Atti coperti da segreto: il giornalista deve bendarsi gli occhi

La regola del segreto permea gli atti d’indagine effettuati direttamente o per iniziativa, o delega, degli organi pubblici e comprendono tutti quelli che hanno origine nell’azione diretta o nell’iniziativa del P.M. o della polizia giudiziaria, e dunque quando il loro momento genetico e la loro strutturale ragion d’essere siano in tali organi. Tra questi, rientrano anche le denunce orali direttamente apprese dalla polizia giudiziaria ed il verbale di spontanee dichiarazioni, trattandosi di atti destinati a confluire nel fascicolo processuale e ad essere utilizzati per tutte le indagini da eseguirsi. Sono atti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 329, comma 1, c.p.p., compiuti dalla polizia giudiziaria, soggetti al regime di segretezza.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16301, depositata il 14 aprile 2014. Il caso. Il tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, confermava il provvedimento di sequestro, mediante oscuramento, emesso dal gip, delle pagine web su cui erano stati pubblicati atti e documenti, tra cui stralci del verbale di denuncia orale ed uno di spontanee dichiarazioni, di un procedimento penale ancora in via di definizione. Tali fatti, a giudizio del tribunale, integravano il reato previsto dall’art. 684 c.p. pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale a carico della giornalista autrice del servizio. La donna ricorreva in Cassazione, affermando che la querela, oggetto del servizio, non rientrasse tra gli atti di cui era vietata la pubblicazione. Infatti, la denuncia ed il verbale di spontanee dichiarazioni non erano atti coperti da segreto istruttorio, in quanto nessun fascicolo processuale era stato aperto. Di conseguenza, erano atti d’impulso processuale e non atti di un procedimento penale. A suo parere, inoltre, gli unici atti coperti da segreto sarebbero quelli compiuti dal P.M. o dalla polizia giudiziaria, con l’esclusione, quindi, di quelli provenienti da una parte privata. Gli atti coperti da segreto. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che, per integrare il reato previsto dall’art. 684 c.p., la condotta di arbitraria pubblicazione deve riguardare atti o, con pari rilevanza, documenti che ineriscano ad un procedimento penale, dei quali sia vietata la pubblicazione per legge. L’art. 114 c.p.p. vieta la pubblicazione degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto, mentre l’art. 329, comma 1, c.p.p. sono coperti da segreto gli atti compiuti dal P.M. e dalla polizia giudiziaria, fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari. Il regime normativo. I giudici di legittimità sottolineavano che non c’è una perfetta coincidenza tra il regime di segretezza e quello di divulgazione degli atti, in quanto rimane una distinzione tra segreto e divieto di pubblicazione. Per gli atti coperti da divieto assoluto atti del P.M. e della polizia giudiziaria vige un divieto assoluto di pubblicazione, mentre per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato di pubblicazione che degrada man mano che, in relazione allo svolgimento del procedimento, vien meno la ragione del divieto. Tale motivazione è quella di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice del dibattimento, attuato anche attraverso le norme che gli consentono di venire legittimamente a conoscenza del testo degli atti d’indagine. In più, è sempre consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti da segreto, a scopo informativo. Perciò, il codice distingue nettamente tra atto del procedimento e suo contenuto e non c’è una perfetta equiparazione tra ciò che diviene conoscibile all’interno del procedimento e la sua divulgabilità. Tuttavia, anche riguardo agli atti coperti da segreto, serve una rigorosa interpretazione dell’ambito di operatività del divieto, in quanto l’atto d’indagine non può automaticamente coincidere con il fatto che ne costituisce oggetto. Di conseguenza, non potrebbe rientrare nel divieto di pubblicazione l’espletamento di attività procedimentali che si sostanzino in fatti storici direttamente percepibili. Azione diretta. Alla luce di tali considerazioni, la regola del segreto permea gli atti d’indagine effettuati direttamente o per iniziativa, o delega, degli organi pubblici e comprendono tutti quelli che hanno origine nell’azione diretta o nell’iniziativa del P.M. o della polizia giudiziaria, e dunque quando il loro momento genetico e la loro strutturale ragion d’essere siano in tali organi. Tra questi, rientrano anche le denunce orali direttamente apprese dalla polizia giudiziaria ed il verbale di spontanee dichiarazioni, trattandosi di atti destinati a confluire nel fascicolo processuale e ad essere utilizzati per tutte le indagini da eseguirsi. Sono atti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 329, comma 1, c.p.p., compiuti dalla polizia giudiziaria, soggetti al regime di segretezza. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 – 14 aprile 2014, n. 16301 Presidente Giordano – Relatore Novik Ritenuto in fatto Con ordinanza emessa il 6/11/2013, il Tribunale di Roma in funzione di giudice del riesame, confermava il provvedimento di sequestro, mediante oscuramento, emesso dal GIP di Roma delle pagine Web su cui, in due servizi relativi a fatti di pedofilia concernenti preti, erano stati pubblicati atti e documenti di un procedimento penale ancora in via di definizione. In particolare in data 25/6/2013 e 26/6/2013 erano apparsi sullo schermo le immagini di alcuni stralci del verbale di denuncia orale presentata da P.P. in data 8/3/2013 dinanzi agli ufficiali di PG appartenenti al Comando carabinieri per la Tutela dell'Ambiente, nonché un verbale di spontanee dichiarazioni e acquisizione documentale rese da P.P. in data 6/6/2013 innanzi alla stessa PG . Ad avviso della procura della Repubblica di Roma, che procedeva su denuncia querela sporta da Don T.N. , tali fatti integravano il reato di cui all'articolo 684 cod. pen., ascritto alla giornalista F.F. , autrice del servizio, e al direttore responsabile M.E. . Il Tribunale del riesame confermava la configurabilità del reato contestato e il pericolo in mora, costituito dal fatto che le notizie erano accessibili ad una platea indeterminata di lettori, così aggravandosi le conseguenze del reato. Nel rigettare i motivi posti a sostegno del ricorso presentato da F.F. , basati sul fatto che la presentazione di una denuncia penale non configurava una violazione del segreto istruttorio del divieto di pubblicazione di atti processuali, costituendo lecito esercizio del diritto di cronaca, il Tribunale rilevava come l'oggetto della tutela penale del reato di cui all'articolo 684 cod. pen. risiedeva nel garantire la segretezza degli atti istruttori ed impedire l'inquinamento delle prove. Il diritto di cronaca giornalistica poteva essere esercitato mediante la pubblicazione del contenuto dell'atto d'indagine, ma non attraverso la sua pubblicazione parziale, che poteva contenere dettagli e passaggi tali da ampliarne l'efficacia ostensiva, rispetto a quella derivante dalla semplice pubblicazione del contenuto. Il divieto di pubblicazione non era nemmeno escluso dal fatto che nei confronti di P.P. fosse stata emessa ordinanza di custodia cautelare. F.F. , a mezzo del difensore di fiducia, ha presentato ricorso per cassazione per violazione di legge, ribadendo che la querela non rientrava tra gli atti di cui era vietata la pubblicazione, chiedendo l'annullamento dell'ordinanza e del sequestro. Nel ricostruire i fatti che avevano dato origine ai servizi giornalistici, relativi alla denuncia sporta da Don P. su fatti di incontri omosessuali a pagamento tra importanti figure ecclesiali e minorenni romeni, l'istante fa presente come questa notizia fosse un fatto di cronaca meritevole di essere divulgato. Nei servizi si era specificato che le accuse erano contenute in una denuncia ancora da vagliare e, successivamente, si era dato ampio risalto al fatto che Don P. fosse stato arrestato per calunnia. La parte rileva che al momento della messa in onda dei servizi, la denuncia e il verbale di spontanee dichiarazioni non erano ancora atti coperti da segreto istruttorio, in quanto nessun fascicolo processuale era ancora stato aperto. Essi erano quindi atti d'impulso processuale e non atti di un procedimento penale. Contesta quindi la differenza proposta dal tribunale del riesame tra pubblicazione del contenuto dell'atto e ripresa visiva dello stesso, non avente base nell'articolo 684 cod. pen., che tutela la segretezza dell'atto in qualsiasi forma sia lesa. Il divieto di pubblicazione, a norma dell'articolo 114 del codice di procedura penale, riguarda atti coperti dal segreto anche solo del loro contenuto il comma 7 prevede che è sempre consentita la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto . Ed allora, secondo la difesa della ricorrente, gli unici atti coperti dal segreto sono quelli compiuti dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria, come previsto dall'articolo 329 comma 1 del codice procedura penale. Tra di essi non vanno ricompresi gli atti che provengono da una parte privata. Conclude come non vi sia nessuna differenza tra la ripresa integrale di fogli della querela con la telecamera e la loro integrale lettura, ritenuta dal Tribunale lecita. Nel richiamare la sentenza n. 13.494 del 2011 di questa Corte, la ricorrente sostiene che anche la denuncia oggetto del presente giudizio, come nel caso della sentenza richiamata pubblicazione di una lista di presunti evasori, contenuta nel fascicolo del pubblico ministero , altro non è che uno spunto investigativo per reati da verificare. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il rigetto del ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va respinto. Il reato di cui all'art. 684 c.p., sanziona chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale di cui sia vietata per legge la pubblicazione . La condotta di arbitraria pubblicazione deve riguardare atti o - con pari rilevanza - documenti che ineriscano ad un procedimento penale, dei quali la pubblicazione sia vietata per legge. Il sistema normativo, per quel che interessa nella presente fattispecie, è imperniato sugli artt. 114 e 329 cod. proc. pen Per il primo, vietata per legge è la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto. Per il secondo, comma 1, gli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria sono coperti dal segreto fino a quando l'imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura delle indagini preliminari . Nel codice non vi è completa coincidenza tra il regime di segretezza e quello di divulgazione degli atti permanendo una distinzione tra segreto e divieto di pubblicazione. Per gli atti coperti da segreto assoluto atti del pubblico ministero e della polizia giudiziaria fino a quando non siano conoscibili dall'indagato vige un divieto assoluto di pubblicazione, sia con riferimento al testo che al contenuto, anche parziale o per riassunto. Per gli atti non coperti da segreto sussiste un divieto limitato - di pubblicazione che è assai circoscritto e degrada man mano che, in relazione allo svolgimento del procedimento, viene meno la ragion d'essere del divieto, che è quella di assicurare il corretto, equilibrato e sereno giudizio del giudice del dibattimento, attuato anche attraverso le norme che gli consentono di venire legittimamente a conoscenza del testo degli atti di indagine, nei limiti e secondo le regole previsti in un processo tipicamente accusatorio. Peraltro, è sempre consentita la pubblicazione del contenuto degli atti non coperti o non più coperti da segreto a guisa d'informazione. Il codice distingue quindi nettamente tra atto del procedimento e suo contenuto e non vi è perfetta equiparazione tra ciò che diviene conoscibile all'interno del procedimento e la sua divulgabilità. Tuttavia, anche per quello che riguarda gli atti coperti da segreto assoluto, occorre una rigorosa interpretazione dell'ambito di operatività' del divieto poiché l'atto di indagine non può1 automaticamente coincidere con il fatto che ne costituisce l'oggetto e pertanto non rientra nel divieto di pubblicazione l'espletamento di attività procedimentali che si sostanzino in fatti storici direttamente percepibili. Così non sarà' pubblicabile il contenuto delle dichiarazioni rese dal teste oculare di un avvenimento all'autorità giudiziaria, ma sarà lecito riferire quanto attinto direttamente dallo stesso testimone, che, in quanto tale, non è tenuto al segreto. Sarà possibile dare notizia dell'arresto, ma non è possibile riportare stralci dell'ordinanza. Sarà possibile dare notizia di intercettazioni, ma non pubblicarne il contenuto. La regola del segreto permea, dunque, gli atti di indagine effettuati direttamente o per iniziativa o delega dei predetti organi pubblici e comprendono tutti quelli che hanno origine nell'azione diretta o nell'iniziativa del P.M. o della p.g., e dunque quando il loro momento genetico, e la strutturale ragion d'essere, sia in tali organi Cass. Sez, 1, n. 13.494 del 9.3.2011, Tamberlich . Orbene, è indubbio che tra questi atti rientrano le denunce orali direttamente apprese dalla P.G. e il verbale di spontanee dichiarazioni e acquisizione documentale rese da P.P. innanzi alla stessa, trattandosi di atti destinati a confluire nel fascicolo processuale e ad essere utilizzati per tutte le indagini da eseguirsi. Si tratta di atti ricadenti nel 1 comma dell'articolo 329 cod. proc. pen., compiuti dalla polizia giudiziaria, soggetti al regime di segretezza. Questa conclusione non contrasta con gli approdi cui è giunta la sentenza della Corte sopra richiamata n. 13.494 del 2011, che aveva per oggetto la pubblicazione di documenti lista di presunti evasori di origine extraprocessuale, acquisiti ad un procedimento, e non la pubblicazione di atti di indagine in senso stretto. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.