Prima o dopo non importa: se il denaro è delle prostitute, fonte di ricchezza è il mestiere più antico del mondo

Lo sfruttamento della prostituzione si configura in tutti i casi in cui il reo tragga un vantaggio economico dal meretricio, non essendo necessario che tale vantaggio sia contestuale all’esercizio dell’attività, a condizione che esso abbia la sua specifica causa in tale attività e non in una generica ingiusta pretesa di carattere economico nei confronti della vittima.

È quanto emerga dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 19588 del 13 maggio 2014. Il caso. La Corte d’Appello di Venezia condannava un uomo per i reati di cui agli artt. 626 e 61, n. 2, c.p. perché costringeva due donne a consegnargli la somma di 500 euro ciascuna, quale parte del corrispettivo da lui preteso per l’uso di un appartamento che aveva in precedenza concesso loro per esercitare la prostituzione, procurandosi in tal modo un ingiusto profitto con altrui danno, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di conseguire il profitto dei reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. L’imputato propone ricorso per cassazione. Una linea sottile. Occorre premettere che lo sfruttamento della prostituzione si configura in tutti i casi in cui il reo tragga un vantaggio economico dal meretricio, non essendo necessario che tale vantaggio sia contestuale all’esercizio dell’attività, a condizione che esso abbia la sua specifica causa in tale attività e non in una generica ingiusta pretesa di carattere economico nei confronti della vittima. A rilevare, allora, è la causa illecita dell’obbligazione e non la contestualità della pretesa rispetto al sorgere dell’obbligazione stessa, né tantomeno la provenienza materiale delle somme con le quali la persona offesa procede all’adempimento di detta obbligazione. Ragionamento sbagliato. La Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione di questi principi essa ha sostenuto che la causa del credito dell’imputato nei confronti delle persone offese è lo sfruttamento della prostituzione, attraverso la locazione di appartamenti a canoni molto superiori a quelli del mercato. Essendo cessata l’attività di prostituzione, la pretesa dell’imputato non poteva più essere ritenuta connessa all’attività stessa. Per quest’ultimo, infatti, era indifferente il modo in cui le donne si sarebbero procurate le somme pretese, pur essendo queste parte dei canoni di locazione per l’utilizzazione degli immobili nei quali la prostituzione era esercitata. Ragionando in questi termini, però, la Corte distrettuale valorizza due elementi irrilevanti per configurare l’estorsione in luogo dello sfruttamento della prostituzione la distanza temporale fra l’esercizio della prostituzione e il momento in cui il corrispettivo relativo viene richiesto la materiale provenienza della somma necessaria per il pagamento. La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata quanto al reato di estorsione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 febbraio – 13 maggio 2014, n. 19588 Presidente Squassoni – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 21 giugno 2012, la Corte d'appello di Venezia ha confermato, quanto alla responsabilità penale, la sentenza del Gip del Tribunale di Padova del 4 giugno 2010, con la quale l'imputato era stato condannato per i reati A di cui agli artt. 629 e 61, n. 2 , cod. pen., perché, con minacce di morte e di danni alla persona, costringeva due donne a consegnargli la somma di Euro 500,00 ciascuna, quale parte del corrispettivo da lui preteso da dette donne rispettivamente di Euro 2600,00 ed Euro 2300,00 per l'uso di un appartamento che aveva in precedenza concesso loro per esercitare la prostituzione, procurandosi in tal modo un ingiusto profitto con altrui danno e con l'aggravante di aver commesso il fatto al fine di conseguire il profitto dei reati di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione B di cui agli artt. 3, nn. 5 e 8 , e 4, nn. 1 e 7 , della legge n. 75 del 1958, perché, attraverso annunci e altri mezzi di pubblicità, favoriva la prostituzione di numerose donne e ne sfruttava e favoriva la prostituzione anche trovando loro alloggio in abitazioni di cui avevano la disponibilità, facendosi consegnare per la locazione cifre oscillanti tra i 50,00 e i 100,00 Euro al giorno, con le aggravanti di aver commesso il fatto con minaccia e ai danni di più persone. La Corte d'appello ha escluso la sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 61, n. 2 , cod. pen. quanto al capo A , e ha rideterminato la pena in diminuzione. 2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento. 2.1. - Con un primo motivo di impugnazione, si deducono la violazione dell'art. 629 cod. pen. e la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del delitto di estorsione di cui al capo A . Secondo la prospettazione difensiva, tale delitto avrebbe dovuto essere ritenuto assorbito in quello di sfruttamento aggravato della prostituzione, di cui al capo B . Vi sarebbe, in particolare, nella sentenza una contraddizione logica, che emergerebbe dal passaggio motivazionale in cui la Corte d'appello afferma che, nell'atto di commettere la condotta qualificata come estorsione, ovvero nel perseguire la corresponsione di somme indebite asseritamente dovute per il passato, era del tutto indifferente per lo S. la provenienza delle somme pretese”. Da un lato, la Corte d'appello avrebbe ritenuto che le somme richieste dall'imputato costituivano una forma di corrispettivo per lo sfruttamento del meretricio e non di illegittimo compenso per la locazione degli appartamenti dall'altro lato, proprio al fine di affermare l'autonoma sussistenza del delitto di estorsione, avrebbe postulato l'indifferenza della provenienza delle somme pretese. 2.2. - Con un secondo motivo di doglianza, si lamenta la mancanza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero dovuto essere riconosciute quantomeno con giudizio di equivalenza sulle aggravanti contestate. Non si sarebbe considerato, in particolare, che l'imputato aveva sempre svolto attività lavorativa e aveva un unico precedente penale non grave. Considerato in diritto 3. - Il ricorso è parzialmente fondato. 3.1. - Il primo motivo di doglianza, relativo alla motivazione della sentenza circa la sussistenza del reato di estorsione, è fondato. La Corte d'appello incorre, infatti, nell'erronea applicazione della disposizione incriminatrice evidenziata dalla difesa. 3.1.1. - Deve premettersi, in punto di diritto, che, quando il credito di una somma di denaro trova la propria causa nello sfruttamento della prostituzione, la minaccia diretta ad ottenere detta somma rientra nell'ipotesi dello sfruttamento aggravato, appunto dalla minaccia art. 4, n. 1, della legge n. 75 del 1958 e non nell'autonoma ipotesi dell'estorsione, anche se la minaccia e la riscossione della somma avvengono in un momento successivo rispetto alla cessazione dell'attività di prostituzione da parte della vittima. Lo sfruttamento si configura, infatti, in ogni caso in cui il reo tragga un vantaggio economico dalla prostituzione, non essendo necessario che tale vantaggio sia contestuale all'esercizio della prostituzione, a condizione che esso abbia la sua specifica causa in tale attività e non in una generica ingiusta pretesa di carattere economico nei confronti della vittima. Ciò che rileva è, dunque, la causa illecita dell'obbligazione e non la contestualità della pretesa rispetto al sorgere dell'obbligazione stessa, né tantomeno la provenienza materiale delle somme con le quali la persona offesa procede all'adempimento di detta obbligazione. 3.1.2. - La Corte d'appello non ha fatto corretta applicazione di tali principi. Da un lato, nella sentenza si legge infatti che le somme corrisposte dalle donne non potevano essere qualificate come somme dovute e legittimamente pretese dall'imputato, perché erano del tutto svincolate dai correnti canone di locazione e percepite al di fuori di qualunque regolare attività contrattuale”, per importi giornalieri computati a persona, variabili tra i 50,00 e i 100,00 Euro, e relativi ad alloggi di pochi metri quadrati si trattava, in altri termini, di corrispettivi illecitamente correlati all'utilizzo degli appartamenti per lo svolgimento dell'attività di prostituzione e, solo secondariamente, per finalità abitative vere e proprie, tanto che doveva essere esclusa la configurabilità della fattispecie di cui all'art. 392 cod. pen., in considerazione della causa illecita della pretesa economica. Dall'altro lato, nella stessa sentenza si evidenzia che la condotta estorsiva si è consumata il 28 luglio 2006, epoca in cui le due persone offese già da tempo si erano allontanate dall'imputato ed avevano cessato l'utilizzo degli appartamenti, proseguendo l'attività di prostituzione per conto proprio con la conseguenza che mancherebbe una correlazione causale tra l'estorsione e lo sfruttamento della prostituzione. La Corte di merito sottolinea, in particolare, che per l'imputato erano in quel momento indifferenti le modalità attraverso le quali le donne si sarebbero procurate le somme pretese per il pregresso utilizzo degli immobili posti a disposizione per l'esercizio della prostituzione”. Ed è questa la ragione per cui viene esclusa l'aggravante di cui all'art. 61, n. 2 , cod. pen., ritenendo la Corte che manchi una connessione fra l'estorsione e lo sfruttamento della prostituzione. Così argomentando, la Corte d'appello afferma, in sostanza, che la causa del credito dell'imputato nei confronti delle persone offese è lo sfruttamento della prostituzione, realizzato attraverso la locazione di appartamenti a canoni molto superiori a quelli del mercato, così che una parte consistente di detti canoni veniva a configurarsi come una vera e propria compartecipazione dell'imputato ai proventi della prostituzione. La stessa Corte afferma, però - e in tale affermazione deve riscontrarsi la non corretta applicazione del principio di diritto sopra evidenziato - che essendo cessata l'attività di prostituzione, la pretesa dell'imputato non poteva più essere ritenuta connessa all'attività stessa, perché per quest'ultimo era indifferente il modo in cui le donne si sarebbero procurate le somme pretese, pur essendo queste - la Corte lo ribadisce espressamente - parte dei canoni di locazione per l'utilizzazione degli immobili nei quali la prostituzione era esercitata. Così argomentando, la Corte distrettuale valorizza due elementi che - come visto - sono, invece, irrilevanti al fine di configurare l'estorsione in luogo dello sfruttamento della prostituzione aggravato dalla minaccia la distanza temporale fra l'esercizio della prostituzione e il momento in cui il corrispettivo relativo viene richiesto la materiale provenienza della somma necessaria per il pagamento. 3.1.3. - La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata, quanto al reato di estorsione, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia, la quale procederà a nuovo giudizio sul punto, tenendo conto dei principi di diritto enunciati sub 3.1.1. 3.2. - Il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata concessione le circostanze attenuanti generiche è inammissibile. Il ricorrente neanche deduce, infatti, di avere richiesto l'applicazione di tali attenuanti con l'atto appello o in sede di precisazione delle conclusioni né la previsione secondo cui le stesse possono essere concesse d'ufficio in grado d'appello ai sensi dell'art. 597, comma 5, cod. proc. pen. implica un di obbligo motivazione sul punto per il giudice d'appello che non intenda concederle, appunto d'ufficio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di estorsione, con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso.