La norma del decreto legge, nella parte non riprodotta in sede di conversione, non rimane vigente, anche se favor rei

La giurisprudenza costituzionale e quella della Corte EDU costantemente escludono che in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare sia applicabile il principio della irretroattività della legge più sfavorevole non si applicano, quindi, le disposizioni di cui agli artt. 2 c.p., 25 Cost. e 7 CEDU. L’art. 77 della Costituzione, al comma 3, prevede, inoltre, come i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti . Di contro, l’art. 15,comma 5. l. n. 400/1988, che prevede come Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest'ultima non disponga diversamente. Esse sono elencate in allegato alla legge , fa sì che l’efficacia del decreto-legge non convertito che può farsi salva è circoscritta ai soli atti o rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto.

Così precisando, la sez. I Penale di Cassazione, con sentenza n. 4451, depositata il 30 gennaio 2015, ha rigettato il ricorso presentato da un ricorrente che, trovandosi in regime di detenzione domiciliare, avverso il rigetto del proposto reclamo per la concessione del beneficio della liberazione anticipata speciale. Il rigetto del Tribunale di Sorveglianza. Con la sentenza in commento la Cassazione rigetta il ricorso presentato da un soggetto soccombente in sede di reclamo, il quale, trovandosi in regime di detenzione domiciliare, aveva richiesto la concessione della liberazione anticipata speciale. Il Tribunale di Sorveglianza adito aveva condiviso la scelta del Legislatore di escludere dal beneficio de quo i detenuti in regime di detenzione domiciliare, giacché la ratio legis era quella di ridurre il sovraffollamento carcerario inoltre, l’argomento addotto – la maggiore meritevolezza del detenuto in regime domiciliare di usufruire del beneficio in parola rispetto a quello in regime detentivo – non era stato ritenuto valido trattavasi, come trattasi, di situazione giuridiche diverse, per cui non era avvenuta nessuna violazione dell’art. 3 Cost. Contro questa decisione il reclamante propone ricorso per cassazione. Liberazione anticipata. Il ricorrente insiste, nell’ultimo grado di giudizio, confidando nella bontà del suo assunto, ritenendo paradossale negare il beneficio della liberazione anticipata a chi – come lui – aveva dato prova del ravvedimento, resipiscenza e partecipazione all’opera di rieducazione in massimo grado. Inoltre, censura il fatto che la legge di conversione l. n. 10/2014 abbia escluso la possibilità di concedere la liberazione anticipata speciale ai condannati per i delitti di cui all’art. 4 bis , l. n. 354/1975 sul punto, gli Ermellini ribadiscono come non possa essere in alcun modo ipotizzata la permanente vigenza della norma del decreto legge nella parte non riprodotta in sede di conversione, anche se si tratta di norma più favorevole al condannato. Parte non convertita. All’uopo, i giudici di Piazza Cavour riportano sia giurisprudenza costituzionale che quella della Corte EDU, le quali costantemente escludono che in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare sia applicabile il principio della irretroattività della legge più sfavorevole non si applicano, quindi, le disposizioni di cui agli artt. 2 c.p., 25 Cost. e 7 CEDU. In più, appare chiaro– riporta la sez. I Penale di Cassazione – anche il dettato dell’art. 77 della Costituzione, al comma 3, laddove è previsto come i decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti . Di contro, l’art. 15, comma 5, l. n. 400/1988, che prevede come Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest'ultima non disponga diversamente. Esse sono elencate in allegato alla legge , fa sì che l’efficacia del decreto-legge non convertito che può farsi salva è circoscritta solo ai soli atti o rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto. Ribadisce, infine, la Suprema Corte come l’esclusione del beneficio dei detenuti in regime di detenzione domiciliare sia del tutto coerente con la ratio sopra citata il sovraffollamento carcerario non aveva niente a che fare con la condizione dei detenuti in regime di detenzione domiciliare.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 – 30 gennaio 2015, n. 4451 Presidente Chieffi – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 16/4/2014, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da C.S. avverso quella del Magistrato di Sorveglianza di Roma che aveva respinto la istanza di concessione della liberazione anticipata speciale per il periodo 9/11/2012 - 9/5/2013 sulla considerazione che, durante quel semestre, C. si trovava in regime di detenzione domiciliare. Secondo il Tribunale, la scelta del legislatore di escludere dal beneficio i detenuti in regime di detenzione domiciliare derivava dalla ratio legis di ridurre il sovraffollamento carcerario e di compensare in qualche modo i detenuti che, dal gennaio 2010, avevano subito condizioni deteriori in conseguenza di esso. D'altro canto, non era conferente l'argomento del reclamante di una maggiore meritevolezza del detenuto in regime domiciliare rispetto a quello in regime detentivo, poiché la partecipazione all'opera rieducativa poteva essere superiore nel secondo caso si trattava, in sostanza di situazioni giuridiche diverse, cosicché non si ravvisava nella disciplina alcuna violazione dell'art. 3 della Costituzione. 