Marito amministratore colpevole ma la moglie è salva: il rapporto di conugio non basta per la colpevolezza

Ai fini dell’affermazione di colpevolezza in ordine al reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale occorre la prova della piena consapevolezza del soggetto agente in ordine ai disegni criminosi perseguiti dall’amministratore di fatto della società.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 544 dell’8 gennaio 2014. Il fatto. Una donna viene condannata con rito abbreviato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, nella sua qualità di amministratrice di diritto di una società dichiarata fallita. Viene proposto ricorso in Cassazione, lamentando il fatto che la responsabilità sia stata affermata nonostante che l’amministratore di fatto fosse il marito, giudicato in separato giudizio, il quale, per poter esercitare l’attività imprenditoriale, aveva bisogno di un prestanome, avendo egli già riportato numerose condanne. Amministratore di diritto e amministratore di fatto. La Suprema Corte accoglie il ricorso per poter affermare la colpevolezza per il reato in contestazione, occorre la prova della piena consapevolezza del soggetto agente in ordine ai disegni criminosi perseguiti dall’amministratore di fatto. In particolare, gli Ermellini riprendono una loro precedente pronuncia in cui si afferma che in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo formalmente dell'amministrazione dell'impresa fallita – cosiddetto”testa di legno” - atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all'ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell'amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall’amministratore di fatto . No a un giudizio di colpevolezza basato solo sul rapporto di conugio. La motivazione offerta dal giudice a quo appare inadeguata nella misura in cui, anziché porsi alla ricerca di elementi positivi della ritenuta consapevolezza dell'imputata dell'attività distrattiva posta in essere dal coniuge, che pacificamente assumeva, in via esclusiva, l'amministrazione di fatto della società, fa discendere il convincimento della penale responsabilità da mera presunzione collegata al rapporto di coniugio e dall'irregolare tenuta del libri e delle altre scritture contabili della società, condotta già positivamente apprezzata in funzione del diverso addebito di bancarotta fraudolenta documentale. Si impone, dunque, un nuovo esame della causa al fine di rendere una motivazione immune dalle riscontrate anomalie.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 ottobre 2013 – 8 gennaio 2014, n. 544 Presidente Dubolino – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d'appello di Milano confermava la sentenza del 03/11/2008, con la quale il GUP del Tribunale di Pavia, pronunciando con le forme del rito abbreviato, aveva dichiarato C.G. colpevole del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale a lei ascritto, nella sua qualità di amministratore di diritto della società Edil Mak srl, dichiarata fallita dallo stesso Tribunale con sentenza del 26/09/2006 e, per l'effetto, l'aveva condannata alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale. 2. Avverso l'anzidetta pronuncia i difensori dell'imputata, avv. Massimo Marmonti e Giorgia Spiaggi, hanno proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva. Considerato in diritto 1. Con unico motivo d'impugnazione la ricorrente denuncia contraddittorietà della motivazione ed erronea valutazione delle risultanze probatorie, ai sensi dell'art. 606 lett. e cod.proc.pen. Si duole, in particolare, che la responsabilità di essa istante sia stata affermata solo sulla base della sua qualità di amministratrice di diritto ove invece l'amministrazione di fatto era esclusivamente esercitata dal marito Ca.Ga. , coimputato e giudicato separatamente in distinto giudizio nel corso del quale aveva patteggiato la pena, siccome esclusivo responsabile della condotta distrattiva di cui in contestazione. A sostegno dell'assoluta mancanza dell'elemento psicologico del reato deduce, poi, la scarsa conoscenza della lingua italiana e l'ignoranza totale delle leggi italiane in materia di responsabilità penale, avendo accettato di assumere l'incarico solo per compiacere il marito, il quale avendo riportato precedenti condanne aveva bisogno di un nome pulito per l'esercizio dell'attività imprenditoriale. 2. Il ricorso è fondato per quanto di ragione, nei termini di seguito indicati. Ed invero, se con riferimento all'addebito di bancarotta fraudolenta documentale la censura di parte ricorrente non ha ragion d'essere, in considerazione della pacifica sua qualità di amministratore formale o di diritto, ed del conseguente obbligo ad essa incombente, ex lege, di tenere e conservare le scritture contabili, è indubbio - alla stregua di indiscusso insegnamento di questa Corte regolatrice - che, ai fini dell'affermazione di colpevolezza in ordine alla diversa ipotesi della bancarotta fraudolenta patrimoniale occorre la prova della piena consapevolezza del soggetto agente in ordine ai disegni criminosi perseguiti dall'amministratore di fatto cfr., tra le altre, Cass. Sez. 5, n. 19049 del 19/02/2010, Rv. 247251, secondo cui in tema di bancarotta fraudolenta, mentre con riguardo a quella documentale per sottrazione o per omessa tenuta in frode ai creditori delle scritture contabili, ben può ritenersi la responsabilità del soggetto investito solo forma/mente dell'amministrazione dell'impresa fallita - cosiddetto 'testa di legnò - atteso il diretto e personale obbligo dell'amministratore di diritto di tenere e conservare le suddette scritture, non altrettanto può dirsi con riguardo all'ipotesi della distrazione, relativamente alla quale non può, nei confronti dell'amministratore apparente, trovare automatica applicazione il principio secondo il quale, una volta accertata la presenza di determinati beni nella disponibilità dell'imprenditore fallito, il loro mancato reperimento, in assenza di adeguata giustificazione della destinazione ad essi data, legittima la presunzione della dolosa sottrazione, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non necessariamente implica la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto . Orbene, proprio con riferimento all'ipotesi della bancarotta fraudolenta patrimoniale la motivazione offerta dal giudice a quo appare inadeguata nella misura in cui, anziché porsi alla ricerca di elementi positivi della ritenuta consapevolezza dell'imputata dell'attività distrattiva posta in essere dal coniuge della stessa, che pacificamente assumeva, in via esclusiva, l'amministrazione di fatto della società, fa discendere il convincimento della penale responsabilità da mera presunzione, collegata al rapporto di coniugio con lo stesso Ca.Ga. , che aveva definito la sua posizione in separata sede, con patteggiamento della pena, e dall'irregolare tenuta dei libri e delle altre scritture contabili della società, condotta già positivamente apprezzata in funzione del diverso addebito di bancarotta fraudolenta documentale. 2. L'incongruenza ed insufficienza del compendio motivazionale è di tale entità da integrare vizio di motivazione che è causa di annullamento della sentenza impugnata, che deve essere dichiarato nei termini di cui in dispositivo, perché il giudice del riesame provveda a nuovo esame sul punto, rendendo, in esito, motivazione immune dalle riscontrate anomalie. Ove il richiesto giudizio, da compiere in piena libertà di convincimento, dovesse portare al riconoscimento di estraneità dell'imputata, lo stesso giudice provvederà, com'è ovvio, alla rideterminazione della pena da irrogare all'imputata. Pertanto, il ricorso è fondato in parte qua e merita accoglimento, mentre per il resto dev'essere rigettato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla bancarotta fraudolenta patrimoniale con rinvio per nuovo esame sul punto nonché per l'eventuale, conseguente, rideterminazione della pena ad altra sezione della Corte d'appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.