“Più operi più guadagni”. È reato?

In ogni caso, non basta la mancanza di consenso informato del paziente per ritenere provato il reato, occorre ravvisare una menomazione funzionale.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 24918, depositata il 12 giugno 2014. Un caso di cottimo cardiochirurgico. Seicento interventi all’anno in un noto ricovero sanitario privato, oltre i quali sarebbe spettato all’imputato primario una sorta di premio di produzione. Questi avrebbe operato sempre e comunque – sostituendo la valvola aortica -, anche in caso di dubbio diagnostico, forzando in ogni caso il consenso dei pazienti, per l’evidente lucro connesso al surplus operatorio. Nel corso dell’intricata vicenda giudiziaria – che già aveva condotto ad un primo giudizio rescindente della Corte di Cassazione – l’imputato veniva condannato per omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p., prescritti i reati di falso documentale e di lesioni personali ex art. 582 c.p. a carico di più fortunati pazienti. L’ulteriore ricorso in Cassazione verteva sull’acclamata illogicità del supporto logico/istruttorio e sull’asincronia della sentenza della Corte d’appello rispetto al principio di diritto fissato dalla prima Cassazione rescindente. La Cassazione accoglie il ricorso, per quanto segue. Non c’è consenso informato ma c’è il beneficio di salute. Non è reato. L’attività medica va comunque considerata lecita, si tratta della lezione acquisita dalle note Sezioni Unite nella pronuncia n. 2437/2008 – in ordine al concetto di malattia” di cui alla fattispecie ex art. 582 c.p. -, esplicitamente dedotta dalla prima Cassazione rescindente quale stella polare del nuovo giudizio di merito. L’elemento psicologico deve coprire anche le conseguenze funzionali della condotta illecita, solo quando peggiorative delle condizioni di salute, le quali costituiscono autonomi ed immancabili oggetti di accertamento giudiziale in ogni caso di lesioni personali. L’invito era inoltre contenuto nel principio di diritto, che la Cassazione aveva imposto alla Corte d’appello ex art. 627, comma 3, c.p.p. Questi ultimi giudici avevano negato la richiesta consulenza tecnica su parte dei danni presunti ed avevano ignorato le conclusioni di quella disposta, sul rilievo della mancanza di consenso informato, a loro errato scrivere sufficiente a condurre ad una declaratoria di responsabilità penale. Invece, la mancanza di consenso informato non possiede una assoluta efficacia dirimente, lungo il confine fra il lecito e l’illecito, per selezionare quanto è reato da quanto non lo è. Un caso di travisamento della prova ex art. 606, primo comma, lett. e, c.p.p. In particolare, al fine di dimostrare il lucro connesso all’esasperato interventismo operatorio del primario, i giudici dell’appello avevano acquisito le dichiarazioni fiscali sui consistenti redditi maturati – fino a superare il milione di euro -, fidandosi delle generiche deduzioni testimoniali di alcuni dipendenti della struttura sanitaria. In realtà, quelle dichiarazioni dimostrano poco, sarebbe bastato accedere ai regolamenti contrattuali vigenti fra primario e struttura sanitaria, al fine di individuare le voci di reddito e la riconduzione di queste alle condotte illecite, per indagare la forza della motivazione economica in capo all’imputato e la sostenibilità di un pieno giudizio di colpevolezza. Una più favorevole declaratoria di causa di proscioglimento ex art. 129, secondo comma, c.p.p. anziché la prescrizione. Cosa occorre. La Cassazione conferma l’orientamento dominante. I giudici, per riformare la sentenza declaratoria della prescrizione, debbono constatare” e non più impegnativamente apprezzare” dalla sentenza appellata l’irriconducibilità dell’ipotesi di reato all’imputato. Basta la sentenza e non occorre indagare gli atti collegati, il giudizio assolutorio va desunto dal solo testo del provvedimento impugnato, dal quale deve emergere solare l’estraneità dell’imputato alla contestazione.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 26 marzo – 12 giugno 2014, n. 24918 Presidente Giordano – Relatore Bonito Ritenuto in fatto 1. Il GUP del Tribunale di Milano, con sentenza del 5 febbraio 2009 resa all'esito di giudizio abbreviato, condannava G.R. , concesse le attenuanti generiche e riconosciuto il vincolo della continuazione, alla pena di anni quattro e mesi dieci di reclusione perché giudicato responsabile dei seguenti reati capo B lesioni personali 582 c.p. aggravate ai sensi del comma 1 n. 1 dell'art. 583 c.p. ai danni di C.A. di anni 76 D lesioni personali 582 c.p. aggravate ai sensi dei commi 1 e 2 n. 1 dell'art. 583 c.p. ai danni di Gu.Pi.Lu. di anni 67 E lesioni personali 582 c.p. aggravate ai sensi del comma 1 n. 1 dell'art. 583 c.p. ai danni di L.S. di anni 65 F omicidio preterintenzionale art. 584 c.p. ai danni di M.C. di anni 65 G lesioni personali 582 c.p. aggravate ai sensi del comma 1 n. 1 dell'art. 583 c.p. ai danni di P.C. H lesioni personali 582 c.p. aggravate ai sensi del comma 1 n. 1 dell'art. 583 c.p. ai danni di V.O. I falso ideologico in atto pubblico artt. 61 n. 2 e 9, 81, 490, 476, 479 c.p. per aver formato una lettera di dimissioni ospedaliera di V.O. dopo aver distrutto quella contenente i dati reali degli esami pre-operatori eseguiti. Con la medesima sentenza il giudice di prime cure dichiarava estinti per prescrizione analoghi reati di lesioni aggravate in danno di Ca.Sa. , di anni 78 e di F.E. , di anni 77 capi A e C . Le condotte di reato sinteticamente indicate erano state contestate per una serie di interventi operatori al cuore di sostituzione della valvola aortica ovvero di plastica valvolare eseguiti