Evasione dai domiciliari: fuga scusata, e dopo?

Nel reato di evasione dagli arresti domiciliari, il protrarsi della condotta elusiva della situazione di coercizione personale non incide sulla già avvenuta consumazione del reato, determinata dall’autosufficiente iniziale condotta elusiva. Da ciò discende che il reato non può essere atomizzato in momenti separati e distinti da una parte, quello della fuga, dall’altra, il perdurare dell’allontanamento.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza n. 14037, depositata il 3 aprile 2015. Il caso. Il Tribunale di Lanciano condannava un imputato per il reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari. Due agenti di polizia si erano recati presso la dimora per verificare l’osservanza della misura cautelare e trovavano l’uomo regolarmente in casa. Durante il controllo, erano sopraggiunti altri tre agenti, per eseguire un ordine del pm di accompagnamento dell’uomo in commissariato per esaminarlo come persona informata su fatti di rilievo penale. L’imputato chiedeva spiegazioni, ma senza successo in seguito, prima manifestava l’intenzione di chiamare l’avvocato, poi cambiava idea e accettava di recarsi in commissariato e di salire a bordo dell’auto di servizio. Tuttavia, mentre un agente apriva la porta della macchina, l’uomo lo spingeva a terra e scappava. Tre giorni dopo veniva rintracciato ed arrestato. La Corte d’appello dell’Aquila, confermando la condanna ma riducendo la pena, rilevava che l’ordine del pm riguardava una querela presentata dallo stesso imputato per ingiurie e minacce ricevute. Da tale querela, era scaturito un separato procedimento penale il commissariato di Lanciano chiedeva al pm l’autorizzazione a tradurre in commissariato l’uomo, al momento agli arresti domiciliari, per raccoglierne le dichiarazioni in qualità di persona offesa. Secondo i giudici d’appello, l’ordine di accompagnamento era illegittimo, perché effettuato al di fuori delle condizioni previste dall’art. 377 c.p.p. necessità di previa citazione a comparire e del previo assenso dell’A.G. disponente la misura cautelare domiciliare . Tuttavia, questa illegittimità non poteva essere sindacata dall’imputato, cui non era consentito sottrarsi all’esecuzione dell’atto. Considerando, però, che il provvedimento del pm non era stato mostrato all’imputato e che era un dato credibile” che gli sia stato impedito di telefonare al suo avvocato , veniva ipotizzata la possibilità che il comportamento degli agenti potesse avere indotto la convinzione nell’imputato del pericolo di un’azione indebita a suo danno, cui aveva ritenuto di sottrarsi con la fuga. Queste evenienze potevano però coprire da esimente putativa l’immediata fuga, non il protrarsi della situazione elusiva della misura cautelare. Infatti, sarebbe dovuto rientrare in casa, mettendosi in contatto con il difensore e chiedendo informazioni presso la Procura della Repubblica. La prosecuzione della fuga non aveva scusanti ed integrava così il reato di evasione. L’imputato ricorreva in Cassazione, deducendo di essere scappato dopo essere stato condotto coattivamente dagli agenti fuori dalla sua abitazione, abbandonata perciò contro la sua volontà. A giudizio del ricorrente, il reato di evasione si consuma immediatamente con l’allontanamento volontario dal luogo in cui il soggetto si trova ristretto. Inoltre, contestava la ritenuta non applicabilità del suo esercizio al diritto di difesa, nonostante il riconoscimento dell’illegittimità dell’azione degli agenti. Affermava di essere scappato perché costretto dalla necessità di sottrarsi ad un’imminente ingiusta offesa alla propria libertà metteva in risalto la contraddizione del ragionamento dei giudici d’appello, secondo cui era sussistente la scriminante putativa dello stato di necessità al momento della fuga, escludendola invece per il protrarsi dalla fuga e la duratura assenza dalla sede degli arresti domiciliari. Reato istantaneo. La Corte di Cassazione ricorda che la fattispecie di evasione da una misura coercitiva domiciliare cautelare o esecutiva costituisce un reato istantaneo punito a titolo di dolo generico. Ogni volontario allontanamento dal luogo di restrizione domestica perfeziona il reato di evasione, non assumendo rilievo la durata dell’allontanamento, la distanza dello spostamento o i motivi della condotta. Questo delitto è stato definito come un reato istantaneo con effetti permanenti, nel senso che la lesione del bene protetto l’interesse dello Stato al mantenimento del regime di restrizione , cessa quando l’evaso ritorna nel luogo da cui non doveva allontanarsi. Tuttavia, quella degli effetti permanenti caratterizzanti il reato istantaneo di evasione è una formula soltanto descrittiva, sfornita di concrete valenze definitorie della condotta tipizzata dalla norma incriminatrice . La condotta non si differenzia in momenti diversi. Perciò, nel reato di evasione il protrarsi della condotta elusiva della situazione di coercizione personale non incide sulla già avvenuta consumazione del reato, determinata dall’autosufficiente iniziale condotta elusiva. Da ciò discende che il reato non possa essere atomizzato, in momenti separati e distinti da una parte, quello della fuga, dall’altra, il perdurare dell’allontanamento. Il persistere della situazione di fatto dell’allontanamento rientra tra gli accidentalia delicti , suscettibili di influire sul giudizio di gravità della condotta lesiva, ma non di incidere sul delitto di evasione, già perfezionato, cui sussegue la diversa condizione della latitanza, la quale, anche se richiede un formale provvedimento dichiarativo, è integrata, sul piano storico e giuridico, da una mera situazione di fatto rappresentata dal solo volontario sottrarsi del soggetto evaso ad un provvedimento restrittivo della libertà personale. Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva ritenuto illegittimo il provvedimento del pm, giungendo a ritenere coperta da esimente putativa l’immediata fuga del ricorrente. Al contrario, aveva confermato la condanna per l’asserita seconda fase della condotta del ricorrente, il quale, invece di protrarre l’assenza dopo la fuga, sarebbe dovuto rientrare in casa e ripristinare il corso della misura cautelare in atto. L’errore dei giudici di merito era stato proprio lo sdoppiamento in due sequenze cronologicamente distinte dell’unitaria condotta di evasione contestata. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso e rimanda la decisione ai giudici di merito, invitandoli anche a fare applicazione del principio di diritto secondo cui, in tema di stato di necessità, pure le condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo integranti i presupposti di operatività della causa esimente possono costituire oggetto dell’errore cui è subordinata la configurabilità della scriminante stessa sotto il profilo putativo.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 settembre 2014 – 3 aprile 2015, n. 14037 Presidente Agrò – Relatore Paoloni Fatto e diritto 1. Con sentenza resa il 2.8.2012 all'esito di giudizio direttissimo il Tribunale di Lanciano ha dichiarato I.M. colpevole del reato di evasione dal regime cautelare degli arresti domiciliari nell'abitazione della sua convivente C.S. , condannandolo alla pena di due anni e sei mesi di reclusione nonché alla pena di un mese di arresto ed Euro 100 di ammenda per il reato di porto ingiustificato di un coltello sequestratogli all'atto dell'arresto dopo tre giorni di latitanza . L'illecita condotta dell'imputato è così ricostruita dalla sentenza. Il omissis due agenti di una volante della Polizia G.P. e R.R. si recano presso la dimora della C. per verificare l'osservanza della misura cautelare domestica applicata al suo convivente I.M. , che è trovato regolarmente in casa. Mentre è in corso il controllo sopraggiungono nell'abitazione altri tre agenti del locale Commissariato per eseguire un ordine del p.m. di accompagnamento dello I. negli uffici di polizia per esaminarlo quale persona informata su fatti di rilievo penale. Alla richiesta di spiegazioni dello