Quando il sequestro per equivalente affonda anche un solido trust

Allorché sia dimostrato che il soggetto agente era ben consapevole, prima delle costituzione del trust, che il suo patrimonio potesse essere oggetto di provvedimenti ablativi della A.G., sicchè attraverso la costituzione del trust ha voluto sottrarre il suo patrimonio alla garanzia dei creditori, Stato compreso, il trust si configura come negozio in frode alla legge. In tale ipotesi i beni conferiti nel trust devono ritenersi comunque nella disponibilità del soggetto agente e dunque legittimamente vengono sottoposti a sequestro per equivalente.

Nel caso di specie la Seconda Sezione della Cassazione Penale, con la sentenza n. 46797/14, ha rigettato il ricorso del figlio, terzo beneficiario del trust, ritenendo l’intestazione al trust medesimo fittizia e dunque non tale da fare venir meno, in capo all’indagato, la disponibilità dei beni conferiti all’interno del trust. La solida struttura del trust Il trust, tipico istituto di diritto inglese, si concreta nell'affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale proprietario” nel senso di titolare dei diritti ceduti , per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell'istituto è che il disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo sham trust e non produce l'effetto segregativo che gli è proprio. e quella fragile del fondo patrimoniale. Sulla base di tali premesse, come noto, di recente la Cassazione aveva affermato, proprio in tema di sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente, che tale misura ben può attingere anche i beni costituenti il fondo patrimoniale familiare di cui all'art. 167 c.c., giacché appartenenti al soggetto che ve li ha conferiti. Ciò, invece, non può accadere nell'ipotesi del trust, che si sostanzia nell'affidamento al trustee di determinati beni perché questi li amministri e gestisca uti dominus per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente, proprio perché presupposto essenziale a pena di nullità del trust è che il disponente perda la disponibilità di quanto conferito, al di là di specifici poteri che possa esercitare in base alle norme costitutive Cass. Pen., sez. III, n. 19099/2013 . Sulla base di tale impostazione giurisprudenziale poteva dunque ritenersi il trust strumento idoneo, a differenza del fondo patrimoniale, ad impedire il sequestro per equivalenti di beni che il disponente indagato avesse conferito all’interno del trust, in quanto con tale atto ne aveva, per definizione, perso la disponibilità, e proprio su tale assunto si fondavano i motivi di ricorso del terzo beneficiario del trust – nel caso che qui si commenta – avverso il decreto del GIP che aveva, per contro, disposto il sequestro per equivalente finalizzato alla confisca, anche di beni facenti parte del trust stesso. Le prime bordate degli Ermellini contro il trust. Invero, le ultimissime pronunce della Cassazione avevano messo in dubbio la solida tenuta del trust avverso provvedimenti di sequestro preventivo. Di recente, infatti, la Suprema Corte ha affermato il principio secondo cui sono assoggettabili al sequestro preventivo finalizzato alla confisca di cui all'art. 416 bis, comma 7, c.p., partecipazioni a società trasferite in un trust, quando sussistono elementi indiziari sintomatici di una correlazione tra l'oggetto di tale atto di destinazione e l'ipotizzata attività illecita, che consentono di ritenere fittizia l'operazione negoziale in ragione della persistente disponibilità dei beni in capo ai precedenti amministratori della società Cass. Pen., Sez. VI, sentenza n. 21621/2014 . Invero la Suprema Corte già in precedenza Cass. Pen., Sez. V, n. 13276/2011 aveva avuto modo di affermare, sia pure in relazione alla diversa ipotesi della confisca di cui all'art. 11 legge n. 146/2006 e del sequestro preventivo ad essa direttamente funzionale, che sono assoggettabili al sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente beni rientranti nella disponibilità dell'indagato, ancorché conferiti in trust e il trustee continui ad amministrarli, in quanto il prevenuto ne conserva comunque la disponibilità per interposta persona. E il colpo di grazia odierno. Tuttavia è