Madre disoccupata, alla figlia provvede solo il padre: donna condannata

Confermata la sanzione per la donna che non ha assicurato, per la propria parte, i mezzi di sussistenza alla figlia minorenne. Assolutamente irrilevante il richiamo alla propria precaria condizione economica, così come è inutile la sottolineatura che alla ragazza abbia provveduto il padre.

Donna e uomo pari sono, soprattutto nella rispettiva qualità di madre e di padre. Per questo, è corretta la condanna della donna che ha violato l’obbligo di assistenza familiare nei confronti della figlia minorenne. Assolutamente irrilevante il richiamo al fatto che l’uomo, in qualità di padre, abbia provveduto alle esigenze di vita della ragazza. E inutile è anche la sottolineatura, da parte della donna, delle proprie precarie condizioni economiche. Cass., sent. n. 48456/2013, Sesta Sezione Penale, depositata oggi Omissione. Nessun dubbio, innanzitutto, è stato espresso nei primi due gradi di giudizio sulla condotta della donna quest’ultima, come detto, è stata condannata per aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla figlia minorenne. Rispetto a tale quadro, però, la donna evidenzia, come giustificazione, le proprie precarie condizioni economiche ella, in sostanza, a causa della disoccupazione , si è trovata nella impossibilità di prestare alla figlia i mezzi di sussistenza . Però, aggiunge ancora la donna, la ragazza comunque è stata ‘tutelata’ dal padre, il quale ha provveduto a soddisfare le sue esigenze di vita . Secondo la donna, quindi, il quadro è meno grave, rispetto alle valutazioni compiute nei primi due gradi di giudizio Ma questa visione viene ritenuta non plausibile dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali sottolineano il pessimo comportamento della donna, peraltro ‘recidiva’. E comunque, aggiungono i giudici, innanzitutto, l’assolvimento dell’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza alla figlia non può essere affrontato da uno solo dei genitori. Eppoi, viene sancito in chiusura, non è una giustificazione sufficiente , per la clamorosa ‘omissione’ nei confronti della propria figlia, il richiamo allo stato di disoccupazione e alle conseguenti precarie condizioni economiche .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 novembre – 4 dicembre 2013, n. 48456 Presidente Di Virginio – Estensore Garribba Ritenuto in fatto R.F.G. ricorre contro la sentenza d’appello specificata in epi grafe, che confermava la di lei condanna per il reato previsto dall’art. 570, comma secondo n. 2, cod. pen., e denuncia 1. erronea applicazione della legge penale, perché la figlia minorenne, provve dendo il padre a soddisfare le sue esigenze di vita, non si è mai trovata in stato di bisogno e, quindi, non si è realizzato uno dei presupposti fondamen tali per la configurabilità del reato contestato 2. mancanza di motivazione, perché il giudice d’appello non ha tenuto conto che è stato dimostrato che essa imputata, a causa della disoccupazione o del modestissimo reddito percepito, era nell’impossibilità di prestare alla figlia i mezzi di sussistenza 3. vizio di motivazione in ordine al diniego della sospensione condizionale della pena, perché il giudice d’appello non ha considerato che il comportamento il lecito fu condizionato dalle precarie condizioni economiche. Considerato in diritto I motivi di ricorso sono tutti manifestamente infondati. Il primo, perché l’obbligo di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli mi norenni grava su entrambi i genitori, per cui l’assolvimento dell’obbligo da parte di uno dei genitori non esenta in alcun modo l’altro. Il secondo, perché il giudice di merito ha ritenuto non provata l’impossi bilità di provvedere alle esigenze fondamentali di vita della figlia, non essendo suffi ciente dedurre, a giustificazione di un inadempimento totale protratto per anni, lo stato di disoccupazione o la modestia della retribuzione. Il terzo, perché il giudice del merito, con valutazione discrezionale non sindacabile in sede di legittimità, ha fondato la prognosi negativa sulla futura con dotta sul rilievo che l’imputata, già condannata per lo stesso titolo di reato, ha per severato nel comportamento antigiuridico. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. Ne consegue la condanna della ricorrente al paga mento delle spese processuali e della somma, ritenuta congrua, di euro mille alla Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la. ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro mille in favore alla Cassa delle ammende. Condanna inoltre la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida nella somma di euro 1.830 oltre accessori, in favore delle parti civili F.G. e F.A.