dall'imputato, primario del reparto di cardiochirurgia dell'Istituto clinico Humanitas di XXXXXXX, tra il OMISSIS ed il OMISSIS in assenza, secondo l'accusa, dei presupposti clinici e patologici che li giustificassero e di valido consenso da parte dei pazienti, ai quali sarebbe stata rappresentata una situazione patologica diversa da quella reale. Gli interventi operatori per i quali è causa avrebbero determinato in danno dei pazienti, sempre secondo l'ipotesi accusatoria, lesioni personali gravi e gravissime consistenti nella sternotomia, nella messa in pericolo di vita, nella diminuzione funzionale dell'organismo superiore a giorni 40, in un caso nella diminuzione funzionale permanente dell'organismo Gu.Pi.Lu. , capo D in altro caso, infine, l'intervento avrebbe cagionato la morte del paziente M.C. , capo F . Il giudice di prime cure fondava la decisione di condanna sugli esiti delle indagini promosse in seguito alla denuncia sporta da Gu.Pi.Lu. parte lesa nell'imputazione di cui al capo D , indagini che avevano portato all'accertamento di casi analoghi, all'esame di numerosi testi, a 30 consulenze tecniche al fine di accertare la necessità degli interventi eseguiti ed il rispetto del consenso informato, all'acquisizione di ingente documentazione sanitaria, al deposito di consulenze di parte sia dell'imputato che di alcune delle parti lese. 2. In seguito all'appello del G. , la Corte di assise di appello di Milano, con sentenza del 28 aprile 2010, in parziale riforma di quella impugnata e per quanto di interesse nella fase processuale in atto qualificava i reati di cui ai capi B , D e G della rubrica in lesioni personali colpose gravi e gravissime ai sensi dell'art. 590 c.p. e dichiarava, in relazione ad essi, l'improcedibilità dell'azione penale perché estinti per prescrizione derubricava l'omicidio preterintenzionale di cui al capo F in omicidio colposo ai sensi dell'art. 589 c.p., infliggendo per questo reato la pena di mesi otto di reclusione che provvedeva a sospendere condizionalmente assolveva l'imputato dai reati di cui ai capi E ed H perché il fatto non sussiste e dal reato di cui al capo I per non aver commesso il fatto. 3. Avverso la decisione di secondo grado ricorrevano per cassazione sia il Procuratore generale della Repubblica di Milano, sia la difesa dell'imputato e questa Corte di legittimità, con sentenza del 28 giugno 2011, annullava con rinvio quella impugnata relativamente ai capi B , D , E F , G , H ed I , rigettando nel contempo il ricorso per i reati di cui ai capi A e C delle rubrica. La Corte rilevava illogicità ed incompletezza della motivazione in relazione al movente che per l'accusa avrebbe mosso l'imputato, il c.d. cottimo cardiochirurgico , centrale nella decisione, ovverosia l'obbiettivo perseguito dal primario di superare il numero di 600 interventi annui al fine di lucrare una sorta di premio di produzione, in relazione al quale, per il giudice di legittimità, si poneva una esigenza di rinnovata valutazione, dappoiché affermato detto movente sulla base di un palese travisamento della testimonianza del m. , responsabile del personale, secondo cui il numero dei seicento interventi non era affatto necessario per il trattamento fuori busta del primario, comunque fissato in 25.000 Euro mensili quel limite di 600 interventi era stato posto sia come numero presumibile di interventi giustificativi del trattamento appena detto, sia perché, una volta superato, ogni intervento aggiuntivo avrebbe comportato una liquidazione ulteriore di Euro 500,00 il primario inoltre percepiva ulteriori somme, pari a circa 300.000 Euro, per interventi in favore di pazienti c.d. solvibili alla utilità o meno degli interventi eseguiti ed alla esistenza di un valido consenso informato del paziente al caso M. per il quale, riteneva la Corte, erano stati svalutati gli esiti peritali con argomentazioni insufficienti al reato di falso, escluso dalla corte di merito sul rilievo della mancata identificazione degli autori materiali di esso, nonostante la contestazione a titolo di concorso con ignoti formulata nel capo di imputazione e l'evidente interesse dell'imputato. Di qui l'annullamento con rinvio per quantificare correttamente i compensi dell'imputato e valutare A se ed in quale modo e misura gli stessi potessero manifestarsi determinanti sul concreto svolgimento dell'attività del prevenuto quale risultata dagli accertamenti processuali B la completezza o meno degli accertamenti sugli aspetti tecnici delle singole vicende, compresa quella attualmente più rilevante collegata alla vicenda M. , al fine di pervenire a decisione fondata su elementi non controvertibili, esaminando anche, le questioni concernenti il compenso del G. e l'incidenza del medesimo sul complesso della sua attività professionale e sulle specifiche vicende in esame C l’incidenza del consenso informato del paziente alla luce dei principi affermati dalle sezioni unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 2437 del 18.12.2008 D la vicenda collegata al reato di falso in più stretta aderenza alla contestazione in atti ed alle emergenze processuali confermative di una ipotesi di falsificazione dell'atto di dimissione del paziente . In tal guisa, testualmente, la sentenza di annullamento. 