Continuazione fallimentare è, ai fini della pena, circostanza aggravante

L’art. 219, comma 2, n. 1, l. fallimentare disciplina un’ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante.

Questa la conclusione condivisa dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 50349, depositata il 2 dicembre 2014. Il fatto. Il Gup del Tribunale di Tolmezzo riteneva l’imputato responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ritenuto il reato in continuazione con gli altri per cui lo stesso aveva già patteggiato con sentenza divenuta definitiva, non procedeva però ad applicare in riferimento al medesimo alcun aumento di pena, rilevando come nel precedente procedimento il soggetto fosse stato tra l’altro imputato per una serie di reati fallimentari unificati nell’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1 l. fallimentare, ritenuta poi subvalente rispetto alla riconosciuta attenuante di cui all’art. 62 n. 6 c.p Contro tale sentenza ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Trieste deducendo l’errata applicazione della legge penale, osservando come il Gup avrebbe fatto distorta applicazione dei principi affermati dalle Sezioni Unite, e avrebbe, dunque, illegittimamente omesso di applicare all’imputato un seppur minimo aumento di pena per il nuovo episodio di bancarotta oggetto del presente procedimento. Qualifica formale di circostanza aggravante. Interviene il Collegio ricordando come di recente le Sezioni Unite sent. n. 21039/2011 hanno affermato che, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte di bancarotta nell’ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall’art. 219, comma 2, n. 1 l.f nell’occasione, il Supremo Collegio ha avuto modo di precisare che la disposizione menzionata postula l’unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, implica il necessario richiamo all’art. 64 c.p., che è l’unica disposizione che consente di modulare la detta variazione aggiungendo altresì come sia indubbio che, sul piano formale, si è di fronte a una circostanza aggravante. concludendo dunque che l’art. 219, comma 2, n. 1, l. fallimentare disciplina un’ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatorio nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante. In definitiva, nella lettura fornita dalle Sezioni Unite, la speciale regolamentazione del concorso di reati fallimentari contenuti nella disposizione menzionata è stata, per esplicita volontà del legislatore, formalmente qualificata come circostanza aggravante. Bilanciamento aggravanti e attenuanti. Ribadisce, dunque, la S. C. che , in quanto formalmente circostanza aggravante, alla c.d. continuazione fallimentare debba applicarsi tra l’altro anche l’art. 69 c.p. e che pertanto, nell’ipotesi in cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare l’aumento di pena previsto dall’art. 219 l. f. qualora all’esito del giudizio di bilanciamento la circostanza in questione venga ritenuta minusvalente. Corretta a questo punto appare la statuizione del giudice, rilevata la decisiva subvalenza dell’aggravante in questione rispetto all’attenuante riconosciuta all’imputato nell’altro giudizio, di non procedere ad alcun aumento di pena per il nuovo episodio di bancarotta. Per queste ragioni, la Corte rigetta il ricorso del Procuratore Generale.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 ottobre – 2 dicembre 2014,n. 50349 Presidente Ferrua – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata il G.u.p. del Tribunale di Tolmezzo, a seguito di giudizio abbreviato, riteneva D.T.D. responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale ad oggetto la distrazione di un'autovettura dal patrimonio della Microled s.r.l. poi dichiarata fallita. Ritenuto il reato in continuazione con gli altri per cui lo stesso imputato aveva già patteggiato con sentenza divenuta definitiva, non procedeva però ad applicare in riferimento al medesimo alcun aumento di pena, rilevando come nel precedente procedimento il D.T. fosse stato tra l'altro imputato per una serie di reati fallimentari unificati nell'aggravante di cui all'art. 219 comma 2 n. 1 l.f., ritenuta poi subvalente rispetto alla riconosciuta attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p 2. Avverso la sentenza ricorre il procuratore Generale presso la Corte d'appello di Trieste deducendo l'errata applicazione della legge penale, osservando come il G.u.p. avrebbe fatto distorta applicazione dei principi affermati da Sezioni Unite n. 21039 del 2011 in merito all'applicazione nel procedimento di esecuzione della disciplina della continuazione fallimentare tra reati giudicati in separati procedimenti ed avrebbe dunque illegittimamente omesso di applicare al D.T. un seppur minimo aumento di pena per il nuovo episodio di bancarotta oggetto del presente procedimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Come ricordato anche dal PG ricorrente, le Sezioni Unite hanno di recente affermato che, nel caso di consumazione di una pluralità di condotte di bancarotta nell'ambito del medesimo fallimento, le stesse mantengono la propria autonomia ontologica, dando luogo ad un concorso di reati, unificati, ai soli fini sanzionatori, nel cumulo giuridico previsto dall'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., disposizione che pertanto non prevede, sotto il profilo strutturale, una circostanza aggravante, ma detta per i reati fallimentari una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all'art. 81 c.p. Sez. Un., n. 21039 del 27 gennaio 2011, P.M. in proc. Loy, Rv. 249665 . 