“Ma tu sei pazzo...”: contesto conflittuale e linguaggio rendono meno grave l’espressione

Demolito il castello accusatorio nei confronti di una donna, che ha definito pazzo” un uomo, coniuge separato di un’amica. Non vi sono i presupposti per contestare il reato di ingiuria. Decisivo il contesto, legato alla conflittualità dei rapporti fra i due coniugi.

Citazione dal vocabolario ‘Treccani’ ‘pazzo’, ossia malato di mente chi è o sembra fuori di sé . Nessun dubbio è possibile, quindi, sulla carica offensiva dell’espressione ‘pazzo’. Eppure, nonostante ciò, se il contesto – in cui è stata pronunciata il fatidico termine – è assai conflittuale, e la parola è caratterizzata da un evidente tono interrogativo, allora è possibile considerare nulla la lesione dell’onore della persona apostrofata come pazzo” Cassazione, sentenza n. 50969, sez. V Penale, depositata oggi . Onore. Sfogo verbale di una donna nei confronti dell’ex marito di un’amica, resosi responsabile di azioni non proprio corrette nei confronti della ex coniuge. Proprio alla luce della situazione di conflittualità all’interno della coppia, la donna, per difendere le ragioni dell’amica, si rivolge in malo modo nei confronti dell’uomo più precisamente, la frase incriminata è Ma tu sei pazzo, chi sei tu? . Tale episodio è sufficiente, sancisce il Giudice di pace, per condannare la donna alla pena di 258 euro di multa . Ciò perché è evidente, in sostanza, la lesione dell’onore dell’uomo. Contesto. Di avviso opposto, invece, i giudici della Cassazione, i quali, a sorpresa, demoliscono la linea accusatoria, ritenendo legittime le obiezioni mosse dalla donna. Che, a propria difesa, ha richiamato il contesto dell’episodio – è acclarato che la frase è stata pronunciata nei locali della caserma dei Carabinieri, ove la sua amica si era recata a sporgere denuncia nei confronti del coniuge separato, per reati commessi nei suoi confronti, nell’ambito di un rapporto di conflittualità originato da un provvedimento del Tribunale per i minorenni che limitava il diritto dell’uomo di incontrare i figli –, e il fatto che la parola pazzo sia entrata ormai nel linguaggio parlato di uso comune, tanto da divenire espressione, sintetica ed efficace, rappresentativa di un comportamento fuori dalla buona educazione e dalle righe della pacata discussione . Ebbene, per i giudici è necessario ‘pesare’ le parole, perché il loro significato dipende dall’uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui sono inserite. Ciò ancor di più oggi, in una società in cui l’utilizzo di un linguaggio più disinvolto, più aggressivo, meno corretto rispetto al passato caratterizza anche il settore dei rapporti tra i cittadini . Così, in questo caso, nonostante l’evidente carica offensiva dell’espressione ‘pazzo’ , non si è concretizzato un oggettivo giudizio di disvalore sulle qualità personali dell’uomo, anche tenendo presenti il contesto di conflittualità e la forma interrogativa adoperata dalla donna. Ciò conduce, in conclusione, a ritenere non sussistente una comunicazione offensiva , lesiva cioè della reputazione della persona apostrofata come pazzo. E consequenziale è l’azzeramento, definitivo, di ogni accusa nei confronti della donna.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 settembre – 4 dicembre 2014, n. 50969 Presidente Marasca – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, il Giudice di pace di Gioiosa Ionica condannava F.C. alla pena di € 258 di multa, per il reato di cui all’articolo 594 cod. pen., per aver pronunciato l’espressione sei pazzo” alla presenza di D’A.S., così offendendone l’onore ed il decoro. 2. Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputata, articolando due motivi. 