La nozione di profitto è valida per tutte le ipotesi di confisca nei reati tributari

In tema di reati tributari e di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il profitto relativo a tali reati è pari all’ammontare dell’imposta evasa, che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di profitto del reato. Tale nozione da ritenersi valida per tutti i reati tributari, è dunque applicabile anche all’ipotesi di indebita compensazione, di cui all’art. 10 quater, d.lgs. n. 74/2000.

Lo ha stabilito la sesta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6705, depositata il 16 febbraio 2015. La confisca per equivalente La pronuncia in esame richiama diffusamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in merito all’istituto della confisca per equivalente, cioè a quella che è stata definita una vera e propria sanzione, disposta su somme di denaro, beni o altre utilità di cui il reo abbia la disponibilità per un valore corrispondente al prezzo, al prodotto e al profitto del reato. Mediante tale istituto, viene assolta una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica, modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Essa è, pertanto, connotata dal carattere afflittivo, e da un rapporto consequenziale alla commissione del reato proprio della sanzione penale, mentre esula dalla stessa qualsiasi funzione di prevenzione, che costituisce la principale finalità delle misure di sicurezza. La misura in parola non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, sicché si impone la valutazione relativa all’equivalenza tra il valore dei beni e l’entità del profitto. La confisca per equivalente può essere applicata unicamente con riguardo a somme percepite anteriormente all’entrata in vigore delle norme che la consentono. In altri termini, essa non può essere applicata retroattivamente, in quanto – come detto – ha natura sanzionatoria, e non di misura di sicurezza patrimoniale. Proprio su tali basi è stata ritenuta manifestamente infondata, dalla Corte Costituzionale sentenza n. 97/2009 , la questione di legittimità degli artt. 200, 322 ter c.p. e 1, comma 143, l. n. 244/2007, censurati, in riferimento all'art. 117, comma 1, Cost., nella parte in cui prevedono la confisca obbligatoria cosiddetta per equivalente di beni di cui il reo abbia la disponibilità, con specifico riguardo ai reati tributari commessi anteriormente all'entrata in vigore della citata legge del 2007. Il problema si era posto, nella giurisprudenza di legittimità, sulla base della duplice considerazione che il comma 2 dell'art. 25 Cost. vieta l'applicazione retroattiva di una sanzione penale, e che la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto in contrasto, con i principi sanciti dall'art. 7 CEDU, l'applicazione retroattiva di una confisca di beni, riconducibile proprio ad un'ipotesi di confisca per equivalente. Al riguardo, si è confermato che la mancanza di pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all'assenza di un rapporto di pertinenzialità tra il reato e detti beni, conferiscono all'indicata confisca una natura eminentemente sanzionatoria, che impedisce l'applicabilità, a tale istituto, del principio generale dell'art. 200 c.p., secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione, e possono essere, quindi, retroattive. Altra caratteristica fondamentale dell’istituto de quo è che la confisca non può avere ad oggetto beni per un valore eccedente il profitto del reato, il che sta a significare che la motivazione del provvedimento che la dispone dovrà dare atto della valutazione della equivalenza fra il valore dei beni confiscati e l’entità del profitto riveniente dal reato. e il rapporto con il reato di indebita compensazione. La sentenza in commento appare altresì particolarmente interessante, nella parte in cui precisa che il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, risulta pienamente applicabile a tutte le ipotesi di reati tributari, ivi inclusa – come nel caso di specie – quella di indebita compensazione art. 10 quater d.lgs. n. 74/2000 . Oggetto di tale previsione normativa è la compensazione dei debiti d’imposta con crediti non spettanti o inesistenti. Al pari del reato di omesso versamento dell’IVA, anche il reato di indebita compensazione costituisce una novità legislativa, in parte dissonante con l’impianto della legge delega n. 205/1999, poiché configura un’ipotesi delittuosa punibile a titolo di dolo generico e non di dolo specifico . La consumazione del reato coincide con l’avvenuta compensazione a mezzo del modello F24, con cui il contribuente omette di versare l’imposta dovuta ed indebitamente compensata, anche prima dello scadere del periodo di imposta. In virtù del richiamo all’art. 10 bis, risultano penalmente rilevanti solo le compensazioni, operate nel corso dello stesso periodo d’imposta, con crediti non spettanti o inesistenti per importi superiori alla soglia di punibilità di € 50.000, eventualmente sommati agli importi già utilizzati in compensazione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 dicembre 2014 – 16 febbraio 2015, n. 6705 Presidente Ippolito – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 2 agosto 2013, il Gip del Tribunale di Vasto ha disposto nei confronti di L.M. il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente della somma di 324.696,38 Euro, in relazione al reato di truffa aggravata ai danni dello Stato per avere operato una indebita compensazione tra crediti tributari inesistenti e debiti contributivi da versare all'Inps . A seguito della esecuzione del provvedimento, l'indagato ha chiesto al Gip del Tribunale di Vasto la revoca del provvedimento ablativo o quantomeno la riduzione dell'importo sottoposto a vincolo reale ed il giudice ha rigettato l'istanza con ordinanza del 16 agosto 2013. 2. Investito dell'appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. avverso suddetto provvedimento di rigetto, il Tribunale del riesame di Chieti, con ordinanza del 15 ottobre 2013, ha accolto il ricorso, ritenendo che la condotta contestata all'indagato debba essere qualificata, non come truffa aggravata, bensì come violazione dell'art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 - che prevede una soglia di punibilità per il reato di indebita compensazione che determini un'evasione superiore a 50.000,00 Euro -, e, pur ritenendo superata detta soglia negli anni 2009 e 2010, ha disposto la revoca tout court del provvedimento cautelare reale. 3. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica del Tribunale di Chieti e questa Corte, con sentenza del 4 aprile 2014 n. 22191, stimata erronea la decisione adottata dal Tribunale - dovendosi ritenere integrato il reato come qualificato ai sensi dell'art. 10-quater del D.Lgs. n. 74/2000 e dunque legittimo il sequestro di somme a fini di confisca per equivalente in relazione alle annualità nelle quali tale soglia di punibilità sia stata superata -, ha di conseguenza annullato l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale laziale per un nuovo esame sul punto. 4. Giudicando in sede di rinvio, con ordinanza del 2 luglio 2014, in parziale accoglimento dell'appello proposto da L.M. avverso il provvedimento di diniego della richiesta di revoca o di riduzione del sequestro disposto dal Gip del Tribunale di Vasto in data 16 agosto 2013, il Tribunale del riesame di Chieti ha ridotto l'importo del sequestro a fini di confisca per equivalente da 324.696,38 a 218.994,70 Euro e, per l'effetto, ha disposto che il sequestro preventivo in precedenza revocato sia nuovamente eseguito nei limiti dell'importo indicato. 4.1. Nell'argomentare tale conclusione, il Collegio ha, in primo luogo, ritenuto non condivisibile la tesi sostenuta dalla difesa secondo la quale la somma da sottoporre a vincolo reale concernerebbe, non l'intero importo evaso pari a 218.994,70 Euro, bensì la sola quota eccedente il limite soglia, vale a dire la somma 18.994,70 Euro. Sotto diverso profilo, il Tribunale ha evidenziato come sia del tutto irrilevante che, nella richiesta di rinvio a giudizio, il pubblico ministero di Vasto abbia contestato il reato di cui all'art. 640 cod. pen. anziché quello ritenuto integrato dal Tribunale del riesame di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000. Inoltre, ha posto in luce come, alla fattispecie in parola, non possa estendersi la decisione assunta dalla Corte costituzionale n. 80 del 2014, con la quale è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 10-ter D.Lgs. n. 74/2000 nella parte in cui prevedeva quale soglia di punibilità l'importo di 50.000 Euro e non quello di 103.291,38 Euro previsto per le fattispecie di cui agli artt. 4 e 5 stesso decreto, atteso che le fattispecie previste dagli artt. 10-ter e 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 sono tra loro completamente diverse. 