Riciclaggio transnazionale con due compagnie telefoniche: confiscati i beni degli imputati che trattenevano la “commissione”

Nel caso di frode fiscale dovuta a fatturazione per operazioni inesistenti, ad essere oggetto di profitto, quindi di confisca, non è solo l’importo relativo all’imposta evasa, ma anche quello relativo alle somme trattenute da chi ha emesso le fatture.

È quanto emerge dalla sentenza n. 11777/2014 della Corte di Cassazione, depositata l’11 marzo. Il caso. A margine di un caso di associazione per delinquere a scopo di riciclaggio internazionale, 3 imputati concordavano la pena davanti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma che disponeva altresì la confisca degli immobili di proprietà degli imputati, nei limiti della quota loro spettante. Tali beni erano già stati sottoposti a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in esecuzione dei decreti del Giudice per le indagini preliminari. La condanna ex art. 444 c.p.p. diveniva esecutiva, in assenza di impugnazione da parte degli imputati che si attivavano davanti alla Corte di Cassazione, con ricorso che censurava solo i profili relativi alla disposta confisca dei beni immobili. Legittima la confisca. Il G.U.P. aveva disposto la confisca in osservanza dei presupposti che la legittimano e, cioè, la presenza di una fattispecie incriminatrice rientrante nella nozione di reato transnazionale, come descritta dalla legge n. 146/2011, la sussistenza di un profitto suscettibile di confisca lo scarto” che corrispondeva alle spese” per la commissione dei reati e l’impossibilità di confiscare il profitto/prodotto/prezzo del reato in via diretta stante la fungibilità del denaro e l’impossibilità di rintracciare le singole somme oggetto di profitto all’interno del compendio patrimoniale degli imputati . Un riciclaggio internazionale. Secondo la ricostruzione dei fatti – desunta dagli elementi probatori acquisiti e descritta nella sentenza impugnata – gli imputati avevano trattenuto una somma, per ogni operazione di trasferimento fondi, quale vantaggio patrimoniale per ciascuna condotta materiale di riciclaggio. In particolare gli imputati ricevevano una somma e successivamente la trasferivano in circolarità, decurtato un quantum che valeva quale spesa” per la società che otteneva il vantaggio patrimoniale. L’operazione di riciclaggio transnazionale consentiva agli imputati di trattenere un margine di profitto dalle somme provento di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto di riciclaggio. Debito tributario assolto. Nei casi di frode fiscale la società profitta del quantum totale evaso, che ricomprende anche la commissione” trattenuta dagli operatori che compiono le operazioni finanziarie dirette ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa delle somme di denaro provenienti dall’illecita emissione di fatture per operazioni inesistenti. Le società telefoniche che avevano profittato dell’operazione di fronte fiscale avevano in seguito assolto il debito tributario IVA non versata all’Erario grazie alla fatturazione per operazioni inesistenti , ma tale condotta non obliterava il vantaggio goduto dai singoli imputati. Infatti, se l’illecita operazione non fosse stata scoperta, le società avrebbero goduto del profitto derivante dalle frodi fiscali e gli imputati avrebbero goduto del profitto derivante dal denaro trattenuto per ciascuna operazione di riciclaggio effettuato. Un arricchimento personale illecito Questa somma costituiva un personale illecito arricchimento per gli imputati che si prestavano a far circolare il denaro, di talché questo importo è stato correttamente considerato al fine di assoggettare i beni immobili di proprietà degli imputati alla confisca per equivalente. non consentito. Sebbene l’operazione illecita sia stata scoperta e il debito tributario sia stato incamerato e questo sia pari al profitto dell’intera operazione di frode fiscale, non è consentito – ragionano i giudici – che si lasci a disposizione degli imputati quanto ricavato illegittimamente dalla consumazione del reato di riciclaggio. Quel che è certo, infatti, è quale sia stato il reale profitto del reato di riciclaggio in capo agli imputati, che consiste nel margine trattenuto sulle somme oggetto di fatturazione per operazioni inesistenti, profitto che ha prodotto una modifica alla situazione economica degli imputati, derivante dalla commissione dei fatti illeciti. Situazione da ripristinare! Pertanto, assolvendo la confisca per equivalente anche la funzione di ripristinare la situazione economica modificata a vantaggio del reo a causa della commissione del reato, la misura impone un sacrificio patrimoniale al reo, di valore corrispondente al profitto. Irrilevante è invece che vi sia un vincolo di pertinenzialità tra i beni e il reato, così come irrilevante è l’epoca di acquisto dei beni oggetto della misura ablatoria. La confisca è una sanzione. La misura ablativa – ritenuta pacificamente sanzionatoria – impone che la legge disciplini l’ an , il quantum e il quomodo , in aderenza ai principi di legalità della pena. Dal carattere sanzionatorio della confisca per equivalente deriva altresì che tutti i beni facenti parte del patrimonio dell’imputato al momento della condanna siano astrattamente suscettibili di confisca. Inoltre, correttamente il Giudice aveva rilevato che il denaro ha natura di bene fungibile con la conseguenza che le singole somme di denaro che avevano costituto il profitto individuale per gli imputati delle condotte di riciclaggio non potevano essere rintracciate nella loro individualità all’interno del patrimonio degli imputati, così da rendere legittima la confisca – per equivalente – dei beni immobili degli imputati.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 6 dicembre 2013 – 11 marzo 2014, n. 11777 Presidente Carmenini – Relatore Iasillo Osserva Con sentenza - ex articolo 444 del c.p.p. - del 13/06/2013, il G.U.P. del Tribunale di Roma applicò a O.P.A. , N.A.D. e D.A.C.E. la pena, concordata tra le parti, di anni 3 e mesi 11 di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa per i primi due e la pena di anni 3 e mesi 11 di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa per il terzo per i reati di associazione per delinquere e riciclaggio, capi A e B per i primi due anche per il riciclaggio di cui al capo C . Il G.U.P. ordinò anche la confisca, nei limiti della quota loro spettante, degli immobili di proprietà degli imputati - descritti nel foglio allegato alla sentenza e che forma parte integrante del dispositivo -sottoposti a sequestro preventivo in esecuzione dei decreti del G.I.P. emessi in data 03.02.2010 e 20.02.2010 ordinò, altresì, la restituzione agli aventi diritto di quanto altro posto sottosequestro. Tutti e tre gli imputati ricorrono per Cassazione limitatamente alle disposizioni relative alla confisca. L'Avvocato Alfredo Gaito - difensore di D.A.C.E. - deduce che poiché le società telefoniche Fastweb s.p.a. e Telecom Italia Sparkle s.p.a. hanno assolto integralmente il loro debito tributario - che costituisce il profitto dell'intera operazione di frode fiscale - non si può procedere alla confisca dei beni degli imputati invero in tale caso si avrebbe una duplicazione illegittima della misura ablativa il difensore del ricorrente cita, anche, precedenti decisioni - alcune delle quali riguardano coimputati - a sostegno dell'impugnazione . Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l'annullamento dell'impugnata sentenza. Gli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi - quali difensori di O.P.A. e N.A.D. - deducono che il profitto complessivamente tratto da tutti i soggetti coinvolti nell'inchiesta è pari all'IVA non versata all'Erario. I difensori dei ricorrenti richiamano poi una decisione di questa Corte sul coimputato M. nella quale si afferma che il valore di riferimento per il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, in caso di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato di frode fiscale, deve essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo reato, entrato a far parte delle operazioni di riciclaggio transnazionale in motivazione la Corte ha ulteriormente precisato che se il riciclaggio ha ad oggetto i proventi del reato di frode fiscale, detti proventi costituiscono anche il profitto del riciclaggio in relazione ai soggetti autori del solo reato transnazionale Sez. 3, Sentenza n. 11970 del 24/02/2011 Cc. - dep. 24/03/2011 - Rv. 249761 . Quindi poiché le società telefoniche Fastweb s.p.a. e Telecom Italia Sparkle s.p.a. hanno assolto integralmente il loro debito tributario - che costituisce l'intero profitto dei reati contestati - non si può procedere alla confisca dei beni degli imputati invero in tale caso si avrebbe una duplicazione illegittima della misura ablativa. Con un secondo motivo la difesa dei ricorrenti rileva che il profitto riferibile agli imputati partendo dalla data del 01 settembre 2006, epoca in cui è entrata in vigore la legge che consente la confisca per i reati de quibus è errato per eccesso si indica quale profitto del reato corretto quello di Euro 8.482.350,00 e non già quello determinato dal G.U.P. in Euro 11.840.125,07 . La difesa dei ricorrenti conclude, quindi, per l'annullamento dell'impugnato provvedimento. In data 20.11.2013 l'Avvocato Alfredo Gaito - difensore di D.A.C.E. - ha depositato motivi nuovi e note di replica. Richiama anch'egli la sentenza M. di cui sopra e rileva che trattandosi di sentenza emessa per un coimputato vi sarebbe una vera e propria preclusione endoprocessuale a decidere in modo diverso la stessa questione. Il difensore dell'imputato richiama i precedenti motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. In data 20.11.2013 gli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi -quali difensori di O.P.A. e N.A.D. -depositano un unico motivo nuovo di ricorso. Ribadiscono la natura sanzionatoria della confisca per equivalente e, quindi, che la stessa può essere adottata solo in forza di una legge che la disciplini sia nell'ari, sia nel quantum, sia nel quomodo in ossequio al canone del nulla poena sine lege e a quello equivalente contenuto in altre fonti normative esemplificativamente indicate alle pagine 2 e 3 del motivo nuovo . Prendono, poi, in considerazione la legge che è stata applicata al caso di specie l'art. 11 della L. 146/2006. Secondo i difensori dei ricorrenti dalla lettura della predetta legge si ricavano tre presupposti legittimanti la confisca per equivalente a la presenza di una fattispecie incriminatrice rientrante nella nozione di reato transnazionale, di cui all'art. 3 della predetta legge b l'accertamento della sussistenza di un profitto suscettibile di confisca, sino a concorrenza del quale potrà operare l'ablazione c la previa verifica circa l'impossibilità di confiscare il profitto/prodotto/prezzo del reato in via diretta. Sempre secondo i difensori dei ricorrenti nel caso di specie il G.U.P. ha disposto la confisca in mancanza dei presupposti sub b e c . Invero non vi è alcun profitto diverso da quello pari all'IVA non versata all'Erario e quindi poiché, come detto, le società telefoniche hanno successivamente pagato integralmente il debito tributario non si può duplicare la confisca. Infine, il G.U.P. ha omesso di verificare la possibilità di disporre in via diretta la confisca dell'asserito profitto. I difensori dei ricorrenti richiamano anche i motivi di ricorso e ne chiedono l'accoglimento. In data 29.11.2013 gli Avvocati Alfonso M. Stile e Carla Manduchi - quali difensori di O.P.A. e N.A.D. - presentano in Cancelleria memoria di replica con la quale dopo aver evidenziato la aspecificità delle osservazioni del P.G. richiamano tutto quanto esposto nel ricorso e nel motivo nuovo e concludono chiedendo l'accoglimento del ricorso. Motivi della decisione I ricorsi sono infondati. Invero, il G.U.P. nella sentenza impugnata ha evidenziato che da tutti gli elementi probatori acquisiti risulta che gli imputati hanno trattenuto per ogni operazione di trasferimento fondi, quale vantaggio patrimoniale per ciascuna condotta materiale di riciclaggio effettuata, una quota della somma ricevuta ed oggetto di successivo ritrasferimento in circolarità circostanza neppure oggetto di contestazione da parte degli imputati . Dunque nel caso di specie - a differenza di quanto è avvenuto nei precedenti casi affrontati da questa Corte ed evocati dai difensori - è stato accertato il reale profitto del reato di riciclaggio transnazionale degli imputati costituito, appunto, dal margine di profitto che essi hanno trattenuto sulle somme provento del reato di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto di riciclaggio. È evidente, quindi, che tale certo arricchimento personale degli imputati è stato correttamente assoggettato alla confisca per equivalente preveduta dalla legge, anche per la nota