opportuno evidenziare che il ricorrente, che evidentemente aveva ben presenti i precedenti giurisprudenziali appena menzionati, aveva lamentato proprio la illegittima applicazione da parte del Tribunale dell’art. 11 legge n. 146/2006 che, in materia di reati fiscali ed altri di carattere transazionale, consente la confisca per equivalente ed il connesso sequestro preventivo anche nei confronti di beni di cui il soggetto abbia la disponibilità per interposta persona anche giuridica . L’argomento difensivo, dotato di indubbia valenza, atteso che nel caso in esame non poteva mettersi in dubbio l’avvenuto conferimento dei beni nel trust e dunque la perdita della disponibilità diretta dei beni da parte dell’indagato, residuando al più una disponibilità per interposta persona attraverso appunto il trust , viene tuttavia disatteso dalla Suprema Corte. Infatti, ricordano gli Ermellini, la confisca per equivalente può colpire tutti i beni sui quali l’indagato abbia un potere di fatto che gli consente di comportarsi su di essi uti dominus , ed una volta appurato, nel caso di specie, tale circostanza, non occorre alcun richiamo alla legge 146/2006 per assoggettare a sequestro detti beni. Resta tuttavia la perplessità, che invero non si può sottacere, che la pronuncia in esame svilisca di ogni importanza – sino quasi a giungere ad una interpretatio abrogans – la distinzione tra la lettera di cui all’art. 11 legge 146/2006, che fa esplicito riferimento a beni di cui il soggetto ha la disponibilità, anche per interposta persona , e l’art. 322 ter c.p., che, per contro, non contiene alcun riferimento alla disponibilità per interposta persona .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 24 ottobre – 12 novembre 2014, n. 46797 Presidente Gallo – Relatore Rago Fatto 1. Con ordinanza del 20/02/2014, il Tribunale del Riesame di Potenza confermava il decreto con il quale, in data 20/01/2014, il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Lagonegro aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente, fino all'importo di Euro sentenza N. 328.000,00, di un complesso immobiliare nella disponibilità di P.G. e F.V. , non ricorrente in quanto indagato per il reato di cui all'art. 640 bis cod. pen. per essersi con artifizi e raggiri consistiti nella produzione di documentazione ideologicamente falsa , procurato l'ingiusto profitto consistito nel percepire complessiva somma di Euro 391.000,00 a titolo di contributo, somma che, senza i suddetti artifizi e raggiri, la Regione Campania non avrebbe mai erogato”. Il suddetto sequestro, peraltro, veniva eseguito sui beni conferiti nel trust L'imperatore costituito in data 14/03/2012 da P.G. e sua moglie Pa.Ni.An. in favore del proprio figlio P.S. . 2. Avverso il suddetto sequestro, hanno proposto ricorso per cassazione sia P.G. che P.S. . 3. P.G. , in proprio, ha proposto ricorso per cassazione deducendo la violazione degli artt. 640 quater - 322 ter cod. pen. e 321/2 cod. proc. pen. il ricorrente sostiene che il tribunale avrebbe travisato e, comunque, male applicato la nozione di profitto confiscabile elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla corretta identificazione e quantificazione del profitto illecitamente realizzato. Il ricorrente ha premesso che la Regione Campania aveva ammesso a finanziamento, il programma di investimento per la realizzazione della struttura ricettiva il complesso ricettivo denominato Old River ubicato in località Imperatore nella misura di Euro 782.000,00 con contributo massimo concedibile pari al 50% dell'investimento e, quindi, pari ad Euro 391.000,00. Il ricorrente, ha, quindi, rilevato che, nel caso di specie, ci si troverebbe di fronte ad un'ipotesi di reato in contratto in quanto lo stesso giudice per le indagini preliminari aveva affermato che non ci si trovava innanzi ad una ipotesi di radicale simulazione di operazioni destinate ad ottenere finanziamenti integralmente non dovuti ” di conseguenza, compito dei giudici era quello di delimitare l'ambito dell'illecito arricchimento effettivamente conseguito. Sostiene il ricorrente che il Tribunale, per stabilire quale fosse stato l'illecito profitto, avrebbe dovuto raffrontare i costi prospettati in