L’amministratore di diritto può essere condannato anche se non gestisce la società

L’amministratore di diritto di una società di capitali, rispetto all’amministratore di fatto della stessa società, è chiamato a rispondere dell’omesso versamento delle ritenute previdenziali poiché la carica che gli è attribuita comporta specifici doveri di controllo e vigilanza, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta.

La Corte di Cassazione, con la sentenza numero 14432 del 27 marzo 2014, ha confermato la sentenza dei giudici di secondo grado, ritenendo colpevole penalmente l’amministratore di diritto di una SRL per l’omesso versamento delle ritenute previdenziali la sua responsabilità per i giudici di legittimità è , in ogni caso dovuta, anche nell’ipotesi in cui sia stato nominato un soggetto terzo a gestire la società. Solo l’ipotesi di esclusione della titolarità dei poteri in senso formale potrebbe evitare una condanna di natura penale, fermo restando però che all’amministratore competono precisi doveri di controllo e vigilanza, sul versamento secondo le scadenze previste. La vicenda. Con sentenza del 17 dicembre 2012, la Corte di Appello, parzialmente riformando la sentenza dei giudici di primo grado, condannava l’amministratore di una SRL perché ritenuta responsabile del reato di cui all'art. 2, L. numero 638/83 omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti, commesso dal gennaio 2005 al luglio 2006 . Avverso la sentenza di condanna, l’amministratore ricorreva in Cassazione, sostenendo principalmente che i giudici del merito di secondo grado avevano emesso una sentenza che presentava elementi di carenza assoluta di motivazione, contraddittoria e illogica, perché confermava la responsabilità in assenza di elementi atti a suffragare sia l'elemento oggettivo, sia quello soggettivo del reato per l’amministratore ricorrente non sono state valutate congruamente le plurime prove documentali offerte, idonee ad escludere la responsabilità dell’amministratore. L’amministratore aveva affidato a terzi la gestione della società. I giudici di legittimità osservano che l’amministratore ricorrente, legale rappresentante di una SRL, viste la gravi difficoltà finanziarie che avevano attanagliato la sua ditta, aveva alla fine, delegato a terzi la gestione della società, successivamente dichiarata fallita, disinteressandosi delle attività contabili, compresi i versamenti periodici delle ritenute previdenziali, convinto che fosse il soggetto gestore di fatto della società a dover rispondere di tali incombenze. Nel ricorso in Cassazione si evidenzia che nonostante le numerose prove, tra le quali l’amministratore ricorrente indica una relazione del curatore fallimentare e la comunicazione notizia di reato della Guardia di Finanza che segnalavano che un soggetto terzo era il gestore di fatto della società poi fallita, la Corte di Appello avrebbe ugualmente ritenuto sussistente il dolo, sia pure sotto forma di dolo eventuale, asserendo il principio che comunque l’amministratore avrebbe dovuto vigilare continuamente sulla corretta gestione della società , con particolare riferimento, ai versamenti delle ritenute secondo le scadenze, pur senza negare la presenza di una delega di fatto. I giudici di legittimità evidenziano che la delega, anche di fatto, da parte dell'imprenditore ad un terzo della gestione della società, in assenza di un comportamento manifesto da parte del primo di spogliarsi giuridicamente della rappresentanza legale della società, non vale quale condotta positiva atta a scriminare il delegante. In questo senso è certamente corretta l'affermazione della Corte di Appello secondo la quale l’amministratore ricorrente aveva sempre mantenuto, pur conferendo ad un terzo poteri gestori totali, la carica di amministratore e legale rappresentante della società per cui era in questo soggetto che andavano individuate, in caso di violazioni penali riconducibili al ruolo societario, una responsabilità ex art. 40 cpv. c.p. responsabilità nascente dalla violazione di un obbligo di garanzia gravante sull'imprenditore . L’amministratore di diritto di una società cenni giurisprudenziali L’articolo 2639, c.c. afferma che l’amministratore di