4. La Corte territoriale, giudice di rinvio, con sentenza del 14 marzo 2012, in parziale riforma di quella di primo grado, dichiarava estinti i reati di cui ai capi B , D , E , G , H ed I delle rubrica perché estinti per prescrizione e rideterminava la pena relativa al capo F , per il quale confermava la qualificazione di omicidio preterintenzionale, in anni quattro, mesi cinque e giorni dieci di reclusione. A sostegno della pronuncia i giudicanti, quale premessa argomentativa, esprimevano in primo luogo condivisione circa le conclusioni del giudice di prime cure in ordine al sistema instaurato dall'imputato, primario del reparto di cardiochirurgia dell'Istituto Clinico Humanitas di XXXXXXX. Questi, secondo avviso del collegio di rinvio -il quale richiamava, a conferma probatoria della tesi di accusa, la testimonianza di personale medico della struttura sanitaria teatro degli avvenimenti, i Dott.ri Fa. , D.C. , S. e L.M. , tutti operanti nell'unità operativa di ecocardiografia, il Dott. Me. , aiuto dell'imputato, m.p. , direttore delle risorse umane per mero calcolo economico dappoiché collegata parte importante del suo compenso annuo al raggiungimento di un numero minimo di interventi, 600, oltre i quali era stato pattuito un compenso aggiuntivo di Euro 500 ad intervento, avrebbe imposto interventi cardiochirurgici non prescritti dalle regole dell'arte attese le reali condizioni sanitarie dei pazienti, non di rado alterando le diagnosi di intervento e con ciò altresì carpendo consensi informati resi nell'ignoranza della reale situazione patologica clinicamente accertata. Per la Corte di secondo grado proprio la modestia del compenso aggiuntivo spiega la filosofia interventista dell'imputato, da tutti evidenziata e denunciata, e le dichiarazioni reddituali relative agli anni 2002-2004 dimostrano che il prevenuto, oltre la somma fissa di Euro 360.000, raggiunse un reddito di 838.000,00 Euro in un anno e di Euro 1.320.000,00 nel 2003, importi questi giustificabili soltanto con i numerosissimi interventi eseguiti oltre i 600 annui dell'intesa verbale. Il movente economico trova altresì conferma nelle testimonianze m. e D. , di cui si dirà di qui a poco, e nella intercettazione ambientale del 16.3.2005 di un concitato colloquio tra sanitari della struttura Humanitas. In riferimento alla contestazione relativa alla parte offesa M. , contestazione di omicidio preterintenzionale, capo F della rubrica, la Corte di rinvio confermava il giudizio di colpevolezza impugnato dalla difesa dell'imputato, argomentando le testimonianze di soggetti qualificati vicini all'imputato hanno evidenziato che il G. era l'arbitro assoluto delle scelte operatorie della cardiochirurgia, scelte che non discuteva con nessuno, neppure col suo aiuto , il quale dirottava i pazienti in altre unità al fine di evitare il rischio operatorio è provato che il G. aveva un accordo non scritto con il centro clinico Humanitas secondo cui i suoi compensi economici erano regolati dal numero degli interventi eseguiti non escludono la responsabilità dell'imputato considerazioni medico sanitarie sui pazienti all'esito dell'intervento, giacché, diversamente opinando, dovrebbe concludersi che un intervento assolutamente inutile su paziente sano rimasto tale anche dopo l'intervento stesso non avrebbe rilevanza penale neppure coglie nel segno il rilievo difensivo che il movente economico sarebbe escluso dalla considerazione secondo cui, anche a voler considerare l'ipotesi accusatoria, il G. avrebbe introitato Euro 4000 dai casi contestatigli, pochi rispetto alla massa degli interventi eseguiti e per di più spalmati in più anni il rilievo difensivo infatti non considera che i casi accertati sono solo una parte di quelli rilevabili, quelli più eclatanti, attese le difficoltà oggetti ve e temporali dell'accertamento e delle connesse necessità peritali d'altra parte i testi m. e D. non a caso hanno parlato di gallina dalle nova d'oro e di deriva manageriale il M. è deceduto il OMISSIS ed un mese dopo, il 31.3, la Dott.ssa D.C. , nulla sapendo dell'esito esiziale, riferiva al P.M. che il paziente era stato sottoposto ad eco pre-operatorio dal collega B. , il quale aveva accertato una insufficienza aortica lieve eppertanto uno stato patologico che sconsigliava apertamente l'intervento, accertamento portato a conoscenza dell'unità cardiochirurgica la Dott.ssa D.C. aveva condiviso con altri colleghi, il Dott. E. dello stesso reparto di cardiochirurgia, ed i Dott.ri S. e B. , la inutilità e la non necessità dell'intervento, raccogliendo lo sfogo del Dott. E. , per il quale chi dissentiva dal G. rischiava il licenziamento, di guisa che nessuno poteva dire niente l'intervento sul M. , oltre ad essere inutile, era altresì assai pericoloso attese le condizioni del paziente, obeso ed iperteso il M. era stato indirizzato a dall'ospedale di con diagnosi chirurgica, ma gli accertamenti pre-operatori avevano escluso la fondatezza della diagnosi di ingresso il consenso informato è stato sottoscritto dal M. prima dell'esecuzione degli esami interni pre-operatori i difensori hanno evidenziato che il M. presentava sintomi persistenti di una gravissima patologia coronarica rimasta nascosta, ma ciò non venne affatto accertato, né prima né dopo l'intervento lo ha evidenziato infatti soltanto l'esame autoptico e non si comprende perché il chirurgo non abbia descritto al paziente siffatta gravissima patologia, ma lo abbia anzi dimesso con un infarto al miocardio in atto per questo il paziente fu ricoverato d'urgenza a Rho il giorno successivo alle sue dimissioni da e morì tre giorni dopo non è condivisibile che il M. abbia subito due infarti il secondo dei quali soltanto mortale non c'è soluzione di continuità nella vicenda sanitaria del M. , dal suo ricovero a al decesso il mese successivo in XXX l'infarto costituisce infatti un rischio tipico dell'intervento non necessario eseguito dall'imputato sulla vittima e l'imputato non può invocare la patologia coronarica grave accertata in sede autoptica per giustificare la legittimità dell'operazione eseguita, perché tale patologia non gli era affatto nota tale patologia, successivamente disvelata, può assumere, tutt'al più, il ruolo di concausa del decesso inidonea ad escludere la rilevanza causale dell'intervento eseguito dall'imputato. 5. Avverso la sentenza detta ricorre nuovamente per cassazione l'imputato, assistito dai difensori di fiducia, i quali nel suo interesse sviluppano, ognuno con plurime articolazioni, tre motivi di impugnazione. 5.1 Col primo di essi la difesa ricorrente denuncia violazione degli artt. 627 co. 3, 192 e 546 c.p.p., difetto della motivazione e travisamento probatorio in relazione a due specifici profili, il primo dei quali relativo alla pretesa correlazione tra l'ammontare complessivo dei redditi dell'imputato, le intese economiche con l'Humanitas e l'esecuzione di interventi non indicati. 5.1.1. Sul punto la difesa osserva ed argomenta la Corte di legittimità, annullando con rinvio la precedente sentenza di secondo grado, ha evidenziato il travisamento, da parte della corte di merito, dei dati relativi al trattamento economico concordato tra l'imputato e l'Humanitas e l'incidenza di siffatto travisamento sulla decisione, proprio per questo cassata la Corte di rinvio, al fine di ribadire l'esistenza del movente economico nei termini del cottimo cardochirurgico, ha valorizzato la singolare forma verbale degli accordi economici, ha argomentato nel senso che la modesta somma di Euro 500,00 incentivava l'imputato a superare, e di molto, i 600 interventi per lucrare il guadagno aggiuntivo, ha concluso che le dichiarazioni reddituali del G. dimostrerebbero la differenza tra il compenso fisso, peraltro erroneamente indicato per difetto, ed il compenso denunciato, differenza riferibile agli interventi aggiuntivi al numero minimo di 600 sempre secondo la Corte di rinvio, i pochi casi accertati per i quali è stata ritenuta provata l'inutilità, soltanto otto, riferibili agli anni dal 2001 al 2005, sono la punta dell'iceberg giacché la prassi instaurata dall'imputato era quella della esecuzione dell'intervento sempre e comunque tutto ciò premesso, gli argomenti esposti continua ad argomentare la difesa si appalesano all'evidenza illogici e contraddittori oltre che privi di ogni sostegno probatorio, giacché valorizzano illogicamente otto casi discutibili, a fronte di migliaia di interventi eseguiti senza alcun rilievo da parte di chicchessia e, soprattutto, non rispondono all'invito motivazionale della Corte di legittimità e del suo giudizio rescindente, secondo il quale andava accertato che gli accordi economici tra l'imputato e l'Humanitas fossero o meno determinanti dell'agire del G. e rappresentassero l'origine di un concreto interesse dell'imputato ad eseguire interventi non necessari. 5.1.2 Con un secondo profilo argomentativo affidato sempre al primo motivo di ricorso, denuncia altresì la difesa ricorrente vizi attinenti alla pretesa prassi di operare sempre e comunque come presupposto a sostegno del movente economico, in particolare deducendo gli otto interventi contestati si risolvono, a tutto concedere, in un guadagno di 4000 Euro, circostanza questa che esclude ogni logico richiamo al movente economico e che deve essere posta necessariamente in relazione, al fine di ricostruire il fatto da giudicare, con l'ulteriore circostanza secondo cui, nell'arco di cinque anni, sono stati effettuati non meno di 600 interventi per anno mai da alcuno contestati a fronte di un dato di tale significatività la sentenza impugnata argomenta che non v'è stato il tempo processuale di ulteriori accertamenti peritali e valorizza il dato di una asserita prassi di operare sempre e comunque, prassi assurta, col movente economico, ad argomento fondante della motivazione di condanna detto passaggio risente del travisamento palese sia delle sommarie informazioni rese dalla Dott.ssa D.C. , grande accusatrice dell'imputato, sia della CT del P.M. del dì 11 aprile 2006 la Dott. D.C. , infatti, utilizzando la sua posizione privilegiata di ecocardiografista interna dell'Humanitas, ha per due anni e mezzo passato in rassegna con certosina attenzione gli interventi eseguiti su valvole tra il 2000 ed il 2004 e su migliaia di interventi ha individuato soltanto 28 casi da spalmare nel quinquennio, 19 dei quali venivano giudicati correttamente operati dai consulenti dell'accusa e 4 dei quali subivano identica sorte all'esito di perizie del GUP siffatti esiti risultano del tutto pretermessi nella motivazione impugnata, la quale incorre, per questo, in vizio motivazionale censurabile per cassazione. 5.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia invece la difesa ricorrente, in relazione ai capi B , D , E , F , G ed H della rubrica, violazione di legge artt. 627 co. 3, 125 co. 3, 546 lett. e c.p.p., 111 Cost., 582 e 584 c.p. , nonché travisamento probatorio e difetto motivazionale in relazione a cinque specifici profili. 