Evasione IVA: il verbale della GdF basta a far scattare l’accusa

Il verbale della Guardia di Finanza fa scattare l’accusa per evasione IVA anche se l’ispezione è appena iniziata e il contribuente non ha ancora avuto tempo di presentare delle difese. Si tratta, infatti, di un atto amministrativo che non è soggetto a tutte le garanzie proprie del procedimento penale.

Lo ha statuito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12254 del 14 marzo 2014. Il fatto. Un’imprenditrice presenta ricorso per cassazione, lamentando il fatto che, a pochi giorni dall’inizio dell’ispezione a suo carico, era già stato avviato un procedimento penale per evasione IVA, senza che avesse la possibilità di difendersi prima in sede amministrativa. Il verbale della GdF è utilizzabile secondo l’art. 234 c.p.p. La Corte di Cassazione respinge il ricorso, sostenendo che in tema di accertamento di reati tributari, il processo verbale di constatazione Pvc redatto dalla Guardia di Finanza o dai funzionari degli uffici finanziari è un atto amministrativo extraprocessuale come tale acquisibile ed utilizzabile ex art. 234 c.p.p. nel suo vario contenuto, senza necessità di dover richiamare normative affini o analoghe del codice di rito stabilite per specifici mezzi di prova . Lo stesso verbale diviene inutilizzabile se non si è proceduto ex art. 220 disp. att. c.p.p. solo se e quando emergono indizi di reato, giacché, altrimenti, la parte del documento redatta successivamente e detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile . Nessun obbligo di osservanza della normativa processualpenalistica in materia. Inoltre, nell’ambito di attività di vigilanza ed ispezione, non ricorre l’obbligo di osservare le norme del codice di procedura penale per gli atti necessari ad assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge. Il Pvc è una vera prova documentale. Se si dovesse ritenere, quindi, che la norma di garanzia di cui all’art. 220 disp. att. c.p.p. debba essere applicata fin dalla fase della ricerca degli elementi di prova senza avere ancora un esito, anche sommario, nel senso della rilevanza penale delle condotte oggetto dell’attività di vigilanza e di ispezione, si finirebbe per concludere che l’applicazione sarebbe necessaria fin dall’origine nell’attività ispettiva e che il verbale di constatazione, essendo un elemento di prova, non sarebbe mai utilizzabile se, da subito, non si fosse proceduto secondo il rito penale. Questo perché il Pvc è una vera prova documentale e non un atto penale subordinato a determinate garanzie. Confusione tra persona fisica e persona giuridica. La ricorrente, poi, lamenta che non si sia tenuto conto che la s.p.a. di cui sono stati sequestrati gli immobili gode di una alterità soggettiva rispetto alla persona fisica del socio. La doglianza merita accoglimento il Tribunale, infatti, confonde la titolarità delle azioni – che spetta al socio - con la proprietà del patrimonio sociale – che spetta alla società, travalicando la distinzione tra la persona fisica che è titolare di azioni e la persona giuridica quale è la s.p.a. L’ordinanza impugnata, alla luce di quanto detto, deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Taranto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 febbraio – 14 marzo 2014, n. 12254 Presidente Mannino – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 12 luglio 2013 il Tribunale di Taranto ha respinto richiesta di riesame presentata da C.A. - indagata per i reati di cui agli articoli 4, 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 - avverso decreto di sequestro preventivo finalizzato a confisca per equivalente di immobili per un valore fino alla somma evasa all'erario di Euro 1.340.208,14, emesso dal gip di Taranto in data 17 giugno 2013. 2. Ha presentato ricorso il difensore adducendo cinque motivi. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 220 disp. att. c.p.p. per avere il Tribunale ritenuta infondata l'eccezione di inutilizzabilità dell'accertamento posto a base della notitia criminis . Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 2 d.p.r. 322/1998, 4, 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 nonché 321 c.p.p. in quanto mancano gli indizi sul fumus commissi delicti , che per la confisca per equivalente dovrebbero essere più intensi che per le altre cautele reali fumus delicti allargato , anche sotto questo aspetto incidendo l'inutilizzabilità denunciata col primo motivo. Il terzo motivo lamenta violazione degli articoli 125, 309, 321 e 324 c.p.p. per avere l'ordinanza ritenuta integrabile la motivazione del provvedimento genetico del sequestro. Il quarto motivo adduce violazione del combinato disposto degli articoli 321, comma 2, c.p.p. e 1, comma 143, L. 244/2007 sono stati sequestrati, nonostante la diversa soggettività giuridica, due terzi del patrimonio sociale sul presupposto che l'indagata ne avesse la disponibilità in quanto socia che detiene i due terzi delle azioni. Il quinto motivo denuncia violazione degli articoli 275 e 321 c.p.p. per l'applicazione del sequestro a beni di valore eccessivo. Considerato in diritto 3. Il ricorso è parzialmente fondato. 3.1 II primo motivo adduce violazione dell'articolo 220 disp. att. c.p.p. per avere il Tribunale disatteso l'eccezione di inutilizzabilità dell'accertamento posto a base della notitia criminis . Il procedimento aveva preso le mosse da un accertamento fiscale della Guardia di Finanza per gli anni 2009-2012, e secondo la ricorrente avrebbe seguito le norme tributarie senza applicare quelle penali ex articolo 220. L'11 settembre 2012 la stessa ricorrente produceva alla Guardia di Finanza un avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate per l'anno 2009, ricompreso nella verifica dei finanzieri, avviso nel quale si ipotizzava omesso versamento di Iva oltre la soglia di punibilità di cui all'articolo 10 ter d.lgs. 74/2000 e infatti tra i reati ipotizzati dalla polizia giudiziaria si annovera quello di cui all'articolo 10 ter per l'importo determinato in quell'avviso di accertamento. Secondo la ricorrente, quindi, a disposizione della Guardia di Finanza vi era, più che gli indizi già di per sé sufficienti per applicare le norme del codice di procedura penale, ex articolo 220 , una vera e propria notizia di reato nonostante ciò, la verifica sarebbe proseguita soltanto ai sensi degli articoli 52 e 63 d.p.r. 633/1972 e 33 d.p.r. 600/1973. Poiché poi il fumus commissi delicti del sequestro si fonderebbe soltanto sul verbale della Guardia di Finanza del 30 dicembre 2012, l'inutilizzabilità sarebbe decisiva a inficiare il provvedimento cautelare. In modo inadeguato il Tribunale avrebbe poi disatteso la conseguente eccezione di inutilizzabilità degli atti a partire dall'll settembre 2012 in avanti. La ricorrente ne confuta quindi le varie argomentazioni in primo luogo, l'argomento della non identificabilità della produzione documentale che secondo la difesa apportava indizi a carico della indagata sarebbe stato smentito dal fatto che all'udienza di riesame era stato prodotto il verbale di verifica dell'll settembre 2012, la motivazione risultando apodittica e apparente e dovendosi tenere conto che l'articolo 220 invocato non distingue la fonte degli indizi in secondo luogo l'argomento che all'11 settembre 2012 gli inquirenti non avevano ancora potuto discernere la sussistenza di elementi di reato non è sostenibile perché comporterebbe la disapplicazione dell'articolo 220, applicabile fin dalla fase riguardante la ricerca delle fonti di prova infine, l'ulteriore argomento che l'indagata aveva nominato un avvocato, il che equivaleva al rispetto dell'articolo 220, sarebbe infondato, poiché la garanzia offerta dalle norme del codice di procedura penale non si circoscrive alla presenza dell'avvocato e l'accertamento tributario esige la collaborazione del contribuente, per cui si muove su una linea opposta a quella del nemo tenetur se detegere propria del procedimento penale nel quale, poi, comunque l'inutilizzabilità è eccepibile in ogni stato e grado del processo. 3.2 Il motivo, in sostanza, si diffonde nel confutare la motivazione dell'ordinanza impugnata in ordine alla eccezione riversata anche in sede di riesame, ma non indica in concreto quali lesioni del diritto di difesa avrebbe subito nel procedimento in questione, cioè in che cosa sia consistita effettivamente l'asserita violazione dell'articolo 220. Sotto questo aspetto, il riferimento dell'ordinanza impugnata alla nomina di un difensore non è contrastato dagli argomenti opposti dalla ricorrente, poiché questi consistono in una invocazione generica delle norme del codice di procedura penale, senza, appunto, che sia determinata la norma violata, ovvero sia esplicitato in quale forma il diritto di difesa della ricorrente sarebbe stato leso se è vero, infatti, che la violazione dell'articolo 220 disp. att. c.p.p. integra nullità di ordine generale ex articolo 178, comma primo, lettera c , c.p.p. - così Cass. sez. F, 27 luglio 2010 n. 38393 - è altrettanto vero che mai sussiste nullità qualora l'effettivo esercizio del diritto di difesa non abbia subito alcuna lesione - su questa tematica, in generale, cfr. da ultimo S.U. 29 settembre 2011-10 gennaio 2012 n. 155 e Cass. sez. VI, 28 gennaio 2010 n. 19080 - . Così intendendolo, d'altronde, il motivo, prima ancora che infondato, risulta inammissibile per genericità. Qualora poi si voglia identificare direttamente la pretesa lesione nella utilizzazione del verbale della Guardia di Finanza del 30 dicembre 2012, occorre ricordare che la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte insegna che, in tema di accertamento di reati tributari, il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza o dai funzionari degli uffici finanziari è un atto amministrativo extraprocessuale come tale acquisibile ed utilizzabile ex art. 234 c.p.p. nel suo vario contenuto, senza necessità di dover richiamare normative affini o analoghe del codice di rito stabilite per specifici mezzi di prova , il quale diviene inutilizzabile se non si è proceduto ex articolo 220 disp. att. c.p.p. solo se e quando emergono indizi di reato, giacché, altrimenti, la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e quindi non è utilizzabile così già Cass. sez. III, 21 gennaio 1997 n. 1969 conformi Cass. sez. III, 1 aprile 1998 n. 7820 e Cass. sez. III, 18 novembre 2008-18 febbraio 2009 n. 6881 cfr. pure Cass. sez. VI, 10 maggio 1999 n. 11076 - che evidenzia, a proposito di dichiarazioni raccolte dalla Guardia di Finanza nell'ambito di attività di vigilanza e ispezione, che l'obbligo di osservare le norme del codice di procedura penale per gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant'altro possa servire per l'applicazione della legge penale disposto dall'articolo 220 disp. att. c.p.p. non ricorre, si evince per converso dalla stessa norma, quando, ancora, non sono emersi elementi di colpevolezza nei riguardi di chi è sottoposto all'atto ispettivo o di vigilanza - e Cass. sez. II, 13 dicembre 2005-20 gennaio 2006 n. 2601 - che precisa che il presupposto dell'obbligo di osservazione delle disposizioni del codice di rito penale si sostanzia non nell'insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall'art. 192 c.p.p., ma nella mera possibilità di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall'inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge - e Cass.sez. F, 27 luglio 2010 n. 38393, cit. . E su questo confine temporale dell'applicabilità dell'articolo 220 disp. att. c.p.p. ha fondato l'ordinanza, a ben guardare, l'eccezione di inutilizzabilità, osservando che alla data dell'11 settembre 2012 - la quale secondo la ricorrente avrebbe dovuto avviare l'applicazione suddetta - la verifica fiscale era stata avviata da poco ed era stato nelle more consentito all'indagata di esporre elementi a sua difesa , come aveva fatto il 1 ottobre 2012 mediante l'esibizione della dichiarazione integrativa relativa alle imposte sui redditi per l'anno 2010, sicché, a quella data 11. 09. 2012 gli inquirenti non avevano ancora avuto la possibilità di esaminare complessivamente le risultanze investigative e quindi non erano ancora nelle condizioni di discernere la sussistenza di elementi di reato motivazione, pagina 3 . Illogico e contrastante con la giurisprudenza sopra riportata che distingue le fasi della attività ispettiva è l'argomento con cui la ricorrente contrasta l'ordinanza se fosse come questa ha affermato, eventuali indizi di reato potrebbero emergere solo a conclusione delle indagini quando sono stati raccolti tutti gli elementi di prova così rendendo inapplicabile l'articolo 220 disp. att. c.p.p., da applicarsi invece proprio nella fase in cui si ricercano gli elementi di prova . L'argomento, appunto, è illogico perché prova troppo se dovesse ritenersi che l'articolo 220 si deve applicare fin dalla fase di ricerca degli elementi di prova senza avere ancora, per quanto sommario e qualificabile quindi a livello di fumus , un qualche esito nel senso della rilevanza penale delle condotte oggetto dell'attività di vigilanza e di ispezione, ciò significherebbe che l'applicazione sarebbe necessaria ab origine nell'attività ispettiva e che il verbale di constatazione, essendo elemento di prova prova documentale ex articolo 234 c.p.p. , non sarebbe mai inutilizzabile se appunto fin dall'inizio della ispezione non si fosse proceduto secondo il rito penale invece la giurisprudenza consolidata, come sopra si è riportato, qualifica il verbale di constatazione come prova documentale nella sua natura di atto amministrativo, e non di atto penale. In quale momento si concretizzi quella che, all'inizio di un'attività di verifica fiscale, è sempre una possibile eventualità - vale a dire, emerga come effettivamente prospettabile anche una rilevanza penale di quanto accertato - non può non essere, ontologicamente prima ancora che logicamente, valutato caso per caso in rapporto al contenuto degli elementi che vengono raccolti nell'ambito dell'attività ispettiva, così determinando specificamente nella singola procedura accertatoria il dies a quo della necessaria applicazione del codice di rito penale. La valutazione, attinendo alla idoneità del contenuto degli atti a rendere prospettabile il reato tributario, non può che competere al giudice di merito e tale valutazione è stata espletata nel caso in esame, avendo l'ordinanza impugnata illustrato i motivi per cui ha ritenuto che l'11 settembre 2012 l'idoneità ancora non sussistesse, non avendo all'epoca la Guardia di Finanza potuto inquadrare in una percezione coordinata, seppur a livello sommario, il complesso degli elementi raccolti in relazione anche a quanto addotto a scopo integrativo dalla attuale ricorrente. Il motivo risulta, pertanto, infondato. 3.3 Il secondo motivo rappresenta come violazione di legge articoli 2 d.p.r. 322/1998, 4, 10 bis e 10 ter d.lgs. 74/2000 nonché 321 c.p.p. una pretesa carenza di fumus commissi delicti , la quale, per la sua natura fattuale, non può non essere riservata alla verifica del giudice di merito. Propone, infatti, la ricorrente una versione alternativa degli esiti indiziari, valorizzando la possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi l'anno successivo ed assumendo la mancata considerazione dell'elemento soggettivo della condotta contestata. È evidente la inammissibilità della doglianza. Che poi il livello del fumus commissi delicti dovesse essere più consistente nella tipologia cautelare in esame è asserto che a sua volta costituisce un modo per indurre il giudice di legittimità ad una cognizione che gli è estranea, cioè a soppesare il livello di idoneità, in termini di prospettiva fattuale, degli elementi raccolti nel procedimento e posti a base della cautela reale. La differenza, infatti, tra quello che potrebbe definirsi l'ordinario grado di sommarietà e il c.d. fumus allargato invocato dalla ricorrente risulta, in termini di diritto, una entità cosi nebulosa e indeterminata da condurre, per attribuirle un qualche effettivo contenuto, alla insinuazione o addirittura all'intrusione nel giudizio di merito. 