4.2. Tanto premesso, il Collegio ha ridotto la somma sottoposta a sequestro sino a concorrenza dell'ammontare di 218.994,70 Euro, pari all'importo complessivamente evaso dalle società riconducibili all'indagato negli anni 2009 e 2010, nei quali le indagini hanno evidenziato il superamento della soglia di punibilità di 50.000,00 Euro. 5. Avverso l'ordinanza ha presentato ricorso ex art. 324 cod. proc. pen. l'Avv. Carmine Di Risio, difensore di fiducia di L.M. , e ne ha chiesto l'annullamento per i seguenti motivi. 5.1. Violazione di legge processuale in relazione all'art. 627, comma 3, cod. proc. pen., per avere il Tribunale omesso di verificare, annualità per annualità, se fosse stata superata la soglia di punibilità prevista dall'art. 10-bis D.Lgs. n. 74/2000 come indicato dalla Corte di cassazione, limitandosi invece a richiamare i prospetti riepilogativi riportati nel decreto di sequestro preventivo senza compiere alcuna ulteriore indagine. 5.2. Violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 321 cod. proc. pen. e 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, per essersi il Tribunale limitato a verificare l'astratta configurabilità della fattispecie incriminatrice senza valutare gli elementi probatori offerti dall'indagato a confutazione della tesi d'accusa, con ciò contravvenendo alla costante giurisprudenza di legittimità. D'altra parte, il ricorrente ha posto in luce come il reato in oggetto si perfezioni nel momento in cui viene operata la compensazione, o più compensazioni, per un importo superiore alla soglia di punibilità pari a 50.000 Euro con riferimento al singolo periodo d'imposta. 5.3. Violazione di legge penale e processuale in relazione all'art. 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale omesso di motivare in ordine alla sussistenza in concreto del periculum in mora . 5.4. Violazione di legge penale e processuale in relazione all'art. 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale ritenuto che le somme sequestrate siano pertinenti al reato laddove il ricorrente non è attualmente indagato per il reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, ma per il reato di cui all'art. 640 cod. pen., in relazione al quale il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio. 5.5. Violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 322-ter cod. pen. e 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, per avere il Tribunale confermato il provvedimento di sequestro sebbene la norma di cui all'art. 322-ter cod. pen. abbia esteso ai reati fiscali l'applicazione delle disposizioni in materia di confisca con riguardo al profitto non trattandosi nella specie di prezzo del reato solo nel 2012 con la legge n. 190. In ogni caso, non potrebbero essere assoggettate a sequestro se non le somme eccedenti la soglia di punibilità, atteso che la condotta diviene penalmente rilevante solo nel momento in cui l'evasione posta in essere dal reo, ponendo in essere indebite compensazioni, superi l'importo di 50.000 Euro. 6. Il Procuratore generale Dott. Luigi Riello ha chiesto che il ricorso sia rigettato. L'Avv. Carmine Di Risio per L.M. ha insistito per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Tutti i motivi sono infondati ed il ricorso deve pertanto essere rigettato. 2. Infondato è il primo motivo di ricorso col quale si è dedotta la violazione dell'art. 627, comma 3, cod. proc. pen 2.1. Ed invero, nella sentenza del 4 aprile 2014 n. 22191, nel motivare l'annullamento con rinvio dell'ordinanza del Tribunale del riesame del 2 luglio 2014, questa Corte, ritenuta corretta la qualificazione del fatto come indebita compensazione ai sensi del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater , ha chiarito che la confisca per equivalente è astrattamente applicabile anche al delitto fiscale ravvisato nel caso di specie e che considerato che la configurabilità del delitto di indebita compensazione ai sensi del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, è subordinato al superamento della soglia di ammontare evaso sopra richiamata come si è detto, ai sensi del D.Lgs. cit. art. 10-bis, il mancato versamento deve corrispondere ad un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d'imposta , il Tribunale avrebbe dovuto verificare, annualità per annualità, il superamento della detta soglia e stabilire se e in quale misura sussistevano le condizioni per confermare anche in parte il disposto sequestro preventivo . Il Tribunale in sede di rinvio non si è sottratto al principio di diritto ed alle indicazioni date da questa Suprema Corte in sede di annullamento ed, in ossequio a tali dieta, ha ridimensionato l'importo delle somme assoggettate ad ablazione cautelare. 2.2. D'altra parte, nessuna censura può essere fondatamente mossa all'iter argomentativo seguito dal Collegio dell'impugnazione cautelare allorché ha valutato, ai fini del giudizio sul fumus boni iuris, i dati esposti nei prospetti della Guardia di Finanza, id est i quadri sinottici degli esiti delle indagini condotte dalla P.G. si tratta invero di compendi riassuntivi dei dati emersi dall'attività di accertamento svolta nella fase delle indagini preliminari, certamente utilizzabili quali fonti di conoscenza a fini cautelari. Erronea è, poi, la doglianza con la quale il ricorrente si lamenta del fatto che il Tribunale del riesame abbia recepito i suddetti dati riepilogativi senza svolgere nessuna ulteriore indagine . Il Collegio della cautela non è, invero, tenuto all'espletamento di nessuna attività istruttoria, dovendo decidere sulla base degli atti posti a fondamento della misura cautelare e degli atti ulteriori eventualmente versati nella procedura dalle parti in allegato al ricorso, depositati in Cancelleria o in udienza. 3. Totalmente generica è la prima doglianza mossa con il secondo motivo di ricorso, con la quale si denuncia l'omessa valutazione da parte del Tribunale delle censure mosse col ricorso ex art. 309 del codice di rito. 3.1. Ed invero, il ricorrente propone rilievi del tutto indeterminati, limitandosi a riportare alcune massime di sentenze pronunciate da questa Suprema Corte, e non esplicita quali fossero i dati offerti dall'indagato a confutazione della tesi d'accusa che, secondo l'assunto difensivo, il Collegio della cautela avrebbe trascurato. La genericità della doglianza riverbera, secondo i consolidati principi di questa Corte, in termini di inammissibilità del motivo. 3.2. D'altra parte, del tutto fumosa è la prospettiva nella quale si muove il ricorrente allorché ha rilevato che il reato in oggetto si perfeziona nel momento in cui viene operata la compensazione per un importo superiore alla soglia di punibilità pari a 50.000 Euro con riferimento al singolo periodo d'imposta . Trattasi invero di considerazione del tutto pacifica e non smentita dal pronunciamento in verifica, nel quale la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi espressi da questa Corte, secondo cui, ai fini della verifica del superamento in un unico periodo d'imposta della soglia indicata, devono essere sommati tutti gli importi utilizzati in compensazioni in quel periodo Cass. Sez. 3 del 14/12/2011 n. 7662 del 2012, Rv. 251975 . 4. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo col quale ricorrente ha eccepito la violazione di legge penale e processuale in relazione all'art. 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale omesso di motivare in ordine alla sussistenza in concreto del periculum in mora . Mette conto porre in rilievo come, nella specie, si tratti di un'ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria per equivalente, che prescinde dalla sussistenza e dalla concretezza del periculum in mora . Ed invero, secondo il costante insegnamento di questo Supremo Collegio, peraltro del tutto in linea col dettato normativo, in caso di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, spetta al giudice il solo compito di verificare che i beni rientrino nelle categorie delle cose oggettivamente suscettibili di confisca, essendo, invece, irrilevante sia la valutazione del periculum in mora - che attiene ai requisiti del sequestro preventivo impeditivo di cui all'art. 321 comma primo cod. proc. pen. - sia quella inerente alla pertinenzialità dei beni ex plurimis Cass. Sez. 2, n. 31229 del 26/06/2014, Borda, Rv. 260367 Sez. 2, n. 41435 del 16/09/2014, Assoc. Integrazione Immigrati ed altri, Rv. 260043 . 5. Altrettanto infondato è il quarto motivo con il quale si è eccepita la violazione di legge penale e processuale in relazione all'art. 321 cod. proc. pen., per avere il Tribunale ritenuto che le somme sequestrate siano pertinenti al reato di cui all'art. 10-quater D.Lgs. n. 74/2000 giusta riqualificazione con ordinanza del 15 ottobre 2013 del Tribunale del riesame di Chieti , quando il ricorrente risulta attualmente sottoposto a procedimento non per tale reato, bensì per quello di cui all'art. 640 cod. pen., in relazione al quale il P.M. ha chiesto il rinvio a giudizio. A tale proposito, va rilevato come, in ossequio al principio iura novit curia operante in ogni snodo del procedimento/processo penale quale espressione del principio di legalità, il giudice del procedimento incidentale de libertate possa sempre dare una diversa qualificazione giuridica al fatto così come contestato anche solo in via provvisoria dall'organo dell'accusa. Ed invero, nel procedimento cautelare, il principio della domanda impedisce al giudice di mutare il fatto posto a fondamento della imputazione cautelare così come di disporre misure più gravi di quelle richieste nell'azione cautelare o, nelle misure reali, di sostituire con un altro il bene della vita di cui è chiesto il sequestro , ma non gli preclude di dare al fatto una diversa qualificazione giuridica né di ravvisare gli indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari per ragioni diverse o ulteriori rispetto a quelle prospettate dall'organo di accusa Cass. Sez. 3, n. 29966 del 01/04/2014, C, Rv. 260253 . Nondimeno, stante l'autonomia del procedimento incidentale rispetto a quello principale, l'eventuale correzione del nomen juris da parte del giudice della cautela non può avere effetto oltre tale procedimento e dunque non vincola il potere di iniziativa del P.M., che può, in sede di richiesta di rinvio a giudizio, incasellare il fatto sotto una fattispecie giuridica diversa da quella indicata dal giudicante. Ferma la legittimità della riqualificazione giuridica operata, prima dal decidente con ordinanza del 15 ottobre 2013 , poi dall'inquirente con la richiesta di rinvio a giudizio , essendo rimasto del tutto invariato il fatto per il quale L. è indagato ed, oggi, imputato e posto a base del provvedimento cautelare reale, il diverso inquadramento normativo della fattispecie concreta - truffa anziché indebita compensazione o viceversa -, non è tale da far venir meno il nesso di pertinenzialità fra res oggetto di ablazione e reato, trattandosi di somme che comunque costituiscono, secondo l'ipotesi d'accusa recepita nel provvedimento in verifica, il profitto della condotta criminosa. 6. Privo di fondamento è anche l'ultimo motivo col quale il ricorrente ha eccepito la violazione di legge penale e processuale in relazione agli artt. 322-ter cod. pen. e 10-quater D.Lgs. n. 74/2000, sotto due profili ed, in particolare 1 per avere il Tribunale confermato il provvedimento di sequestro, sebbene la norma di cui all'art. 322-ter cod. pen. abbia esteso ai reati fiscali l'applicazione delle disposizioni in materia di confisca con riguardo al profitto solo nel 2012 con la legge n. 190 trattandosi nella specie di profitto e non di prezzo del reato 2 per avere il Tribunale confermato il sequestro dell'intera imposta evasa e non soltanto delle somme che superano la soglia di punibilità di 50.000 Euro. 6.1. Quanto al primo profilo di doglianza, occorre notare come la questione prezzo - profitto sia già stata affrontata da questa Corte, che ha più volte affermato che, con riguardo ai reati tributari considerati dall'art. 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007, il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente , può essere disposto non soltanto per il prezzo, ma anche per il profitto del reato posto che l'integrale rinvio alle disposizioni di cui all'art. 322-ter del cod. pen. , contenuto nell'art. 1, comma 143, della legge n. 244 predetta, consente di affermare che, con riferimento appunto a detti reati, trova applicazione non solo il primo, ma anche il secondo comma della norma codicistica ex plurimis, Cass. Sez. 3, n. 23108 del 23/04/2013, Nacci, Rv. 255446 Sez. 3, n. 35807 del 07/07/2010, Bellonzi e altri, Rv. 248618 Sez.3, n. 25890 del 26/05/2010, Molon, Rv. 248058 . Ne discende che, contrariamente a quanto argomentato dal ricorrente, il sequestro a fini di confisca per equivalente del profitto dei reati fiscali de quibus era possibile anche prima della novella operata con L. n. 190/2012. 6.2. Quanto al secondo profilo di censura afferente all'ultimo motivo di ricorso, in via preliminare mette conto rilevare che, come chiarito da questa Corte regolatrice, in tema di confisca, il prodotto del reato rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole ottiene direttamente dalla sua attività illecita il profitto, a sua volta, è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato il prezzo, infine, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l'interessato a commettere il reato Cass. Sez. U del 03/07/1996, n. 9149 Rv. 205707 . Si è sottolineato come debba sempre sussistere un rapporto pertinenziale, una relazione diretta, attuale e strumentale, tra il bene sequestrato ed il reato del quale costituisce il profitto illecito, vantaggio di natura economica ovvero beneficio aggiunto di tipo patrimoniale di diretta derivazione causale dall'attività del reo, dunque lrautilità creata, trasformata od acquisita proprio mediante la realizzazione della condotta criminosa , e si è precisato che non è possibile addivenire a un'estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa comunque scaturire da un reato si veda nella motivazione della sentenza Cass. Sez. U del 24/05/2004, n. 29951, Focarelli, Rv. 228166 richiamata da Cass. Sez. U del 25/10/2005, n. 41936, Muci, Rv. 232164 . È dunque escluso che possano farsi rientrare nell'alveo del profitto confiscabile quelle conseguenze positive, pur economicamente valutabili, derivanti dal reato che non costituiscano risultato immediato e diretto della condotta illecita. Con specifico riguardo ai reati tributari, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che il profitto del reato è pari all'ammontare della imposta evasa che costituisce un indubbio vantaggio patrimoniale, direttamente derivante dalla condotta illecita e, come tale, certamente riconducibile alla nozione di profitto del reato si tratta del risparmio economico derivante dalla sottrazione effettiva degli importi evasi alla loro destinazione fiscale, dei quali direttamente beneficia l'autore Cass. Sez. 3, n. 9578 del 17/01/2013, Tanghetti, Rv. 254748 Cass. U, n. 18374 del 31.1.2013, Adami e altro, Rv. 255036 . Tale nozione di profitto deve ritenersi valida per tutte le ipotesi di reato di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quatere 11 D.Lgs n. 74/2000, richiamate dall'art. 143, comma 1, L. 244/2007 ai fini dell'estensione della confisca per equivalente ai sensi dell'art. 322-ter c.p 6.4. Di tali coordinate ermeneutiche ha fatto buon governo il Tribunale di Chieti, laddove il vantaggio economico di diretta derivazione causale dal reato tributario di indebita compensazione non può che coincidere con il risparmio economico ottenuto dall'agente dal compimento di tale operazione, mediante la quale ha sottratto - e, dunque, evaso - l'intero ammontare degli importi compensati alla loro destinazione fiscale. Nel prevedere una soglia di punibilità pari appunto a 50.000 Euro il legislatore ha invero inteso riservare la sottoposizione alla più grave delle sanzioni, quella appunto penale, alle ipotesi di evasione ritenute più gravi, appunto perché superiori ad un determinato ammontare tale valore rappresenta, non un elemento costitutivo del reato, ma una condizione obbiettiva di punibilità, in mancanza della quale ossia al di sotto della predetta soglia l'interesse dell'amministrazione finanziaria è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione dell'obbligo posto a carico del contribuente interessi di mora e sanzioni Cass. Sez. 3, n. 25213 del 26/05/2011, Calcagni, Rv. 250656 . Alla stregua del chiaro dato testuale e della delineata ratio della previsione, una volta superata la soglia di rilevanza penale, il fatto nella sua globalità viene ad integrare la fattispecie penale e la condotta penalmente illecita non può che avere ad oggetto la somma complessivamente evasa. Ne discende che il profitto del reato di indebita compensazione si identifica con l'imposta complessivamente evasa e non già nel differenziale rispetto alla soglia di punibilità prevista dalla norma. Tale conclusione trova, del resto, conforto nel costante insegnamento di questa Corte, che, in tema di riduzione dell'importo oggetto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in relazione ai ratei versati a seguito di accordo tra contribuente ed amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, ha affermato che il sequestro deve essere mantenuto fino all'integrale soddisfacimento del debito tributario commisurato all'importo totale della imposta evasa e non già la sola parte eccedente la soglia di punibilità Cass. Sez. 3, n. 6635 del 8/1/2014, Cavatorta, Rv. 258903 . Sarebbe, d'altra parte, incongruo e contrario ad ogni logica ritenere che il profitto del reato tributario de quo debba essere determinato avendo riguardo, non all'integralità delle somme indebitamente compensate, ma al solo differenziale fra tale ammontare e l'entità definita dal legislatore quale valore di rilevanza penale del fatto, non essendo revocabile in dubbio che l'autore abbia tratto vantaggio, in termini di risparmio economico, dall'omesso versamento all'Erario dell'imposta complessivamente evasa e non soltanto pro quota. 7. Dal rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.