5.2.1 Vizi relativi alla violazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento ai quali la corte territoriale di rinvio non si sarebbe uniformata tra le prescrizioni stabilite dalla corte di legittimità vi era quella di applicare alla fattispecie i principi dettati dalle sezioni unite della corte medesima con la sentenza n. 2437/2008, la quale, come è noto, ha stabilito che nell'attività medica, in riferimento al reato di cui all'art. 582 c.p., l'elemento psicologico deve coprire anche le conseguenze funzionali derivate dalla condotta illecita e che la responsabilità penale -nelle sue diverse forme va collegata ad interventi eseguiti contro la volontà del paziente ed a situazioni in cui l'azione medica viene svolta al di fuori del proprio fine specifico senza conseguire un beneficio per la salute complessiva del paziente cionondimeno la Corte di rinvio, a pag. 17, afferma che la vicenda considerata, quella coinvolgente l'imputato, si caratterizza in termini difformi da quelli valutati dalle sezioni unite, con ciò ignorando il dictum della sentenza rescindente sul punto si evidenzia pertanto sia la violazione dell'art. 627 co. 3 c.p.p., sia il difetto assoluto di motivazione sotto tale profilo infatti il giudice di merito aveva l'onere di motivare se gli interventi eseguiti dall'imputato abbiano o meno prodotto un danno ovvero un beneficio per la salute, indipendentemente dalla ricorrenza o meno di un consenso informato, dappoiché soltanto in assenza di detto beneficio può concretizzarsi la condotta tipizzata dalla norma incriminatrice art. 582 c.p. anche con specifico riferimento alla funzione del consenso informato la sentenza impugnata viola palesemente l'insegnamento delle sezioni unite, dando ad esso un valore ed una funzione dirimenti tra lecito ed illecito pag. 17 della sentenza impugnata, pagg. 45 e 46 del ricorso categoricamente esclusi dalla sentenza non solo, la Corte di merito ha travisato il pensiero delle sezioni unite e del giudice dell'annullamento là dove da rilevanza penale alla mancanza di consenso del paziente in luogo del concetto di volontà contraria del paziente, ovverosia del suo dissenso del tutto immotivatamente la Corte di merito assume che in tutti gli interventi contestati non vi sia stato un consenso validamente espresso e che l'esito dei medesimi non sia stato affatto fausto. 5.2.2 Vizi relativi alla mancata verifica circa la completezza degli accertamenti tecnici delle singole vicende ai sensi dell'art. 627 co. 2 c.p.p. la corte di legittimità ha imposto al giudice di rinvio di valutare la completezza, o meno, degli accertamenti sugli aspetti tecnici delle singole vicende, al fine di pervenire a decisione fondata su elementi non controvertibili tali accertamenti non sono stati acquisiti processualmente la denunciata omissione è stata illogicamente ed illegittimamente motivata con l'assunto che, in assenza di consenso informato e comunque di informative al cliente da parte del G. delle finalità terapeutiche dell'operato del chirurgo, non era necessario alcun esame peritale o di consulenza. 5.2.3 Vizi inerenti l'affermata assenza del consenso informato le conclusioni peritali sono state per tutti i casi contestati di dubbio ed incertezza circa le informazioni date ai pazienti in ordine alla reale entità della patologia operata, di guisa che il presupposto negativo di certezza al riguardo assunto dalla Corte di merito nel sillogismo decisorio di condanna risulta viziato irrimediabilmente da illogicità. 5.2.4 Vizi inerenti alla ritenuta qualificazione di condotte dolose dei fatti di cui ai capi B , D , E , ed H nonostante il giudice di legittimità abbia rimesso al giudice di rinvio come imprescindibile accertamento, ai fini della decisione, l'analisi delle singole vicende, la Corte di merito non ha ritenuto di conformarsi alla superiore indicazione, pervenendo poi ad un giudizio di esito non fausto dei singoli interventi in contrasto con gli esiti processuali e peritali nei casi C. , L. e P. , capi B , E , G gli interessati hanno evidenziato il miglioramento delle loro condizioni di vita dopo l'intervento ed i periti, da parte loro, hanno considerato utile l'intervento medesimo, mentre nel caso V. capo H gli stessi periti hanno evidenziato l'utilità dell'intervento anche in relazione alle c.d. linee guida il ricorso richiama testualmente le testimonianze dei primi tre pazienti e, per tutti, le conclusioni peritali . 5.2.5 Vizi relativi all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo F caso M. la Corte è pervenuta alla dichiarazione di colpevolezza per il reato di omicidio preterintenzionale dell'imputato ignorando del tutto gli esiti della perizia di ufficio e tanto perché immotivatamente valorizzati due pretesi errori macroscopici , in realtà banalissimi, dei quali infatti la Corte territoriale non ha dimostrato la rilevanza ai fini di causa e cioè in quale modo essi avrebbero inficiato le conclusioni peritali espresse nel senso della accettabilità complessiva dell'intervento chirurgico praticato al paziente, dell'assenza di nesso causale tra le dimissioni del paziente con infarto in atto ed il suo decesso, nonché tra l'intervento ed il secondo infarto la Corte inoltre sulla vicenda M. ha ignorato il quesito posto dal giudice dell'annullamento quanto alla necessità di valutare la sufficienza o meno degli accertamenti sulle singole vicende venute a processo, se del caso promuovendo le opportune iniziative processuali per integrare gli accertamenti disponibili la motivazione utilizza come argomento a carico la testimonianza della Dott.ssa D.C. del 31.5.2005, i cui contenuti indicati difensivamente si appalesano del tutti inconferenti, oltre che fondati su alcune dichiarazioni dalla medesima raccolte, quelle del Dott. B. , il cui eco preparatorio è stato censurato come erroneo da parte dei consulenti del P.M., giacché indicata dal medesimo un diametro della aorta ascendente di mm 39 in luogo di quella reale, pari a circa mm. 44 in ogni caso la sentenza impugnata ignora completamente gli esiti peritali i quali, dopo l'analitica descrizione delle vicende sanitarie del M. , concludevano per l'accettabilità dell'intervento di sostituzione dell'aorta ascendente e per un dubbio su quello sostitutivo della valvola aortica, conclusioni sulle quali gli errori peritali enfatizzati dalla Corte territoriale non hanno avuto incidenza alcuna i periti infatti, dopo averli riconosciuti, hanno