Le presunzioni tributarie non hanno “cittadinanza” nel processo penale

Ai fini dell’accertamento dei reati tributari, non può farsi ricorso alle presunzioni operanti in materia tributaria, ed in particolare non possono considerarsi ricavi dell’azienda le somme accreditate in suo favore, in quanto spetta al giudice penale accertare gli elementi probatori o indiziari.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 19709 dell’8 maggio 2013. Il caso. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia, che aveva solo in parte riformato la sentenza di primo grado del Tribunale di Bergamo, propongono ricorso per Cassazione gli imputati, condannati in sede di merito per violazione continuata dell’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000, deducendo, tra gli altri motivi, l’erroneo ricorso alle presunzioni tributarie da parte della Corte di Appello, al fine di confermare la condanna di primo grado. In particolare, secondo la Corte di Appello due bonifici di € 350.000,00 e 400.00,00, indicati come apporto di denaro contante dei soci e, dunque, non soggetti a tassazione, corrispondevano, secondo la presunzione tributaria, a ricavi non dichiarati corrisposti alla medesima società. L’argomento dei ricorrenti si fondava essenzialmente sul fatto che i giudici di merito avevano affermato la penale responsabilità degli imputati solo sulla base della avvenuta verifica della effettività dei versamenti, applicando dunque, nella sostanza, la presunzione tributaria ed onerando quindi il contribuente, contrariamente ai canoni che governano il processo penale, di provare la differente provenienza di dette somme. Presunzioni tributarie e processo penale. Il principio secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie, pur potendo avere valore indiziario, non possono costituire di per sé fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell’esistenza della condotta criminosa, costituisce ormai un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità da ultimo Cass., Sez. III Penale, 23 gennaio 2013, n. 7078 . Nel dettaglio, la Corte di Cassazione ha innumerevoli volte affermato l’inoperatività delle presunzioni tributarie nel giudizio penale di merito. I regimi di presunzione legale operanti in sede tributaria – secondo tale giurisprudenza – non possono essere utilizzati sic et simpliciter in sede penale, in quanto la prova della responsabilità tributaria si fondasu un accertamento di esclusiva valenza presuntiva, ispirato al principio dell’inversione dell’onere della prova, che, in materia penale, si pone in contrasto con il diritto di difesa e con il principio secondo cui l’onere della prova è a carico della accusa. Pacifico e riaffermato da tale giurisprudenza è il principio secondo cui spetta esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’imposta evasa, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale tributaria Cassazione, Sez. III Penale, n. 36396/2011 . La presunzione tributaria che viene in gioco nel caso di specie è quella di cui all’art. 32 D.P.R. n. 600/1973, che presume la corrispondenza tra partite attive risultanti dai controlli sui conti correnti ed i ricavi di attività imprenditoriali o professionali del soggetto sottoposto ad accertamento, in assenza della dimostrazione contraria da parte del contribuente. Orbene, proprio su tale fattispecie è ormai assodato il principio per cui detta presunzione non può trovare applicazione in sede penale, dove il giudice di merito deve operare sulla base di elementi di fatto e non di mere presunzioni Cass., Sez. III Penale, n. 5490/2008, nonché, seppure quale obiter dictum la recentissima Cass., Sez. III Penale, 10 gennaio 2013, n. 1261 , in quanto compete in via esclusiva al giudice penale l’accertamento e la determinazione dell’imposta evasa, non potendosi configurare alcuna pregiudiziale tributaria in senso conforme la già citata Cass., Sez. III Penale, n. 36396/2011 . La statuizione della Corte e la sua specifica rilevanza. Sulla base delle suddette premesse la decisione della Corte appare quasi scontata nel ribadire come, ai fini dell’accertamento dei reati tributari, non possa farsi ricorso alla presunzioni operanti in materia tributaria, con conseguente accoglimento del proposto ricorso. La pronuncia in esame non è tuttavia né scontata né priva di specifica rilevanza. Infatti, come noto, si è anche affermato che l'autonomia del procedimento penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli stessi elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione però che gli stessi siano assunti non con l'efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori. Inoltre dette presunzioni hanno il valore di un indizio, sicché per assurgere a dignità di prova devono trovare oggettivo riscontro o in distinti elementi di prova ovvero in altre presunzioni, purché siano gravi precise e concordanti Cass., Sez. III