L’IVA deve essere sempre versata anche se il bene venduto non è stato pagato

L’omesso versamento dell’IVA dovuto al mancato pagamento del bene da parte del cliente costituisce ipotesi di reato anche se quest’ultimo non ha pagato perché fallito.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 38279 del 18 settembre 2014, ha fornito un importante chiarimento, molto più rigido rispetto a recenti sentenze, in materia di omesso versamento dell’IVA per crisi di liquidità per i giudici di legittimità commette reato l’imprenditore che non versa l’IVA, non incassata, per via del fatto che il cliente è fallito. Il contenzioso. Il Tribunale del riesame, con ordinanza del 29 ottobre 2013, ha accolto il ricorso proposto da un imprenditore avverso il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, disposto dal Gip sui beni mobili, fino alla concorrenza della somma di un importo di poco superiore ai 216.000 euro , essendo questi indagato in relazione alla violazione dell'art. 10- ter del D.Lgs. numero 74 del 2000 per avere omesso il versamento dell'IVA, risultante dalla dichiarazione presentata, relativamente all'anno di imposta 2010. I giudici del merito osservavano che il ricorrente, sulla base di quanto risultante dalle scritture contabili dallo stesso tenute in qualità di titolare di ditta individuale, non aveva riscosso crediti per forniture da lui compiute e regolarmente fatturate nei confronti di due clienti, l'uno dichiarato fallito, l'altro ammesso alla procedura di concordato preventivo. Sulla base di tali dati, ritenuto che egli non aveva riscosso l'imposta che avrebbe dovuto riversare all'Erario ed il cui mancato pagamento è alla base dell'impugnato provvedimento di sequestro preventivo, i giudici del merito hanno accolto le motivazioni del ricorso , in quanto, non avendo il ricorrente percepito l'IVA che gli avrebbe dovuto versare il beneficiario del servizio da lui prestato, egli non era tenuto a sua volta a rimetterla all'Erario. Avverso detto provvedimento, il Procuratore della Repubblica, ha proposto ricorso per cassazione. Le motivazioni del ricorso . Il Procuratore, nel ricorso, osserva che il reato contestato non si realizza allorché l'imprenditore trattiene presso di sé le somme che egli ha ricevuto a titolo di IVA dai suoi aventi causa, ma allorché egli ometta di versare le somme quali risultanti dalla dichiarazione IVA da lui presentata, prescindendosi dalla effettiva percezione di esse da parte del contribuente che è, pertanto, tenuto a pagare l'imposta e non solamente a rimettere alta Stato, quanto da lui a tale titolo ricevuto. Omesso versamento dell’IVA quando il reato si consuma. Le fattispecie soggette a forti contestazioni da parte dell’amministrazione finanziaria , in questi anni , sono quelle disciplinate dal D.Lgs. 74/2000, all’art. 10-bis omesso versamento di ritenute certificate ed all’art. 10-ter omesso versamento IVA che, in questo particolare momento di crisi congiunturale, sono tornate al centro dell’attenzione degli operatori dove le imprese sono gravate da debiti e altre imposte , pur senza produrre redditi imponibili. In particolare, l’art. 10-ter, del citato D.Lgs. numero 74/2000, introduce una nuova fattispecie delittuosa diretta a sanzionare l’omesso versamento dell’IVA dovuta, in base alle risultanze della dichiarazione annuale. A tale nuova fattispecie è estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate contenute nel precedente art. 10-bis del citato decreto. Considerato che l’art. 10-ter stabilisce che La disposizione di cui all’articolo 10-bis si applica, nei limiti ivi previsti, anche a chiunque non versa l’imposta sul valore aggiunto , occorre che l’omesso versamento superi l’importo di 50.000 euro, per ciascun periodo d’imposta. In proposito, si ricorda che l’art. 6, comma 2, della Legge 29.12.1990, 405, stabilisce che l’acconto IVA va versato entro il giorno 27 del mese di dicembre. Conseguentemente, per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, ma occorre che l’omissione del versamento dell’imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo, al periodo d’imposta