Nonostante crisi d’impresa e intervenuto fallimento è davvero stretto lo spiraglio che scrimina l’imprenditore

L’impossibilità di adempiere conseguente al fallimento non può concettualmente definirsi assoluta, nel senso che l’imprenditore fallito è tenuto a sollecitare il curatore frattanto nominato ad adempiere con mezzi propri al fine di poter beneficiare della condizione obbiettiva di non punibilità. In caso di imprenditore che non sia stato dichiarato fallito personalmente, lo stesso ben può ed anzi deve attivarsi per provvedere al pagamento con risorse proprie, nell’ottica di una successiva esenzione di responsabilità conseguente al precedente omesso versamento.

Questo il principio di diritto affermato dalla Terza Sezione della Cassazione Penale, con la sentenza n. 19574/14 depositata il 13 maggio. Lo sguardo severo del Palazzaccio. Non è chiaro se furono le dimensioni inusitate, le decorazioni eccessive, la funzione dell'edificio o la sua laboriosa costruzione, non indenne da sospetti di corruzione che portarono anche ad una inchiesta parlamentare , ad essere all'origine del soprannome popolare Palazzaccio che tuttora accompagna la sede della Suprema Corte. Certo è che, in un momento di grave crisi economica, di elevatissima pressione fiscale e di evidente malcostume politico, il rigore delle pronunce dei giudici della Suprema Corte, in tema di reati di omesso versamento di imposte e tributi, commessi da imprenditori in situazione di difficoltà economica, non contribuisce certo a far dimenticare l’epiteto, che, da ormai oltre cent’anni, accompagna il palazzo progettato alla fine del 1800 dall’architetto perugino Guglielmo Calderini. Se, infatti, da alcuni mesi a questa parte i mass media non mancano di dare contezza di pronunce invero assai spesso di giudici di merito di proscioglimento di imprenditori in situazione di difficoltà economica imputati per reati di omesso versamento di imposte e tributi, è sufficiente leggere una qualsiasi rivista specializzata per rendersi conto di come, a fronte di timide e sporadiche aperture, la giurisprudenza di legittimità si caratterizza ancor oggi, in grandissima parte, per sentenze, quale quella che si commenta, che nulle o davvero poche speranze lasciano all’imprenditore che si dibatte in siffatte situazioni. La struttura del delitto di omesso versamento ritenute INPS . Il caso sottoposto alla attenzione della Suprema Corte, nella vicenda in esame, impone di verificare l’incidenza dello stato di insolvenza e della successiva dichiarazione di fallimento di una impresa, il cui titolare si sia reso responsabile della violazione di cui all’art. 2 legge n. 683/63. La premessa dalla quale partono gli Ermellini attiene dunque all’analisi della struttura di tale fattispecie delittuosa. L’imprenditore datore di lavoro, infatti, in quanto debitore delle retribuzioni verso i propri dipendenti, è tenuto a detrarre dalle stesse l’importo delle ritenute assistenziali e previdenziali, che dovranno essere versate all’Erario quale sostituto del soggetto obbligato. Il sostituto, secondo la ricostruzione operata dalla Corte, ha dunque una doppia funzione in quanto chiamato ad adempiere ad un obbligo proprio e ad un obbligo altrui. La situazione di insolvenza dell’imprenditore è pertanto irrilevante ai fini della punibilità, dovendo lo stesso adempiere sia al proprio obbligo di pagare le retribuzioni che a quello di pagare le ritenute ad esse correlate, che peraltro costituiscono parte della retribuzione. Sin dal 2003, le Sezioni Unite hanno infatti chiarito che il legislatore, con l'art. 2 d.l. n. 463/1983, ha inteso reprimere non il fatto omissivo del mancato versamento dei contributi, ma il più grave fatto commissivo dell'appropriazione indebita da parte del datore di lavoro di somme prelevate dalla retribuzione dei lavoratori dipendenti. Paradossalmente, dunque, il reato di omesso versamento è divenuto un reato commissivo che si configura solo laddove le retribuzioni siano state effettivamente corrisposte ai lavoratori, poiché non può esservi appropriazione se non v'è trattenuta e non può esservi trattenuta se non v'è retribuzione. Omesso versamento di ritenute