“Povera a vuie, professore’”: pessima uscita dello studente, ma nessuna minaccia

Dialogo nei corridoi di un edificio scolastico tra una docente e un allievo, ma la frase pronunciata dal ragazzo viene male interpretata dalla donna. Alla luce dell’episodio, e del contesto in cui si è verificato, però, non vi sono elementi per valutare quelle parole come capaci di turbare e minacciare la professoressa.

‘Fotografia’ da una scuola italiana uno studente è a colloquio con una docente. Scena idilliaca, almeno in apparenza perché con pochissime parole il giovane allievo si pone in cattiva luce, e, soprattutto, rischia conseguenze a livello penale. Povera a vuie, professore’ questa la frase incriminata, ‘letta’ dalla docente come una minaccia. Ma, per fortuna dello studente, quelle parole vengono viste, anche alla luce del contesto, come prive di ‘peso specifico’ negativo Cassazione, sentenza n. 41001, sez. V Penale, depositata oggi . Libero. Così, dai banchi della scuola alle aule di un Tribunale, il passo si rivela davvero breve! E, a sorpresa, in secondo grado, ribaltando la pronunzia emessa dal Giudice di pace, il giovane studente viene ritenuto responsabile del reato di minaccia ai danni della docente con cui stava dialogando nei corridoi dell’istituto. Consequenziale la condanna alla pena di 40 euro di multa e al risarcimento dei danni a favore della professoressa. Tale decisione, però, viene completamente annichilita dai giudici della Cassazione, i quali, accogliendo il ricorso proposto dallo studente, ritengono davvero fragili le fondamenta su cui poggia la contestazione del reato di minaccia . Anzi, per i giudici, alla luce della ricostruzione del fatto e del relativo contesto , non vi sono le premesse per ritenere concrete, nelle parole pronunciate dallo studente, l’esistenza e l’entità del danno ingiusto , né per identificare il turbamento psichico della donna e la connessa limitazione della libertà morale . Nessuna ipotesi di reato, quindi, può poggiare, almeno in questa vicenda, sulla frase Povera a vuie, professore’ . Di conseguenza, il giovane studente è libero di tornare, sereno e tranquillo, alla propria vita.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 maggio – 2 ottobre 2014, n. 41001 Presidente Dubolino – Relatore Bevere Fatto e diritto Con sentenza 11.6.2012, il tribunale di Castrovillari in parziale riforma della sentenza 19.12.2010 del giudice di pace di Trebisacce , impugnata dal P.M. di Castrovillari e dalla parte civile D.G.R., ha dichiarato P.G. responsabile del reato di minaccia in danno della De Gaudio e l'ha condannato alla pena di é 40 di multa, al risarcimento dei danni e alla rifusione delle spese in favore della parte civile ha confermato l'assoluzione dal reato di danneggiamento , la cui pronuncia era stato impugnata dalla sola parte civile. Nell'interesse dell'imputato è stato presentato ricorso per i seguenti motivi 1. violazione di legge in riferimento agli artt. 612 c.p., 580 e 581 c.p.p. vizio di motivazione avverso la sentenza di primo grado avevano proposto ricorso per cassazione il P.M. e la parte civile e la S.C., avendo qualificato la seconda impugnazione come appello , ha trasmesso gli atti al tribunale di Castrovillari, rilevando che il gravame del rappresentante della pubblica accusa non perdeva l'originaria natura , rendendo cosi ineludibile il vaglio sulla sua ammissibilità. Tale valutazione era particolarmente necessaria, posto che il ricorso si era genericamente articolato in un riferimento all'andamento dell'istruttoria dibattimentale e nella conclusione secondo cui la motivazione della sentenza di assoluzione aveva seguito un percorso carente, insufficiente e contraddittorio 2. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento all'affermata responsabilità per il reato di minaccia il giudice di appello non ha indicato le ragioni per le quali ha qualificato intimidatoria e minacciosa la frase del P., povera a vuie professore' , pronunciata a conclusione di un tranquillo colloquio tra questi e la querelante. Secondo il ricorrente, trattasi di espressione di scherno, inidonea a incutere timore e a coartare la volontà di una persona. Questa espressione inquadrata nel contesto ambientale in cui si sono svolti i fatti una discussione avvenuta in una scuola tra uno studente e un'insegnante si vuota di qualsiasi contenuto minaccioso implicito , larvato, indiretto e indeterminato. Il giudice di appello, accogliendo l'inammissibile ricorso del P.M, ha affermato la responsabilità del P., limitandosi a valutare illogica la sentenza di primo grado, senza indicare le ragioni che lo hanno indotto a privilegiare la credibilità della persona offesa rispetto a quella della testimone D.N., né le ragioni per le quali la frase fosse da ritenere minatoria e quindi integrante la violazione dell'art. 612 c.p. La parte civile ha depositato,in data 3.9.2013, memoria difensiva. Il ricorso merita accoglimento il giudice di appello, sulla base della medesima ricostruzione del fatto eseguita dal primo giudice all'esito dell'istruttoria dibattimentale fondata sulla dichiarazione della De Gaudio rievocativa della frase pronunciata dall'imputato e sulla conferma di tale pronuncia, da parte della teste D.N. ha rilevato criticamente che il primo giudice ha supportato la pronuncia assolutoria, facendo un poco condivisibile richiamo alla mancata citazione nella veste di testimoni del vice preside e del dirigente scolastico, soggetti che, non presenti ai fatti - a differenza della D.N.- avrebbero semplicemente raccolto gli sfoghi e le lamentele successive della professoressa . Il tribunale, sulla base dell'incontestato contenuto delle testimonianze assunte in primo grado e dell'irrilevanza delle testimonianze non assunte nel corso dell'istruttoria dibattimentale di primo grado , ha ritenuto illogica la sentenza assolutoria , da modificare con l'affermazione di responsabilità del P. per il reato di minaccia. Sulla valutazione dell'espressione con certezza attribuita all'imputato, il giudice di appello non esprime alcuna argomentazione sul valore intimidatorio , omettendo di specificare quale sia stato il male prospettato alla professoressa De Gaudio , all'interno della scuola, e quale sia stata la sua idoneità a incutere timore nella destinataria, menomandone potenzialmente, secondo un criterio di medianità riecheggiante le reazioni della donna e dell'uomo comune, la sfera di libertà morale . Nella sentenza impugnata è solo riportata la valutazione della persona offesa che ebbe a denunciare in sede dibattimentale la minaccia patita da parte dell'imputato, avvalorata e pienamente riscontrata dalla in equivoca deposizione resa dalla D.N. Nella motivazione della sentenza impugnata vi è quindi la ricostruzione del fatto costituito dalla pronuncia della frase suindicata, e del quadro storico in cui esso è avvenuto, senza che siano nemmeno accennati gli elementi oggettivi e soggettivi che accompagnano e contestualizzano il fatto e da cui possano desumersi l'esistenza e l'entità de 'in uso danno prospettato gli elementi soggettivi e soggettivi da cui possa desumersi l'identificazione del correlato turbamento psichico della querelante e della potenziale limitazione della sua libertà morale , alla luce del suindicato criterio di medianità riecheggiante le reazioni interpersonali in quell'ambiente scolastico. La sentenza va quindi annullata senza rinvio per assoluta mancanza degli elementi dimostrativi della sussistenza del fatto. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non sussiste