L’intervento di terzi non esime dall’obbligo di fermarsi e prestare soccorso in caso di incidente

In tema di fuga a seguito di incidente stradale, i Giudici di legittimità si esprimono sul reato ex art. 189 c.d.s. precisando che l’obbligo di fermarsi e prestare soccorso è posto in capo a chiunque sia coinvolto in un incidente stradale e che l’intervento di terzi o l’affidamento verso il soccorso delle autorità preposte non giustifica ai fini della sussistenza del reato. Il caso di specie porta inoltre i Giudici a pronunciarsi anche in riferimento al mancato consenso prestato dal conducente all’alcooltest.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione, Sez. Quarta Penale, con la sentenza n. 50054 deposita il 1° dicembre 2014. La necessità del soccorso. Esaminando un caso di fuga a seguito di incidente stradale ex art. 189 c.d.s., la Corte di Cassazione afferma principi di diritto già più volte richiamati dalla giurisprudenza di legittimità. Innanzitutto l’obbligo di fermarsi e prestare soccorso ai feriti grava direttamente su colui che ha causato e/o è coinvolto l’incidente stradale. Tale obbligo deve essere assolto indipendentemente dall’intervento di terzi o affidandosi all’auspicato intervento delle forze dell’ordine o dei soccorsi preposti. Inoltre, nel reato di cui all’art. 189 c.d.s., il dolo non deve solo investire l’evento dell’incidente ma anche il danno alle persone e dunque la necessità del soccorso. Nel caso di specie l’autore dell’incidente si era ben reso conto della necessità di un soccorso nei confronti della persona vittima dell’incidente stesso, ma confidando nell’intervento di un terzo e dichiarando allo stesso tempo di non essersi reso conto di nulla procedeva in auto senza fermarsi dopo l’impatto. Mancato consenso all’alcooltest. Il caso prospettato innanzi ai Giudici di legittimità costituisce anche l’occasione per affermare un ulteriore principio in tema di risultanze probatorie. La difesa eccepiva come motivo di ricorso il mancato consenso dell’imputato a sottoporsi all’alcooltest poi utilizzato ai fini dell’imputazione di cui all’art. 186, comma 2, c.d.s In realtà, secondo affermata giurisprudenza sul punto C. Cost. n. 238/1996 , il codice della strada ha previsto, onde garantire il bilanciamento tra necessità di istruzione probatoria e garanzia di libertà personale, il possibile ma espresso rifiuto a sottoporsi all’alcooltest, con la comminazione tuttavia di una sanzione penale per tale indisponibilità del conducente. Secondo le deduzioni dello stesso ricorrente, l’imputato non ha opposto alcun rifiuto a sottoporsi all’acooltest, dovendosi dunque ricondurre la fattispecie al reato di cui all’art. 186, comma 2, C. d. S. anziché alla fattispecie di cui all’art. 186, comma 7, c.d.s

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 novembre – 1 dicembre 2014, n. 50054 Presidente Romis – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/1/2014 la Corte d'appello di Roma confermava la sentenza con la quale il Tribunale di Latina, sezione distaccata di Terracina, all'esito di giudizio abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità di S.E. per i reati p. e p. dall'art. 186, commi 2 lett. c , 2 bis e 2 sexies e dall'art. 189 cod. strada e lo aveva quindi condannato, ritenuta la continuazione, alla pena di anni due e mesi due di reclusione ed Euro 200 di multa, disponendo altresì la sospensione della patente di guida per tre anni fatti commessi il omissis . La Corte territoriale riteneva accertato che l'imputato, procedendo a forte velocità sulla via , intorno alle ore 4,45 del omissis , alla guida di una Lancia Y di proprietà della madre, aveva urtato e sbalzato in aria N.D. che, in quel frangente, secondo quanto riferito dal teste R.F. , essendo appena sceso dall'auto di quest'ultimo, si stava accingendo ad aprire lo sportello di guida della propria autovettura parcheggiata sulla via medesima. L'auto investitrice si era allontanata senza fermarsi, ma il suo numero di targa veniva annotato dal R. postosi all'inseguimento. Ciò aveva consentito ai carabinieri intervenuti sul luogo di risalire alla intestataria del veicolo e quindi di rintracciarlo, verso le ore 5,40, parcheggiato in un piazzale antistante l'abitazione della proprietaria. Il mezzo presentava un'ammaccatura nel cofano motore lato destro la rottura con rientranza del parabrezza anteriore lato destro, con presenza di tracce ematiche la mancanza, per rottura, dello specchietto retrovisore esterno lato destro. All'interno della casa i militari rinvenivano anche l'imputato che, svegliato, veniva sottoposto ad alcoltest, il quale evidenziava valori alcolemici pari a g/l 1,97 alle ore 7,35 e a g/l 2,07 alle ore 7,52. Rispondendo alle domande degli agenti, lo S. ammetteva che all'ora dell'incidente si trovava alla guida della suddetta auto, di aver bevuto due o tre birre e che stava tornando a casa quanto all'incidente affermava di non essersi reso conto di nulla. Sulla base di tali emergenze, la Corte riteneva infondate o inconducenti le doglianze svolte nell'atto di gravame con le quali lo S. contestava la sussistenza dei reati ascrittigli affermando di non essersi reso dell'incidente e di non aver pertanto inteso in alcun modo nascondere l'autovettura che l'urto era stato non di portata elevata, ma lievissima” che il N. era stato, comunque, soccorso immediatamente dai suoi amici che gli esiti dell'alcoltest non erano attendibili essendo stati effettuati dopo lungo tempo dal fatto, allorquando era probabile che egli avesse, nel frattempo, una volta rientrato a casa, bevuto una birra . 