alla fonte una affinità elettiva? A supporto delle proprie argomentazioni, la sentenza che si annota riporta anche l’orientamento giurisprudenziale, della stessa Suprema Corte, in merito all’omesso versamento di ritenute fiscali alla fonte materia esplicitamente definita affine a quella in trattazione , secondo cui l’imprenditore che, trovandosi in difficoltà economica, privilegia il pagamento degli emolumenti ai dipendenti per pretermettere il versamento delle ritenute non può addurre a propria discolpa l’assenza di dolo, ricorrendo evidentemente in tale ipotesi il dolo generico, necessario, ma sufficiente al fine di integrare la fattispecie. Invero, la giurisprudenza richiamata è tanto consolidata quanto risalente poiché la Sezione Terza, nella pronuncia che qui si commenta, pare incurante e dimentica di propri recentissimi arresti in cui, per contro, si è affermato che può essere esclusa la colpevolezza dell’imprenditore che omette di versare le ritenute operate, se non dispone della provvista necessaria per aver utilizzato le sole risorse finanziarie disponibili per pagare gli stipendi ai dipendenti Cass. Sez. III, n. 5905/2014 in Diritto e Giustizia del 10 febbraio 2014 . Non resta dunque che prendere atto che le timide aperture operate dalla Suprema Corte con le pronunce che si sino registrate tra la fine del 2013 e gli inizi del 2014 non paiono gemme pronte a sbocciare e dettare legge in chiave interpretativa. La rilevanza del fallimento questione di tempi! Sancita l’irrilevanza della mera situazione di insolvenza al fine di escludere la penale responsabilità, la Suprema Corte è chiamata a pronunciarsi sulla incidenza di una eventuale intervenuta sentenza dichiarativa di fallimento, in conseguenza della quale, come noto ed evidente, da un lato l’imprenditore perde la disponibilità del patrimonio della impresa, dall’altro eventuali pagamenti anche di somme dovute, operati dal medesimo, lo espongono al rischio di penale responsabilità a titolo di bancarotta preferenziale. Proprio su tale tematica infatti si fondava il ricorso per cassazione che ha dato origine alla pronuncia in commento. In sede di merito, infatti, l’imputato era già stato prosciolto in relazione all’omesso versamento delle ritenute previdenziale per alcune mensilità, essendo le stesse successive alla intervenuta dichiarazione di fallimento. Sotto tale aspetto, invero, non poteva esservi altra soluzione possibile, atteso che, con l’intervenuto fallimento, la legale rappresentanza della società era passata al curatore fallimentare ed il reato è stato dunque commesso quando l’imprenditore aveva perso detta qualifica. Ma quid iuris nel caso, come quello in esame, in cui le mensilità cui attiene l’omesso versamento attengano ad un periodo in cui l’impresa era ancora in bonis , ma la diffida ad adempiere dell’INPS sia giunta a fallimento già dichiarato? Il responso degli Ermellini è categorico l’imprenditore oculato, mentre era ancora in bonis , avrebbe dovuto ripartire in modo adeguato le risorse all’atto della corresponsione delle retribuzioni, privilegiando il versamento delle ritenute che costituisce un obbligo al pari del versamento delle retribuzioni stesse pertanto il successivo intervenuto fallimento non scrimina la condotta integrante il momento consumativo del reato, rispetto al quale la successiva diffida INPS seppur giunta a fallimento già dichiarato si pone come condizione di punibilità e non di procedibilità. L’intervenuta indisponibilità del patrimonio dell’impresa in conseguenza del fallimento non esonera, quindi, l’imprenditore dichiarato fallito dal sollecitare il curatore fallimentare frattanto nominato od anche il Giudice ad adempiere con mezzi propri alla diffida INPS, ed ancora, prosegue la Corte, nel caso in cui l’imprenditore non sia stato dichiarato fallito personalmente lo stesso può e deve, se vuole evitare la penale responsabilità, provvedere al pagamento utilizzando anche le proprie risorse personali. Eccesso di rigore? La pronuncia in commento non si discosta, invero, da precedenti decisioni della Suprema Corte in cui si era già affermato che risponde del reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti il legale rappresentante di una società dichiarata fallita in quanto obbligato, ove non dichiarato fallito personalmente, al pagamento delle ritenute con le personali risorse finanziarie Cass. n. 29616/2011 . È noto tuttavia, da un lato, come a diverse e più garantiste conclusioni, fossero, per contro, pervenute diverse decisioni di merito, affermando che il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti non è ravvisabile a carico del legale rappresentante della società datrice di lavoro, nell'ipotesi di fallimento della società verificatosi prima della notifica dell'avviso d'accertamento della violazione Trib. Cagliari n. 337/2003 Trib. Modena, 13 novembre 2009 dall’altro lato, come le recenti pronunce a Sezioni Unite ed i successivi sviluppi interpretativi in tema delle affini fattispecie di cui agli articolo 10 bis e 10 ter d.lgs. n. 74/2000 avessero aperto la strada, seppur imponendo all’imputato un rigoroso onere di allegazione, ad una possibile rilevanza, sotto il profilo della imprevedibilità, sia alla forza maggiore che al difetto dell’elemento psicologico. Strade sulla cui percorribilità, invece e purtroppo, la pronuncia in esame si determina in senso assolutamente negativo, finendo per punire sempre e comunque l’imprenditore che abbia affrontato una pur obbiettiva situazione di difficoltà economica con condotte definite dalla stessa Corte non oculate”, che invero paiono evocare più la responsabilità colposa che non quella dolosa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 novembre 2013 – 13 maggio 2014, n. 19574 Presidente Fiale – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 31 ottobre 2012, la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna del 13 ottobre 2011 emessa nei confronti di A.D. , imputato del reato di cui all'art. 2 della L. 638/83 omesso versamento delle ritenute previdenziali per i lavoratori dipendenti per un importo complessivo di Euro 64.753,00 - fatto commesso dall'agosto 2005 al settembre 2007 , assolveva l'A. dalle imputazioni relative alle condotte commesse nei mesi di agosto e settembre 2007 perché il fatto non costituisce reato, riducendo conseguentemente l'originaria pena inflitta pari a mesi quattro di reclusione ed Euro 400,00 di multa a mesi tre e giorni 24 di reclusione ed Euro 380,00 di multa e confermando, nel resto, per le condotte residue. 1.2 La Corte territoriale disattendeva sia la tesi della assenza di prova in ordine all'effettiva corresponsione delle retribuzioni, ricavandola - come aveva fatto il Tribunale - dai mod. DM10 acquisiti in atti disattendeva, altresì, la tesi della assenza di prova in ordine al preventivo avviso di accertamento in quanto notificato regolarmente e rimasto ineseguito solo per la sopravvenuta dichiarazione di fallimento dell'impresa individuale conseguentemente riteneva esente da responsabilità l'A. limitatamente alle condotte poste in essere nei mesi di agosto e settembre 2007 per le quali il termine di pagamento sarebbe scaduto successivamente alla dichiarazione di fallimento. La pena veniva pertanto ridotta proporzionalmente in relazione allo statuito proscioglimento da quelle condotte. 1.3 Per l'annullamento della detta sentenza propone ricorso l'imputato a mezzo del proprio difensore fiduciario, deducendo, con unico motivo, violazione di legge per manifesta illogicità della motivazione. Lamenta, in particolare, la difesa che essendo pacifico per ammissione della stessa Corte territoriale che l'avviso di accertamento delle violazioni era stato notificato all'A. dopo la dichiarazione di fallimento a titolo personale, il giudice di appello avrebbe dovuto estendere anche alle condotte antecedenti ai mesi di agosto e settembre 2007 per le quali è stata riconosciuta l'assenza di responsabilità il proscioglimento in quanto l'intervenuta dichiarazione di fallimento impediva in modo assoluto all'A. di provvedere al pagamento anche per i versamenti precedenti non effettuati quando era in bonis e di conseguire il beneficio della non punibilità. Da qui la dedotta manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione per avere la Corte, da un canto, ritenuto esente l'A. per le condotte successive alla dichiarazione di fallimento agosto e settembre 2007 e, dall'altro, per avere mantenuto ferma la responsabilità per le condotte antecedenti, nonostante l'avviso di accertamento fosse stato notificato successivamente alla dichiarazione di fallimento. Considerato in diritto 1. Ritiene il Collegio, in relazione alle specifiche difese articolate dal ricorrente, di dover precisare quanto segue. 