fatto di una società è da ritenersi responsabile di tutti quei doveri cui è soggetto normalmente anche l’amministratore di diritto sull’argomento del cd. amministratore di fatto si è più volte espressa la Corte di Cassazione sent. numero 33385/2012 in tale occasione i giudici di legittimità avevano affermato che anche l’amministratore di fatto deve rispondere per evasione fiscale e omessa presentazione della dichiarazione dei redditi della società. Accade sempre più spesso, infatti, che negli accertamenti e verifiche effettuate da parte dell’amministrazione finanziaria nei confronti di società, accanto o in alternativa a reati imputabili all’amministratore di diritto, si annoverano le attività poste in essere da soggetti non investiti formalmente dall’attività di gestione. Il fenomeno è generalmente collegato ad intenti fraudolenti indirizzati all’evasione delle imposte, mediante l’attribuzione di cariche societarie ad una c.d. testa di legno” ossia ad un soggetto privo di qualsivoglia possidenza patrimoniale, nei confronti dei quali si renderebbe vana ed inutile qualsiasi azione esecutiva erariale. In questi casi, i rappresentanti dell’amministrazione finanziaria devono eseguire le proprie attività nei confronti di un amministratore apparente” e uno di fatto” e questo nella consapevolezza che la responsabilità penale può manifestarsi in relazione sia al principio della personalità” del reato, sia alla specifica attribuzione funzionale corrente tra la società ed il soggetto ad essa legalmente preposto. In questo contesto resta indubbia la necessità di individuare e punire chi, per un comportamento omissivo o commissivo, possa aver configurato, tramite il proprio comportamento, ad una responsabilità penale derivante dalla violazione di un obbligo giuridico che, nella fattispecie in commento, è un obbligo di agire, passibile quindi della composizione di un c.d. reato omissivo proprio”. La Corte di Cassazione con la sentenza numero 47710/2013 ha affermato che il principio dell'equiparazione dell'amministratore di fatto a quello di diritto è stato recepito dal legislatore in occasione della riforma del diritto societario. L’art. 2639 c.c., introdotto con il d.lgs. numero 6/2003, afferma che per i reati societari al soggetto formalmente investito della qualifica o titolare della funzione prevista dalla legge è equiparato chi esercita in materia continuativa i poteri previsti dalle legge. La norma, ancorché riferita esplicitamente ai reati societari previsti dal codice civile, contiene la codificazione di un principio generale applicabile ad altri settori penali dell'ordinamento e per la sua natura interpretativa è applicabile anche ai fatti pregressi. Le conclusioni conferma della condanna per l’amministratore. I giudici di legittimità, con la sentenza in commento, osservano che il tema della responsabilità penale dell'amministratore di diritto di una società colui, cioè, che riveste la carica formale con correlata rappresentanza legale esterna per fatti commessi da terzi che amministrino la società in via di fatto, non è nuovo nella giurisprudenza di legittimità che, in svariate occasioni, ha sempre precisato che l'amministratore di diritto continua a rispondere di eventuali reati omissivi ferma restando l'eventualità di una ipotesi di condotta concorsuale del terzo , in stretta correlazione con gli obblighi propri gravanti sull'amministratore di diritto obblighi di vigilanza che gli impongono di controllare di continuo l'andamento della gestione ed intervenire per evitare che tali condotte illecite possano essere poste in essere. Nel caso in esame i giudici di legittimità osservano che, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, va confermato il principio che l’amministratore di diritto di una società, rispetto all'amministratore di fatto della medesima società, è comunque chiamato a rispondere del reato omissivo contestato, quale diretto destinatario degli obblighi di legge, in quanto il fatto stesso della accettazione o del mantenimento della carica attribuisce anche specifici doveri, tra i quali quelli di vigilanza e di controllo, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta, che si concretizza sulla base della sola consapevolezza che da quella condotta emissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico , ovvero l’accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Tra l’altro, evidenziano i giudici di legittimità, nel caso specifico emergeva che più che una delega al soggetto terzo di amministrare la società, si parlava di un contratto di consulenza stipulato tra le due parti che, semmai, ribadiva la piena volontà da parte dell’amministratore ricorrente di continuare a gestire” la società. Per i giudici di Piazza Cavour affinché l'amministratore di diritto possa venire esentato da responsabilità rispetto all'amministratore di fatto, non è sufficiente né la posizione di amministratore di fatto ai vertici dell'azienda, né eventuali deleghe da parte dell’ amministratore di diritto, occorrendo, invece, che venga esclusa in capo a quest'ultimo la titolarità dei poteri da intendersi in senso formale. Per la Corte di Cassazione il ricorso dell’amministratore ricorrente va rigettato e annullato, senza rinvio, limitatamente alle omissioni contributive fino ad una certa data , perché per quelle precedenti i fatti sono estinti per prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 settembre 2013 – 27 marzo 2014, n. 14432 Presidente Fiale – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 17 dicembre 2012 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Cremona emessa in data 29 novembre 2011 nei confronti di C.F. , imputata del reato di cui all'art. 2 della L. 638/83 omesso versamento delle ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni dei propri dipendenti, commesso dal omissis , dichiarava non doversi procedere in ordine alle condotte omissive commesse tra il ed il omissis per estinzione del reato a seguito di prescrizione e riduceva per le residue condotte la pena originariamente inflitta, in giorni venticinque di reclusione. 1.2 Per l'annullamento della sentenza propone ricorso l'imputata a mezzo del proprio difensore fiduciario deducendo un unico articolato motivo carenza assoluta di motivazione, sua contraddittorietà ed illogicità manifesta per avere la Corte bresciana confermato la responsabilità in assenza di elementi atti a suffragare sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo del reato ed omesso, altresì, di valutare congruamente le plurime prove documentali offerte idonee ad escludere sotto il cennato duplice profilo la responsabilità della C. . Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. Va doverosamente premesso, per maggiore intelligenza, che l'odierna ricorrente, legale rappresentante della società SONCINO IMBALLAGGI s.r.l., viste la gravi difficoltà finanziarie che avevano attanagliato la sua ditta, aveva, alla fine, delegato a terzi Avv. R. la gestione della società, successivamente dichiarata fallita, disinteressandosi delle attività contabili ivi compresi - per quanto qui rileva - i versamenti periodici delle ritenute previdenziali , convinta che fosse il soggetto gestore di fatto della società a dover rispondere di tali incombenze. 2. Ciò premesso, la tesi difensiva esposta nel ricorso ruota attorno a tale punto, ritenuto essenziale dalla difesa e asseritamente pretermesso dalla Corte lombarda nonostante le numerose prove tra le quali la ricorrente indica una relazione del curatore fallimentare e la comunicazione notizia di reato della Guardia di Finanza di Crema che segnalavano l'avv. R. come gestore di fatto della società poi fallita , la Corte di Appello avrebbe ugualmente ritenuto sussistente il dolo, sia pure sotto forma di dolo eventuale, asserendo il principio che comunque la C. avrebbe dovuto vigilare continuamente sulla corretta gestione della società - e per quanto di interesse - sui versamenti delle ritenute secondo le scadenze, pur senza negare la presenza di una delega di fatto. 3. Si tratta di tesi che, esposta con dovizia di argomentazioni ed indicazione di prove documentali e/o testimoniali viene indicata anche la dichiarazione del curatore fallimentare della società Dott.ssa M.E. resa ai militari della Guardia di Finanza circa i rapporti intercorrenti tra l'Avv. R. e la società dell'imputata , non tenute in conto, a dire della ricorrente, dalla Corte territoriale, non può essere condivisa. 