2.1 Nell'occasione, però, il Supremo Collegio ha avuto altresì modo di precisare che la disposizione menzionata postula l'unificazione quoad poenam di fatti-reato autonomi e non sovrapponibili tra loro, facendo ricorso alla categoria teorica della circostanza aggravante, della quale presenta sicuri indici qualificanti a il nomen iuris, circostanze, adottato nella rubrica b la generica formula utilizzata per individuare la variazione di pena in aggravamento le pene [ .] sono aumentate implica il necessario richiamo all'art. 64 cod. pen., che è l'unica disposizione che consente di modulare la detta variazione sanzionatola” aggiungendo altresì come sia indubbio che, sul piano formale, si è di fronte a una circostanza aggravante”. Circostanza che la sentenza Loy riconosce non corrispondere però sotto il profilo strutturale al paradigma tipico della categoria di formale appartenenza, dovendosi dunque concludere che l'art. 219, comma secondo, n. 1, legge fall., disciplina, nella sostanza, un'ipotesi di concorso di reati autonomi e indipendenti, che il legislatore unifica fittiziamente agli effetti della individuazione del regime sanzionatolo nel cumulo giuridico, facendo ricorso formalmente allo strumento tecnico della circostanza aggravante”. 2.2 In definitiva, nella lettura fornita dalle Sezioni Unite, la speciale regolamentazione del concorso di reati fallimentari contenuta nella disposizione menzionata è stata, per esplicita volontà del legislatore, formalmente qualificata come circostanza aggravante. Qualificazione che, se non è certo sufficiente per imprimere alla fattispecie descritta nell'art. 219 comma secondo n. 1 legge fall., il profilo sostanziale proprio delle circostanze, ma che ciò non di meno è funzionale al suo assoggettamento alla disciplina generale dettata per queste ultime, contrariamente a quanto sostenuto dal P.G. ricorrente. 2.3 Ed in tal senso decisivo appare soprattutto il meccanismo di calcolo dell'aumento di pena prescelto, il quale, nel discostarsi vistosamente da quello previsto dall'art. 81 c.p. per la continuazione ordinaria , non si ispira solo al lessico proprio delle norma che configurano circostanze aggravanti, ma, come per l'appunto osservato nella sentenza citata, sostanzialmente rinvia all'art. 64 c.p., unica disposizione idonea a rivelarne l'effettiva misura. 2.4. Va dunque ribadito che, in quanto formalmente circostanza aggravante, alla c.d. continuazione fallimentare debba applicarsi tra l'altro anche l'art. 69 c.p. e che pertanto, nell'ipotesi in cui vengano contestualmente riconosciute una o più attenuanti, la stessa debba essere posta in comparazione con queste ultime, con la conseguente esclusione della possibilità di irrogare l'aumento di pena previsto dall'art. 219 qualora all'esito del giudizio di bilanciamento la circostanza in questione venga ritenuta minusvalenze in questo senso di recente Sez. 5, n. 21036 del 17 aprile 2013, P.G. in proc. Bossone, Rv. 255146 Sez. 5, n. 51194 del 12 novembre 2013, P.G. in proc. Carrara, Rv. 258675 . 3. Come già illustrato, nel caso di specie il G.u.p. del Tribunale di Tolmezzo ha giudicato un ulteriore fatto di bancarotta patrimoniale concorrente con quelli già oggetto di sentenza definitiva di applicazione della pena, fatti tutti relativi al medesimo fallimento. 3.1 Alla luce dei principi affermati dalla menzionata sentenza Loy delle Sezioni Unite e in particolare quello per cui la condanna definitiva per il reato di bancarotta non impedisce di procedere nei confronti dello stesso imputato per altre e distinte condotte di bancarotta relative alla medesima procedura concorsuale” , correttamente il predetto giudice, una volta rilevata l'autonomia del fatto oggetto della nuova contestazione, ha proceduto nei confronti dell'imputato e lo ha ritenuto colpevole del reato di bancarotta patrimoniale contestato. 3.2 Posto che, come ricordato, tutti i fatti sono stati commessi nell'ambito della medesima procedura concorsuale, l'applicazione della fattispecie prevista dall'art. 219 comma 1 n. 1 legge fall., è imposta dallo stesso tenore della norma, non essendo consentito al giudice sottrarre alcuno di essi alla disciplina della c.d. continuazione fallimentare. Né la circostanza che i suddetti fatti vengano giudicati separatamente può influire sull'estensione del richiamato principio, attese le evidenti implicazioni in merito alla tenuta costituzionale della citata disposizione che una sua disapplicazione in tal caso comporterebbe atteso, a tacer d'altro, che la - pur legittima - scelta di non procedere al simultaneus processus è subita dall'imputato, al quale non può dunque essere riservato un più deteriore trattamento sanzionatorio quale conseguenza di tale decisione. 3.3 Corretta a questo punto risulta anche la statuizione del giudice, rilevata la già decisa subvalenza dell'aggravante in questione rispetto all'attenuante riconosciuta all'imputato nell'altro giudizio, di non procedere ad alcun aumento di pena per il nuovo episodio di bancarotta. Ed infatti disporre diversamente avrebbe comportato sostanzialmente proprio quella disapplicazione della disciplina della disposizione da ultima menzionata e il ricorso, contra legem, a quella dell'art. 81 cpv. c.p. che si è visto risulterebbe irragionevolmente discriminatoria e che invece il PG ricorrente in ultima analisi ha invocato. 3.4 Pervero, nella specie, il giudice ha ritenuto comunque di rinnovare il giudizio di neutralizzazione dell'aggravante della pluralità dei fatti di bancarotta attraverso la comparazione con l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p., riconosciuta anche con riferimento alla nuova contestazione. 4. Non è dubbio che un verdetto di condanna senza irrogazione di pena possa apparire un'anomalia e che, una volta riconosciuta per le esposte ragioni la sua ineluttabilità in fattispecie del tipo di quella oggetto del presente giudizio, susciti il dubbio della stessa utilità dell'esercizio dell'azione penale per fatti di bancarotta in continuazione con altri già definitivamente giudicati. Va però evidenziato come non necessariamente un siffatto procedimento si concluda senza sanzione. Ed infatti, qualora vi sia costituzione di parte civile, il giudice, pur non irrogando alcuna pena aggiuntiva , una volta accertata la responsabilità dell'imputato per la nuova contestazione può, sussistendone i presupposti, condannarlo al risarcimento dell'eventuale maggior danno cagionato dall'ulteriore reato accertato. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Procuratore Generale.