motivatamente ribadito la giustezza delle precedenti conclusioni gli stessi periti hanno altresì concluso nel senso che non è possibile riferire quali informazioni siano state date oralmente al paziente sbrigativamente, infine, la Corte territoriale liquida le questioni giuridiche relative al nesso di causalità, all'elemento psicologico del reato ed agli esiti dell'esame autoptico che accertò, a carico del defunto, una gravissima e diffusissima aterosclerosi coronarica mai in precedenza diagnosticata e accertata eppertanto il primo infarto, quello in atto al momento delle dimissioni, non può farsi risalire, come affermato dalla Corte territoriale, al rischio tipico dell'intervento eseguito dall'imputato, ma alla gravissima coronaropatia ignota al cardiologo ed al cardiochirurgo e non rilevata in sede di esami preparatori quanto al secondo infarto, quello del 25.2.2005, che condusse alla morte immediata del M. , secondo conclusioni peritali in tal senso è la sentenza di primo grado a pag. 113 non sembrerebbe evidente una sua connessione diretta con l'intervento chirurgico ed anzi la gravissima patologia cardiaca, si ribadisce, rilevata soltanto in sede autoptica, la rende evento imprevedibile per l'operatore nulla dice la sentenza impugnata sull'elemento psicologico del reato, sia in relazione al reato base art. 582 c.p. sia in relazione al reato di cui all'art. 584 c.p 5.3 Col terzo ed ultimo motivo di ricorso denuncia infine la difesa ricorrente violazione degli artt. 627 co. 3, 537, 129, 125 co. 3 c.p.p. nonché 490, 476-479 c.p., in relazione al reato di concorso nel falso di cui al capo I e difetto di motivazione sul punto il falso contestato e ritenuto riguarda le dimissioni del paziente V. , per il quale l'intervento chirurgico, riuscito, è stato indicato come necessario dai periti incaricati le indicazioni dell'annullamento da parte della Corte di legittimità sono state nel senso, altresì, di valutare le condizioni applicative della disciplina di favore di cui all'art. 129 c.p.p. in relazione alle molteplici e diffuse argomentazioni difensive relative alla materiale configurabilità delle falsificazioni la sentenza di appello, cionondimeno, ignora del tutte le argomentazioni difensive, essendosi limitata alla declaratoria di prescrizione del reato il mero raffronto documentale evidenzia l'insussistenza della falsità ed il documento del 12.4.2004 non può costituire oggetto del reato di cui all'art. 490 c.p 5.4 In data 17 luglio 2013, a cura degli avvocati Giuseppe Bana e Franco Coppi, risultano depositati motivi aggiunti con i quali, in relazione al reato di cui al capo F l'omicidio preterintenzionale in danno del M. ulteriormente si insiste nelle argomentazioni innanzi sintetizzate e si osserva tutti gli esami eseguiti sul paziente nel semestre che precedette l'intervento avevano evidenziato una duplice patologia cardiaca, l'una interessante l'aorta ascendente, l'altra la valvola aortica, mentre la coronorografia della settimana precedente eseguita a XXX non aveva rilevato la gravissima aterosclerosi coronarica accertata in sede di autopsia la diagnosi di ingresso era con indicazione di necessità chirurgica i dati anamnestici e strumentali che precedettero l'intervento evidenziavano la complessità, la gravità e la non piena comprensione del quadro clinico complessivo, soprattutto per le frequenti toracoalgie del paziente, obeso ed iperteso gli esiti dell'esame autoptico sono stati sostanzialmente ignorati nella sentenza impugnata, soprattutto in riferimento alla loro importanza circa il nesso causale che deve collegare condotta ed evento, sbrigativamente licenziato dai giudicanti il giudizio peritale, travisato dalla corte di merito, è indiscutibilmente favorevole all'imputato pag. 109 sentenza del GUP tanto rende del tutto illogica la tesi dei giudicanti in ordine alla sussistenza in capo all'imputato dell'elemento psicologico del dolo al fine di sostenere la tesi accusatoria dell'omicidio preterintenzionale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre. 1.1 Appare opportuno, in primo luogo, affrontare la questione posta dalla declaratoria, da parte della Corte territoriale, di estinzione per intervenuta prescrizione di tutti i reati in relazione ai quali la Corte di cassazione aveva disposto l'annullamento con rinvio, con la sola eccezione di quello di cui al capo F . L'imputato infatti al riguardo non ha operato alcuna rinuncia, ma ha sviluppato a mezzo dei difensori diffuse difese volte a dimostrare la infondatezza delle accuse e, con essa, il riconoscimento della insussistenza dei reati contestati. Orbene, ciò premesso osserva la Corte che dette censure non possono essere accolte, attesi i principi elaborati in punto di prescrizione da questo giudice di legittimità. È invero noto che l'obbligo di declaratoria di una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. comma 2, da parte della Corte di cassazione, in presenza della causa estintiva della prescrizione, richiede il controllo unicamente della sentenza impugnata, nel senso che gli atti dai quali può essere desunta la sussistenza della causa più favorevole sono costituiti unicamente dalla predetta sentenza, in conformità con i limiti di deducibilità del vizio di mancanza o manifesta illogicità di motivazione, che, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e , deve risultare dal testo del provvedimento impugnato Sez. 4, 9944/2000 Rv. 217255, Meloni L. ed altri Massime precedenti Vedi N. 12320 del 1998 Rv. 212320, N. 3289 del 1999 Rv. 213728 . Tale obbligo del giudice postula in concreto che gli elementi idonei ad escludere l'esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, sicché la valutazione che deve essere compiuta appartiene più al concetto di constatazione che a quello di apprezzamento. Pertanto, consegue che nel giudizio di cassazione, qualora la motivazione del giudizio di merito dia comunque contezza delle ragioni poste a fondamento dell'effettuato giudizio di responsabilità dell'imputato, non può nel contempo emergere dagli atti, con la necessaria evidenza, una causa assolutoria nel merito Sez. 6, 48524 del 03/11/2003, Rv. 228503 Gencarelli N. 12320 del 1998, Rv. 212320 . Puntualmente applicando la richiamata lezione interpretativa, ritiene la Corte che la vicenda processuale in scrutinio non consenta affatto di considerare in modo non contestabile l'insussistenza delle ipotesi delittuose per cui è causa, non foss'altro per la estrema difficoltà attraverso cui si è sviluppato il processo, già pervenuto una prima volta alla valutazione di legittimità eppertanto sottoposto sin qui a cinque gradi di giudizio con esiti mai conformi. Vanno pertanto rigettate tutte le censure volte all'annullamento delle pronunce di prescrizione rese dal giudice territoriale con la sentenza impugnata. 1.2 Diverse conclusioni si impongono viceversa per le doglianze relative alla impugnata condanna dell'imputato per il reato di cui al capo F e cioè per l'omicidio qualificato dalla Corte distrettuale di natura preterintenzionale di M.C. . Al riguardo vanno infatti condivise sia le censure motivazionali, sia quelle per violazione dell'art. 627 co. 3 c.p. e circa la qualificazione della fattispecie contestata all'imputato. Ed invero, la decisione impugnata ai fini della decisione in scrutinio ha valorizzato a il movente economico b la denuncia della Dott.ssa D.C. sulla inutilità dell'intervento c il consenso informato carpito prima degli esami finali d le dimissioni del paziente con l'infarto in atto e la mancata condivisione della tesi che il M. abbia subito due infarti, il secondo dei quali soltanto mortale f la considerazione che la gravissima patologica coronarica disvelatasi in sede autoptica non esclude la rilevanza penale dell'intervento eseguito dall'imputato ed integra, tutt'al più, una concausa. Lo sviluppo argomentativo articolato dalla Corte di merito appare per più versi insoddisfacente, oltre che in parte elusivo del giudizio rescindente della Corte di legittimità e delle indicazioni relative alle necessità motivazionali contenute nella sentenza di annullamento. A Sul movente economico, le dichiarazioni testimoniali ed il consenso informato la quinta sezione della Corte, annullando la precedente sentenza di secondo grado, ha evidenziato che il movente economico, fondante della decisione dappoiché decisivo al fine di sostenere la volontarietà delle condotte contestate, risultava argomentato sulla base di un evidente travisamento del contratto professionale tra imputato e centro sanitario ed invitava pertanto la Corte di rinvio a meglio valutare i dati di fatto processualmente raccolti sanando il travisamento. La Corte di rinvio ha ribadito l'esistenza del movente economico, ma la relativa motivazione si appalesa forzata nello sviluppo logico e non adeguatamente supportata sul piano probatorio. Per il giudice di rinvio infatti il movente economico, e cioè il fine di superare i 600 interventi annui per lucrare 500 Euro per ogni intervento aggiuntivo, risulterebbe provato dalla dichiarazione dei redditi, giacché la cifra denunciata a fini fiscali superiore ai compensi fissi ed a quelli intra moenia per i redditi abbienti, sarebbe da riferire al guadagno ricavato dall'imputato per gli interventi eccedenti il numero di 600. L'esposto dato sarebbe poi corroborato probatoriamente dalle dichiarazioni testimoniali di m. e D. e da una intercettazione ambientale. Rileva la Corte che la dimostrazione del giudice di merito non è affatto rispondente alle regole logiche. In contrario appare infatti agevole evidenziare che il numero degli interventi eseguiti in più oltre i 600 avrebbe potuto e dovuto essere provato con un semplice controllo amministrativo presso gli uffici del centro Humanitas, depositario certo di ogni informazione del numero degli interventi eseguiti ogni anno dall'imputato e dei corrispondenti profili remunerativi non solo, accettando i presupposti logici indicati dal giudice territoriale, dovrebbe concludersi che gli interventi oltre i seicento ammonterebbero a migliaia e migliaia le testimonianze di m. e D. infine, al pari della intercettazione, nulla evidenziano nel senso voluto dalla Corte territoriale, dappoiché limitate a considerazioni assai generiche assimilabili assai più al pettegolezzo professionale che a giudizi muniti di consistenza fattuale e probatoria. Non solo non può non avere rilevante significato probatorio la circostanza che gli interventi contestati sono 8 spalmanti in cinque anni, che detti 8 interventi hanno, tutt'al più, consentito un guadagno professionale pari ad Euro 4000 e che in relazione ad essi è questo dato oggettivo acquisito al processo nulla di inequivocabile è stato provato per smentirne la necessità chirurgica. Di pari rilievo logico è poi la circostanza, che non può essere ignorata se si intende articolare corrette conclusioni valutative, che nel corso del periodo posto sotto indagine l'imputato ha eseguito circa 3000 interventi sui quali non sono stati registrati rilievi se non di segno positivo in caso contrario il centro di cardiochirurgia non avrebbe registrato l'elevatissimo numero di ricoveri. La Corte supera i rilievi oggettivi appena esposti richiamando la punta di un iceberg , la difficoltà processuale di più estesi accertamenti e la prassi. Ancora una volta occorre prendere atto