Il reato di omesso versamento IVA ha natura istantanea ed è punibile a titolo di dolo generico

Il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’articolo 10- ter , d.lgs. n. 74/2000 si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo successivo un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste, consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale, che, tranne i casi di applicabilità del regime di IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate, ed è punibile a titolo di dolo generico, per cui per la commissione del reato, basta la coscienza e la volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato, che deve investire anche la soglia di euro 50mila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore.

Così precisando, la Terza Sezione Penale di Cassazione, con sentenza n. 13019, depositata il 20 marzo 2014, ha rigettato il ricorso proposto dal nuovo amministratore pro tempore , imputato del reato di cui al citato articolo 10- ter , confermando la pena di mesi 6 di reclusione, nonché pene accessorie e pubblicazione della sentenza. Il reato ascritto e le censure del ricorrente. Con sentenza 13019, depositata il 20 marzo 2014, la Terza Sezione penale di Cassazione ha ritenuto manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile il ricorso presentato dal ricorrente, contro la sentenza della Corte territoriale che confermava la pronuncia del giudice di prime cure, con cui veniva condannato alla pena di mesi 6 di reclusione, nonché pene accessorie e pubblicazione della sentenza, quale rappresentante pro tempore della società alfa, avendo omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto in base alla dichiarazione annuale riferita all’anno di imposta 2005, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, commesso nell’anno 2006. I motivi di ricorso con cui veniva chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, con o senza rinvio, sono stati i seguenti dagli atti di causa non apparirebbe una sufficiente conferma della sua responsabilità, essendo divenuto egli amministratore della società solo in data 29.12.2005, quindi successivamente al termine del 19.5.2005 stabilito per il pagamento trimestrale dell’imposta l’importo della fattura, poiché inserito a debito di bilancio, renderebbe la condotta contestata ascrivibile al precedente amministratore il fatto di reato si sarebbe consumato prima dell’entrata vigore della pretesa norma violata di cui all’articolo 10- ter , d.lgs. n. 74/2000 il reato imputato non avrebbe natura istantanea, ma riceverebbe medesimo inquadramento di cui all’articolo 10- bis cit. LA nuova disposizione sanzionatoria trova applicazione per i reati riguardanti l’IVA relativa all’anno 2005? Gli Ermellini, ricostruita ratio e natura del reato contestato di cui all’articolo 10- ter , d.lgs. n. 4/2000, in particolare, ricordano la recente giurisprudenza della medesima Corte, a Sezione Unite, che ha anche risolto in senso positivo, tenuto conto che la disposizione de qua è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 2 dicembre di ciascun anno per l’IVA relativa alla dichiarazione dell’anno precedente, il dubbio se la nuova disposizione sanzionatoria trovasse applicazione per i reati riguardanti l’IVA relativa all’anno 2005 e in senso negativo quello per l’applicabilità dell’indulto, di cui alla L. n. 241/2006, che copre i reati commessi fino al 2 maggio 2006 Cass. Pen., SSUU, n. 37424/2013 . Precisano ulteriormente i giudici di Piazza Cavour, sempre secondo il dettato delle citate Sezioni unite del 2013 che esso si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo successivo un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste. È necessario, quindi, che l’omissione del versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione di protragga fino al 27 dicembre dell’anno successivo al periodo di imposta di riferimento, giusto quanto disposto dall’art. 6, comma 2, legge n. 405/1990. Condivisibilmente è stato precisato che in tema di omesso versamento IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dall’art. 10 ter, d.lgs. n. 74/2000 consiste nel mancato versamento all’erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di IVA per cassa”, è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate . Infine, viene ricordato come il reato sia punibile a titolo di dolo generico per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e la volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di euro 50mila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore soglia, questa, ampliamente e pacificamente superata, giacché l’omesso versamento del caso di specie ammontava ad euro 68.565.