L’evasione fiscale è presupposto per l’applicazione della misura preventiva

Ai fini dell’applicabilità della confisca di prevenzione, il destinatario della misura non può giustificare la disponibilità di beni di valore sproporzionato al proprio reddito allegando proventi non dichiarati al fisco.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 47731, depositata il 19 novembre 2014. Il fatto. La Corte d’appello di Palermo rigettava il ricorso proposto contro il decreto del Tribunale che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revoca con efficacia ex tunc della misura di prevenzione patrimoniale imposta su tre appartamenti intestati ai figli del proposto, appartenente di rilievo della associazione mafiosa. La confisca veniva disposta sulla base sia della coincidenza temporale dell’acquisto degli appartamenti con l’impegno del soggetto nell’associazione mafiosa, che della sproporzione esistente tra il valore di detti immobili ed i redditi leciti dichiarati dal nucleo familiare. L’acquisto si perfezionava attraverso l’accollo di rate di mutuo che venivano pagate con risorse sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati. Contro tale decisione viene proposto ricorso per cassazione, deducendo violazione di legge per erronea applicazione della normativa che disciplina i presupposti e le condizioni della confisca di prevenzione. In particolare, si lamenta la illegittimità di inquadramento dell’illecito fiscale tra i fatti che consentono la confisca di prevenzione. Proventi dell’evasione fiscale. La questione sottoposta alla Corte è se, ai fini della confisca di prevenzione, per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, debba tenersi conto o meno dei proventi dell’evasione fiscale. Sul punto si erano già espresse le Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 33451/14 . Confisca allargata vs confisca di prevenzione. Il Supremo Collegio, nell’affermare che, ai fini dell’applicabilità della confisca di prevenzione, il destinatario della misura non può giustificare la disponibilità di beni di valore sproporzionato al proprio reddito allegando proventi non dichiarati al fisco , rimarcava la distinzione strutturale che ricorre tra confisca allargata e confisca di prevenzione. Infatti, per la confisca allargata, che prevede che il requisito della sproporzione debba essere confrontato con il reddito dichiarato o con la propria attività economica, si può tener conto dei redditi, derivanti da attività lecita, sottratti al fisco. Viceversa, tale approdo non è applicabile alla confisca di prevenzione, per la quale rileva – e dunque non è deducibile a discarico – anche il fatto che i beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego. Le Sezioni chiarivano che sicuramente l’evasione fiscale integra ex se attività illecita, anche qualora non integri reato. Veniva rilevato, altresì, come la misura di prevenzione patrimoniale sia orientata ad evitare il reimpiego dei capitali illeciti e alla salvaguardia delle relazioni economiche che patirebbero una dannosa compromissione dalla immissione di capitali illeciti di contro la finalità della confisca allargata, misura di sicurezza, è solo quella di impedire la commissione di nuovi reati. Il provento da evasione non è utile a giustificare la sproporzione. Il Collegio, condividendo quanto precedentemente affermato dalla Corte nella sua più autorevole composizione, ritiene che il provento da evasione non sia utile a giustificare la sproporzione. Rigetta, pertanto, il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 16 ottobre – 19 novembre 2014, n. 47731 Presidente Gentile – Relatore Recchione Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 26 luglio 2013 la Corte di appello di Palermo rigettava il ricorso proposto da B.G. e dagli intervenienti S.C. , Bu.Gi. e B.V. contro il decreto del Tribunale di Palermo del 9 maggio 2011, che aveva dichiarato inammissibile l'istanza di revoca con efficacia ex tunc della misura di prevenzione patrimoniale imposta su tre appartamenti intestati ai figli del proposto, appartenente di rilievo della associazione mafiosa. La confisca veniva disposta sulla base sia della coincidenza temporale dell'acquisto degli appartamenti con l'impegno del B.G. nella associazione mafiosa che della sproporzione esistente tra il valore di detti immobili ed i redditi leciti dichiarati dal nucleo familiare B. . L'acquisto si perfezionava attraverso l'accollo di rate di mutuo che venivano pagate dal B.G. con risorse sproporzionate rispetto ai redditi dichiarati. La istanza di revoca oggetto della reiezione effettuata con il provvedimento impugnato si fondava sulla valorizzazione di nuove emergenze e, segnatamente con l'emersione di nuovi redditi riconducibili a canoni di locazione non dichiarati relativi ai tre appartamenti confiscati. Tali redditi maggiorati avrebbero dovuto indurre i giudici territoriali a riconsiderare l'esistenza del presupposto della sproporzione ed a revocare la confisca. I redditi non dichiarati, nella prospettazione difensiva, avrebbero fatto venire meno il requisito della sproporzione posto alla base del vincolo di prevenzione. Nel rigettare l'appello contro il decreto di inammissibilità della istanza di revoca la Corte territoriale evidenziava che i redditi evasi non potevano essere compresi nel novero delle entrate utili ai fini del giudizio di proporzione presupposto della confisca, dato che l'evasione costituisce comunque un provento illecito. Si rimarcava inoltre che il provvedimento ablatorio di prevenzione poteva conseguire anche alla violazione di norme diverse da quelle destinate alla repressione del fenomeno mafioso. 2. Avverso tale provvedimento veniva proposto ricorso per cassazione. Segnatamente si deduceva a violazione di legge per erronea applicazione della normativa che disciplina i presupposti e le condizioni della confisca di prevenzione artt. 4 comma 11 legge 27/12/1956 n. 1423 in relazione agli artt. 7 comma 2 L. 1423/1956 e 2 ter della legge 575/65 . Il difensore si doleva della legittimità dell'inquadramento dell'illecito fiscale tra i fatti che consentono la confisca di prevenzione. Secondo la prospettazione difensiva questa richiedeva comunque la riconducibilità del bene ad un fatto-reato, anche se diverso da quelli tipici delle organizzazioni mafiose”, ma pur sempre classificabile come illecito penale di qualsiasi specie e natura”, compresi, quindi, eventuali illeciti penali di natura tributaria. L'illecito fiscale avrebbe dunque dovuto assumere rilevanza ai fini della applicazione della misura di prevenzione patrimoniale solo nell'ipotesi in cui avesse configurato un reato. Il ricorrente si doleva inoltre del fatto che, anche a voler ritenere che l'evasione legittimi la confisca di prevenzione, illecito dove va essere considerato non l'intero importo non dichiarato, ma solo la somma evasa. Ci si doleva della assenza nel provvedimento impugnato di argomentazioni sul punto, dato che la Corte territoriale aveva considerato illecito l'intero ammontare dei redditi non dichiarati nello specifico canoni di locazione solo in parte non dichiarati , senza individuare la somma corrispondente in concreto alla condotta elusiva. Tale scrutinio avrebbe dovuto condurre ad individuare come illecita solo la parte dei canoni di locazione non dichiarata al fisco. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 1.1.La questione proposta ricalca quella decisa dalle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 33451/14 proposta nei seguenti termini se, ai fini della confisca di cui all'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965, per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto, titolare diretto o indiretto dei beni, debba tenersi conto o meno dei proventi dell'evasione fiscale”. La Corte nella sua più autorevole composizione ha escluso che, ai fine dell'applicabilità della confisca di prevenzione, il destinatario della misura possa giustificare la disponibilità di beni in valore sproporzionato al proprio reddito allegando proventi non dichiarati al fisco. Il Supremo collegio ha rimarcato la distinzione strutturale che intercorre tra la confisca allargata prevista dall'art. 12 sexies della legge 7 agosto 1992, n. 356 e la confisca di prevenzione. In particolare è stato rilevato che la differente struttura normativa delle due confische è di tutto rilievo. In particolare quella ex art. 12-sexies è legata alla commissione di alcuni reati, mentre l'accertata commissione di reati non è presupposto necessario per il giudizio di pericolosità la confisca ed allargata è legata alla non giustificabilità della provenienza delle utilità ed alla sproporzione rispetto ai redditi dichiarati o alla propria attività economica, quella di prevenzione aggiunge profilo estraneo alla confisca ex art. 12-sexies in alternativa ovvero quando la riconducibilità dei beni, sulla base di sufficienti indizi, al frutto di attività illecite ed al reimpiego delle stesse”. Partendo da tale premessa si è giunti a ritenere che è coerente con l'evidenziata diversa struttura normativa che per la confisca ex art. 12-sexies, che prevede che il requisito della sproporzione debba essere confrontato con il reddito dichiarato o con la propria attività economica, si possa tener conto dei redditi, derivanti da attività lecita, sottratti al fisco perché comunque rientranti nella propria attività economica secondo i più recenti e prevalenti approdi giurisprudenziali in tale ambito da ultimo Sez. 1, n. 13425 del 21/02/2013, Coniglione, Rv. 255082 Sez. 1, n. 6336 del 22/01/2013, Mele, Rv. 254532 Sez. 1, n. 9678 del 05/11/2013, dep. 2014, Creati ” Viceversa si evidenziava come tale approdo non possa essere applicabile alla confisca di prevenzione per la quale rileva - e dunque non è deducibile a discarico - anche il fatto che i beni siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego”. Individuata la funzione della confisca di prevenzione si chiariva che sicuramente l'evasione fiscale integra ex se attività illecita cantra legem anche qualora non integri reato né si può ignorare che la sottrazione di attività, pur intrinsecamente lecite e cioè da impresa palese, non da mafia , agli obblighi fiscali in tutto o in parte , inevitabilmente porta con sé altre connesse illiceità”. Il Supremo collegio ha dunque evidenziato come la finalità della confisca di prevenzione sia quello di impedire l’inquinamento del sistema economico legale con l'immissione di risorse illecite e, più limitatamente, di impedire che attraverso il reimpiego delle somme illecitamente locupletate si possano ottenere ulteriori vantaggi. Di contro, la finalità della confisca ex art. 12 sexies è solo quella di impedire la commissione di nuovi reati la misura ablatoria conserva in questo caso la configurazione di misura di sicurezza cui sono estranee le finalità della misura di prevenzione patrimoniale, orientata piuttosto all'evitamento del reimpiego dei capitali illeciti e alla salvaguardia delle relazioni economiche che patirebbe una dannosa compromissione dalla immissione di capitali illeciti. Condivisa la interpretazione offerta dalla Corte di cassazione nella sua più autorevole composizione si ritiene che il provento da evasione non è utile a giustificare la sproporzione. Il ricorso su tale punto deve essere pertanto rigettato 1.2. Diversa questione è quella, anch'essa proposta dal ricorrente di individuare la quota di capitale illecita che non può essere computata nel giudizio di proporzione. Sul punto le Sezioni unite evidenziano che la circoscrizione del capitale evaso è esigibile solo ove emerga un'evasione puntuale, circoscritta ed unisussistente, senza effettivo reimpiego” mentre non è esigibile ogni volta che come nel caso sottoposto al suo esame l'evasione fiscale è stata ripetuta sistematica e colossale” e dunque – preclude di entrare nella valutazione della problematica circa la quota confiscabile”. Nel caso che ci occupa il capitale occultato ai fini di evasione fiscale risulta individuabile nel maggior canone pagato dai locatari rispetto a quello indicato nei contratti. Si tratterebbe dunque di una evasione che non riguarda l'intero importo dei canoni di locazione, ma solo la quota non denunciata individuata dal ricorrente nella somma di 11.520.000 lire . La Corte, sul punto evidenzia a pag. 12 e a pag 13 del provvedimento impugnato che anche considerando i maggiori importi provenienti dalla locazione degli appartamenti il giudizio di sproporzione rimaneva inalterato. Si legge infatti nel provvedimento che invero, il maggior importo ricavato dalla rettificata cifra pagata dai locatari, pur portando un reddito per canoni ocativi alla mcrementata cifra di circa 15.000,000 di lire annui non consente di intenere radicalmente immutata la situazione economica del B. e della sua famiglia, restando le ulteriori entrate del tutto incongruenti rispetto agli esborsi inerenti il pagamento delle rate di mutuo”. Tale valutazione di merito, insindacabile in cassazione, conduce la Corte territoriale a ribadire il giudizio di sproporzione anche tenuto conto delle nuove emergenze. Il che rende infondata la doglianza del ricorrente sul punto 2. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.