2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, per mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi. 2.1. Con il primo deduce inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione in relazione al rigetto della richiesta di riunione del procedimento di che trattasi con quello separatamente instaurato per omicidio colposo a suo carico, in relazione ai medesimi fatti. Lamenta che, in violazione degli artt. 12 e 17 cod. proc. pen., e con conseguente nullità della sentenza impugnata, la Corte territoriale - pur pendendo entrambi i procedimenti avanti lo stesso ufficio e pur essendo stato quello per omicidio colposo già fissato, tanto da doversi escludere poterne discendere alcun ritardo nella trattazione di entrambi - la Corte d'appello aveva ritenuto di non disporne la riunione, richiesta anche ai fini del riconoscimento, per gli effetti di cui all'art. 81 cpv. cod. pen., della continuazione tra i reati. Deduce che ciò ha impedito di introdurre nel processo in esame gli esiti delle indagini preliminari e, in particolare, la consulenza del PM, espletata nel separato procedimento per omicidio colposo, la quale, assume, avrebbe supportato la tesi difensiva. 2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla affermazione di penale responsabilità per i reati di fuga e omissione di soccorso ex art. 189 cod. strada. Lamenta che la Corte d'appello ha omesso di considerare che, come dedotto con l'atto d'appello, l'evento fu di natura accidentale e che di esso egli non si rese conto che l'auto non venne nascosta, tanto da essere trovata dai carabinieri parcheggiata nel solito posto del cortile adiacente l'abitazione, né era stata manomessa che il N. venne attinto dallo specchietto retrovisore dell'auto di esso ricorrente che l'urto non fu di portata elevata, essendo lo specchietto retrovisore flessibile che la sua condotta successiva non poteva essere considerata una fuga, essendosi egli tranquillamente recato nella propria abitazione e posto a dormire dopo avere parcheggiato l'auto che il N. venne immediatamente soccorso dai suoi amici che ancora, quanto al reato di guida in stato di ebbrezza, l'alcoltest venne eseguito dopo lungo lasso di tempo, essendo probabile che al suo rientro a casa egli avesse bevuto una birra che non vi è prova che egli avesse dato il consenso all'esame. 2.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di r motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche e alla dosimetria della pena. Lamenta al riguardo che la Corte territoriale non ha preso in considerazione le modalità del fatto, la personalità dell'imputato, le sue condizioni di vita individuale, familiare e sociale, né ha dato rilievo alla condotta della vittima, che aveva parcheggiato la sua auto sulla statale Appia in cui vige il divieto di sosta permanente anche in ore notturne. Considerato in diritto 3. È infondato il primo motivo di ricorso. È al riguardo sufficiente rilevare che, secondo pacifico indirizzo, la riunione dei processi è un provvedimento meramente discrezionale, per cui non sussiste nullità del giudizio in caso di rigetto della richiesta, e ciò anche quando manchi un motivato provvedimento di diniego della riunione cfr. Sez. 1, n. 5206 del 10/04/1996, Bascio, Rv. 204668 Sez. 4, n. 11135 del 17/06/1993, Rosato, Rv. 197351 . Né a diversa conclusione può condurre la circostanza che la riunione sia stata richiesta in funzione anche della dedotta continuazione tra i reati oggetto dei diversi procedimenti. Come è stato in proposito puntualmente e condivisibilmente evidenziato, infatti, anche in tale ipotesi, la sentenza di merito non può validamente essere impugnata con ricorso per cassazione sotto il profilo del mancato riconoscimento del suddetto vincolo, atteso che, da un lato, i provvedimenti che dispongono o negano la riunione di procedimenti, siccome meramente ordinatori, sono - come detto - sottratti ad ogni forma di impugnazione, dall'altro la invocata continuazione può comunque sempre essere chiesta in sede esecutiva ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen., non ostandovi - per il suo carattere incidentale - la suddetta pronuncia del giudice di cognizione, che, proprio per non aver disposto la riunione, non ha potuto giudicare ex professo della sussistenza o meno della unicità del disegno criminoso, ma si è limitato ad una mera delibazione Sez. 3, n. 39952 del 03/10/2006, Boscaneanu ed altri, Rv. 235496 Sez. 4, n. 676 del 06/11/2003, dep. 2004, Provenzano, Rv. 227345 Sez. 1, n. 4794 del 28/01/1997, Marcone, Rv. 207579 . 4. Il secondo motivo di ricorso si appalesa aspecifico. Le doglianze con esso svolte non fanno che ripetere le medesime censure già dedotte a fondamento del gravame, tutte compiutamente esaminate nella sentenza impugnata e confutate alla stregua di ampie argomentazioni, coerenti alle emergenze processuali e ineccepibili sul piano logico giuridico. Ha invero evidenziato la Corte territoriale che - l'assunto dell'imputato di non essersi reso conto di nulla non trova alcuna seria base nelle emergenze processuali, ma anzi risulta smentito dalla violenza dell'urto il quale, diversamente da quanto sostenuto dal prevenuto, non può essere ristretto al solo specchietto retrovisore violenza testimoniata dalle condizioni del parabrezza, già puntualmente richiamate nella sentenza di primo grado, e da quanto riferito dal teste R. volarono via il giubbotto ed il maglione che N. teneva in mano e lo stesso N. fu sbalzato in avanti di circa 20 m - l'essersi recato l'imputato in casa sua senza alcuna attività di nascondimento della vettura non sposta minimamente la questione della plateale inosservanza dell'obbligo di fermarsi e di prestare assistenza - il fatto poi che egli anziché rendersi irreperibile sia andato a casa, è irrilevante e comunque successivo alla commissione delle due condotte illecite sanzionate dall'art. 189 cod. strada - è infondato il rilievo secondo cui il N. venne soccorso immediatamente dai suoi amici, avendo il teste R. precisato di essersi immediatamente spostato dal luogo dell'incidente per inseguire l'auto investitrice, poi visivamente riagganciata solo in una via laterale - la tesi difensiva secondo cui l'imputato probabilmente bevve una birra una volta tornato a casa è contrastata dalla sua stessa ammissione iniziale, resa ai carabinieri, secondo cui egli aveva bevuto due o tre birre prima di rientrare a casa - l'esito dei due test, che evidenziano valori incontestabilmente alti, non lasciava spazio a dubbi di una qualche ragionevolezza sul fatto che egli nell'occorso stesse guidando in stato di grave alterazione derivante dall'assunzione di alcol, stante la contenuta distanza degli stessi test dall'ora dell'incidente - nessun dubbio poteva sussistere sulla utilizzabilità dei test, atteso che il verbale di contestazione in atti evidenzia che gli operanti hanno preventivamente verificato il regolare funzionamento dell'etilometro comunque omologato e avvisato lo S. della facoltà di farsi assistere da un difensore. Sono, queste, argomentazioni che il ricorrente mostra di ignorare totalmente, spingendosi anzi ad affermare, contro ogni evidenza, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare le circostanze e le tesi difensive cui esse invece chiaramente si riferiscono, così dunque omettendo di confrontarsi con le ragioni che hanno condotto la Corte d'appello a negarvi fondatezza in fatto e in diritto, e venendo meno all'onere di illustrare i motivi per cui la decisione resa dal giudice di merito dovrebbe ritenersi, in rapporto a quelle doglianze, carente o contraddittoria o manifestamente illogica. Ne discende che il ricorso, come detto, risulta privo, in modo patente, del requisito di specificità dei motivi, il quale ovviamente va apprezzato, nei sensi appena detti, non già genericamente in rapporto alle questioni dedotte in giudizio ma in relazione alla decisione impugnata. 5. Ciò posto è appena il caso di rammentare, ad ulteriore confutazione della conducenza delle iterate tesi difensive, che, comunque, secondo principio di diritto pacificamente affermato nella giurisprudenza della Suprema Corte, in caso di incidente l'obbligo di fermarsi e prestare assistenza agli eventuali feriti grava direttamente su colui che si trova coinvolto nell'incidente medesimo, il quale è dunque tenuto ad assolverlo indipendentemente dall'intervento di terzi e senza poter fare affidamento sull'invocato intervento della polizia o di altra autorità già allertate, almeno fino a quando non abbia conseguito la certezza dell'avvenuto soccorso” Sez. 4, n. 8626 del 07/02/2008, Di Vece, Rv. 238973 . Giova altresì rammentare che, per altrettanto costante insegnamento, nel reato di fuga, previsto dall'ari. 189, commi 6 e 7, cod. strad., il dolo deve investire non solo l'evento dell'incidente, ma anche il danno alle persone e, conseguentemente, la necessità del soccorso, che non costituisce una condizione di punibilità tuttavia, la consapevolezza che la persona coinvolta