3.1 Le considerazioni, seppur sintetiche, svolte dal giudice distrettuale per giustificare comunque la responsabilità della C. anche in caso di eventuale delega a terzi, sono da condividere perché sotto il profilo logico, ma anche strettamente giuridico, non è sufficiente che un imprenditore che, versando in situazione di difficoltà finanziarie o per altre ragioni , decida di rivolgersi ad un terzo delegandogli la gestione di fatto della società, vada esente da responsabilità in caso di condotte omissive in qualche modo legate al ruolo imprenditoriale, incombendo invero sull'imprenditore un obbligo specifico di vigilanza sull'operato del terzo che, se non osservato, mantiene ferma la responsabilità penale. 3.2 La delega, anche di fatto, da parte dell'imprenditore ad un terzo della gestione della società, in assenza di un comportamento manifesto da parte del primo di spogliarsi giuridicamente della rappresentanza legale della società, non vale quale condotta positiva atta a scriminare il delegante. 3.3 In questo senso è certamente corretta l'affermazione della Corte distrettuale secondo la quale la C. aveva sempre mantenuto - pur conferendo ad un terzo poteri gestori totali - la carica di amministratore e legale rappresentante della società individuando, in caso di violazioni penali riconducibili al ruolo societario, quanto meno una responsabilità ex art. 40 cpv. cod. pen. responsabilità nascente dalla violazione di un obbligo di garanzia gravante sull'imprenditore responsabilità tanto più evidente in quanto si trattava - per quanto riguarda il tipo di violazione penale contestata - di osservanza di compiti di ordinaria amministrazione. 3.4 Il tema della responsabilità penale dell'amministratore di diritto di una società colui, cioè, che riveste la carica formale con correlata rappresentanza legale esterna per fatti commessi da terzi che amministrino la società in via di fatto, non è nuovo nella giurisprudenza di questa Corte che, in svariate occasioni, ha sempre precisato che l'amministratore di diritto continua a rispondere di eventuali reati omissivi ferma restando l'eventualità di una ipotesi di condotta concorsuale del terzo , in stretta correlazione con gli obblighi propri gravanti sull'amministratore di diritto obblighi di vigilanza che gli impongono di controllare di continuo l'andamento della gestione ed intervenire per evitare che tali condotte illecite possano essere poste in essere. 3.5 Se tale forma di responsabilità diretta è agevole rinvenirla nei reati contravvenzionali per i quali è sufficiente la colpa, meno facile è l'approccio ad una responsabilità dolosa di tipo omissivo per delitti quali, in ipotesi, quelli nascenti da illeciti tributari ex D.L.vo 74/00 ovvero da fatti di bancarotta documentale o, come nel caso qui in esame, ad omessi versamenti di ritenute previdenziali. Ma la giurisprudenza formatasi su tale argomento ha ammesso la responsabilità sotto forma, quanto meno, di dolo eventuale v. per i riferimenti ai reati in materia di illeciti tributali v. Sez. 3^ 10.6.2011 n. 23425, CERAVOLO, Rv. 250962 per riferimenti a reati in materia di rifiuti Sez. 3^ 25.5.2011 n. 25047, Piga, Rv. 250677 per riferimenti a fatti di bancarotta documentale, Sez. 5^ 19.2,.2010 n. 19049, Succi, Rv. 247251 . 4. Secondo le regole proprie dell'art. 40 cpv. cod. pen. l'elemento psicologico si atteggia sempre secondo i principi generali è sufficiente, quindi, che il titolare dell'obbligo di garanzia abbia conoscenza dei presupposti fattuali del dovere di attivarsi per impedire l'evento e, ciò nonostante, non si attivi consapevolmente. In tal caso egli verrà chiamato a rispondere a titolo di dolo nei delitti ma ovviamente anche nelle contravvenzioni in quanto vuole o prevede l'evento, ovvero ne risponderà a titolo di colpa per negligenza, imperizia, imprudenza o violazione di norme come accade nei delitti colposi e, in generale nelle fattispecie contravvenzionali . È dunque la consapevolezza da parte del garante di un obbligo giuridico di vigilanza da esercitarsi nei riguardi di un terzo cui siano stati conferiti poteri gestori o di amministrazione di fatto il quale non ha quegli obblighi di garanzia riservatigli dalla legge, ma può essere chiamato a rispondere a titolo di concorso con il garante a determinare la responsabilità in capo al titolare della posizione di garanzia secondo le ordinarie regole ermeneutiche in tema di elemento soggettivo del reato. 