di riferimento. L’analisi della Cassazione. Per i giudici di legittimità, il ricorso è fondato e merita di essere accolto. Nell’ordinanza del Tribunale, osservano i giudici della Cassazione, viene affermato che in materia di IVA l'imprenditore funge da mero delegato per la riscossione dell'imposta per conto dell'Erario atteso che l'imposta è riscossa mediante un sistema di detrazione e rivalsa cioè l'imposta grava sul consumatore finale, mentre per il soggetto passivo d'imposta - ad esempio l'imprenditore o il professionista - l'IVA resta neutrale . Tale orientamento è, per i giudici di legittimità, errato corrisponde al vero che, in linea di principio dal punto di vista finanziario l'imposta grava sul consumatore finale, soggetto inciso, ma dal punto di vista del diritto tributario il soggetto passivo dell'imposta in questione non è il consumatore finale del bene o del servizio, che è infatti tenuto a pagare l'IVA, unitamente al prezzo per il bene o servizio conseguito, al fornitore di esso, ma l'imprenditore o il professionista che detto bene o servizio abbia reso. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale è soggetto passivo IVA il soggetto, anche persona fisica, che eserciti un'attività economica, intesa come attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, comprensiva di tutte le operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene, materiale o immateriale, per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità. E’, pertanto, sbagliata la ricostruzione in sostanza operata, sia pure con terminologia a volte contraddittoria, dal Tribunale nel senso che il soggetto tenuto al pagamento dell'IVA nei confronti dell’erario sarebbe, di fatto, una sorta di sostituto di imposta tenuto a riversare allo Stato l'ammontare della imposta solamente nei limiti di quanto da lui riscosso al predetto titolo. Il ricorso del Procuratore è , pertanto accolto, con rinvio al Tribunale che si dovrà pronunciare sul provvedimento di sequestro preventivo nei confronti dell’imprenditore.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 marzo – 18 settembre 2014, n. 38279 Presidente Gentile – Relatore Gentili Ritenuto di fatto II Tribunale dei riesame di Pescara, con ordinanza del 29 ottobre 2013, ha accolto il ricorso proposto da D.G. P. avverso il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, disposto dal Gip di Pescara sui beni mobili del D.G., sino alla concorrenza della somma di euro 216.608,00, essendo questi indagato in relazione alla violazione dell'art. 10 ter del digs n. 74 del 2000 per avere omesso il versamento dell'IVA risultante dalla dichiarazione da lui presentata relativamente all'anno di imposta 2010. Il Tribunale nell'accogliere il ricorso proposto dall'indagato osservava che il medesimo, sulla base di quanto risultante dalle scritture contabili dallo stesso tenute in qualità di titolare di ditta individuale, non aveva riscosso crediti per forniture da lui compiute e regolarmente fatturate nei confronti di due clienti, l'uno dichiarato fallito, l'altro ammesso alla procedura di concordato preventivo. Sulla base di tali dati, ritenuto che egli non aveva riscosso l'imposta che avrebbe dovuto riversare all'Erario ed il cui mancato pagamento è alta base dell'impugnato provvedimento di sequestro preventivo, osserva il Tribunale di Pescara che nel caso di specie difetti il fumus commissi delicti, in quanto, non avendo il ricorrente percepito l'IVA che gli avrebbe dovuto versare il beneficiario del servizio da lui prestato, egli non era tenuto a sua volta a rimetterla all'Erario. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Pescara, deducendo l'erronea applicazione della norma penale. In sintesi il ricorrente osserva che diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, il reato contestato non si realizza allorché l'imprenditore trattiene presso di sé le somme che egli ha ricevuto a titolo di IVA dai suoi aventi causa, ma allorché egli ometta di versare le somme quali risultanti dalla dichiarazione IVA da lui presentata, prescindendosi dalla effettiva percezione di esse da parte dei contribuente che è, pertanto, tenuto a pagare l'imposta e non solamente a rimettere alla Stato quanto da lui a tale titolo ricevuto. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e merita di essere accolto. Invero l'assunto su cui si fonda la impugnata decisione del Tribunale di Pescara è errato in punto di diritto. Si legge, infatti, nella ordinanza gravata di ricorso per cassazione che in materia di IVA l'imprenditore funge da mero delegato per la riscossione dell'imposta per conto dell'Erario atteso che l'imposta è riscossa mediante un sistema di detrazione e rivalsa cioè l'imposta grava sul consumatore finale, mentre per il soggetto passivo d'imposta - ad esempio l'imprenditore o il professionista - l'IVA resta neutrale . In tal senso appare chiaro che il Tribunale abbia confuso i piani giuridici ed economico-finanziari di applicazione della predetta imposta. Infatti, se è ben vero che, in linea di principio dal punto di vista finanziario l'imposta grava sul consumatore finale, soggetto inciso, è peraltro innegabile che dal punto di vista del diritto tributario il soggetto passivo dell'imposta in questione non è il consumatore finale del bene o del servizio, che è infatti tenuto a pagare l'IVA, unitamente al prezzo per il bene o servizio conseguito, al fornitore di esso, ma l'imprenditore o il professionista che detto bene o servizio abbia reso. Come ha, infatti, precisato la Sezione tributaria di questa Corte di cassazione, è soggetto passivo IVA il soggetto, anche persona fisica, che eserciti un'attività economica, intesa come attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, comprensiva di tutte le operazioni che comportino lo sfruttamento di un bene, materiale o immateriale, per ricavarne introiti aventi un certo carattere di stabilità Corte di cassazione, Sezione V civile, 6 dicembre 2013, n. 27354 . Da quanto sopra chiarito deriva che è del tutto erronea la ricostruzione in sostanza operata, sia pure con terminologia a volte contraddittoria, dal Tribunale di Pescara nel senso che il soggetto tenuto al pagamento dell'IVA nei confronti dell'Erario sarebbe, di fatto, una sorta di sostituto di imposta tenuto a riversare allo stato l'ammontare della imposta solamente nei limiti di quanto da lui riscosso al predetto titolo. D'altra parte, diversamente argomentando, dovrebbe in maniera del tutto eccentrica rispetto allo stato attuale della disciplina dell'imposta in questione, prevedersi a carico del singolo acquirente di una prestazione economica che costituisca presupposto per l'applicazione dell'IVA, una qualche forma, quantomeno sussidiaria, di soggezione all'imposta nei confronti dello Stato ogni qualvolta il preteso sostituto di imposta ometta di versare allo Stato quanto da lui percepito. Applicando i difettivi criteri espressi dal Tribunale di Pescara alla fattispecie penale provvisoriamente contestata al D.G., risulterebbe che la violazione dell'art. 10-ter del dlgs n. 74 del 2000 ricorra solo nel caso in cui il preteso sostituto di imposta, in realtà soggetto passivo di essa, omettesse di rimettere allo Stato quanto da lui effettivamente percepito. Viceversa, la ricostruzione della fattispecie è assai più piana integra, infatti, la violazione dell'art. 10-ter del digs n. 74 del 2000 la condotta di chi ometta di versare, entro la scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo a quello cui ci si riferisce, la imposta sul valore aggiunto che risulta essere dovuta sulla base della dichiarazione annuale dallo stesso soggetto passivo redatta, a prescindere dal fatto che le somme in tale dichiarazione indicate come dovute a titolo di IVA siano poi state o meno riscosse dal predetto contribuente. La impugnata ordinanza deve, pertanto essere annullata, con rinvio allo stesso Tribunale di Pescara che, in diversa composizione, valuterà nuovamente la fondatezza del ricorso proposto dal D.G. avverso il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Gip di Pescara, facendo applicazione del sopraesposto principio. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale dì Pescara. Così deciso in Roma, il 25 marzo 2014.