2. In punto di fatto occorre premettere che l'A. , titolare di ditta individuale, risulta avere omesso il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali riguardanti i propri dipendenti per un esteso arco temporale compreso tra il mese di agosto 2005 e il mese di settembre 2007. Risulta anche ex actis che l'A. è stato dichiarato fallito il 5 febbraio 2007 ed, in ultimo, che l'avviso di accertamento delle violazioni venne notificato da parte dell'INPS soltanto in data 22 aprile 2009. 2.1 Dall'esame della sentenza di primo grado, richiamata in parte qua dalla sentenza della Corte bolognese, emerge pacificamente che la prova materiale del reato collegata alla affettiva retribuzione dei propri dipendenti è stata ricavata documentalmente attraverso i modd. DM10 che, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, al di là del loro contenuto formale, sono documenti forniti dallo stesso datore di lavoro, aventi una particolare funzione ricognitiva della situazione debitoria del datore di lavoro di guisa che la loro compilazione e presentazione equivale all'attestazione all'ente di aver corrisposto le retribuzioni in relazione alle quali non sono stati versati i contributi ex plurimis, Sez. 3^ 10.4.2013 n. 37145, Deiana e altro, Rv. 256957 idem 4.3.2010 n. 14839, Nardiello, Rv. 246966 idem 7.10.2009 n. 46451, Carella, Rv. 2456107 . 2.2 In aggiunta a tali brevi considerazioni si osserva che, mentre grava sulla pubblica accusa l'onere di dimostrare il mancato versamento delle ritenute che può essere provato con qualsiasi mezzo, è preciso onere dell'imputato dimostrare di non essere stato in grado di corrispondere le retribuzioni Sez. 3^ 14.10.2004 n. 46734, Verderosa, Rv. 230423 ed ancora, che, in presenza delle denunce contributive, l'onere di dimostrare eventuali difformità rispetto alla situazione in esse rappresentata, incombe sul soggetto che la deduce, sia che si tratti dell'imputato che dell'organo dell'accusa in termini Sez. 3A 8.7.2005 n. 32848, Smedile, Rv. 232393 . 2.3 Nel caso in esame è certo che l'imputato non ha dimostrato, come ricordato dalla Corte territoriale, l'impossibilità assoluta di adempiere, limitandosi ad indicare, quale causa giustificativa, l'intervenuta dichiarazione di fallimento che avrebbe, di fatto, reso impossibile per il fallito provvedere a pagamenti, pena il rischio di incorrere in una situazione di bancarotta preferenziale. Peraltro non è superfluo rammentare che mentre l'imputato era in bonis egli aveva ritenuto più corretto omettere il versamento delle ritenute, piuttosto che accantonare dette somme per provvedere, anche in tempi successivi al versamento il che ha consentito allo stesso A. di conseguire profitti illeciti costituiti dal ricavato degli omessi versamenti ancorché non più distinguibili nel proprio patrimonio, una volta dichiarato il fallimento a titolo personale. 3. Detto questo, occorre anche rilevare che - come costantemente ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema - l'avviso di accertamento delle violazioni costituisce non già una condizione di procedibilità, ma una condizione di punibilità. Non a caso il comma 1 bis dell'art. 2 della L. 638/83 testualmente dispone che il datore di lavoro che abbia omesso il versamento dei contributi, non è punibile se provvede al loro pagamento entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione. Si tratta quindi di una condizione di punibilità - e non di procedibilità - che in deroga alla regola di cui all'art. 158 c.p., comma 2 in materia di decorrenza della prescrizione di un reato la cui punibilità dipende da una condizione, stabilisce la sospensione del decorso della prescrizione nel periodo dei tre mesi di cui al comma 1 bis, anziché l'avvio di esso successivamente a tale periodo comma 1 quater per tali concetti, v. S.U. 24.11.2011 n. 1855, Sodde, Rv. 251268 v. anche Sez. 3^ 16.5.2007 n. 27258, Venditti, Rv. 237229 idem 25.9.2007 n. 38501, Falzoni, Rv. 237949 . 4. Alla stregua di tali principi occorre ora approfondire la questione prospettata nel ricorso circa i limiti scaturenti dalla dichiarazione di fallimento del datore di lavoro che si frappongono al pagamento delle somme dovute all'Istituto previdenziale dopo che sia intervenuta la dichiarazione di fallimento, ma riguardanti periodi in cui quel datore di lavoro non era ancora stato dichiarato fallito. 4.1 Va ricordato, a tale proposito, che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre escluso che una situazione di difficoltà finanziaria, anche se grave, possa costituire esimente ai fini della punibilità ciò in dipendenza della particolare natura del reato in esame che, sotto l'aspetto soggettivo, si caratterizza per una forma di dolo generico comportante la scelta consapevole di omettere i versamenti dovuti. Da qui l'affermata irrilevanza, sempre sotto il profilo dell'elemento soggettivo, della situazione di criticità attraversata dal datore di lavoro e anche della circostanza che egli destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti Sez. 3^ 19.1.2011 n. 13100, Biglia, Rv. 249917 idem 21.6.2011 n. 29975, Libutti, non massimata . 4.2 Ma si è anche affermato che persino la situazione di accertata successiva insolvenza dell'imprenditore rende configurabile il reato, essendo preciso onere di quest'ultimo ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere all'obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò possa riflettersi sull'integrale pagamento delle retribuzioni medesime Sez. 3^ 25.9.2007 n. 38269, Tafuro, Rv. 237827 idem 5.7.2001 n. 33945 Castellotti, Rv. 219989 . 4.3 Il datore di lavoro, in quanto debitore delle retribuzioni nei confronti dei propri dipendenti, è, infatti, tenuto a detrarre dalle stesse l'importo delle ritenute assistenziali e previdenziali che dovranno essere versate all'Erario quale sostituto del soggetto obbligato. Ed è proprio per effetto di questa doppia funzione del sostituto di adempiere, contemporaneamente, a un obbligo proprio e a un obbligo altrui, che si ritiene che lo stesso sia vincolato al pagamento delle ritenute al medesimo titolo per cui è vincolato al pagamento delle retribuzioni. 4.4 La conclusione che ne deriva è l'irrilevanza - ai fini della non punibilità - dello stato di insolvenza del sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute all'Inps, così come adempiere a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono, del resto, parte. 4.5 Oltretutto la giurisprudenza formatasi in tema di ritenute fiscali alla fonte materia sostanzialmente affine a quella in trattazione ha sempre affermato che quando l'imprenditore, in presenza di una situazione economica difficile, decida di dare la preferenza al pagamento degli emolumenti ai dipendenti e di pretermettere il versamento delle ritenute, non può poi addurre a propria discolpa l'assenza dell'elemento psicologico del reato, ricorrendo in ogni caso il dolo generico cfr. oltre alla giurisprudenza precedentemente citata, v. tra le tante, Sez. 3^, 5.5.1994 n. 7099, Serafini, Rv. 198155 idem 6.10.1993 n. 10579, P.M. in proc. Dini, Rv. 195872 . 4.6 Così come si è ritenuto che anche il sopravvenuto fallimento dell'agente non sia sufficiente a scriminare il precedente omesso versamento delle ritenute, essendo preciso obbligo del sostituto quello di ripartire le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni in modo da poter adempiere il proprio obbligo, anche se ciò dovesse comportare l'impossibilità di pagare i compensi nel loro intero ammontare Sez. 3^ 18.6.1999 n. 11694 Tiriticco, Rv. 215518 idem 15.2.1996 n. 141 Profili, Rv. 203783 . 4.7 Volendo, allora, trarre alcune prime conclusioni, può senz'altro affermarsi - con riferimento alla fattispecie in esame - che come non scrimina, sotto l'aspetto soggettivo, la situazione di grave crisi economica dell'imprenditore che, per propria consapevole scelta, decida di corrispondere le retribuzioni, omettendo di versare le ritenute previdenziali, così non scrimina la situazione del fallimento in relazione alla possibilità riconosciuta all'imprenditore oculato di ripartire, mentre è ancora in bonis , le risorse esistenti all'atto della corresponsione delle retribuzioni, privilegiando il versamento delle ritenute che costituisce un preciso obbligo al pari della corresponsione delle retribuzioni. 4.8. Quale corollario di tali affermazioni può rilevarsi che l'impossibilità di adempiere conseguente alla situazione di fallimento non può concettualmente definirsi assoluta, nel senso che l'imprenditore fallito è tenuto a sollecitare il curatore frattanto nominato o in alternativa, il giudice cui può pure rivolgersi ad adempiere con mezzi propri all'esclusivo fine di poter beneficiare della condizione di non punibilità che altrimenti gli verrebbe preclusa. Senza dire che in caso di imprenditore che non sia stato dichiarato fallito personalmente, ben può ed anzi deve lo stesso attivarsi per provvedere al pagamento con risorse proprie, nell'ottica di una successiva esenzione di responsabilità conseguente al precedente omesso versamento. 5. Alla stregua di tali considerazioni e passando all'esame della fattispecie sottoposta al vaglio di questa Suprema Corte deve, anzitutto, escludersi che il momento consumativo del reato in parola coincida con la scadenza dei tre mesi dalla contestazione del mancato versamento tesi sostenuta dalla difesa per dimostrare, alla luce della ricezione dell'avviso di accertamento dopo l'intervenuta dichiarazione di fallimento, l'insussistenza del reato con orientamento che può dirsi consolidato, è stato da tempo affermato che, in quanto reato omissivo istantaneo, il mancato versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali si consuma nel momento in cui scade il termine utile concesso al datore di lavoro per il versamento, termine attualmente fissato, ex art. 2, comma primo, lett. b del D.Lgs. n. 422 del 1998, al giorno sedici del mese successivo a quello cui si riferiscono i contributi oltre a S.U. 1855/11, Sodde, cit. v. anche Sez. 3^ 16.4.2009 n. 20251, Casciaro, Rv. 243628 idem 14.12.2010 n. 615, Ciampi e altro, Rv. 249164 . 5.1 Il mancato accantonamento delle somme o, quanto meno, la mancata ripartizione delle risorse da parte dell'imprenditore in grave crisi economica in una situazione in cui non è ancora stato dichiarato il fallimento, concreta una forma di responsabilità a suo carico. 5.2 Tuttavia non può contestarsi che il curatore, opportunamente e doverosamente sollecitato dall'imprenditore fallito che voglia comunque evitare una responsabilità penale conseguente all'omesso versamento, può provvedere nei termini previsti dall'art. 2 comma 1 bis della L. 638/83 a versare le somme dovute all'Istituto senza incorrere nel rischio della bancarotta preferenziale, attingendo, se del caso, alle risorse personali dell'imprenditore medesimo, così consentendo a quest'ultimo di beneficiare della causa di non punibilità prevista dallo stesso art. 2 comma 1 bis prima parte. 5.3 Non può quindi definirsi manifestamente infondata la censura sollevata con il ricorso in riferimento alle condotte pregresse comunque venute ad esistenza quando ancora il fallimento non era stato dichiarato. 5.4 La non manifesta infondatezza del ricorso determina l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alle condotte commesse dall'agosto 2005 all'aprile 2006, essendo maturato per esse il termine massimo prescrizionale pari ad anni sette e mesi sei ivi compreso il periodo di sospensione della prescrizione come previsto dal comma 1 quater dello stesso art. 2 della L. 638/83. 6. Va contestualmente disposto l'annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna per la determinazione della pena per le restanti condotte fino al mese di luglio 2007. Nel resto il ricorso va rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle omissioni protrattesi fino al mese di aprile 2006 perché estinti i reati per prescrizione e con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bologna per la determinazione della pena in ordine ai reati residui. Rigetta, nel resto, il ricorso.