualità, quanto alla sua invasività nella sfera sessuale della minore ed al grado di turbativa esercitata nella sua psiche di giovanissima prepubere è stata, altrettanto correttamente, evidenziata quale segno negativo l'età della minore fascia compresa tra i sei ed i dieci anni la reiterazione della condotta l'intensità del dolo. La Corte di appello, nel fare riferimento al contesto spazio-temporale, si è, dunque, basata sugli indici di tipo oggettivo, opportunamente distinguendoli da quelli di tipo soggettivo utilizzati, invece, per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche sia pure nei termini di equivalenza come fissati dal primo giudice. 4. È invece, fondato l'ultimo motivo afferente alla violazione del divieto di reformatio in pejus in cui è incorsa la Corte distrettuale nel rimodulare la pena per effetto della minore durata degli abusi come circoscritta nel giudizio di appello più volte è stato affermato il principio che viola il divieto stabilito dall'art. 597 comma 4 cod. proc. il giudice di appello che, pur diminuendo complessivamente la pena, a seguito di assoluzione parziale da un capo o più di imputazione ovvero di eliminazione di una circostanza aggravante che abbia influito sul calcolo della pena finale, operi un diverso computo delle pene intermedie per effetto del vincolo della continuazione, in misura maggiore rispetto a quella fissata dal giudice di primo grado Sez. 2^ 5.4.2012 n. 28042, Vannucci, Rv. 253245 v. anche Sez. 2^ 18.10.2013, n. 45973, A., Rv. 257522 Sez. 2A 15.10.2013 n. 44332, Ardizzone e altri, Rv. 257444 . 4.1 È peraltro noto che l'applicazione del principio del divieto di reformatio in peius anche nel calcolo delle componenti intermedie della pena ad es. la recidiva , desumibile dall'innovazione normativa rispetto al previgente cod. proc. pen. costituita dall'art. 597 c.p.p., comma 4, deriva dall'esigenza di superare quell'indirizzo giurisprudenziale, formatosi sotto il vigore dell'art. 515 cod. proc. pen. abrogato, in forza del quale, anche nella ipotesi di accoglimento dell'appello dell'imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti unificati ex art. 81 cpv. cod. pen., la pena poteva restare in concreto immutata elevando le componenti intermedie di computo del trattamento sanzionatorio. in proposito si veda la puntuale ricostruzione sui diversi indirizzi operata dalle SS.UU. con la sentenza 27.9.2005 n. 40910, Morales, Rv. 232066, poi richiamata dalla decisione delle S.U. n. 33752 del 18.4.201, Paola, Rv. 255660, seppure riguardante un caso diverso . Ritiene il Collegio di far proprio l'orientamento espresso dalla sentenza Morales, pur nella consapevolezza della non uniforme giurisprudenza pronunciatasi in seguito. 4.2 Nel caso in esame, la Corte di Appello, dopo aver proceduto ad una assoluzione parziale del C. dall'imputazione originaria per le condotte successive al settembre 2007, ha, in effetti, diminuito la pena complessiva, riducendola dagli iniziali quattro anni e dieci mesi di reclusione ad anni quattro. Tuttavia, nell'operazione di rideterminazione della pena complessiva, il giudice distrettuale, dopo avere diminuito la pena base, portandola dagli originari anni sette di reclusione fissati dal G.U.P. ad anni cinque, ha poi proceduto ad innalzare la quota di aumento derivante dalla continuazione interna per tutte le condotte comprese tra il 2003 e l'estate del 2007, portandola dagli originari tre mesi ad un anno, senza, oltretutto, dare conto della ragione per la quale la quota di aumento era stata incrementata. Siffatta operazione, a giudizio del Collegio, va configurata come violazione del divieto di reformatio in pejus in quanto, seppure la pena finale nel complesso sia stata diminuita, sono state operate variazioni nel calcolo intermedio peggiorative rispetto alla situazione iniziale così come dianzi precisato. 5. Ne consegue l'annullamento in parte qua della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari, che, nel determinare l'aumento di pena per la continuazione, dovrà attenersi ai principi di diritto enunciati da questo Collegio. Nel resto il ricorso va rigettato. 6. Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile nel grado che si liquidano in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'aumento per la continuazione con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Cagliari. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile nel grado liquidate in complessivi Euro 3.000,00 oltre accessori di legge.