Impresa indebitata con il Fisco? Legittimo il sequestro dell’immobile in leasing

L’impresa aveva concesso un immobile in leasing, ma sapeva perfettamente di avere un debito di circa 220mila euro con l’Agenzia delle Entrate.

Tutto nasce dai reati commessi dall’amministratore di una società. L’amministratore di una s.r.l. veniva indagato per aver simulato l’alienazione di alcuni beni immobili di proprietà della stessa società, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte per un ammontare accertato di oltre 220mila euro artt. 81, 110 c.p. e 11 d.lgs. 74/2000 . La fattispecie. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15803 del 5 aprile 2013, si occupa del sequestro preventivo, confermato anche dal Riesame, su un immobile che la società aveva concesso in leasing . A proporre ricorso per cassazione è proprio l’utilizzatore, che evidenzia la sua posizione di terzo estraneo al reato ed osserva che, anche nel caso di sequestro per equivalente di beni di cui il reo ha la disponibilità, dovrebbero essere comunque fatti salvi i diritti legittimamente acquisiti da soggetti che non abbiano in alcun modo concorso nel reato e che, come nel caso in esame, agiscano in buona fede e nel proprio esclusivo interesse economico . Assoluta prossimità temporale tra consapevolezza dei debiti fiscali e stipula dell’atto di cessione. Gli Ermellini, però, ritengono il ricorso inammissibile e mettono in rilievo la correttezza delle considerazioni svolte dai giudici di merito sulla assoluta prossimità temporale tra la consapevolezza, da parte delle società alienanti, dei debiti fiscali su di esse gravanti e la stipula dell’atto di cessione, diretto evidentemente a sottrarre i beni alle pretese dell’erario ed alla permanenza, in capo all’indagato, della materiale disponibilità degli immobili, ottenuta grazie allo strumento della locazione finanziaria . Si è configurata una interposizione personale fittizia. In conclusione, ha affermato la S.C., il negozio simulato, sia che si tratti di simulazione relativa o assoluta o di interposizione di persona, non produce effetto alcuno e, inoltre, ciascuna parte è ammessa ad opporre la simulazione dell’altra.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 14 marzo – 5 aprile 2013, n. 15803 Presidente Squassoni – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 26.6.2012, ha rigettato l'appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. presentato nell'interesse di ICCREA BANCA IMPRESA s.p.a. avverso l'ordinanza in data 16.5.2012, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale aveva rigettato l'istanza di revoca di sequestro preventivo di alcuni beni immobili di proprietà della società appellante e nella disponibilità, in forza di contratto di locazione finanziaria, della NUOVA IMMOBILIARE ADRIATICA s.r.l., rappresentata da M.M. , indagato del reato di cui agli artt. 81, 110 cod. pen. e 11 d.lgs. 74/2000, concretatosi nella simulata alienazione dei suddetti beni al fine di sottrarsi al pagamento di imposte per un ammontare accertato di Euro 220.453,00. Avverso tale pronuncia la predetta società, tramite il proprio procuratore, propone ricorso per cassazione. 2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 321 cod. proc. pen. e 240 cod. pen., evidenziando la sua posizione di terzo estraneo al reato ed osservando che, anche nel caso di sequestro per equivalente di beni di cui il reo ha la disponibilità, dovrebbero essere comunque fatti salvi i diritti legittimamente acquisiti da soggetti che non abbiano in alcun modo concorso nel reato e che, come nel caso in esame, agiscano in buona fede e nel proprio esclusivo interesse economico. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è inammissibile perché basato su motivi manifestamente infondati. La astratta configurabilità del reato ipotizzato non è posta in discussione e, come evidenziato dal Tribunale nel provvedimento impugnato, era stata già positivamente valutata dal medesimo giudice con ordinanza n. 100/2010 del 23.12.2010, oggetto di ricorso da parte dell'indagato M M. , che questa Corte ha rigettato con sentenza n. 35310 del 7.6.2011, depositata il 29.9.2001, ove si è riconosciuta la correttezza delle considerazioni svolte dai giudici del riesame, i quali facevano riferimento alla assoluta prossimità temporale tra la consapevolezza, da parte delle società alienanti, dei debiti fiscali su di esse gravanti e la stipula dell'atto di cessione, diretto evidentemente a sottrarre i beni alle pretese dell'erario ed alla permanenza, in capo all'indagato, della materiale disponibilità degli immobili, ottenuta grazie allo strumento della locazione finanziaria. 4. Ciò premesso, deve altresì rilevarsi che la vicenda in esame risulta perfettamente corrispondente ad altra, analoga, precedentemente trattata da questa Corte Sez. III n. 46212, 13 dicembre 2011 e verosimilmente concernente, a quanto è dato rilevare dal contenuto della decisione, il sequestro di altro immobile fraudolentemente alienato dal M. ad una società che poi lo aveva concesso in locazione finanziaria ad altra società della quale l'indagato era legale rappresentante. Ritiene dunque il Collegio che i principi espressi in quell'occasione siano pienamente condivisibili e vadano, pertanto, ribaditi. 5. Deve così osservarsi che, anche nel caso in esame, il Tribunale ha reputato configurabile una interposizione personale fittizia simulazione soggettiva la cui mancata conoscenza da parte della società di leasing non esclude il sequestro del bene e che tale valutazione risulta giuridicamente corretta e supportata da adeguata motivazione. Invero, nel provvedimento impugnato viene ancora una volta posta in rilevo la assoluta prossimità temporale tra la consapevolezza, da parte della società alienante, amministrata di fatto dal M. , dei debiti fiscali su di esse gravanti e la stipula dell'atto di cessione, la cui finalità risulta evidente e la permanenza, in capo al M. medesimo, della materiale disponibilità dei beni alienati grazie al contratto di leasing successivamente stipulato con altra società da lui stesso amministrata. Deve pertanto essere ribadito che il negozio simulato - sia che si tratti di simulazione relativa o assoluta o di interposizione di persona - non produce effetto e che ciascuna parte è ammessa ad opporre la simulazione dell'altra. Tali evenienze, però, implicano l'espletamento di indagini complesse non di attualità in una fase processuale nella quale le emergenze agli atti giustificano la conclusione sulla configurabilità del reato e la conseguente legittimità del vincolo reale del bene, cosicché le censure svolte dalla società ricorrente potranno essere considerate in altra sede, diversa dal presente procedimento incidentale, caratterizzato dalla circoscritta competenza e conoscenza degli atti processuali da parte dell'organo giudicante. Esse, inoltre, presuppongono accertamenti in fatto che esulano dai limiti cognitivi del Tribunale del riesame che non ha poteri istruttori e, quindi, della Cassazione. 6. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità – non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente Corte Cost. 7-13 giugno 2000, n. 186 – consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.