natura sanzionatoria di tale confisca. Né l'avvenuto assolvimento del debito tributario, pari al profitto dell'intera operazione di frode fiscale, da parte delle società telefoniche che di tale frode hanno beneficiato può impedire la confisca dei beni dei ricorrenti. Infatti, non vi è alcuna duplicazione illegittima della misura ablativa. Ciò risulta con chiarezza se si riflette su cosa sarebbe avvenuto qualora tutta la complessa e illecita operazione non fosse stata scoperta dagli inquirenti. Le società telefoniche avrebbero goduto del profitto derivante dalle frodi fiscali e gli attuali imputati avrebbero goduto del profitto derivante dalla commissione del reato di riciclaggio transnazionale, costituito - come già evidenziato - dal danaro trattenuto per ogni operazione di riciclaggio effettuato. Infatti, in tutti i casi di frode fiscale la persona fisica o società che la pone in essere ha come profitto il totale del quantum evaso nel caso di specie, poi, restituito allo Stato dalle società telefoniche con l'assolvimento del debito tributario , profitto che copre anche le necessarie spese che si devono sostenere per ottenere il vantaggio patrimoniale perseguito i soggetti nel caso di specie gli attuali ricorrenti che hanno compiuto operazioni finanziarie dirette ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa delle somme di danaro provenienti dal delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, hanno come profitto il quantum incassato per compiere tali attività illecite, quantum versato, appunto, dalla predetta persona fisica o società quale spesa per ottenere il vantaggio patrimoniale perseguito. È, quindi, evidente che scoperta la illecita operazione non è possibile che tutto si risolva unicamente con l'incameramento del debito tributario, pari al profitto dell'intera operazione di frode fiscale, pagato dalle società telefoniche e si lasci a disposizione degli imputati quanto illecitamente ricavato dalla commissione del reato di riciclaggio. Come ben osservato dal G.U.P. ciò comporterebbe un non consentito consolidamento dell'illecito arricchimento degli imputati condannati in via definitiva, tra l'altro, per il reato di riciclaggio transnazionale la condanna è definitiva avendo gli imputati proposto ricorso solo in relazione alla disposta confisca . Si deve, poi, osservare che il contenuto della sentenza n. 42476 del 2011 a carico dell'imputato M. coimputato dei ricorrenti non ha alcuna incidenza su quanto sopra osservato. Si tratta, infatti, in primo luogo di una decisione di questa Corte sulla richiesta di riesame proposta avverso il sequestro preventivo per equivalente. Il coimputato M. si lamentava che tale sequestro fosse stato disposto per un valore quantificato sulla base del profitto del reato di frode fiscale quindi il M. sosteneva una tesi opposta a quella oggi sostenuta dai ricorrenti . La cassazione ha ritenuto legittimo il sequestro sulla base di quanto accertato fino a quel momento, affermando così il principio secondo il quale il valore di riferimento per il sequestro funzionale alla confisca per equivalente, in caso di delitto di riciclaggio transnazionale avente ad oggetto i proventi del reato di frode fiscale, deve essere quantificato sulla base del profitto di tale ultimo reato. Non è un caso che l'Avvocato Gaito, a pagina 2 dei suoi motivi nuovi e repliche, richiamando il principio di cui sopra - confermato anche da Sez. 2, Sentenza n. 42120 del 09/10/2012 Cc. - dep. 29/10/2012 - Rv. 253831 - abbia affermato che solo in prospettiva generale ed astratta, poi, codesta Suprema Corte ha avuto modo di riaffermare il suddetto principio. Ma, soprattutto, nella sentenza emessa nel procedimento contro M. non risulta affatto che questi si sia trattenuto per ogni operazione di trasferimento fondi, quale vantaggio patrimoniale per ciascuna condotta materiale di riciclaggio effettuata, una quota della somma ricevuta ed oggetto di successivo ritrasferimento in circolarltà, come, invece, risulta essere avvenuto per gli odierni imputati. Circostanza quest'ultima diversa e nuova che, comunque, proprio per tale sua novità è idonea a superare l'eventuale preclusione endoprocessuale del giudicato cautelare si veda Sez. 3, Sentenza n. 42476 del 20/09/2013 Cc. - dep. 16/10/2013 - Rv. 257352 . La cosa certa