4.1 Con riferimento ad una fattispecie in un certo senso sovrapponibile a quella oggi all'esame del Collegio, l'indirizzo di questa Corte si è espresso affermando il principio che l'amministratore di diritto di una società - rispetto all'amministratore di fatto della medesima società - è comunque chiamato a rispondere del reato omissivo contestato, quale diretto destinatario degli obblighi di legge, in quanto il fatto stesso della accettazione o del mantenimento della carica attribuisce anche specifici doveri, tra i quali quelli di vigilanza e di controllo, la cui violazione comporta una responsabilità penale diretta, che si concretizza sulla base della sola consapevolezza che. da quella condotta emissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico , ovvero l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Sez. 3^ 6.4.2006 n. 22019, Furini, Rv. 234474 la fattispecie esaminata dalla Corte Suprema concerneva una vicenda di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali per la quale è stata riconosciuta, sulla base di tali regole interpretative, la responsabilità dell'amministratore di diritto . 4.2 Nel caso in esame la Corte territoriale, nella parte in cui ribadisce la configurabilità di una responsabilità diretta ex art. 40 cpv. cod. pen. per la specifica violazione di un dovere di vigilanza, a titolo di dolo anche eventuale, afferma principi condivisibili e coerenti con l'indirizzo sopra enunciato. 4.3 E nel caso in esame tale decisione è scaturita anche sulla base di una circostanza che sostanzialmente confliggeva con la tesi difensiva, della totale estraneità della C. alla gestione societaria della SONCINO IMBALLAGGI a suo dire governata dall'Avv. R. , in quanto più che di delega, si parlava di un contratto di consulenza stipulato tra le due parti che, semmai, ribadiva la piena volontà da parte della C. di non abbandonare la sua veste formale di amministratore di diritto. 4.4 Certamente le indicazioni fornite dalla difesa della C. nel giudizio di appello non sono state pretermesse, avendo comunque la Corte bresciana dato per credibile la tesi dell'affidamento di una gestione da parte dell'imputata ad un terzo il R. e pur tuttavia valorizzato quel ruolo di amministratore di diritto che non poteva essere obliterato pena una erronea ed inaccettabile interpretazione dell'art. 40 cpv. cod. pen 4.5 Perché, quindi, l'amministratore di diritto possa venire esentato da responsabilità rispetto all'amministratore di fatto, non è sufficiente né la posizione di amministratore di fatto ai vertici dell'azienda né eventuali deleghe da parte dell'amministratore di diritto, occorrendo, invece, che venga esclusa in capo a quest'ultimo la titolarità dei poteri da intendersi in senso formale. 5. Tanto precisato osserva la Corte che non versandosi in ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso, deve comunque annullarsi la sentenza impugnata senza rinvio per estinzione delle condotte commesse fino al novembre 2005 per intervenuta prescrizione con eliminazione della relativa pena a titolo di aumento per la continuazione, nella misura di giorni tre di reclusione. 5.1 A tanto si perviene in ossequio al principio affermato dalle SS.UU. di questa Corte secondo il quale, nel caso di maturazione del termine prescrizionale successivamente alla sentenza di appello, è solo l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi a precludere la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., non potendo considerarsi formato un valido rapporto di impugnazione Cass. SS. UU 22.11.2000 n. 32 Cass. Sez. 2^ 20.11.2003 n. 47383 Cass. Sez. 4^ 20.1.2004 n. 18641 . Per il resto il ricorso va rigettato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza limitatamente alle omissioni fino al novembre 2005 perché i fatti sono estinti per prescrizione ed elimina l'aumento di pena a titolo di continuazione di giorni tre di reclusione. Rigetta il ricorso nel resto.