E’ commercialista solo sul biglietto da visita: condannato un consulente del lavoro

La circostanza che materialmente il contratto di consulenza sia stato conferito alla società a lui riconducibile, non esclude l'esercizio abusivo della professione, posto che, da un canto proprio il titolo professionale era stato alla donna evocato all'atto del conferimento del mandato, né risulta in alcun modo dedotto che di fatto la società si servisse di professionisti abilitati al fine di svolgere le funzioni conferite dalla donna.

Con la sentenza n. 18214, depositata il 19 aprile 2013, la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità penale riconosciuta dai giudici di merito. Adempimenti fiscali affidati ad un finto commercialista. Una donna, rappresentante di una s.r.l., stipula un contratto con cui affida tutti gli adempimenti, fiscali e contabili della società ad un commercialista, o almeno presunto tale sulla base del biglietto da visita. Riceve poi una lettera anonima, in cui il falso commercialista viene smascherato la donna presenta querela. L’uomo viene condannato per esercizio abusivo della professione, ex art. 348 c.p., ma ricorre per cassazione contro le decisioni dei due gradi di merito. Ma non era concordata solo la tenuta della contabilità cui può provvedere anche un consulente del lavoro? Sostiene innanzitutto di non essersi mai presentato con tale biglietto da visita, che sarebbe invece stato consegnato insieme alla lettera anonima. Afferma poi che nel contratto non sarebbe stato convenuto lo svolgimento di attività riservate al commercialista, poiché oggetto dell'accordo era esclusivamente l'incarico di tenuta della contabilità, mentre non sarebbe stato dimostrato l'affidamento di ulteriori attività riservate . Pertanto si sarebbero dovuti applicare gli approdi della giurisprudenza di legittimità in materia, in ragione dei quali si ritiene di escludere la configurabilità del reato nell'ipotesi di svolgimento da parte del consulente del lavoro di attività non riservate in via esclusiva ai commercialisti . Sono stati concordate attività riservate al commercialista. La Suprema Corte ritiene correttamente provato che gli incarichi attribuiti dalla denunciante all’uomo riguardassero tutti gli adempimenti, fiscali e contabili della società gestita dalla donna, attività il cui esercizio è riservato in via esclusiva alla competenza professionale di un commercialista, titolo prospettato in sede di conclusione del contratto , di cui l’imputato non è mai stato in possesso. Irrilevante che il contratto sia riferito alla società per cui lavora. E’ del tutto irrilevante la circostanza per cui materialmente il contratto di consulenza sia stato conferito alla società a lui riconducibile , poiché da un canto proprio il titolo professionale era stato alla donna evocato all'atto del conferimento del mandato, né risulta in alcun modo dedotto che di fatto la società si servisse di professionisti abilitati al fine di svolgere le funzioni conferite dalla donna . Per tali ragioni la Corte conferma la condanna e respinge il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 – 19 aprile 2013, n. 18214 Presidente Garribba – Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Trento con sentenza del 01/07/2011, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di quella città del 27/04/2010, ha concesso la sospensione condizionale pena inflitta a E.P. in relazione al reato di cui all'art. 348 cod. pen. contestato con riguardo all'abusivo esercizio della professione di commercialista, confermando la pronuncia nel resto. 2. La difesa di P. ha proposto ricorso deducendo con il primo motivo inosservanza di legge penale e vizio di motivazione. Si rileva che la Corte ha fornito rilievo dimostrativo alla produzione di un biglietto da visita che si assume consegnato dal ricorrente alla denunciante, nel quale erano indicati titoli di studio e professionali non in suo possesso, mentre tale biglietto risulta allegato alla lettera anonima che la denunciante aveva ricevuto ed a seguito della cui ricezione questa si era risolta a presentare querela. Si sottolinea che nel contratto stipulato con la società di cui la denunciante era rappresentante e la P. srl, per cui prestava la sua attività l'odierno ricorrente, non risulta convenuto lo svolgimento di attività riservate al commercialista, poiché oggetto dell'accordo era esclusivamente l'incarico di tenuta della contabilità, mentre non è stato dimostrato l'affidamento di ulteriori attività riservate. Si lamenta che il giudice di merito abbia disatteso le deduzioni, fondate sugli approdi della giurisprudenza di legittimità in materia, in ragione delle quali si ritiene di escludere la configurabilità del reato nell'ipotesi di svolgimento da parte del consulente del lavoro di attività non riservate in via esclusiva ai commercialisti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza. 2. L'esame delle pronunce di merito ha consentito infatti di accertare la presenza di prove sulla qualifica professionale di commercialista prospettata da P. alla parte offesa in sede di assunzione della consulenza fiscale e contabile attribuitagli nell'interesse dell'azienda della cliente, emergenza di fatto di carattere preliminare ed assorbente rispetto alle successive deduzioni, con la quale l'interessato non si confronta. In proposito l'odierno ricorrente non deduce travisamento del fatto, ma si limita ad evocare circostanze di fatto antitetiche rispetto alle risultanze richiamate in sentenza, a dimostrazione della cui sottovalutazione da parte dei giudice di merito non opera alcuna indicazione specifica sulla loro ricavabilità dagli atti del processo, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso. Conseguentemente, la circostanza che materialmente il contratto di consulenza sia stato conferito alla società a lui riconducibile, non esclude l'esercizio abusivo della professione, posto che, da un canto proprio il titolo professionale era stato alla donna evocato all'atto del conferimento del mandato, né risulta in alcun modo dedotto che di fatto la società si servisse di professionisti abilitati al fine di svolgere le funzioni conferite dalla donna. Per completezza si osserva che il Tribunale in primo grado ha anche analiticamente valutato la documentazione riguardante gli incarichi attribuiti dalla denunciante al P., giungendo alla conclusione che riguardassero tutti gli adempimenti, fiscali e contabili della società gestita dalla donna, attività il cui esercizio è riservato in via esclusiva alla competenza professionale di un commercialista, titolo prospettato in sede di conclusione del contratto di cui P. non è mai stato in possesso. 3. La mancata correlazione dei rilievi svolti in ricorso rispetto al percorso motivazionale delle pronunce di merito impone di dichiarare l'inammissibilità dell'impugnazione per l'effetto il ricorrente è tenuto al pagamento delle spese dei grado, e della somma indicata in dispositivo, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell'art. 616 cod. proc. pen. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000 in favore della Cassa delle ammende.