è, quindi, che nel caso di cui ci occupiamo è stato accertato il reale profitto del reato di riciclaggio transnazionale degli imputati costituito, appunto, dal margine di profitto che essi hanno trattenuto sulle somme provento del reato di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto di riciclaggio. Ciò ha comportato che si abbia una situazione economica modificata in favore degli imputati in conseguenza dalla commissione del fatto illecito. Questa Suprema Corte - nella parte motiva della sent. n. 17584 del 2013 - ha affermato che costituisce ormai consolidato principio di diritto che la confisca per equivalente assolve ad una funzione sostanzialmente ripristinatoria della situazione economica modificata in favore del reo dalla commissione del fatto illecito, mediante l'imposizione di un sacrificio patrimoniale di corrispondente valore a carico del responsabile. Per tale ragione, non è necessario che sussista un vincolo di pertinenzlalità tra i beni ed il reato. Il carattere sanzionatorio della confisca ex art. 322 ter c.p., finalizzata a sottrarre dal patrimonio del reo beni per un valore equivalente al profitto del reato, rende, quindi, irrilevante l'epoca di acquisto dei beni oggetto della misura ablatoria. Tutti i beni facenti parte del patrimonio dell'imputato, al momento della condanna, sono, quindi, in astratto suscettibili di confisca, indipendentemente dall'epoca in cui i medesimi siano pervenuti nella piena disponibilità del medesimo, purché, come nel caso in esame, si rientri nell'ambito di un fatto reato commesso in epoca successiva alla previsione normativa della confiscabilità dei suddetti beni Sez. 2, Sentenza n. 17584 del 10/01/2013 Cc. - dep. 17/04/2013 - Rv. 255964 . Si rileva, infine, che il G.U.P. a pagina 9 della sentenza impugnata ha ben sottolineato la natura di bene fungibile del danaro e che, quindi, non è possibile rintracciare nella loro individualità, nella sfera patrimoniale degli imputati, le singole somme di danaro che hanno costituito il profitto delle condotte di riciclaggio dunque tale constatazione e quanto sopra evidenziato tutti i beni facenti parte del patrimonio dell'imputato, al momento della condanna, sono in astratto suscettibili di confisca rendono con evidenza pienamente legittima la confisca dei beni immobili degli imputati. D'altronde gli stessi imputati da quando è stato disposto il sequestro preventivo per equivalente, a quando è stata disposta la confisca e al dire il vero anche nei ricorsi non hanno mai fornito elementi per contrastare quanto sopra affermato dal G.U.P. né in particolare hanno evidenziato che gli altri beni mobili sequestrati compresi i conti correnti dei quali il G.U.P. rileva che non è stata mai fornita la consistenza e poi dissequestrati dal G.U.P. - per evitare di superare il limite di valore della confisca - fossero di valore equivalente al profitto delle operazioni di riciclaggio transnazionale determinato dal G.U.P. Si deve rilevare che il G.U.P. - in ossequio al principio di irretroattività ex art. 25 Cost. e 2 c.p. - ha preso in considerazione solo il profitto del reato di riciclaggio realizzato dopo l'entrata in vigore della L. 146/2011 si vedano le pagine 8 e 9 impugnata sentenza . Infine sono apodittiche le contestazioni in ordine alla determinazione del profitto del reato, a fronte di un'incensurabile motivazione sul punto. Pertanto il G.U.P. ha rispettato pienamente i tre presupposti legittimanti - anche alla luce di quanto previsto nei trattati e, in particolare, nell'art. 7 CEDU - la confisca per equivalente, indicati nel motivo nuovo degli imputati O.P.A. e N.A.D. . Infatti, ha disposto la confisca in presenza di una fattispecie incriminatrice rientrante nella nozione di reato transnazionale, di cui all'art. 3 della predetta legge presupposto a, non contestato dai ricorrenti ha accertato la sussistenza di un profitto suscettibile di confisca, sino a concorrenza del quale potrà operare l'ablazione presupposto b ha verificato l'impossibilità di confiscare il profitto/prodotto/prezzo del reato in via diretta presupposto c . Quindi anche le doglianze e osservazioni contenute nei motivi nuovi e note di replica degli imputati sono infondate. Tutti i ricorsi vanno, pertanto, rigettati. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.