base ai quali era stato concesso il finanziamento dalla Regione Campania con i costi effettivamente sostenuti per realizzare l'opera ora esistente. Sennonché, il tribunale, pur ammettendo l'esistenza dell'opera -sia pure per come risultante dalla informativa della G.d.F. del 24/09/2012 - e pur non smentendo che il costo necessario alla sua realizzazione era stato di Euro 781.000,00, aveva concluso che, poiché erano state prodotte fatture reali per Euro 110.000,00, questo era stato il costo dell'opera. Ma, ad avviso del ricorrente, il suddetto ragionamento si sostanzia nell'esasperato formalismo che conduce ad identificare il profitto del reato con il risultato della somma della documentazione ritenuta falsa ed i costi effettivamente sostenuti con quelli di cui ne è accertata la genuità potrebbe essere condivisibile nella sola fantascientifica ipotesi che l'intera struttura avesse un valore di Euro 110.455,00. Tuttavia e nel decreto applicativo della misura e nell'ordinanza di conferma dello stesso non è mai stato revocato in dubbio il costo necessario per la realizzazione di quell'opera, pari ad Euro 782.000,00 ”. 4. P.S. , a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo i seguenti motivi 4.1. violazione della l. 146/2006 per avere il tribunale, esteso ad un reato nazionale, la normativa di cui all'art. 11 L. 146/2006 prevista in materia di reati fiscali ed altro di carattere transnazionale che consente la confisca per equivalente ed il connesso sequestro preventivo anche nei confronti di quei beni di cui il reo abbia la disponibilità anche per interposta persona 4.2. motivazione apparente in ordine all'asserita fittizietà dell'intestazione in capo al ricorrente che, contrariamente a quanto sostenuto dal tribunale era colui che realmente aveva la disponibilità del bene. Diritto 1. P.S. . 1.1. In ordine logico, è preliminare il ricorso del terzo P.S. , perché, ove il ricorso si rivelasse fondato, è chiaro che il ricorso di P.G. , rimarrebbe assorbito, rimanendo del tutto irrilevante la problematica dedotta. 1.2. P.S. , è stato ritenuto dal tribunale un mero intestatario fittizio del bene sequestrato sulla base dei seguenti elementi fattuali a il ricorrente - socio di minoranza della Dall'India con amore -in data 20/09/2012, aveva fatto trascrivere un atto a favore della Regione Campania in cui rappresentava che [ ] tutti gli impegni assunti dalla società Dall'India con amore s.r.l. non sono da intendere cessati, modificati o alterati per effetto della stipula del Trust L'Imperatore, essendo rimasta la suddetta società nella detenzione ininterrotta del suddetto compendio immobiliare, senza soluzione di continuità utilizzato per l'attività oggetto del progetto finanziato [ ] Alla stregua di tanto, può dunque, ritenersi, in questa sede cautelare, che, al di là delle forme e pur nella equivocità dei termini usati nell'atto trascritto, il P.G. continui ad amministrare i beni del complesso immobiliare, conservandone la piena disponibilità ” b In secondo luogo, il trust fu costituito all'indomani dell'ispezione svolta dai funzionari dell'ispettorato del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, finalizzati all'accertamento delle responsabilità oggettive e soggettive in ordine al decesso del lavoratore R.M. , sicché è fondatamente ipotizzarle che, con la costituzione del trust, P.G. abbia voluto sottrarre il suo patrimonio e quello della sua famiglia alle eventuali azioni risarcitorio degli eredi del de cuius ” c In terzo luogo, non può non essere valorizzato il fatto che a fronte delle falsificazioni di fatture e pagamenti ascrivibili al P.G. , e delle indagini che ne sono conseguite, anche per violazioni urbanistiche con conseguente sequestro dell'immobile oggetto di finanziamento , questi era ben consapevole, ben prima della data di costituzione del trust, che il suo patrimonio potesse essere oggetto di provvedimenti ablativi dell'A.G., sicché attraverso la costituzione del trust, ha voluto sottrarre il suo patrimonio alla garanzia dei creditori, Stato compreso. Di qui la configurazione del trust quale negozio in frode alla legge ”. Alla stregua della suddetta amplissima e puntuale motivazione, le doglianze dedotto dal ricorrente sono entrambe infondate. 1.3. La pretesa violazione della l. 146/2006 primo motivo di censura è fuorviante. Il sequestro a carico del terzo apparente formale intestatario dei beni, è stato disposto a norma del combinato disposto degli artt. 322 ter - 640 quater - 640 bis cod. pen. i quali, proprio per le ipotesi di confisca per equivalente, stabiliscono, all'art. 322 ter cod. pen., che la confisca può essere disposta anche su beni di cui il reo ha la disponibilità ” e cioè quei beni sui quali l'indagato/imputato abbia un potere di fatto che gli consente di comportarsi su di essi uti dominus ex plurimis Cass. 15210/2012 riv. 252378. Sul punto, come si è detto, la motivazione del tribunale è puntualissima e si fonda su inequivoci dati fattuali di cui uno quello sub a ha valore confessorio non chiarisce il ricorrente per quali ragioni il tribunale non avrebbe dovuto tenerne conto. Il che rende infondata anche l'ulteriore censura dedotta sotto il profilo della pretesa motivazione apparente, censura, peraltro fondata su mere asserzioni prive di alcun valenza processuale e tali comunque da non scalfire minimamente la motivazione addotta dal tribunale. 2. P.G. . 2.1. Acclarato che l'immobile in questione è nella disponibilità dell'indagato P.G. , può passarsi all'esame del ricorso da questi proposto. 2.2. Come si è evidenziato in parte narrativa, tutta la doglianza dedotta dal ricorrente ruota su un solo concetto il tribunale avrebbe errato nel calcolare il profitto in Euro 328.000,00 perché la tesi del tribunale potrebbe essere condivisibile nella sola fantascientifica ipotesi che l'intera struttura avesse un valore di Euro 110.455,00 ”. 2.3. In punto di fatto, il tribunale pag. 5 ordinanza impugnata è pervenuto a determinare il profitto in Euro 328.000,00 attraverso il ragionamento di seguito indicato. Il P. - nella sua qualità di legale rappresentante della s.r.l. Dall'India con Amore - aveva ottenuto il finanziamento della somma di Euro 391.000,00 in due tranche la prima quale acconto del 30%, e la seconda a saldo, 70%, mediante la formazione e l'utilizzazione di documentazione ideologicamente falsa fatture per un importo complessivo di Euro 767.000,00 al netto dell'iva. Da tale somma vanno sottratti gli importi di quelle fatture che sono state riconosciute dai fornitori, anche in parte si veda ad es. fatture della ditta Edil due n. 18/7, 3/08 e 5/08, che sono state alterate per aumentare gli importi per un totale di Euro 110.455,00, per cui può ritenersi che il totale delle fatturazioni false ammonti ad Euro 656.545,00, e che, pertanto, risulta acquisito un illecito profitto pari alla metà dello stesso importo, ovvero Euro 328.00,00, atteso che il finanziamento è stato erogato dalla Regione Campania per la metà del costo dell'opera. Il ragionamento del G.i.p., come sopra riassunto, è assolutamente logico e va condiviso atteso la determinazione del profitto inteso come illecito arricchimento da parte di colui che ha usufruito di un contributo pubblico per la costruzione di un'opera nella misura del 50% del suo costo, non può che essere determinato individuando il costo complessivo dell'opera, sulla base della documentazione ad esso relativa essenzialmente rappresenta da fatture o pagamenti tracciabili e se tale costo risulta in parte insussistente, come nel caso in esame, il profitto non può che essere determinato nella misura del 50% degli importi fittizi per cui è stato ammesso il contributo pubblico ”. Infine, il tribunale, dopo avere preso in esame la tesi difensiva l'ha disattesa con la seguente motivazione secondo il difensore, tale ragionamento sarebbe errato perché presupporrebbe che i costi effettivamente sostenuti fossero solo quelli di cui è stata accertata la genuinità, ovvero, nel caso in discorso, pari ad Euro 110.445,00 e ciò sarebbe irreale, a fronte dell'opera costruita. Ritiene questo Ufficio che l'obiezione difensiva è destituita di fondamento, atteso che l'unico modo per controllare il costo di un'opera è quello di verificare le fatture e i documenti tracciabili a riscontro, sicché, allo stato, l'opera risulta costata poco più di 110.000 Euro, importo pari a quello delle fatture riconosciute dai fornitori. Né il difensore ha dedotto l'esistenza di altri costi o ha prodotto documentazione utile per smentire tale conclusione ”. 