2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera B ed E, cod. proc. pen., per vizio di motivazione, consistito nell’omessa considerazione di circostanze e modalità di svolgimento del fatto che escludono la sussistenza del reato, nonché per falsa applicazione dell’articolo 594 cod. pen. La ricorrente rileva che la ricostruzione dei fatti è pacifica, e che la frase è stata pronunciata nei locali della caserma dei Carabinieri, ove la sua amica C.C.S. si era recata a sporgere denuncia nei confronti del coniuge separato D’A.S., per reati commessi nei suoi confronti, nell’ambito di un rapporto di conflittualità originato da un provvedimento del Tribunale per i minorenni, che limitava il diritto dell’uomo di incontrare i figli. La ricorrente contesta il valore diffamatorio della parola pazzo”, entrata ormai nel linguaggio parlato di uso comune, tanto da divenire espressione, sintetica ed efficace, rappresentativa di un comportamento fuori dalla buona educazione e dalle righe della pacata discussione. Ancorché poco corretto e disdicevole, l’uso del termine non è tale da superare la soglia del penalmente rilevante, considerato il contesto in cui è stato adoperato e la forma interrogativa utilizzata dall’imputata ma tu sei pazzo, chi sei tu?” . Dunque nel caso di specie è assente non solo l’elemento materiale del reato, ma anche l’elemento psicologico, considerato lo stato di profondo disagio causato dal precedente comportamento della persona offesa, descritto anche dal giudice di merito. 2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 606, lettera E, cod. proc. pen., in relazione all’art. 599 cod. proc. pen Con memoria difensiva ed in sede di discussione, infatti. la difesa aveva invocato l’esimente della provocazione, rappresentata dall’atteggiamento litigioso, contrario al vivere civile, tenuto dall’imputato prima innanzi all’istituto scolastico e, successivamente, fuori e dentro la caserma. Considerato in diritto 1. II ricorso va accolto. In particolare risulta fondato il primo motivo, riguardante l’insussistenza del fatto, con conseguente assorbimento del secondo. 1.1 In via generale va ricordato che, al fine di accertare se l’espressione utilizzata sia idonea a ledere il bene protetto dalla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 594 cod. pen., occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alle personalità dell’offeso e dell’offensore nonché al contesto nel quale detta espressione sia stata pronunciata ed alla coscienza sociale Sez. 5, n. 32907 del 30/06/2011, Di Coste, Rv. 250941 Sez. 5, n. 21264 dei 19/02/2010, Saroli, Rv. 247473 Sez. 5, n. 39454 del 03/06/2005, Braconi, Rv. 232339 . Infatti il significato delle parole dipende dall’uso che se ne fa e dal contesto comunicativo in cui si inseriscono se è vero infatti che in linea di principio l’uso abituale di espressioni disdicevoli non può togliere alle stesse l’obiettiva capacità di ledere l’altrui prestigio, ve ne sono alcune che, in relazione proprio al contesto comunicativo, perdono la loro potenzialità lesiva. 1.2 Come rilevato dalla Suprema Corte anche recentemente Sez. 5, n. 19223 del 14/12/2012 - dep. 03/05/2013, Fracasso, Rv. 256240 , l’utilizzo di un linguaggio più disinvolto, più aggressivo, meno corretto di quello in uso in precedenza caratterizza oggigiorno anche il settore dei rapporti tra i cittadini, derivandone un mutamento della sensibilità e della coscienza sociale siffatto modo di esprimersi e di rapportarsi all’altro, infatti, se è certamente censurabile sul piano del costume, è ormai accettato se non sopportato dalla maggioranza dei cittadini. 1.3 L’indubbia carica offensiva dell’espressione pazzo”, allora, non determina automaticamente la lesione del bene protetto dalla fattispecie di cui all’art. 594, cod. pen., proprio perché la frase incriminata non si è tradotta in un oggettivo giudizio di disvalore sulle qualità personali del D’A., considerato il contesto di conflittualità nel quale è stata pronunciata e la forma interrogativa adoperata dall’imputata. 1.4 Tale valutazione in sede di legittimità è consentita, poiché dovendosi verificare il significato di una comunicazione testuale, al fine di accertare se un determinato enunciato sia effettivamente offensivo della reputazione altrui, viene in rilievo una questione di qualificazione giuridica, che può essere risolta direttamente anche dal giudice di legittimità Sez. 5, n. 35548 del 19/09/2007, Grosso, Rv. 237729 2. In conclusione, escluso il carattere offensivo della frase incriminata, la impugnata sentenza va annullata senza rinvio, perché il fatto non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.