Penale, n. 2246/96, CED 205395 . Il vero discrimen della questione è allora distinguere le ipotesi in cui, erroneamente, il giudice penale fonda la affermazione di penale responsabilità appiattendosi sulla presunzione tributaria, dalle ipotesi in cui, legittimamente, valuta tale aspetto come mero indizio, che solo ove corroborato dagli ulteriori requisiti di legge assurge a valore di prova, fondante l’affermazione della penale responsabilità. Significativa allora la statuizione in esame nell’affermare che la mera esistenza di versamenti sui conti correnti di una società, seppur sintomatica, non vale di per sé quale prova della natura di ricavi non contabilizzati di dette somme, essendo ai fini penali necessario verificare l’esistenza o inesistenza di operazioni cui detti versamenti siano riferibili ed eventuali collegamenti o rapporti tra chi ha effettuato il versamento ed il beneficiario di tali somme.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 aprile - 8 maggio 2013, n. 19709 Presidente Squassoni – Relatore Lombardi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha confermato parzialmente la sentenza del Tribunale di Bergamo in data 04/04/2011, con la quale B.S. e Z.P.A. erano stati dichiarati colpevoli di varie ipotesi di reato di cui agli art. 110, 81 cpv. c.p. e 3 del D. Lgs n. 74/2000, loro ascritte per essersi avvalsi, Z.P.A. nella qualità di amministratore di diritto della società Red Devil S.r.l. e la B. di amministratore di fatto, unitamente al fratello B.G. , la cui posizione è stata stralciata, di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili, mediante l'utilizzazione di mezzi fraudolenti, inserendoli nelle dichiarazioni annuali dei redditi al fine di non dichiarare ricavi e di dichiarare elementi negativi di reddito per gli anni di imposta 2002, 2003 e 2004. In sintesi, la Corte territoriale ha dichiarato non doversi procedere nei confronti degli imputati relativamente alla dichiarazione fraudolenta per l'anno di imposta 2002 per essere 11 reato estinto per prescrizione li ha assolti, perché il fatto non sussiste, dall'imputazione relativa alla dichiarazione relativa all'anno di imposta 2003 ed ha parzialmente confermato l'affermazione di colpevolezza relativamente alla dichiarazione fraudolenta per l'anno di imposta 2004, rideterminando le pene loro inflitte nella misura ritenuta di giustizia. In particolare, la sentenza ha affermato che solo due bonifici rispettivamente di Euro 350.000 ed Euro 400.000 indicati come apporto di danaro contante da parte dei soci della Red Devil, indicati nella società Arche S.r.l. ed in M.E. , madre dei fratelli B. , e, quindi non soggetti a tassazione, corrispondevano in effetti a ricavi non dichiarati corrisposti dalle società R.B. Immobiliare S.r.l. e Malba Immobiliare S.r.l La Corte territoriale ha inoltre accolto l'appello del Procuratore Generale della Repubblica limitatamente alla mancata applicazione delle pene accessorie nei confronti della B. , che sono state inflitte. 2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi gli imputati, tramite i difensori. 3. Ricorso B. Con un unico mezzo di annullamento la difesa dell'imputata denuncia erronea applicazione di legge con riferimento alle conclusioni circa la impossibilità dell'esborso da parte di Arche S.r.l. e M.E. . In sintesi, si contesta l'accertamento di fatto sul punto, deducendo che esso è fondato esclusivamente sulle valutazioni del Cap. della GG.FF. A. , mentre non si è tenuto conto dei rilievi difensivi fondati su una perizia valutativa. Dalla stessa emergeva che la M. , grazie all'ingente patrimonio accumulato unitamente al marito, era effettiva proprietaria di quote di una serie di società tra le quali la R.B. Immobiliare S.r.l., la Arche S.r.l., la Red Devil S.r.l., la Malba Immobiliare S.r.l. e la Studio Europa S.r.l., fatto che giustificava la complessa movimentazione bancaria tra le predette società relativamente ai versamenti ricondotti alla R.B. Immobiliare S.r.l. ed alla Malba Immobilare S.r.l Si censura poi il fatto, lamentato in appello, che non erano stati eseguiti accertamenti bancari sui conti di M. e di Arche S.r.l. e si contesta l'accertamento in ordine alla qualità attribuita alla B. di amministratore di fatto della Red Devil S.r.l 4. Ricorso Z. . 