Il curatore fallimentare non può opporsi al sequestro disposto nell’ambito dell’accertamento della responsabilità dell’ente da reato

Il curatore fallimentare non ha la legittimazione a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro disposto nell’ambito della procedura di accertamento della responsabilità dell’ente da reato, ai sensi dell’art. 19, d.lgs. n. 231/2001. Si aggiunga, inoltre, che la verifica delle ragioni dei terzi, al fine di accertarne la buona fede, circostanza necessaria per opporsi al provvedimento cautelare, spetta al giudice penale e non a quello fallimentare.

Il principio è stato affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 11170/15 depositata il 17 marzo. Il caso. Il Gip del Tribunale di Bologna disponeva, ai sensi degli artt. 19 e 53, d.lgs. n. 231/2001, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di ingenti somme di denaro, nei confronti di due società soggette a procedimento penale, finalizzato all’accertamento di reati commessi dai vertici delle medesime in particolare, i reati contestati erano la formazione fittizia di capitali e l’aggiotaggio . Dopo l’annullamento delle misure cautelari disposto dal Tribunale del riesame di Bologna, la Corte di Cassazione, su ricorso del pm, ritenendo ravvisabile nella vicenda, oltre ad un interesse personale delle persone fisiche coinvolte, anche un concorrente vantaggio degli enti interessati dalla procedura, annullava il provvedimento e disponeva il rinvio al Tribunale del riesame. Nel frattempo le società venivano ammesse al concordato preventivo ed il pm mutava le imputazioni a carico degli organi apicali delle stesse, circostanza che non impediva al Tribunale del riesame, quale giudice del rinvio, di ripristinare la misura cautelare del sequestro. Successivamente veniva dichiarato il fallimento delle predette società e si succedeva un’articolata serie di impugnazioni, da parte dei rispettivi curatori fallimentari, e revoche dei provvedimenti. Infine, le due curatele propongono ricorso in Cassazione, avverso l’ordinanza con cui il Tribunale accoglieva l’istanza del pm e disponeva il ripristino del sequestro. Il ricorso si fonda su plurime doglianze, ma risulta pregnante il quarto motivo con il quale viene dedotta la violazione dell’art. 19, d.lgs. n. 231/2001 per l’omesso giudizio di bilanciamento fra le ragioni del fallimento, in riferimento ai creditori di buona fede, e quelle relative alla pretesa punitiva dello Stato nell’ambito del giudizio fallimentare. Secondo i ricorrenti, detto bilanciamento risulterebbe imposto dal coordinamento delle disposizioni del d.lgs. n. 231/2001 e della l. fallimentare. La questione di fondo. Sul punto si registra un contrasto giurisprudenziale, la cui risoluzione viene demandata alle Sezioni Unite chiamate così a pronunciarsi sul quesito di diritto riassumibile in questi termini il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente ai sensi dell’art. 19, d.lgs. n. 231/2001, può essere disposto con riferimento a beni di pertinenza della massa attiva di un fallimento, senza prendere in considerazione le esigenze tutelate dalla procedura concorsuale, oppure deve essere preceduto da una valutazione comparativa tra le ragioni di quest’ultima – in particolare, dei creditori di buona fede – e quelle afferenti alla pretesa dello Stato? Inoltre, in quest’ultimo caso, la verifica delle ragioni dei singoli creditori, al fine di verificarne la buona fede, deve essere compiuta dal giudice penale o dal giudice fallimentare, eventualmente in applicazione analogica della disciplina di sequestro di prevenzione prevista dal codice antimafia? Il contrasto giurisprudenziale. Come predetto, sul punto non si riscontra un orientamento univoco. Da un lato infatti, le medesime Sezioni Unite, con la sentenza c.d. Focarelli sentenza n. 29951/2004 , affermavano che il sequestro penale non sarebbe precluso dall’avvio della procedura concorsuale, a condizione che il giudice dia motivatamente conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca, rispetto a quelle attinenti alla tutela dei creditori di buona fede. Dall’altro lato, l’evoluzione giurisprudenziale, generata dalla sentenza appena citata, è giunta alla formulazione di un indirizzo interpretativo, ritenuto prevalente, che stabilisce l’insensibilità o meno della confisca rispetto alla dichiarazione di fallimento in base alla natura della res sentenza c.d. Sorrentino, n. 2044/2007 , affermando che ove l’oggetto della misura cautelare non sia una cosa in sé pericolosa è necessario tenere conto della procedura concorsuale nel frattempo intervenuta. Sequestro preventivo e fallimento nell’analisi delle S.U L’impostazione che deve essere assunta per risolvere il quesito giuridico in oggetto, deve però essere diversa rispetto a quelle finora assunte dalla giurisprudenza di legittimità, basate sul presupposto di un vuoto normativo, che non è invece riscontrabile in tema di sequestro per equivalente finalizzato alla confisca nell’ambito dell’accertamento della responsabilità penale dell’ente, istituto regolato appunto dal più volte richiamato art. 19, d.lgs. n. 231/2001. La confisca prevista da questa norma ha natura di vera e propria sanzione principale, obbligatoria ed autonoma, qualificazione certamente innovativa nel nostro sistema ordinamentale, e lo stretto rapporto funzionale tra questa ed il sequestro preventivo estende a quest’ultimo il medesimo regime di obbligatorietà. Dalla lettura della norma si rileva che la confisca del prezzo o del profitto del reato viene disposta dal giudice con la sentenza di condanna. Al contempo il legislatore pone dei limiti alla confisca, ancorché obbligatoria, e conseguentemente anche al sequestro preventivo delle cose confiscabili, con la clausola di salvaguardia della salvezza dei diritti acquisiti dai terzi in buona fede. Nel caso in cui l’ente venga dichiarato fallito nelle more del procedimento penale, la S.C. esclude un conflitto tra le due procedure, in quanto il sequestro ex art. 19, d.lgs. n. 231/2001 mira a preservare i beni che si presumono acquistati illecitamente da spartizioni e occultamenti, mentre il vincolo apposto sui beni del fallito a seguito di apertura della procedura concorsuale ha un’indubbia rilevanza pubblica, poiché mira allo spossessamento dei beni del fallito a garanzia dalla par condicio creditorum . La conseguenza è la possibile coesistenza dei due vincoli, legittimata da una corretta lettura proprio dell’art. 19, il quale dispone la salvaguardia dei diritti acquisiti dai terzi di buona fede, senza apporre alcun limite temporale alla prova dell’acquisizione dei medesimi diritti, potendo anche essere riconosciuta al terzo l’acquisizione in buona fede del diritto dopo che sia stata disposta la confisca, come si verifica appunto in caso di apertura del fallimento, nel cui ambito il diritto del terzo potrà essere riconosciuto solo alla chiusura della procedura fallimentare. La soluzione lo Stato può insinuarsi nel fallimento per far valere la propria pretesa Ciò significa che ove venga disposta la confisca dei beni in pendenza di procedura fallimentare sugli stessi, lo Stato potrà insinuarsi nel fallimento per far valere il proprio diritto, che sarà soddisfatto dopo che siano stati salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede . il terzo può opporsi al sequestro innanzi al giudice penale La sede ove il terzo potrà far valere i suoi diritti è dunque quella dell’incidente di esecuzione, non potendosi applicare in via analogica la disciplina dettata dal codice antimafia, che attribuisce tale cognizione al giudice del fallimento, come supposto dai ricorrenti, in quanto si tratta di discipline differenti nelle finalità e nelle modalità applicative. La titolarità, in capo al terzo, di un diritto acquisito con buona fede sarà dunque accertata dal giudice penale, sia in sede di cognizione che in sede d’esecuzione. In tal senso depone la stessa lettura del concetto di buona fede, nell’ambito della disposizione dell’art. 19, d.lgs. n. 231/2001, necessariamente diverso da quello dettato in materia civilistica. In sede penale, infatti, la buona fede potrebbe essere esclusa anche dalla colpa nella mancata osservanza delle regole di cautela, dovendo attribuirsi all’interessato l’onere di provare la regolarità del suo titolo e la buona fede che lo caratterizza. mentre il curatore non ha la legittimazione ad opporsi alla misura cautelare. Dalla ricostruzione dell’istituto, la Suprema Corte deduce infine la mancanza di legittimazione ad agire del curatore fallimentare, titolare della gestione e dell’utilizzo dei beni aziendali, con il compito di preservare il patrimonio societario, gestendolo come previsto dalla legge fallimentare. Egli è gravato da un munus pubblico, di carattere prevalentemente gestionale, che affianca il giudice delegato al fallimenti ed il tribunale per consentire il perseguimento degli obiettivi, già indicati, propri della procedura fallimentare , dunque è certamente terzo rispetto al procedimento di sequestro o confisca di beni appartenuti alla società fallita, non potendo di conseguenza agire in rappresentanza dei creditori per opporsi alla misura cautelare. In conclusione, la Corte di Cassazione enuncia il principio di diritto per cui il curatore fallimentare non è legittimato a proporre impugnazione contro il provvedimento di sequestro adottato ai sensi dell’art. 19, d.lgs. n. 231/2001. La verifica delle ragioni dei terzi al fine di accertarne la buona fede spetta al giudice penale e non al giudice fallimentare .

Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 25 settembre 2014 - 17 marzo 2015, n. 11170 Presidente de Roberto – Relatore Marasca