3.4 Il terzo motivo censura l'ordinanza impugnata per avere ritenuto di poter integrare la motivazione del provvedimento genetico della cautela, potere che compete al Tribunale del riesame purché una motivazione sussista, ovvero non sia il provvedimento genetico radicalmente privo di motivazione oppure dotato di motivazione apparente da ultimo Cass. sez. VI, 24 maggio 2012 n. 25631 . Secondo la ricorrente il decreto conteneva una motivazione per relationem, sorretta da una mera affermazione apodittica , non dimostrando le ragioni in virtù delle quali il gip era giunto alla conclusione che i dati oggettivi e le valutazioni cui faceva riferimento meritavano condivisione . In realtà, l'ordinanza impugnata non ha affermato di avvalersi del potere integrativo suddetto, bensì ha, al termine della sua motivazione, enunciato in generale che, quanto al difetto di motivazione del provvedimento genetico, la censura, quand'anche esistente , non da luogo a nullità potendo il giudice del riesame provvedere integrativamente ad una valutazione del quadro indiziario, in conformità con la giurisprudenza di questa Suprema Corte viene correttamente richiamata Cass. sez. II, 30 novembre 2011-29 febbraio 2012 n. 7967 cfr., tra i più recenti arresti, pure Cass. sez. II, 20 aprile 2012 n. 30696 . Si tratta quindi di un riferimento in astratto, che il Tribunale significativamente pone al termine della motivazione e qualifica considerazione laconica l'argomento è dunque utilizzato meramente ad abundantiam, il che significa che il Tribunale non ha ritenuto fondata la relativa eccezione e, anche in questa sede ad abundantiam allora, non si può non concordarne la reale infondatezza, vista l'ampia ed effettiva motivazione di cui è fornito il decreto di sequestro preventivo. 3.5 Il quarto motivo denuncia la conferma della cautela senza aver riguardo al fatto che la società per azioni di cui sono stati sequestrati gli immobili gode di un'alterità soggettiva rispetto alla persona fisica del socio. Invero, l'ordinanza impugnata, dato atto che la Difesa si duole del fatto che l'oggetto del sequestro sia un compendio immobiliare che non appartiene all'indagata, bensì alla società , rispetto alla quale non sussiste immedesimazione organica con chi l'amministra, afferma che la censura non si attaglia al caso de quo in quanto la ricorrente, oltre ad essere amministratrice unica della Calabrese S.p.A., risulta anche far parte della compagine sociale perché suoi sono i due terzi del pacchetto azionario, onde in questa veste ha anche la disponibilità diretta ed immediata, nella misura dei 2/3, di ciò che rientra nel patrimonio della società . L'argomento del Tribunale confonde la titolarità delle azioni in questo caso, i due terzi del complessivo pacchetto azionario con la proprietà del patrimonio sociale, che infatti, erroneamente, il Tribunale calibra in due terzi, cioè nella stessa percentuale di titolarità delle azioni. È evidente la fondatezza del motivo, poiché una simile impostazione realmente travalica la distinzione tra la persona fisica che è titolare di azioni con la persona giuridica quale è la società per azioni, contaminando i due diritti in questione la titolarità delle azioni, che spetta al socio, e la proprietà del patrimonio sociale, che spetta alla società come se l'uno fosse il riflesso dell'altro, ovvero come se la società in questione fosse un apparato meramente fittizio, cosa che però neppure il Tribunale ha addotto, e tantomeno dimostrato. La fondatezza del quarto motivo assorbe il quinto, concernente il valore dei beni sequestrati, poiché la loro determinazione è risultata illegittima in quanto coinvolgente beni di persona diversa rispetto all'indagata. In conclusione, per quanto sopra esposto in ordine al quarto motivo l'ordinanza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Taranto. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Taranto.