I. gli agenti del Commissariato non forniscono adeguate risposte e la circostanza allarma il prevenuto. Questi, dopo aver manifestato l'intenzione di chiamare il suo avvocato per chiedergli consigli su come comportarsi, desiste da tale intento per ragioni che la sentenza reputa non pienamente decifrabili per sua stessa volontà, ovvero per l'intervento della C. , ovvero ancora perché ciò gli viene impedito dall'agente A. che gli toglie di mano il cellulare , accoglie l'invito a recarsi con gli agenti in commissariato e a salire a bordo dell'autovettura di servizio rimasta in sosta nell'angusto vicolo sottostante l'abitazione. Tuttavia, all'atto di entrare in auto mentre l'agente G. gli apre la portiera posteriore della vettura, lo I. con mossa repentina spinge da tergo l'agente, facendolo cadere a terra e dandosi a precipitosa fuga vanamente inseguito dal G. e dagli altri poliziotti. È rintracciato e arrestato soltanto tre giorni dopo in un ristorante della riviera adriatica in compagnia della sua convivente. 2. Giudicando sull'impugnazione dello I. , la Corte di Appello dell'Aquila con sentenza del 13.2.2013 ha confermato la penale responsabilità dell'imputato per l'ascritto reato di evasione, ma ha ritenuto di ridurre la pena infittagli, concedendogli le circostanze attenuanti generiche stimate equivalenti alla contestata aggravante ex art. 385 co. 2 c.p. e fissando la pena in dieci mesi di reclusione. 2.1. La Corte distrettuale ha proceduto ad una rinnovata analisi delle emergenze processuali anche alla luce delle produzioni documentali della difesa dell'appellante, munitasi di copia del c.d. ordine di accompagnamento in commissariato dello I. redatto dal p.m. I giudici di appello hanno constatato che l'ordine del p.m. discende da una querela presentata dallo stesso I. per ingiurie e minacce ricevute da un familiare. Querela da cui è scaturito un separato procedimento penale nel cui ambito il Commissariato di P.S. di Lanciano, organo delegato dal p.m. allo svolgimento delle indagini, il 25.7.2012 ha chiesto allo stesso p.m. l'autorizzazione a tradurre in commissariato lo I. , in stato di arresti domiciliari per altra causa, per raccoglierne le dichiarazioni quale persona offesa. Richiesta recepita dal procedente p.m., che il 26.7.2012 ha autorizzato il detto accompagnamento con nota stesa in calce alla richiesta di p.g. e recante espresso richiamo all'art. 22 disp. att. c.p.p 2.2. Ciò chiarito, la Corte di Appello ha - per un verso - considerato senz'altro illegittimo l'ordine di accompagnamento che gli agenti del Commissariato si sono recati ad eseguire nel domicilio dell'imputato, perché effettuato al di fuori delle condizioni previste dall'art. 377 c.p.p. necessità di previa citazione a comparire necessità del previo assenso dell'A.G. disponente la misura cautelare domiciliare nei confronti dello I. nel caso di specie il g.i.p. del Tribunale di Sulmona . Tale pur palese illegittimità, tuttavia, non poteva essere sindacata dallo I. cui non era consentito sottrarsi all'esecuzione dell'atto solo l'adozione di un provvedimento extra ordinem, giuridicamente inesistente, potrebbe legittimare la reazione del privato e non già la sua possibile illegittimità . Integra il reato di evasione ovvero la condizione di latitanza il fatto di sottrarsi ad una misura coattiva che sia poi annullata perché illegittima lo I. non poteva rifiutarsi di seguire gli agenti che esercitavano un potere legittimo, rientrando nella potestà del p.m. di disporre l'accompagnamento coattivo indipendentemente dalla correttezza formale e sostanziale del provvedimento . Per altro e congiunto verso la Corte abruzzese, assumendo come dato certo il fatto che il provvedimento del p.m. accompagnamento disposto/autorizzato dal p.m. non sia stato mostrato all'imputato e come dato credibile che gli sia stato impedito di telefonare al suo avvocato, ipotizza la possibilità che tale indebito comportamento degli agenti possa avere indotto nello I. , in quel momento, la convinzione del pericolo di una azione indebita in suo danno , cui avrebbe ritenuto di sottrarsi con la fuga. 2.3. Nondimeno tali evenienze, secondo i giudici del gravame, se erano idonee a definire coperta da esimente putativa l'immediata fuga dello I. , non possono giustificare il protrarsi della situazione elusiva della misura cautelare domestica. I. , rientrando nella sua dimora, aveva la possibilità di mettersi in contatto con il suo difensore, di assumere informazioni presso la Procura della Repubblica di Lanciano e di accertare l'effettiva esistenza dell'ordine di accompagnamento in commissariato. La prosecuzione della fuga non ha trovato scusanti ed ha posto il prevenuto nella condizione di latitanza. Sicché la stessa ha integrato il contestato reato di evasione. 3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il difensore di I.M. che, dopo pedissequa trasposizione dei motivi di appello contro la sentenza del Tribunale di Lanciano, ha dedotto i vizi di violazione di legge e di carenza e manifesta illogicità della motivazione di seguito riassunti. 3.1. Erronea applicazione dell'art. 385 c.p. e difetto di motivazione sull'addotta insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo del reato di evasione. L'imputato si è dato alla fuga quando era stato già condotto coattivamente dagli agenti di p.s. fuori della sua abitazione, che ha quindi abbandonato contro la sua volontà. È dato pacifico che il reato di evasione si consuma immediatamente con l'allontanamento volontario dal luogo in cui il soggetto agente trovasi ristretto. Nel caso in esame gli agenti di polizia hanno dato esecuzione ad un ordine abnorme e illegittimo del p.m. che non disponeva di alcun potere ex art. 377 c.p.p. per ordinare l'accompagnamento coattivo di una persona informata sui fatti. 3.2. Falsa applicazione dell'art. 52 c.p. in relazione agli artt. 377 e 133 c.p.p. e 42 bis L. 354/1975 ordinamento penitenziario e illogicità palese della motivazione. In modo illogico i giudici di appello non hanno ritenuto applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto di difesa da parte dell'imputato, stante la pur riconosciuta illegittimità dell'azione posta in essere dagli agenti di polizia, non avendo il p.m. il potere di ordinare l'accompagnamento coattivo di persone diverse dall'imputato o indagato e tale certamente non era lo I. , che avrebbe dovuto essere sentito come persona offesa in merito a una querela da lui stesso proposta . Né gli stessi agenti avrebbero potuto arrogarsi il potere di effettuare la traduzione dell'imputato in stato di arresti domiciliari, dal momento che la traduzione di soggetti detenuti cui è equiparato il sottoposto a misura domiciliare è riservata alla polizia penitenziaria ex art. 42 bis O.P Posto che l'accompagnamento di persone diverse dall'indagato o imputato è consentito soltanto al giudice art. 133 c.p.p. , lo I. è fuggito perché costrettovi dalla necessità di sottrarsi a un'imminente ingiusta offesa alla propria libertà costituzionalmente garantita, benché minorata dall'applicata misura degli arresti domiciliari. Chiara è la contraddizione del ragionamento della sentenza impugnata che, mentre reputa sussistente la scriminante putativa dello stato di necessità al momento della fuga dello I. , la esclude in ragione del protrarsi della fuga medesima e della duratura assenza dell'imputato dalla dimora sede degli arresti domiciliari. Il reato di evasione è, come afferma la giurisprudenza di legittimità, un reato istantaneo con effetti permanenti che si consuma con il solo allontanamento dal luogo di detenzione ed è soltanto in rapporto a tale momento che deve essere valutata la sussistenza o meno di una causa esimente. 3.3. Difetto di motivazione in merito all'addotta inesistenza dell'aggravante della violenza alla persona di cui al contestato comma 2 dell'art. 385 c.p La sentenza di appello, pur dando atto in premessa del corrispondente motivo di appello dell'imputato, nulla ha argomentato al riguardo, riprendendo il profilo concernente l'aggravante in parola soltanto in sede di bilanciamento delle circostanze ai fini della ri determinazione della pena inflitta allo I. . Nessuna considerazione è svolta sulla concreta connessione teleologia tra la condotta integrativa della supposta aggravante della violenza e il reato di evasione attribuito al ricorrente. 3.4. Mancanza di motivazione sulla attenuante della provocazione. Analogamente la Corte di Appello non ha fornito risposte alla subordinata prospettazione difensiva sull'applicabilità in favore dello I. della attenuante della provocazione ex art. 62 n. 2 c.p 3.5. Motivazione carente o insufficiente in punto di determinazione della pena. Pur dopo l'avvenuta correzione del dispositivo ordinanza della Corte di Appello del 25.3.2013 con la esatta indicazione della pena inflitta al prevenuto, pari a dieci mesi di reclusione, rimane una distonia tra decisione e dispositivo. Nel dispositivo corretto le attenuanti generiche riconosciute allo I. sono indicate come prevalenti sull'aggravante ex art. 385 co. 2 c.p., laddove nella motivazione della sentenza sono indicate come equivalenti a detta aggravante. 3.6. Mancanza di motivazione sul reato di cui all'art. 4 L. 110/1975. Con l'appello l'imputato contestava anche la decisioni di primo grado relativa alla contravvenzione di porto ingiustificato di un coltello a serramanico trovato in suo possesso al momento dell'arresto. La sentenza impugnata non ha preso in esame detti motivi di gravame. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto nell'interesse di I.M. merita accoglimento e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio sulla ricostruzione e valutazione della dinamica del comportamento posto in essere dal ricorrente e contestatogli a titolo di evasione dal regime cautelare domiciliare applicatogli nell'ambito di procedimento penale pendente presso l'A.G. di Sulmona. Al di là della impropria commistione operata dal ricorso tra le ipotesi della legittima difesa e quella dello stato di necessità che avrebbero giustificato, almeno sul piano putativo, il contegno dell'imputato, appaiono assistiti da fondamento i rilievi enunciati con i motivi primo e secondo del ricorso afferenti alla inadeguata o incompleta analisi della dinamica del contegno dell'imputato e soprattutto del connesso elemento soggettivo del reato di evasione ascrittogli. L'accoglimento di tali profili dell'impugnazione con contestuale rinvio alla competente Corte distrettuale per un rinnovato giudizio sulla regiudicanda, assorbe tutte le altre censure enunciate sotto vari aspetti dal ricorrente, ivi inclusa quella relativa alla mancata risposta sul motivo di appello concernente il reato contravvenzionale ex art. 4 L. 110/1975. Doglianza di cui si farà carico il giudice di rinvio. 1.1. La frammentata sequenza dei gesti e atti compiuti da I.M. nel quadro della semplice vicenda che ha dato corpo alla regiudicanda, quale agevolmente ricomposta nelle sue sequenze storico-fattuali dalla sentenza di appello, rende necessario sgombrare il campo da un equivoco di fondo che permea la trama argomentativa della decisione della Corte abruzzese. Segnatamente nella parte in cui la decisione ha scisso la condotta di evasione dello I. nei due concatenati momenti dell'iniziale sottrazione allo stato coercitivo domestico fuga e del susseguente protrarsi dell'assenza dalla sede esecutiva della misura cautelare dimora della convivente e, quindi, della sua condizione di latitanza. Senonché, come si evince dal testo della norma incriminatrice art. 385, co. 1 e co. 3, c.p. e come stabilmente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, la fattispecie criminosa della evasione da una misura coercitiva domiciliare cautelare o esecutiva ma lo stesso è a dirsi anche per l'evasione da un istituto carcerario costituisce un reato istantaneo punito a titolo di dolo generico. Ogni volontario e arbitrario allontanamento dal luogo di restrizione domestica realizza e perfeziona il reato di evasione, non richiedendosi a tal fine né che l'abbandono della dimora divenga definitivo, né che il comportamento del soggetto agente risulti privo di animus revertendi . Il reato si consuma con qualsiasi deliberato allontanamento non autorizzato dal luogo degli arresti domiciliari, non assumendo nessun rilievo la durata dell'allontanamento o assenza domestica, la distanza dello spostamento ovvero i motivi che abbiano indotto l'agente a eludere la vigilanza sullo stato custodiale cfr., ex pluribus Sez. 7, n. 8604 del 3.2.2011, Battone, Rv. 249649 Sez. 6, n. 11679 del 21.3.2012, Fedele, Rv. 252192 Sez. 6, n. 19218 del 8.5.2012, Rapillo, Rv. 252876 . 1.2. Vero è che questa stessa Corte regolatrice ha talora inteso precisare come al reato di evasione possa attribuirsi anche la peculiare natura di reato istantaneo con effetti permanenti . Nel senso che la lesione del bene protetto dalla norma incriminatrice, costituito dall'interesse dello Stato al mantenimento del regime di restrizione della libertà personale legalmente disposto, cessa quando l'evaso ritorna nel luogo dal quale non avrebbe dovuto allontanarsi, così interrompendo l'elusione del controllo da parte dell'autorità preposta alla vigilanza sul rispetto della misura custodiale cfr. Sez. 6, n. 2217 del 2.6.1997, Esposito, Rv. 209765 Sez. 6, n. 25976 del 4.5.2010, Silvestri, Rv. 247819 . È appena il caso di chiarire, però, che quella degli effetti permanenti caratterizzanti il reato istantaneo di evasione è una formula soltanto descrittiva, sfornita di concrete valenze definitorie della condotta tipizzata dalla norma incriminatrice e - per di più - fonte di possibili equivoci o confusioni concettuali quasi che si intenda far riferimento ad una sorta di reato semi-permanente . Il vero è che il reato di evasione è e rimane un reato soltanto istantaneo qui unico actu perficitur senza ulteriori specificazioni. Un reato che, come detto, si perfeziona con il semplice volontario allontanarsi dal luogo sede della misura coercitiva, a nulla rilevando la durata dell'allontanamento cfr. Sez. 7, n. 8147/14 del 19.12.2013, Damiani, Rv. 261462 . La categoria del reato istantaneo con effetti permanenti è frutto di un intento classificatorio generico e di per sé fuorviante, perché individua una caratteristica riferibile ad un gran numero di reati, siano essi - a seconda della dinamica attuativa della condotta normativa tipica - reati istantanei in cui la condotta tipica integra ed esaurisce l'offesa al bene tutelato , progressivi in cui la condotta, omissiva o commissiva, dell'agente include la realizzazione di un reato meno grave che offende lo stesso bene giuridico , permanenti in cui la condotta è costituita non soltanto dal prodursi dell'offesa del bene protetto ma altresì dalla coeva volontaria protrazione dell'offesa, la cui cessazione produce la consumazione del reato art. 158 co. 1 c.p. . Nel reato permanente la norma incriminatrice l'esempio classico è costituito dal sequestro di persona punisce, nella unicità del reato non omologabile ad un contesto di continuità criminosa o di concorso formale di reati ex art. 81 c.p. , non la sola produzione di una evenienza di fatto antigiuridica, ma altresì e congiuntamente la volontaria protrazione di siffatta evenienza da parte del soggetto agente. La complementare nozione di reato istantaneo ad effetti permanenti non vale a ricondurre ad unità una particolare categoria di reati, perché focalizza come connotato distintivo un semplice dato empirico comune, ripetesi, a un gran numero di reati costituito dall'eventuale perdurare degli effetti della iniziale lesione del bene tutelato dalla norma incriminatrice. Ne discende, quindi, che nel reato di evasione il protrarsi della condotta elusiva della situazione di coercizione personale carceraria o domiciliare cautelare o esecutiva non incide sulla già avvenuta consumazione del reato, determinata dalla autosufficiente iniziale condotta elusiva dello stato coercitivo. Con l'ovvia conseguenza che il reato non può essere atomizzato, come ha creduto l'impugnata sentenza di appello, in momenti separati e distinti quello della fuga o allontanamento quello del perdurare dell'allontanamento . Il persistere più o meno lungo della situazione di fatto dell'allontanamento rientra tra gli accidentalia delicti , suscettibili di influire sul giudizio di gravità della condotta lesiva, ma non di incidere sul già perfezionato delitto di evasione, cui sussegue la diversa condizione, di fatto e di diritto, della latitanza. Condizione che, sebbene richieda - per le sue ricadute processuali un formale provvedimento dichiarativo decreto ex art. 296 c.p.p. - è integrata, sul piano storico e giuridico, da una mera situazione di fatto rappresentata dal solo volontario sottrarsi del soggetto evaso ad un provvedimento restrittivo della libertà personale, secondo la definizione fornitane dal combinato disposto degli artt. 576 co. 2 e 61 n. 6 c.p., 296 e.p.p. cfr. Sez. 6, n. 43962 del 27.9.2013, Hassad, Rv. 256684 Sez. 6, n. 45065 del 2.7.2014, Di Caterino, Rv. 260839 . 2. Alla luce della sviluppata premessa sistematica e metodologica evidenti si rivelano l'errore logico e la contraddittorietà della decisione impugnata. La sentenza di primo grado ha escluso, in base della ricostruzione dei fatti resa possibile dall'istruttoria dibattimentale, il ricorrere della causa di giustificazione dello stato di necessità addotta dall'imputato, che ha sostenuto di aver agito nel timore di essere percosso o comunque arrestato dai poliziotti una volta giunto in commissariato. Timore avvalorato dalla mancanza di giustificazioni del suo accompagnamento, pur autorizzato dal p.m., da parte dei tre agenti di polizia operanti. Causa esimente da escludersi, secondo il Tribunale, anche alla luce del persistere della condotta di allontanamento/latitanza dello I. che avrebbe dato luogo al contestato reato permanente di evasione. 2.1. Emendato l'errore di diritto del Tribunale sulla natura permanente del reato di evasione con l'evocare la discutibile nozione di reato istantaneo con effetti permanenti, la Corte di Appello ha correttamente preso in esame gli elementi documentali e storici allegati dalla difesa dell'appellante I. a sostegno della prospettata sussistenza, reale o putativa, della causa di giustificazione della legittima difesa rectius dello stato di necessità , avendo l'imputato agito per sottrarsi ad una illegittima coartazione della sua libertà personale . Tuttavia la Corte territoriale ha mutuato lo stesso errore prospettico del primo giudice nella descritta scissione della condotta antigiuridica dell'imputato nelle due separate fasi della fuga abbandono del domicilio e del protrarsi dell'allontanamento dalla sede della misura cautelare domiciliare. 2.2. Quanto alla prima fase la Corte di Appello, con giudizio di fatto lineare e coerente e - per ciò - non censurabile in sede di legittimità, è giunta a ritenere coperta da esimente putativa , a sensi dell'art. 59 - co. 1 ultima parte - c.p., la immediata fuga dello I. . Ciò alla stregua della ritenuta illegittimità dell'ordine di accompagnamento disposto dal p.m. in violazione dell'art. 377 c.p.p., che facoltizza il p.m. a disporre l'accompagnamento delle sole persone imputate o indagate per fatti costituenti reato. Illegittimità che la Corte valuta vieppiù palese alla luce della indebita decisione degli agenti di polizia di impedire allo I. ogni suo non coercibile contatto nel momento dato con il difensore di fiducia, a prescindere dall'altrettanto incongrua mancata enunciazione dei motivi dell'accompagnamento. Motivi che, se attinenti - come emerso dalle produzioni difensive - ad un semplice esame testimoniale come persona offesa in riferimento ad una querela presentata dallo stesso I. , appaiono a loro volta ben poco compatibili con il dispiegamento di forze attuato dal Commissariato di Lanciano per procedere a siffatto semplice incombente le due sentenze di merito non spiegano per quale ragione le sommarie informazioni dello I. non potessero essere raccolte presso la stessa dimora ove era in corso la misura cautelare domestica per altra causa processuale . 2.3. Nondimeno la Corte territoriale ha valutato inapprezzabile il substrato storico e documentale della rilevata causa esimente, reale o putativa, sì da confermare la decisione di condanna del ricorrente, per quel che attiene alla asserita seconda fase della condotta dell'imputato, che - ove non avesse protratto la sua assenza dopo la fuga id est latitanza - avrebbe avuto modo di appurare, ferma la formale illegittimità dell'accompagnamento in commissariato disposto dal p.m. o, meglio, autorizzato su richiesta della p.g. , il regolare espletamento del servizio da parte dei poliziotti recatisi presso la sua dimora. Ad avviso della Corte lo I. resosi uccel di bosco addirittura per tre giorni non aveva alcuna ragione per protrarre la sua assenza, essendo tenuto a rientrare in casa e ripristinare il corso della misura cautelare in atto . In altri termini la prosecuzione della fuga non avrebbe trovato alcuna giustificazione, ponendolo nella condizione di latitanza. Di tal che dopo l'immediata sottrazione all'azione degli operanti, che poteva essere ritenuta abusiva , la fuga/latitanza dello I. ha integrato il contestato reato di evasione. 2.4. La illegittimità della autorizzazione a condurre lo I. negli uffici del locale Commissariato di P.S. rilasciata dal p.m. presso il Tribunale di Lanciano è stata congruamente rilevata, come detto, dalla Corte di Appello. Benché vada osservato che detta illegittimità scaturisce non tanto e non solo per la ritenuta violazione dell'art. 377 c.p.p. ovvero dell'art. 42-bis O.P. come si sostiene nel ricorso, nonostante la norma, dettata soprattutto per le traduzioni di persone detenute in istituti carcerari, non istituisca una riserva assoluta di competenza funzionale della polizia penitenziaria ovvero – ancora - dell'art. 22 disp. att. c.p.p. disposizione pure evocata nel ricorso, sebbene riferibile unicamente alle ipotesi di comparizione di persone in stato di arresti o detenzione domiciliari davanti alla autorità giudiziaria , laddove lo I. era chiamato a comparire soltanto davanti alla p.g. , quanto piuttosto semplicemente dalla omessa comunicazione della traduzione dello I. alla autorità giudiziaria che lo aveva sottoposto alla misura cautelare domestica per raccoglierne il necessario previo assenso all'incombente nel caso di specie il g.i.p. del Tribunale di Sulmona competente ex art. 279 c.p.p. . Ciò posto, erroneo e affatto illogico deve, per le ragioni fin qui esposte, giudicarsi l'operato sdoppiamento in due sequenze cronologicamente distinte dell'unitaria condotta di evasione contestata al ricorrente. La chiara distonia valutativa dell'impugnata decisione di appello ne impone l'annullamento con il rinvio degli atti alla Corte territoriale per un nuovo giudizio sulla sussistenza o meno del reato di evasione ascritto al ricorrente e sulla apprezzabilità o meno della causa esimente, reale o putativa, prevista dall'art. 54 c.p Nuovo giudizio nel quale la Corte di Appello di Perugia individuata a norma degli art. 623 co. 1 c.p.p. e 175 disp. att. c.p.p. colmerà le discrasie valutative e le carenze della decisione di secondo grado oggi annullata, in uno alla rinnovata analisi, in caso di esito decisorio affermativo della colpevolezza dello I. , dei complementari temi di censura delineati dal ricorso in punto di circostanze del reato oltre che, come già ricordato, dei profili di doglianza espressi sul connesso reato contravvenzionale . Giudizio di rinvio che la Corte territoriale svolgerà facendo applicazione dei principi di diritto enunciati nell'anteriore esposizione e nelle richiamate decisioni di legittimità, ivi incluso il principio secondo cui in tema di stato di necessità, anche le condizioni di attualità o inevitabilità del pericolo integranti i presupposti di operatività della causa esimente possono costituire oggetto dell'errore cui è subordinata la configurabilità della scriminante stessa sotto il profilo putativo cfr. Sez. 5, n. 2415/98 del 18.12.1997, Ndoja, Rv. 209938 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Perugia.