Sede all’estero, ma attività in Italia: niente detrazione per l’impresa che non effettua la dichiarazione

L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato, di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000, sussiste se la società abbia stabile organizzazione in Italia. Ciò si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari, affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17299, depositata il 18 aprile 2014. Il caso. Il tribunale di Livorno rigettava l’appello del pm contro il provvedimento del gip, che aveva respinto la richiesta di sequestro preventivo per equivalente nei confronti degli amministratori di una società, indagati per i reati, ex art. 5 d.lgs n. 74/2000, per non aver presentato la dichiarazione IRES. La società aveva sede nel Principato di Monaco, dove aveva adempiuto agli obblighi fiscali, e non era stato dimostrato che la sede amministrativa della società si trovasse in Italia. La richiesta di sequestro, poi, non veniva accolta, in quanto non era risultato accertato l’ammontare delle imposte evase, non essendosi tenuto conto delle spese, né delle imposte versate nel Principato. Il pm ricorreva in Cassazione, lamentando che dagli atti fosse in realtà emersa la prova certa del superamento della soglia di punibilità, poiché il reddito, oltre ai costi documentati, era stato determinato in modo analitico nell’informativa della Guardia di Finanza sulla base delle fatture. Contestava, inoltre, ai giudici di merito di aver interpretato erroneamente l’art. 165 d.P.R. n. 917/1986 Testo Unico delle Imposte sui Redditi , che, al comma 8, prevede che la detrazione non spetti in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata. Nel caso di specie, la società non aveva presentato alcuna dichiarazione, per cui non poteva godere di tale beneficio. Accertamento da eseguire. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che il tribunale, pur con i limiti del procedimento cautelare, aveva l’obbligo di accertare, alla luce delle deduzioni delle parti, il superamento della soglia di punibilità, prevista dall’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 e, perciò, dell’esistenza stessa del fumus del reato ipotizzato. Tuttavia, nel caso di specie, i giudici di merito si erano limitati ad affermare che, dalle verifiche della Guardia di Finanza, emergeva che la società aveva dovuto sostenere delle spese di gestione e che, nella determinazione del reddito d’impresa, non si era tenuto conto di tali spese, giudicate verosimilmente ingenti. Da tale motivazione, emergeva, quindi, che il tribunale non aveva accertato l’ammontare documentato di tali spese, né aveva verificato se e come queste avessero incidenza in relazione al superamento della soglia di punibilità. La dichiarazione doveva essere fatta. Inoltre, il tribunale aveva affermato che, per determinare il reddito dell’impresa, doveva tenersi conto dei tributi versati nel Principato di Monaco. Tuttavia, anche se l’art. 165, comma 1, tuir stabilisce che se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate sono ammesse in detrazione dell’imposta netta dovuta , il successivo comma 8 afferma che la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata . L’obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, da parte di società avente residenza fiscale all’estero, la cui omissione integra il reato, di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000, sussiste se la società abbia stabile organizzazione in Italia. Ciò si verifica, quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari, affinché sia raggiunto il fine sociale, non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell’espletamento dei servizi. Nel caso di specie, il Tribunale aveva dimostrato che l’attività della società era svolta, principalmente, in Italia.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 febbraio – 18 aprile 2014, numero 17299 Presidente Fiale– Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Livorno, con ordinanza in data 7.10.2013, rigettava l'appello proposto dal P.M. ex articolo 322 bis c.p.p. avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Livorno del 6.9.2013, con cui era stata respinta la richiesta di sequestro preventivo per equivalente nei confronti di L.G. e B.C. , indagati per i reati di cui all'articolo 5 D.L.vo 74/2000 con riferimento alla omessa presentazione delle dichiarazioni IRES per gli anni dal 2006 al 2011. Premetteva il Tribunale che, come emergeva dalla informativa della Guardia di Finanza di Livorno del 25.7.2013, la società LC. Distribution Sarl, della quale la B. era rappresentante legale ed il L. amministratore di fatto, la cui attività era quella di promuovere, sul mercato russo e dell'Europa dell'Est, la vendita di capi di abbigliamento per conto di note case di moda italiane Canali e Kiton , aveva sede legale nel Principato di Monaco dove aveva adempiuto agli obblighi fiscali. L'ipotizzata omessa dichiarazione Ires trovava fondamento, secondo il P.M., nell'articolo 73 del TUIR che individua i criteri di versamento delle imposte nello Stato Italiano ed i soggetti obbligati. Ed in particolare, come previsto dal terzo comma, quando la sede legale si trovi in Italia oppure l'oggetto principale dell'impresa si svolga nel territorio italiano ovvero ancora vi abbia sede l'amministrazione. Tanto premesso, riteneva il Tribunale che non risultava adeguatamente dimostrato che la sede amministrativa della società si trovasse in Italia. Fondate erano, invece, le argomentazioni del P.M. in ordine al luogo in cui si svolgeva l'attività. La LC Distribution era, conseguentemente, soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione, per cui, nei confronti dei suoi amministratori, era ipotizzabile il delitto di cui all'articolo 5 L.74/2000. Assumeva, però, il Tribunale che la richiesta di sequestro non potesse essere accolta non risultando accertato adeguatamente l'ammontare delle imposte evase, non essendosi tenuto conto delle spese pur documentate , né delle imposte versate nel Principato di Monaco. Non risultava quindi dimostrato il superamento della soglia di punibilità e pertanto la sussistenza del fumus del reato. 2. Ricorre per cassazione il P.M. presso il Tribunale di Livorno, denunciando la inosservanza, violazione ed erronea interpretazione degli artt. 321 c.p.p., 322 ter c.p. e 5 D.L.vo 74/2000 in relazione alla sussistenza del fumus e del periculum in mora, nonché dell'articolo 165 commi 1 e 8 DPR 917/1986 in tema di limitazione del divieto di doppia imposizione. Dopo una premessa con riferimento alle risultanze investigative ed alle fonti di prova, e dopo aver richiamato l'appello proposto ex articolo 322 bis c.p.p. e l'ordinanza del Tribunale che pur condividendo la tesi della esterovestizione della società e che il L. ne fosse l'amministratore di fatto, ha ritenuto che non potesse farsi luogo al sequestro per equivalente , assume il ricorrente P.M. che dagli atti emergeva la prova certa del superamento della soglia di punibilità. Il reddito era stato determinato in modo analitico nella informativa della G.d.F. sulla base delle fatture. E nella medesima informativa si teneva conto dei costi documentati. Quanto alle eventuali imposte pagate nel Principato di Monaco, il Tribunale ha erroneamente interpretato l'articolo 165 DPR 917/1986, non tenendo conto di quanto previsto dal comma 8 secondo cui la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero nella dichiarazione presentata . Avendo la LC Distribution omesso di presentare la dichiarazione, non potrebbe in alcun modo beneficiare della eventuale detrazione di imposta. Assume, infine, il ricorrente che, anche a voler riconoscere ulteriori costi allo stato non dimostrati , non può, come emerge dagli accertamenti, esservi alcun dubbio sul superamento della soglia di punibilità. Infine sussistente è il periculum in mora nonché l'equivalenza tra il valore dei beni da sottoporre a sequestro e l'ammontare delle imposte evase da intendersi maggiorate da sanzioni ed interessi legali . 3. Con memoria, depositata in data 18.2.2014, i difensori degli indagati deducono l'inammissibilità del ricorso del P.M. perché proposto in violazione dell'articolo 325 c.p.p., e comunque chiedono il rigetto dello stesso non ricorrendo, in particolare, i presupposti per ipotizzare l'esistenza di una stabile organizzazione in Italia di L.C. Distributionumero Si assume inoltre che destituito di fondamento è il richiamo all'articolo 165 comma 8 TUIR, non essendovi alcun obbligo dichiarativo in Italia da parte della Società monegasca. Era obbligo pertanto dell'Accusa detrarre le imposte estere, una volta accertata l'esistenza di un reddito imponibile in Italia. Correttamente poi il GIP aveva ritenuto che il mantenimento della residenza in Italia da parte del L. non costituiva conferma della esteriovestizione della società, trattandosi di una scelta obbligata . Né infine è stato dimostrato che la L.C. Distribution abbia il centro principale dell'attività, ed il potere decisionale strategico nel territorio italiano. Considerato in diritto 1. Il ricorso del P.M. è fondato. 2. Questa Corte ha costantemente affermato che l'obbligo di presentazione della dichiarazione annuale dei redditi da parte di società avente residenza fiscale all'estero, la cui omissione integra il reato previsto dall'articolo 5 del D.Lgs. 10 marzo 2000 numero 74, sussiste se detta società abbia stabile organizzazione in Italia, il che si verifica quando si svolgano in territorio nazionale la gestione amministrativa e la programmazione di tutti gli atti necessari affinché sia raggiunto il fine sociale non rilevando il luogo di adempimento degli obblighi contrattuali e dell'espletamento dei servizi cfr. ex multis Cass. penumero sez. 3 numero 7080 del 24.1.2012 Cass. sez. 3 numero 32091 del 21.2.2013 Cass. sez. 3 numero 29724 del 26.5.2010 . Il Tribunale ha fatto corretta applicazione di tale principio e dopo aver richiamato l'articolo 73 del TUIR, che individua i criteri di determinazione dei contribuenti obbligati al versamento delle imposte allo Stato italiano, ha accertato che il core business della la LC Distribution si realizza prevalentemente all'interno del territorio