di una illogicità. Invero la principale accusatrice dell'imputato e stata la Dott.ssa D.L. la quale, come opportunamente evidenziato dalla difesa, ha spulciato per mesi e mesi tutti i casi trattati dall'imputato, concludendo per la inutilità dell'intervento in 28 casi di questi il CTU del P.M. ed il perito del GIP hanno eliminato 21 casi di qui la contestazione per soli 8 casi su circa 3000 interventi eseguiti. Non può comunque trasformarsi in prova contro l'imputato la difficoltà processuale negli accertamenti non portati a termine ovvero la prassi accreditata dai testi tutt'al più dato indiziario comunque estremamente generico . La sentenza inoltre ignora la prescrizione del giudice di legittimità che invitava la Corte di rinvio ad applicare i principi affermati dalle sezioni unite con la sentenza n. 2437 del 18.12.2008 anzi, esplicitamente la Corte di rinvio afferma che il caso esaminato è diverso da quello per il quale sezioni unite le si pronunciarono. Con la citata sentenza di legittimità, rispetto alla quale era ormai inibito al giudice territoriale metterne in discussione la rilevanza ai fini del giudizio di rinvio, è stata dettata la lezione ermeneutica secondo cui l'attività medicochirurgica per essere considerata legittima necessita dell'acquisizione del consenso informato rilasciato dal paziente, salve le eccezioni previste dalla legge. Non ricorre però alcuna fattispecie penale nel caso in cui il medico, pur in assenza di un valido consenso del paziente, abbia agito secondo la lex artis e l'intervento si sia concluso con esito benefico per la salute del paziente, da intendersi come miglioramento della patologia da cui lo stesso era affetto . Ebbene, nonostante il diverso, ed illegittimo, opinare della Corte di rinvio, il quadro processuale fotografa i seguenti dati fattuali gli esiti peritali e di consulenza pongono in dubbio ma non escludono la necessità degli interventi è dubbio e non certo che nelle varie vicende dedotte vi sia stato o meno consenso informato delle vittime gli interventi hanno portato al miglioramento delle condizioni del paziente. Di qui la ulteriore debolezza motivazionale che riverbera anche sul movente economico. B Sull'omicidio preterintenzionale deve nuovamente evidenziarsi l'insufficienza motivazionale. Gli evidenziati vizi motivazionali sul movente economico, e la conseguente necessità di rivalutarlo alla luce delle considerazioni indicate dal Collegio, e il diniego circa la rilevanza della lezione giurisprudenziale delle sezioni unite anzidetta, indeboliscono il sillogismo decisorio relativo alla sussistenza nella fattispecie, in capo all'imputato, del dolo necessario per il reato di cui all'art. 582 c.p., essenziale per dimostrare l'elemento psicologico del reato preterintenzionale contestato. Inoltre non ha argomentato la Corte di rinvio sugli esiti peritali della vicenda M. anche in riferimento alla lezione delle sezioni unite di cui sopra , esiti che non confermano affatto la non utilità e la non necessità dell'intervento e che escludono con certezza la riferibilità del decesso del M. al primo infarto e la riferibilità del primo infarto all'intervento il primo infarto è quello che colpì il paziente e che era in corso al momento delle dimissioni post-operatorie dall'Humanitas . La Corte territoriale sul punto richiama due errori madornali dei periti, errori ammessi dagli stessi in sede dibattimentale, ma non ne spiega la decisività, motivatamente esclusa dalla difesa con argomenti spesi in appello e ignorati dai giudicanti del pari ignorata dai giudici di rinvio è stata la conferma delle conclusioni peritali da parte dei periti medesimi anche all'esito del riconoscimento degli errori c.d. madornali immotivatamente ed illogicamente valorizzati nella sentenza impugnata. Vi è poi, decisiva ai fini delle determinazioni che il Collegio si accinge a fare proprie, la prova dell'esame autoptico, il quale ha evidenziato la sussistenza di una patologia cardiaca gravissima, non accertata né in fase preparatoria dell'intervento eseguito dall'imputato, né nel corso dell'intervento stesso. Per la Corte di merito questa patologia concorse all'evento morte, ma tanto si afferma apoditticamente quanto ad esclusività o meno dell'apporto causale della patologia alla morte ed all'infarto mortale, apparendo di tutta e evidenza che soltanto una valutazione medico legale puntualmente dimostrativa può consentire la valutazione giuridica sulla rilevanza causale e sul grado di essa in riferimento all'evento morte che colpi il M. . Alla stregua delle esposte considerazioni la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano per nuovo giudizio che dovrà, con piena libertà di giudizio 1. rivalutare la sussistenza o meno del movente economico nell'agire professionale dell'imputato alla luce delle indicazioni fattuali, logiche e giuridiche precisate innanzi 2. riconsiderare la vicenda sanitaria del M. alla luce della lezione interpretativa della sentenza delle sezioni unite 2437/2008 e delle valutazioni alle quali perverrà in ordine al punto precedente 3. valutare, se del caso con l'ausilio di un accertamento medico legale, se ricorrano profili di colpa nel mancato accertamento in sede preparatoria ed esecutiva dell'intervento chirurgico subito dal M. della gravissima patologica coronarica accertata con l'esame autoptico 4. valutare l'incidenza causale della patologia coronarica disvelata in sede autoptica sull'evento morte del M. . P.T.M. la Corte, annulla la sentenza impugnata relativamente al reato di cui al capo F e rinvia per nuovo giudizio al riguardo ad altra sezione della Corte di assise di appello di Milano rigetta nel resto il ricorso.