nell'incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all'elemento volitivo, ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l'esistenza ” v. ex multis Sez. 4, n. 34134 del 13/07/2007, Agostinone, Rv. 237239 . Infine, nessun rilievo può assumere l'eventuale mancato consenso all'accertamento mediante alcoltest, potendo questo ritenersi impedito solo da un espresso rifiuto con conseguente inutilizzabilità degli esiti dell'accertamento in ipotesi ugualmente eseguito rifiuto che, ove effettivamente espresso, integrerebbe di per sé il diverso reato di cui all'art. 186, comma 7, cod. strada. È utile ricordare in proposito che la Corte Costituzionale, nella motivazione della sentenza con cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 224 cod. proc. pen. Corte Cost. n. 238 del 9/07/1996 , nel momento in cui censurava la genericità della disciplina del rito penale, ha segnalato come invece, in un diverso contesto, che è quello del nuovo codice della strada artt. 186 e 187 , il legislatore - operando specificamente il bilanciamento tra l'esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale - abbia dettato una disciplina specifica e settoriale dell'accertamento sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcolica o di assunzione di sostanze stupefacenti della concentrazione di alcool nell'aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, prevedendo in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell'accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità dei conducente ad offrirsi e cooperare all'acquisizione probatoria” . Ora, secondo quanto dedotto dallo stesso ricorrente, non risulta che egli abbia opposto un rifiuto a sottoporsi all'esame del tasso alcolemico a mezzo etilometro, emergendo con evidenza la corretta sussunzione della condotta al medesimo ascrivibile nella disciplina dettata dall'art. 186 C.d.S., comma 2, piuttosto che nell'alveo della diversa ipotesi di reato prevista e disciplinata dall'art. 186, comma 7, cod. strada che, come detto, presuppone la totale indisponibilità del conducente a cooperare all'acquisizione probatoria. Il pur notevole intervallo temporale intercorso tra l'incidente e l'esecuzione dell'alcoltest non priva poi di per sé, sul piano logico, l'efficacia probatoria del suo esito positivo, atteso che il rapido processo di assorbimento dell'alcol nel sangue semmai autorizza a presumere che, a distanza di circa tre ore dal fatto, il livello del tasso alcolico nel sangue fosse ormai in fase discendente e, dunque, che al momento del fatto fosse anche più elevato. La iterata affermazione, secondo cui, a inficiare l'attendibilità dell'atto istruttorio, varrebbe la probabilità che, al suo rientro a casa, l'odierno ricorrente abbia bevuto una birra, si risolve in una censura aspecifica, trattandosi per l'appunto, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, di una mera ipotesi, tanto meno suffragata dal riferimento ad alcuna emergenza probatoria di cui si lamenti l'omessa valutazione da parte dei giudici di merito senza dire che, anche in tal caso, una doglianza di travisamento di prova non avrebbe potuto trovare ingresso nel presente giudizio di legittimità, in presenza di una c.d. doppia conforme v. Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636 Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007, Medina ed altri, Rv. 236130 . 6. Sono, infine, altresì infondate le censure relative al trattamento sanzionatorio e alla mancata concessione delle attenuanti generiche. In tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna, Rv. 227142 o con formule sintetiche tipo si ritiene congrua ”, v. Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583 , ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico Sez. 3, n. 26908 del 22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298 . Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, tanto che ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'art. 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso” Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 . Parimenti, con specifico riferimento alla dosimetria della pena, trovasi condivisibilmente precisato che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale” Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278 . In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, la quantificazione della pena ovvero il diniego delle attenuanti generiche siano frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che, comunque, si espongano a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo ampiamente motivato sul punto facendo in particolare riferimento al precedente penale specifico e alla estrema gravità dei reati elementi di tale pregnanza nella specie, ha soggiunto, da rendere recessivo qualunque altro dei parametri delineati dall'art. 133 cod. pen. ”. 7. Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.