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 febbraio – 20 marzo 2014, n. 13019 Presidente Teresi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza dell'8.7.2013 la Corte d'Appello di Torino confermava la sentenza del 21.4.2011 con cui il Tribunale di Novara sez. dist. Di Borgomanero aveva condannato A.F. alla pena di mesi sei di reclusione, pene accessorie e pubblicazione della sentenza, con pena sospesa, per il reato di cui all'art. 10 ter D.lvo 74/00 perché, nella sua qualità di legale rappresentante pro tempore della House Srl con sede in , ometteva di versare l'imposta sul valore aggiunto pari ad Euro 68.565 dovuta in base alla dichiarazione annuale riferita all'anno d'imposta 2005, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo commesso in omissis . 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione l'imputato, con l'ausilio del proprio difensore, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen. a. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e cod. proc. pen Ad avviso del ricorrente la sentenza della Corte territoriale deve essere riformata perché, contrariamente a quanto assunto dal Giudicante l'imputato deve essere prosciolto dalla contestata imputazione, dal momento che dagli atti di causa non tra apparirebbe affatto una sufficiente conferma sulla sua responsabilità. Viene evidenziato come dalla documentazione prodotta emerga che l'imputato divenne amministratore della società soltanto in data 29/12/2005, quindi successivamente al termine del 19/5/2005 stabilito per il pagamento trimestrale dell'imposta. L'importo della fattura era stato inserito a debito di bilancio, con la conseguenza che la condotta sarebbe ascrivibile al precedente amministratore. Inoltre il fatto di reato si sarebbe consumato prima dell'entrata in vigore della norma contestata 4/7/2006 . Il ricorrente contesta la natura di reato istantaneo affermata dalla Corte d'appello di Torino deducendo che la stessa sarebbe smentita dal più autorevole e prevalente orientamento giurisprudenziale e dottrinale. Analogamente, infatti, a quanto previsto per l'articolo 10 bis relativamente al periodo di imposta 2004, si porrebbe per l'articolo 10 ter il problema della sua applicazione ad omessi versamenti relativi all'anno 2005. In data 4.2.2014 sono stati depositati dal difensore motivi nuovi ex art. 585 cod. proc. pen. con i quali si deduce che l'A. si è trovato in una situazione di evasione da sopravvivenza , in quanto quando è diventato amministratore della società non c'erano fondi sufficienti per far fronte a tutti gli impegni con il Fisco, Ciò nonostante i debiti tributari sono passati dai 91.322 Euro del 2005 agli 86.459 del 2006. Si chiede, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata con o senza rinvio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondate e pertanto va dichiarato inammissibile. 2. A norma dell'art. 10 ter del D.Lgs. n. 74 del 2000, inserito con l'art. 35 co. 7 del D.L. 4 luglio del 2006, convertito con modificazioni nella L. 4 agosto del 2006, la sanzione prevista dall'art. 10 bis per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate si applica anche a chiunque non versi l'imposta sul valore aggiunto, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Con l'intervento legislativo del luglio 2006 è stata, dunque, introdotta una nuova fattispecie criminosa, diretta a sanzionare l'omesso versamento dell'IVA in base alle risultanze della dichiarazione annuale, cui è stata estesa la sanzione penale prevista per il delitto di omesso versamento di ritenute certificate dal precedente art. 10 bis, in forza del quale è punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a cinquantamila Euro per ciascun periodo d'imposta . Il comportamento del soggetto che non versa UVA dichiarata a debito in sede di dichiarazione annuale è stato quindi dal legislatore assimilato, sotto il profilo sanzionatorio, ma come vedremo non solo, a quello del sostituto che non versa le ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti. Il momento consumativo del reato è individuato alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo. Tale termine è fissato dalla L. n. 405 del 1990, art. 6, comma 2, al 27 dicembre. Conseguentemente per la consumazione del reato non è sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alla scadenze previste, ma occorre che l'omissione del versamento dell'imposta dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo d'imposta di riferimento. Nella fattispecie al 27 dicembre del 2006. Non c'è dubbio, pertanto, che l'obbligo incombesse sull'odierno ricorrente, amministratore subentrato nella carica ben un anno prima il 29.12.2005 . 