2. Ricorre per cassazione il difensore di C.S. , deducendo violazione di legge. Il ricorrente aveva chiesto la concessione del beneficio, sottolineando che egli si trovava in esecuzione di pena detentiva presso il domicilio ai sensi dell'art. 16 nonies della legge 82 del 1991, in quanto collaboratore di giustizia. Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il beneficio della liberazione anticipata deve essere concesso a chiunque si trovi ad espiare una pena in regime alternativo, il ricorrente sottolinea che sarebbe paradossale negarlo a chi aveva dato prova di ravvedimento, resipiscenza e partecipazione all'opera di rieducazione in massimo grado. Secondo il ricorrente, la ratio legis indicata dal Tribunale - secondo cui il beneficio aggiuntivo veniva concesso in ragione della condizione di sovraffollamento carcerario subito nel biennio precedente - era smentita dal tenore della legge di conversione, che escludeva i condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis ord. pen. dal beneficio, benché le loro condizioni carcerarie fossero più restrittive e disagevoli di quelle degli altri detenuti. Ancora l'applicazione dell'art. 16 nonies legge 82 del 1991 superava le preclusioni dell'art. 4 bis ord. pen. e, comunque, la pena residua in esecuzione contemplava anche reati non ricompresi nell'elenco di cui all'art. 4 bis cit Il ricorrente sostiene la natura sostanziale della previsione, cosicché la norma favorevole dovrebbe essere applicata nei confronti di chi aveva presentato l'istanza di concessione del beneficio durante la vigenza del decreto legge 146 del 2013. Viene svolta un'ampia trattazione in ordine all'illegittimità della norma nella parte in cui limita il beneficio si richiama, in particolare, la scelta effettuata per la liberazione anticipata, concedibile anche per i condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis ord. pen. e quella che permette la concessione del beneficio anche ai condannati in affidamento in prova al servizio sociale. Irragionevole è stata la scelta di concedere la liberazioni anticipata speciale a coloro che si trovano in semilibertà o in permesso premio e non a coloro che si trovano in detenzione domiciliare si sottolinea, inoltre, che in determinate situazioni alcune misure domiciliari risultano più penalizzanti di quelle carcerarie. Se, poi, la ratio della liberazione anticipata è connessa alla partecipazione all'opera di rieducazione, è illogica non concederla a coloro che si trovano in detenzione domiciliare, ancor più se in forza della normativa sui collaboratori di giustizia. Il ricorrente sostiene, quindi, la possibilità dell'accoglimento del ricorso in via interpretativa e, in subordine, la necessità di sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa, che applica una ingiustificata e ingiustificabile disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche. Il ricorrente conclude per l'annullamento del ricorso e, in subordine, perché questa Corte sollevi questione di legittimità costituzionale della normativa per contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione. 3. Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per il rigetto del ricorso. 4. Il difensore del ricorrente ha depositato tre memorie. Nella prima memoria, si replica alla requisitoria del Procuratore Generale, sottolineando che la norma sulla liberazione anticipata speciale è congegnata in modo conforme all'istituto ordinario e quindi tende a premiare ulteriormente coloro che avessero manifestato un più significativo recupero di valori condivisi, ma del tutto irragionevolmente il legislatore ha escluso dal premio proprio i soggetti più meritevoli il contrasto con i principi generali emerge ancora più forte con riferimento ai collaboratori di giustizia che, proprio in ragione del percorso svolto, hanno avuto accesso alle misure alternative alla detenzione in deroga alle preclusioni poste dall'art. 4 bis ord. pen. secondo il ricorrente, l'interpretazione orientata della norma permette di ritenere superata la preclusione alla concessione del beneficio posto dall'art. 4 bis ord. pen., mentre - se tale interpretazione non fosse ritenuta possibile - sarebbe inevitabile sollevare questione di legittimità costituzionale della norma d'altro canto, il predetto art. 4 bis ord. pen. è stato ritenuto