2.4. In punto di diritto la conclusione alla quale è pervenuto il tribunale non si presta ad alcuna censura. È ben noto che la giurisprudenza di questa Corte SSUU 26654/2008 al fine della corretta quantificazione del profitto confiscabile, distingue fra reati contratto ipotesi che si verifica quando la legge qualifica come reato unicamente la stipula del contratto e reati in contratto fattispecie che si verifica quando il comportamento penalmente rilevante si attua non nella fase della stipula del contratto ma durante l'esecuzione del programma negoziale . Nel primo caso reato contratto si verifica una immedesimazione del reato con il negozio giuridico sicché, essendo quest'ultimo integralmente illecito, il relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della illiceità ed è pertanto assoggettabile integralmente a confisca. Nel secondo caso reato in contratto , invece, si devono enucleare gli aspetti leciti vantaggi non confiscabili da quelli illeciti vantaggi confiscabili . Nel caso di specie, il Tribunale da per pacifico e in ciò concorda lo stesso ricorrente che si verte in un'ipotesi di reato in contratto in quanto il finanziamento fu lecitamente concesso senza alcuna condotta fraudolenta da parte del ricorrente, nel mentre gli artifizi e raggiri furono posti in essere in un momento successivo al fine di ottenere l'erogazione del finanziamento. In tali casi, la costante giurisprudenza di questa Corte ex plurimis Cass. 45504/2010 riv 248956 ha ritenuto che occorre individuare quali siano i vantaggi patrimoniali diretta conseguenza degli illeciti commessi in quanto solo questi, ponendosi in una relazione di causa ed effetto rispetto alla condotta fraudolenta, sono soggetti a confisca. Orbene, applicando i suddetti principi alla fattispecie in esame, ne deriva che la motivazione del tribunale non si presta ad alcuna censura in quanto il Tribunale ha applicato correttamente i suddetti principi. Infatti, dopo avere indicato l'importo complessivo delle fatture prodotte dal ricorrente Euro 767.000,00 e grazie alle quali aveva ottenuto l'erogazione della complessiva somma di Euro 391.000,00, il tribunale ha detratto dal suddetto importo le sole fatture reali Euro 110.455,00 ritenendo - sulla base delle indagini compiute - che la differenza pari ad Euro 656.545,00 fosse fatturazione falsa. Siccome il contributo era stato erogato per la metà del costo dell'opera, il tribunale ha diviso per due l'importo di Euro 656.545,00, ottenendo così l'importo di Euro 328.000,00 e cioè la somma nel limite del quale è stato disposto il sequestro. Il tribunale si è quindi attenuto al principio di diritto reiteratamente affermato da questa Corte e che in questa sede va ribadito, secondo il quale è soggetto a confisca solo il profitto derivato da operazioni truffaldine ossia che sono l'effetto e la conseguenza del comportamento fraudolento dell'indagato/imputato. E, nel caso di specie, non vi può essere alcun dubbio che la somma di Euro 328.000,00 ossia una parte dell'importo di Euro 391.000,00 percepito dal ricorrente si ponga come diretta conseguenza del comportamento fraudolento ovvio essendo che, ove l'Ente erogatore si fosse accorto della circostanza che le fatture prodotte al fine di giustificare i lavori eseguiti e, quindi, di ottenere il finanziamento, erano false, di certo non avrebbe erogato la suddetta somma. Quanto alla tesi difensiva, nulla vi è da aggiungere alla lapidaria ma ineccepibile motivazione addotta dal tribunale e cioè che l'unico modo per controllare il costo di un'opera è quello di verificare le fatture e i documenti tracciabili a riscontro, sicché, allo stato, l'opera risulta costata poco più di 110.000 Euro, importo pari a quello delle fatture riconosciute dai fornitori. Né il difensore ha dedotto l'esistenza di altri costi o ha prodotto documentazione utile per smentire tale conclusione ”. Infatti, sul punto, il ricorrente, al di là di una scandalizzata ed enfatica doglianza - priva di alcuna valenza giuridica e fattuale - nulla ha saputo o potuto obiettare. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.