italiano, rimanendo completamente slegato dal luogo ove è stabilita la sede legale della società pag. 4 . Pur avvenendo all'estero, da parte dell'agente e dei suoi collaboratori, l'attività di ricerca dei clienti, era indiscutibile infatti che l'attività principale, caratterizzante il rapporto di agenzia, si svolgesse in Italia. I clienti, una volta individuati, venivano, invero, accompagnati in Italia per mostrare loro, nel corso di apposite sfilate, i campioni di articoli in vendita e veniva ad essi offerta assistenza nelle operazioni di definizione degli ordini di acquisto. Le medesime considerazioni valevano anche con riferimento all'attività svolta dalla LC Distribution, a partire dal 2008, di distributore per conto della G & amp P NET, società che gestisce i marchi italiani Geopirit e Peuterrey. L'attività dalla società, sia come agente che come grossista, era pertanto svolta, nella parte principale,in Italia, per cui il ruolo dell'ufficio in Monaco, dove si trovava la sede legale della società, era del tutto secondario mera attività amministrativa di verifica della consegna della merce, di effettuazione dei pagamenti, emissione delle fatture ed invio della documentazione commerciale . L'oggetto principale dell'attività di impresa non si realizzava nel Principato di Monaco, ma in Italia. Sulla base di tale accertamento di fatto ha ritenuto il Tribunale che la società fosse obbligata alla presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, per cui era configurabile a carico degli amministratori il fumus del reato di cui all'articolo 5 D.L.vo 74/2000. I rilievi svolti in proposito nella memoria difensiva, oltre a risolversi in censure di fatto, non tengono conto che il ricorso del P.M. non investe tale punto della decisione del Tribunale, essendo stato accolto relativamente allo svolgimento in Italia dell'oggetto principale dell'attività di impresa il suo appello. 3. Il medesimo Tribunale ha, però, ritenuto che non potesse farsi luogo al sequestro per equivalente sotto due profili 1 non risultando accertato adeguatamente l'ammontare delle imposte evase, per non essersi tenuto conto delle spese di gestione 2 non essendosi tenuto conto dell'importo dei tributi versati nel Principato di Monaco certamente detraibili in base al divieto della doppia imposizione . 3.1. Quanto al primo profilo non c'è dubbio che, ai fini della integrazione del reato di cui all'articolo 5 D.L.gs. numero 74/2000, punito solo ove abbia determinato una evasione di imposta pari a Euro 77,468,53, per imposta evasa debba intendersi l'intera imposta dovuta, da determinarsi sulla base della contrapposizione tra ricavi e costi d'esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l'ordinamento tributario cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 21213 del 26.2.2008 . Ed è altrettanto indubitabile che ai fini del superamento della soglia di punibilità di cui all'articolo 5 D.L.gs numero 74/2000, spetti esclusivamente al giudice penale il compito di procedere all'accertamento e alla determinazione dell'ammontare dell'imposta evasa, attraverso una verifica che può venire a sovrapporsi ed anche ad entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario cfr. Cass. penumero sez. 3 numero 21213/2008 cit. . 3.1.1. Il Tribunale, pur con i limiti del procedimento cautelare, aveva l'onere, quindi, di accertare, alla luce delle deduzioni delle parti e quindi anche dei rilievi richiamati nella memoria difensiva , il superamento della soglia di punibilità prevista dall'articolo 5 D.L.vo 74/2000 e, pertanto, dell'esistenza stessa del fumus del reato ipotizzato. La motivazione con cui si assume che, nella determinazione dell'imposta evasa, non si sia tenuto conto dei costi di gestione è meramente apparente ed apodittica, e come tale è riconducibile ex articolo 125 co. 3 nella violazione di legge di cui all'articolo 325 c.p.p Secondo le Sezioni Unite di questa Corte sentenza numero 2/2004, Terrazzi , nel concetto di violazione di legge può, invero, comprendersi la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente in quanto correlate all'inosservanza di precise norme processuali, quali ad esempio l'articolo 125 c.p.p., che impone la motivazione anche per le ordinanze, ma non la manifesta illogicità della motivazione, che è prevista come autonomo mezzo di annullamento dall'articolo 606 lett. e c.p.p., né tantomeno il travisamento del fatto non risultante dal testo del provvedimento. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi dalle stesse Sezioni Unite, con la sentenza numero 25932 del 29.5.2008 - Ivanov, secondo cui nella violazione di legge debbono intendersi compresi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonee a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice. 3.1.2. Quanto ai poteri del Tribunale del riesame, secondo la giurisprudenza di questa Corte cfr. in particolare sez. unite 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una piena cognitio del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, con l'assenza di ogni potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. Tale interpretazione limitativa della cognizione incidentale risponde all'esigenza di far fronte al pericolo di utilizzare surrettiziamente la relativa procedura per un preventivo accertamento sul meritum causae , così da determinare una non consentita preventiva verifica della fondatezza dell'accusa il cui oggetto finirebbe per compromettere la rigida attribuzione di competenze nell'ambito di un medesimo procedimento. L'accertamento, quindi, della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruità degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati così come esposti, al fine di verificare se essi consentono - in una prospettiva di ragionevole probabilità - di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica. Il Tribunale del riesame non deve, pertanto, instaurare un processo nel processo, ma svolgere l'indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull'esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l'integralità dei presupposti che legittimano il sequestro ex multis Cass. penumero sez., 3 numero 40189 del 2006 - ric. Di Luggo . Il controllo non può limitarsi ad una verifica meramente burocratica della riconducibilità in astratto del fatto indicato dall'accusa alla fattispecie criminosa, ma deve essere svolto attraverso la valutazione dell'antigiuridicità penale del fatto come contestato, ma tenendosi conto, nell'accertamento del fumus commissi delicti , degli elementi dedotti dall'accusa risultanti dagli atti processuali e delle relative contestazioni difensive. È necessario, quindi, che il Tribunale del riesame, ai fini della configurabilità del fumus del reato, prenda in considerazione tutti gli elementi rappresentati dalle parti. Viene, cioè, in rilievo anche il vizio di travisamento della prova , che si ha quando venga utilizzata un'informazione inesistente ovvero venga omesso l'esame di elementi probatori offerti dalle parti cfr. Cass. Penumero Sez. 4 numero 14732 dell'I.3.2011 conf. Cass. Penumero Sez. 2 numero 22565 del 9.6.2006 Cass. Penumero Sez. 4 numero 26.18 del 7.11.2006 Cass. Sez. 2 numero 19850 del 24.5.2006 Cass. Penumero Sez. 3 numero 39729 del 18.6.2009 Cass. Penumero Sez. 3 numero 37756 del 7.7.2011 . In particolare, nell'ipotesi di omessa valutazione di una prova esistente agli atti, il vizio è riconducibile, per i provvedimenti cautelari reali, ex articolo 125 co. 3 c.p.p. alla violazione di legge, risolvendosi in mancanza di motivazione sul punto. 3.1.3. Il Tribunale si è limitato ad affermare che dalle verifiche svolte dalla G.d.F. emergeva che la società aveva dovuto sostenere spese di gestione e che nella determinazione del reddito di impresa non si era tenuto conto di tali spese verosimilmente ingenti , né si era tenuto conto delle ulteriori spese anch'esse verosimilmente rilevanti connesse ai frequenti viaggi all'estero degli amministratori e dei loro collaboratori. Risulta evidente da tale motivazione come emerge dallo stesso impiego dell'avverbio verosimilmente che il Tribunale non solo non ha accertato l'ammontare documentato di tali spese, ma, soprattutto, non ha verificato se e come esse avessero incidenza in relazione al superamento della soglia di punibilità. Il P.M. ricorrente, assolvendo anche all'onere di autosufficienza del ricorso, ha evidenziato che a dalla documentazione depositata davanti al Tribunale non risultava, neppure in via meramente ipotetica, che, oltre i costi indicati dalla G.d.F., vi fossero le ulteriori tipologie di costi richiamate dal Tribunale b che tali ulteriori costi erano stati semplicemente indicati ma non documentati nelle memorie del difensore degli indagati c che la G.d.F. aveva tenuto conto dei costi documentati d che, in ogni caso, anche riconoscendo gli ulteriori costi richiamati ma non documentati dalla difesa, stante l'enorme differenza con la base imponibile come ricostruita, non poteva minimamente essere revocato in dubbio il superamento della soglia di punibilità. 3.2. Quanto al secondo profilo, il Tribunale, nel sostenere che, per la determinazione del reddito di impresa, dovesse tenersi conto dei tributi versati nel Principato di Monaco, ha erroneamente interpretato l'articolo 165 DPR 917/1985. È vero che, a norma del comma 1, se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all'estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dell'imposta netta dovuta fino alla concorrenza della quota d'imposta corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all'estero ed il reddito complessivo netto . Lo stesso Tribunale ha, però, accertato che la società fosse tenuta alla presentazione delle dichiarazioni anche i rilievi della memoria sul punto prescindono dall'avvenuto accertamento di siffatto obbligo . Sicché trova applicazione il comma 8 dell'articolo 165 cit., secondo cui la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all'estero nella dichiarazione presentata . 4. L'ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame alla luce dei rilievi e dei principi in precedenza enunciati al Tribunale di Livorno. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Livorno.