legittimo costituzionalmente proprio perché non escludeva i condannati alla liberazione anticipata. La difesa contesta il profilo risarcitorio evidenziato dal Tribunale, che non emerge affatto dal testo della norma tale profilo è smentito dal successivo intervento normativo d.l. 92 del 2014 , con il quale è stato previsto specificamente un indennizzo per i detenuti. Il ricorrente, inoltre, ribadisce l'interpretazione che fa leva sull'ultrattività del d.l. 146 del 2013 anche dopo la legge di conversione non si tratta di istituto processuale, ma sostanziale, cosicché la norma più favorevole rimane efficace anche dopo la approvazione della legge di conversione sottolinea che la concessione della liberazione anticipata speciale anche a coloro che si trovano in una misura alternativa alla detenzione è coerente con un disegno che vede ancora operante - anche in vigenza di tale misure - l'opera rieducativa. La memoria sottolinea, infine, che attualmente C. sta scontando condanne per reati non ostativi, con conseguente necessità dello scioglimento del cumulo e possibilità di concedere il beneficio richiesto. In una seconda memoria, il difensore prende spunto dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 42858 del 2014 per sottolineare che i Giudici di Sorveglianza hanno l'identico potere riconosciuto al Giudice dell'esecuzione per travolgere il giudicato e rideterminare la sanzione penale stabilita in sede di merito. Il ricorrente rimarca, ancora, il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale n. 239 del 2014. In una terza memoria, il ricorrente sottolinea l'irragionevolezza dell'interpretazione della norma da parte del Tribunale, che permette una più sostanziosa riduzione di pena per coloro che partecipano in misura minore all'opera di rieducazione, tanto da non potere accedere a misure alternative alla detenzione. Considerato in diritto 1. Il ricorso pone questioni di carattere diverso che devono essere affrontate separatamente. La prima concerne la norma che deve essere applicata - e, se del caso, sottoposta a valutazione di costituzionalità. L'ordinanza impugnata si fonda sulla circostanza che la legge di conversione legge 10 del 2014 ha escluso in via generale la possibilità di concedere la liberazione anticipata speciale ai condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis legge 354 del 1975, abrogando il comma che subordinava la concessione a quei condannati del beneficio in caso di concreto recupero sociale e premettendo alla regolamentazione una esplicita esclusione Ad esclusione dei condannati per taluno dei delitti previsti dall'articolo 4 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni . . Questa Corte ha già chiarito che in nessun modo può essere ipotizzata la permanente vigenza della norma del decreto legge nella parte non riprodotta in sede di conversione, anche se si tratta di norma più favorevole al condannato. Sia la giurisprudenza costituzionale basterà ricordare C. cost. ord. n. 10 del 1981 sent. n. 376 del 1997 che quella della Corte EDU costantemente escludono che in materia di benefici penitenziari in genere e di liberazione anticipata in particolare sia applicabile il principio della irretroattività della legge più sfavorevole. Ed espressamente anche Corte EDU, sent. Grande Camera del 21.10.2013, Del Rio Prada contro Spagna, rie. n. 42750/09 evidenzia che sia la Commissione sia la Corte hanno delineato nella loro giurisprudenza una distinzione tra una misura che costituisce in sostanza una pena e una misura che riguarda l'esecuzione o l'applicazione della pena. Conseguentemente, se la natura e il fine della misura riguarda la detrazione di pena o una modifica del regime di liberazione anticipata, essa non fa parte della pena ai sensi dell'art. 7 . E, se è vero che la Corte Edu in detta sentenza riconosce che in pratica la distinzione tra una misura che costituisce una pena e una misura che riguarda l'esecuzione e l'applicazione della pena può non essere sempre chiara e che è possibile perciò che le misure adottate dal legislatore, dalle autorità amministrative o dai tribunali successivamente all'inflizione della pena definitiva, o nel corso dell'espiazione della pena, possano comportare la ridefinizione o la modifica della portata della pena inflitta dal tribunale del merito , chiaramente rimarca, tuttavia, che per determinare se una misura adottata nel corso dell'esecuzione di una pena riguarda solo la modalità di esecuzione della pena o, al contrario, incide sulla sua portata , occorre esaminare in ciascun caso che cosa comportava effettivamente la pena inflitta in base al diritto interno in vigore al momento pertinente, o in altre parole, quale era la sua natura intrinseca , considerando il diritto interno nel suo complesso e la modalità con cui esso era applicato al momento pertinente . L'impossibilità di interpretare il mancato recepimento di disposizioni di un decreto legge nella legge di conversione come fenomeno di successione di leggi nel tempo si ricava, comunque, direttamente dall'art. 77 della Costituzione. Questo, al comma 3, dispone difatti che I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti . Non deroga, né potrebbe, a tale norma di rango superiore la l. n. 400 del 1988, art. 15, comma 5, laddove dispone che Le modifiche eventualmente apportate al decreto-legge in sede di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della pubblicazione della legge di conversione, salvo che quest'ultima non disponga diversamente , giacché la disposizione sta solo a prevedere che, diversamente da quanto in precedenza doveva ritenersi, tutti gli emendamenti approvati in sede di conversione entrano in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione della relativa legge, e non più dopo il decorso dell'ordinaria vacatio legis se nulla espressamente era disposto al riguardo cfr. Cass. Civ. Sez. 1, sent. n. 4781 del 02/05/1991, Rv. 471926 Sez. 3, sent. n. 6368 del 07/06/1995, Rv. 492709 . In altri termini, I1 efficacia del decreto-legge in tutto o in parte non convertito che può farsi salva è da ritenere per principio circoscritta ai soli atti o rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e non può in alcun modo essere estesa sino al riconoscimento di un diritto o di una aspettativa per comportamenti o situazioni precedenti quando la relativa domanda era ancora sub iudice al momento della conversione del decreto. Come osserva, difatti, C. Cost. n. 51 del 1985, l'art. 77 Cost., comma 3, e u.c., mentre collega la mancata conversione a una vicenda di alternatività sincronica fra situazioni normative, in nessun caso considera la norma dettata con decreto-legge non convertito come norma in vigore in un tratto di tempo quale quello anzidetto ed anzi, se interpretato sia in riferimento al suo specifico precetto privazione, per il decreto - legge non convertito, di ogni effetto fin dall'inizio , sia in riferimento al sistema in cui esso si colloca ispirato - come appare anche dagli altri due commi dell'art. 77 Cost. - a maggior rigore nella riserva al Parlamento della potestà legislativa vieta di considerarla tale . Dunque, indipendentemente da quello che possa ritenersi in proposito della norma dettata con decreto-legge ancora convertibile, la norma contenuta in un decreto-legge non convertito non ha . attitudine, alla stregua dell'art. 77 Cost., comma 3, e u.c., ad inserirsi in un fenomeno successorio , quale quello descritto e regolato dall'art. 2, commi 2 e 3 cod. pen. , ovverosia in un fenomeno successorio concernente norme penali sostanziali per le quali vale il principio di irretroattività delle disposizioni di sfavore, limitatamente alla sancita applicabilità delle disposizioni di cui all'art. 2 cod. pen., commi 2 e 3, al caso del decreto-legge non convertito, e quindi alla sancita operatività della norma penale favorevole, se in esso contenuta, relativamente ai fatti pregressi . A maggior ragione, perciò, nella materia in esame a cui, come detto, non s'applicano le disposizioni dell'art. 2 cod. pen., e dell'art. 25 Cost., e neppure quelle dell'art. 7 CEDU , non può ritenersi suscettibile di avere vigore ultrattivo, per i comportamenti pregressi, la disposizione del decreto-legge, non recepita dalla legge di conversione, che a detti comportamenti pregressi collegava un effetto favorevole. In sostanza, la questione del concreto recupero sociale del condannato per il reato di cui all'art. 4 bis cit. ha perso ogni rilevanza. 2. Con riferimento, invece, all'esclusione del beneficio per i soggetti in stato di detenzione domiciliare - come l'odierno ricorrente - le norme del decreto legge 146 del 2013 e della legge di conversione 10 del 2014 sono identiche entrambi i provvedimenti, infatti, escludono la concessione della liberazione anticipata speciale ai condannati ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare, relativamente ai periodi trascorsi, in tutto o in parte, in esecuzione di tali misure alternative . La legge di conversione ha esteso l'esclusione anche a soggetti che si trovavano in condizioni analoghe ammessi alla detenzione presso il domicilio ai sensi della legge 199 del 2010 o agli arresti domiciliari peraltro il ricorrente rientra tra coloro che si trovavano, nel semestre in questione, in detenzione domiciliare ai sensi dell'art. 47 ter legge 354 del 1975, espressamente richiamata dall'art. 16 nonies legge 8 del 1991 sui collaboratori di giustizia. Si deve escludere, sulla base del citato quadro normativo, che il beneficio possa essere concesso per il semestre in questione al ricorrente, stante l'esplicito divieto posto dalla norma, che non permette alcuna interpretazione diversa. 4. Il semestre che nel presente procedimento rileva tra il 9/11/2012 e il 9/5/2013 è precedente all'entrata in vigore del decreto legge 146 del 2013 quindi per esso si applica la disposizione dei commi 2 e 5 dell'art. 4 del d.l. cit. e della legge di conversione. Tale precisazione è necessaria, perché è evidente che una censura di illegittimità costituzionale della normativa può dar luogo alla relativa questione se rilevante, oltre che non manifestamente infondata. Ebbene la ratio della normativa - manifestata nella Relazione al disegno di legge di conversione del decreto legge - è quella di approntare un rimedio compensativo, secondo le indicazioni della Corte Europea di Strasburgo della violazione dei diritti dei detenuti in conseguenza della situazione di sovraffollamento carcerario e, più in generale, del trattamento inumano e degradante che, per carenze strutturali, possono essersi trovati a subire. Si tratta, pertanto, di una misura, la cui adozione è indispensabile ai fini dell'adeguamento alle indicazioni della già menzionata sentenza Torreggiani c/Italia della Corte Europea. Ed è questa la ragione che ha indotto ad individuare il termine di efficacia nel 1^ gennaio 2010, data in cui si è determinata la situazione di emergenza detentiva . Per le stesse ragioni la maggiore riduzione di pena non viene concessa per coloro che, nei periodi interessati, si trovavano in regime diverso da quello carcerario. La necessità di una ratio ulteriore - quale quella individuata dal Governo in sede di emanazione del decreto legge e poi nella fase di proponente la conversione del decreto - ben si coglie dalla norma costituzionale sull'indulto poiché l'art. 79 della Costituzione richiede una maggioranza qualificata per la deliberazione della legge di indulto, una legge ordinaria che, retroattivamente, avesse disposto una riduzione di pena sic et simpliciter avrebbe potuto essere ritenuta illegittima sotto questo profilo. Il ricorrente sostiene che, in realtà, la giustificazione addotta è smentita dall'impossibilità di concessione dell'ulteriore beneficio per i condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis legge 354 del 1975, invece prevista dal decreto legge rimarca, ancora, che il beneficio è pur sempre quello della liberazione anticipata, collegato alla partecipazione all'opera di rieducazione da parte del detenuto, sottolineando che tale beneficio è concesso ordinariamente anche a chi si trova in misura alternativa alla detenzione. In realtà, si tratta di questioni differenti l'esclusione dal beneficio dei condannati per i delitti di cui all'art. 4 bis cit. - che, pure, godono della liberazione anticipata ordinaria, salvo che sia provata la permanenza dei contatti con la criminalità organizzata - potrebbe apparire effettivamente dissonante rispetto alla finalità compensativa enunciata ma la questione, in questo caso, non rileva quanto alla posizione dell'odierno ricorrente, al quale la liberazione anticipata speciale è stata negata non perché condannato per uno dei delitti di cui all'art. 4 bis cit., ma in quanto in quel semestre si trovava in detenzione domiciliare. Il ricorrente, ancora, trova nel testo del decreto legge 92 del 2014 - che ha previsto l'indennizzo compensativo, tramite riduzione di pena o corresponsione di una somma di denaro al detenuto, una smentita evidente alla finalità compensativa perseguita dal legislatore con il decreto legge 146 del 2013 e con la legge 10 del 2014. In realtà non pare che la nuova norma smentisca la precedente piuttosto la completa, prevedendo per il futuro una procedura che può portare ad indennizzare il detenuto per le condizioni di detenzione contrarie alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo e, quindi, giustificando una compensazione ai detenuti per il passato come quella prevista dal d.l. 146 del 2013 misura, quest'ultima, ovviamente concessa in misura forfettaria a tutti i detenuti che potevano aver subito una detenzione eccessivamente penosa in conseguenza del sovraffollamento carcerario, non potendo la norma personalizzare l'indennizzo in mancanza della procedura prevista, come invece avverrà nel futuro in conseguenza della nuova normativa. Sotto questo profilo, l'esclusione del beneficio dei detenuti in regime di detenzione domiciliare è del tutto coerente con la ratio enunciata - il sovraffollamento carcerario oggetto della sentenza della Corte EDU Torregiani non aveva niente a che fare con la condizione dei detenuti in regime di detenzione domiciliare e, quindi, agentemente la misura compensativa non è stata riconosciuta a loro favore contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, si tratta con ogni evidenza di condizioni diverse. Il ricorso deve, quindi, essere respinto, mentre la questione di illegittimità costituzionale della normativa sollevata in subordine appare manifestamente infondata. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.