3. La giurisprudenza di questa Corte, a Sezioni Unite, ha anche risolto in senso positivo, tenuto conto che la disposizione de quo è entrata in vigore il 4 luglio del 2006 e che il delitto si perfeziona alla data del 27 dicembre di ciascun anno per IVA relativa alla dichiarazione dell'anno precedente, il dubbio se la nuova disposizione sanzionatoria trovasse applicazione per i reati riguardanti l'IVA relativa all'anno 2005 e in senso negativo quello per l'applicabilità dell'indulto, di cui alla L. n. 241 del 2006, che copre i reati commessi fino al 2 maggio del 2006 Sez. Unite n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 in precedenza anche questa sez. 3, n. 38619 del 14.10.2010, P.G. in Proc. Mazzieri, rv. 248626 . La pronuncia delle SS.UU. è peraltro precedente di diversi mesi rispetto alla data di proposizione del presente ricorso 3.10.2013 . Il reato di omesso versamento dell'IVA ex art. 10 ter, D.Lgs. 74/2000 si consuma nel momento in cui scade il termine previsto dalla legge per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo, non essendo sufficiente un qualsiasi ritardo nel versamento rispetto alle scadenze previste. È necessario, quindi, che l'omissione del versamento dell'IVA dovuta in base alla dichiarazione si protragga fino al 27 dicembre dell'anno successivo al periodo di imposta di riferimento, giusto quanto disposto dall'art. 6, comma secondo, della legge 29 dicembre 1990, n. 405. Condivisibilmente è stato precisato che in tema di omesso versamento IVA, il reato omissivo a carattere istantaneo previsto dall'art. 10 ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 consiste nel mancato versamento all'erario delle somme dovute sulla base della dichiarazione annuale che, tranne i casi di applicabilità del regime di IVA per cassa , è ordinariamente svincolato dalla effettiva riscossione delle somme-corrispettivo relative alle prestazioni effettuate Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 sez. 3, n. 19099 del 6.3.2013, Di Vora, rv. 255327 . 4. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno di recente precisato, all'esito di un'approfondita disamina della normativa tributaria in materia, proprio in tema di elemento soggettivo, che il reato in esame è punibile a titolo di dolo generico Sez. Unite, n. 37424 del 28.3.2013, Romano, rv. 255758 . Mentre, invero, molte delle condotte penalmente sanzionate dal d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, richiedono che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evadere le imposte, questa specifica direzione della volontà illecita non emerge in alcun modo dal testo dell'art. 10 ter d.lgs. n. 74 del 2000. Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volontà di non versare all'Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato. Tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di Euro cinquantamila, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore. La prova del dolo - hanno condivisibilmente affermato le SS.UU. nella sentenza 37424/13 - è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia di Euro cinquantamila, entro il termine lungo previsto. Nel caso in esame siamo pacificamente al di sopra di tale soglia essendo stato omesso un versamento di Euro 68.565. Il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA è collegato al compimento delle operazioni imponibili. Ogni qualvolta il soggetto d'imposta effettua tali operazioni riscuote già dall'acquirente del bene o del servizio I1VA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l'Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all'obbligazione tributaria. In tal senso appare evidente la similitudine con quanto accade per il sostituto d'imposta rispetto alle trattenute operate per oneri previdenziali ed assistenziali sulle retribuzioni dei propri dipendenti. Ed evidentemente non è estranea a tale valutazione la scelta del legislatore del 2006 di equiparare le sanzioni. L'introduzione della norma penale di cui all'art. 10 ter Dlgs 74/2000, stabilendo nuove condizioni e un nuovo termine per la propria applicazione, estende evidentemente la detta esigenza di organizzazione su scala annuale. 5. Manifestamente infondato è anche il motivo aggiunto di cui alla memoria del 4.2.2014 con cui si lamenta l' evasione da sopravvivenza . Si tratta peraltro di un motivo che non era stato dedotto in appello e che comunque non è suffragato da prova. Va chiarito che il Collegio ritiene condivisibile la più recente precisazione fornita da questa Corte secondo cui non è escluso che, in astratto, siano possibili casi - il cui apprezzamento è devoluto al giudice del merito e come tale è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato - nei quali possa invocarsi l'assenza del dolo o l'assoluta impossibilità di adempiere l'obbligazione tributaria così sez. 3, n. 5467 del 5.12.2013 dep. il 4.2.2014, Mercutello . È tuttavia necessario, perché in concreto ciò si verifichi, che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno investire non solo l'aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha investito l'azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile tramite il ricorso, da parte dell'imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto non ultimo, il ricorso al credito bancario . In altri termini, il ricorrente che voglia giovarsi in concreto di tale esimente, evidentemente riconducibile alla forza maggiore, dovrà dare prova che non gli sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e a lui non imputabili così la già citata e condivisibile sentenza 5467/14 di questa Sezione . Nel caso in esame tali allegazioni non ci sono state. 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000 , alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.