Omissione IVA: una volta escluso l’impossibile, tutto ciò che è stato fatto (e provato) per pagare porta all’assoluzione

In materia di reati tributari, è possibile l’esclusione della responsabilità penale, in caso di assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione, ma è necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto compreso il ricorso al credito bancario .

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 19426, depositata il 12 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Brescia condannava il legale rappresentante di una società per il reato di omesso versamento dell’IVA, previsto dall’art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di non aver considerato la mancanza di liquidità della società da lui amministrata, con conseguente carenza dell’elemento soggettivo del reato. Dolo generico. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava un suo precedente, la sentenza n. 37424/2013, secondo cui non può essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, qualora non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta di non far debitamente fronte all’esigenza predetta. Perciò, in materia di omesso versamento, il reato è integrato, essendo a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il soggetto attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti. Impossibilità ad adempiere. Nella decisione in commento, i giudici di legittimità ritenevano che questa interpretazione non fosse incompatibile con la successiva sentenza n. 5467/2013 della stessa Corte, secondo cui non è escluso che, in astratto, siano possibili casi valutabili unicamente dal giudice di merito e non da quello di legittimità se congruamente motivato , in cui possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria. Onere della prova. Tuttavia, è necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto compreso il ricorso al credito bancario . Di conseguenza, il ricorrente, che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, riconducibile alla forza maggiore, dovrà provare che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili. Mancando, però, nel caso di specie tali allegazioni, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 6 marzo – 12 maggio 2014, n. 19426 Presidente Fiale – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Brescia, pronunciando nei confronti ricorrente P.V. , con sentenza del 18/9/2012, depositata in data 24/9/2012, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bergamo del 9/1/2012, riduceva la pena inflitta a mesi 4 di reclusione. Il Tribunale di Bergamo aveva dichiarato l'imputato responsabile del delitto di cui all'art. 10 ter D.L.vo 74/2000 in relazione agli artt. 10 bis D.L.vo 74/2000 e 6 co. 2 L. 405/90, perché, in qualità di legale rappresentante della società Stireria 2000 s.a.s. di P. V., non versava entro il 27/12/2006, termine per il versamento dell'acconto, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale per l'ammontare di Euro 53.643,00, condannandolo alla pena di mesi 8 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il P. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. a. mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza di primo e di secondo grado. Il Giudice di Appello si sarebbe limitato ad un mero rinvio adesivo alla sentenza di primo grado senza esaminare le censure mosse dall'appellante. Nulla chiarirebbe la sentenza impugnata in merito allo stato di mancanza di liquidità della società amministrata dall'imputato, con conseguente carenza dell'elemento soggettivo del reato. Nemmeno, poi, sarebbe stata presa in esame la censura fondata sul fatto che la norma è entrata in vigore nel luglio 2006, con la conseguenza che l'imputato non sarebbe stato messo nella condizione di uniformare il proprio operato ed evitare di rispondere penalmente della propria condotta. b. erronea applicazione della legge penale - erronea valutazione delle risultanze processuali - carenza dell'elemento soggettivo - mancata assoluzione. Deduce il ricorrente l'avvenuta violazione del principio di irretroattività della norma penale. L'art. 10 ter del D. L.vo 74/00 è entrata in vigore il 4/7/06, con la conseguenza che andrebbe ritenuta inapplicabile all'omesso versamento dell'IVA relativa al 2005 in quanto, al momento dell'entrata in vigore della nuova norma, il fatto illecito si sarebbe già realizzato. Il fatto illecito punito dalla norma penale era già sanzionato come illecito amministrativo. La nuova norma penale punirebbe un comportamento, l'omesso versamento IVA, già punito come illecito amministrativo. In realtà, ad avviso del ricorrente, anche se l'omissione è avvenuta dopo l'entrata in vigore della legge penale, la condotta che fa sorgere l'obbligo di adempiere, così come la condotta che determina l'impossibilità di adempiere, si sarebbero realizzate prima dell'entrata in vigore della norma, quando il soggetto non aveva consapevolezza delle conseguenze penali del suo comportamento. Pertanto l'applicazione della norma penale contrasterebbe con il principio di colpevolezza stabilito dall'art. 27 della Costituzione. Chiede, pertanto, la cassazione della sentenza impugnata con assoluzione, eventualmente con rinvio. Considerato in diritto 1. Il ricorso appare infondato e va, pertanto, rigettato. 2. A norma dell'art. 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, inserito con l'art. 35 co. 7 del D.L. 4 luglio del 2006, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall'art. 10 bis per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Con l'intervento legislativo del luglio 2006 è stata, dunque, introdotta una nuova fattispecie criminosa, diretta a sanzionare l'omesso versamento dell'IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale, cui è stata estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10 bis, in forza del quale è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d'imposta . Il comportamento del soggetto che non versa l'IVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è stato quindi dal legislatore assimilato, sotto il profilo sanzionatorio, ma come vedremo non solo, a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Il momento consumativo del reato è individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Tale termine è fissato dalla L. n. 405 del 1990, art. 6, comma 2, al 27 dicembre. Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento. Nella fattispecie al 27 dicembre del 2006. La giurisprudenza di questa Corte ha anche risolto in senso positivo, tenuto conto che la disposizione de quo è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per IVA relativa alla dichiarazione dell'anno precedente, il dubbio se la nuova disposizione sanzionatoria trovasse applicazione per i reati riguardanti l'IVA relativa all'anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma penale Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 e in senso negativo quello per l'applicabilità dell'indulto, di cui alla L. n. 241 del 2006, che copre i reati commessi fino al 2 maggio del 2006 sez. 3 , n. 38619 del 14.10.2010, P.G. in Proc. Mazzieri, rv. 248626 . Il reato di omesso versamento dell’IVA ex art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000 si consuma, infatti, nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste. È necessario, quindi, che l'omissione del versamento dell'IVA dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento, giusto quanto disposto dall'art. 6, comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, n. 405. Condivisibilmente è stato precisato che in tema di omesso versamento IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dall'art. 10 ter d.lgs 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di IVA per cassa , è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 sez. 3, n. 19099 del 6.3.2013, Di Vora, rv. 255327 . 3. Se quello appena delineato è il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, va detto che il primo motivo di ricorso appare infondato. Le già citate Sezioni Unite di questa Corte hanno anche precisato, all'esito di un'approfondita disamina della normativa tributaria in materia, proprio in tema di elemento soggettivo, che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 . Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell'art. lOter d.lgs. n. 74 del 2000. Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo - hanno condivisibilmente affermato le SS.UU. nella sentenza 37424/13- è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto. Nel caso in esame siamo pacificamente al di sopra di tale soglia essendo stato omesso un versamento di Euro 53.643,00. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già dall'acquirente del bene o del servizio l'IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. In tal senso appare evidente la similitudine con quanto accade per il sostituto d'imposta rispetto alle trattenute operate per oneri previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei propri dipendenti. Ed evidentemente non è estranea a tale valutazione la scelta del legislatore del 2006 di equiparare le sanzioni. L'introduzione della norma penale di cui all'art. 10 ter Dlgs 74/2000, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. 4. Le Sezioni Unite scrivono, anche, nella citata sentenza 37424/13 Non può, quindi, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidità del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda metà del 2006 di non far debitamente fronte alla esigenza predetta per l'esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficoltà economiche in sé considerate v., in riferimento alla parallela norma dell'art. 10-bis, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale . Le SS.UU. dunque, richiamano la giurisprudenza di questa Sezione secondo che ha già più volte stabilito, in materia di omesso versamento di ritenute previdenziali che il reato è integrato, siccome è a dolo generico, dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando la circostanza che il datore di lavoro attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per far fronte a debiti ritenuti più urgenti Sez. 3, n. 13100 del 19.1.2011, Biglia, Rv. 249917 conf. Sez. 3, n. 29616 del 14.6.2011, Vescovi, rv. 250529 . E a tale ultima giurisprudenza appare avere fatto riferimento la Corte territoriale nel valutare, e nel rigettare, con una motivazione logica e coerente, il motivo di appello fondato, in via assolutamente generica, sull'illiquidità della società nel momento in cui occorreva pagare il debito tributario. 5. Va chiarito che il Collegio ritiene che tale assunto non sia incompatibile con la più recente precisazione fornita da questa Corte secondo cui non è escluso che, in astratto, siano possibili casi - il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato - nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria così sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. il 4.2.2014, Mercutello . È tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l'azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto non ultimo, il ricorso al credito bancario . In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili così la già citata e condivisibile sentenza 5467/14 di questa Sezione . Nel caso in esame tali allegazioni, valutato anche quanto scrive il giudice di prime cure, non ci sono state. La motivazione della Corte territoriale, dunque, non pare condivisibile - e pertanto in tal senso va corretta - laddove sembra affermare che neanche in astratto potrebbe realizzarsi ed essere provata dal ricorrente un'impossibilità ad adempiere dovuta al dissesto economico aziendale e personale. Ma, in concreto, tale impossibilità va provata. E nel caso in esame ciò non è avvenuto. 6. Al rigetto del ricorso, che era stato proposto prima che fosse pronunciata la più volte citata sentenza delle SS.UU. 37424/2013 il che ha indotto questa Corte a non ritenerlo inammissibile consegue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.