4.1 Mancanza o contraddittorietà della motivazione con riferimento alla residua imputazione di cui al capo 3 . La sentenza impugnata è pervenuta alla assoluzione degli imputati dal reato di cui al capo 2 e da buona parte delle contestazioni relative a flussi finanziari in nero relativamente all'imputazione di cui al capo 3 , osservando che l'accusa era fondata su un mero sospetto e che non potevano trovare applicazione in sede penale le presunzioni fiscali. Ad analoghe conclusioni, però, i giudici di merito sarebbero dovuti pervenire anche con riferimento ai versamenti per i quali vi è stata affermazione di colpevolezza, poiché anche in questo caso la deduzione che si trattasse di ricavi è fondata su una presunzione operante in materia tributaria. La Red Devil S.r.l. è una società immobiliare che ha come oggetto la compravendita di immobili e di quote societarie, per cui i ricavi ottenuti dalla stessa si realizzavano necessariamente attraverso atti pubblici notarili o atti privati sottoposti al regime pubblicitario. Gli indicati profili, esposti nei motivi di appello e di cui la stessa sentenza da contezza, sono totalmente ignorati nella motivazione che avrebbe dovuto confutarli adeguatamente. Nella sostanza è stato utilizzato per affermare la colpevolezza degli imputati il procedimento tipico del processo tributario laddove l'organo accertatore presume ed il contribuente deve giustificare, mentre nel processo penale valgono regole opposte. Si contesta, poi, in ogni caso, che la condotta sia riconducibile allo Z. . Si osserva che la sentenza fa riferimento ad una forzatura del sistema bancario nei vari passaggi finanziari, ma non tiene conto del fatto che i tre funzionar della Credem, che erano accusati di riciclaggio sono stati prosciolti dal G.U.P. perché il fatto non sussiste. Dalla sentenza, in particolare, era emersa la fittizietà della operazione relativa ai due bonifici bancari, destinati a conferire affidabilità patrimoniale alla società che aveva avanzato richiesta di finanziamenti comunitari, la cui ammissione era subordinata all'esistenza di un capitale sociale di un determinato importo. Pertanto, mentre il G.U.P. ha ritenuto fittizie le operazioni di bonifico la Corte territoriale ha ritenuto che le stesse corrispondessero ad un reale flusso di danaro. Quanto alla responsabilità dello Z. si osserva che l'affermazione della sentenza sul punto è sostanzialmente fondata sull'accertamento di una condotta colposa, per omesso controllo, mentre il reato di cui è chiamato a rispondere ha natura dolosa. Lo Z. non aveva neppure competenze in ordine all'operazione di cui si tratta, in quanto le decisioni concernenti i finanziamenti da parte del soci sono assunte dall'assemblea, mentre l'amministratore aveva l'obbligo di prenderne atto. Si censura, infine, il mancato espletamento di indagini sui soggetti finanziatori e sulla loro potenziale capacità di effettuare i versamenti di cui all'imputazione. 4.2 Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche. Non si è tenuto conto del ruolo assolutamente marginale svolto dall'imputato, mentre il diniego delle attenuanti è fondato solo su affermazioni tautologiche. 4.3 Mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine alla quantificazione della pena denuncia fondata su argomentazioni di analogo tenore. Con un ulteriore motivo, infine, è stata richiesta, in subordine, l'applicazione dell'indulto. Considerato in diritto 1. Il primo motivo di ricorso dello Z. , che per l'effetto estensivo ex art. 587 c.p.p. giova anche alla coimputata, è fondato nei limiti e per le ragioni di seguito precisate. 2. Secondo il consolidato indirizzo interpretativo di questa Suprema Corte, ai fin dell'accertamento dei reati tributari, non può farsi ricorso alle presunzioni operanti in materia tributaria ed, in particolare, non possono considerarsi ricavi dell'azienda le somme accreditate in suo favore, in quanto spetta al giudice penale accertare gli elementi probatori o anche indiziari, dai quali è stato desunto che detti accrediti corrispondano ad operazioni attive, non contabilizzate, cfr. Sez. 3, sentenza n. 5490 del 26/11/2008, Crupano, Rv. 243089 sez. 3, Sentenza n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280, sia pure con riferimento al reato di omessa dichiarazione precedenti conformi n. 8445 del 1991 Rv. 188010 n. 21213 del 2008 Rv. 239984 n. 5490 del 2009 Rv. 243089 . Orbene, emerge dall'esame della sentenza impugnata che i giudici di merito hanno sostanzialmente fatto ricorso alla presunzione tributaria, secondo la quale i versamenti effettuati dai soci della Red Devil o, secondo l'accertamento di fatto, da altre società operanti sul mercato, debbono considerarsi ricavi, senza la indicazione di ulteriori elementi di prova o indiziari da cui possa desumersi che si tratti effettivamente di poste attive, costituenti profitti della società, non contabilizzate. In particolare, non risulta essere stato eseguito alcun accertamento in ordine alla esistenza o inesistenza di operazioni cui detti versamenti siano riferibili, né al collegamento tra le società che hanno effettuato i versamenti e la Red Devil. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullare con rinvio per un nuovo giudizio che tenga conto dell'enunciato principio di diritto e dei rilievi che precedono. L'accoglimento dell'esaminato motivo di ricorso è assorbente delle ulteriori censure dei ricorrenti. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia.