A chi spettano i dipinti rubati? La parola al giudice civile

La controversia fra il legittimo proprietario e colui che sostiene di essere possessore in buona fede deve essere risolta in sede civile, ove possono essere fatte valere pretese anche cautelari.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8752/13, depositata il 22 febbraio. Il caso. Un PM ordina la restituzione di alcuni dipinti, sottoposti a sequestro probatorio, al proprietario al quale erano stati rubati l’acquirente degli stessi, che li aveva comprati presso una galleria d’arte, si oppone a tale decisione, ma la sua richiesta è respinta dal Gip. La buona fede pare fondata, ma Neppure a giudizio degli Ermellini le doglianze del compratore sono fondate. Pare corretto, infatti, l’operato del Gip, il quale ha certamente considerato la buona fede del ricorrente al momento dell’acquisto, ma non ha ritenuto esistessero i presupposti per incidere sul legittimo provvedimento del PM, atteso che gli interessi del richiedente potevano comunque essere fatti valere in sede civilistica. La controversia compete al giudice civile. In particolare, la S.C. ritiene fuorviante la richiesta di applicare in sede penale gli artt. 1153 e 1147 c.c. in materia di possesso di buona fede, dal momento che la controversia fra il legittimo proprietario e colui che sostiene di essere possessore in buona fede deve essere risolta in sede civile, ove possono essere fatte valere pretese anche cautelari. Il sequestro non andava mantenuto. Neppure è applicabile il disposto dell’art. 266, comma 3, c.p.p., secondo il quale il giudice penale rinvia la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro la previsione si fonda infatti sul presupposto della reale esistenza di una controversia, instaurata o instauranda, che non ricorre nel caso di specie. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 24 gennaio – 22 febbraio 2013, n. 8752 Presidente Esposito – Relatore Rago Fatto e diritto 1. Con ordinanza in data 30/05/2012, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino rigettava l'opposizione proposta ex art. 263/5 cod. proc. pen. da R.R.R. avverso il decreto con il quale il P.M., in data 3/11/2011, aveva ordinato la restituzione dei dipinti sottoposti a sequestro probatorio a F.B.F. persona offesa del delitto di furto delle opere che ne aveva richiesto la restituzione. 2. Avverso la suddetta ordinanza, il R. , a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo 2.1. l'inosservanza ed erronea applicazione di norme extrapenali cui si doveva tener conto nell'applicazione della legge penale artt. 1147 e 1153 c.c. 2.2. vizio di motivazione, in quanto, pur avendo il Giudice ritenuto come sostanzialmente fondata la prospettazione della buona fede del R. al momento dell'acquisito dei dipinti aveva, poi, contraddittoriamente affermato che mancava il presupposto per incidere sul provvedimento del P.M. 3. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito indicate. In punto di fatto è pacifico che il F. era il proprietario al quale i dipinti in questione erano stati rubati, così come è pacifico che il ricorrente è colui che, successivamente, li aveva acquistati presso una gallerie d'arte. Il giudice per le indagini preliminari ha respinto l'opposizione adducendo la seguente motivazione [ ] seppure la richiesta di restituzione potrebbe in sé avere un fondamento a fronte della pretesa buona fede del richiedente al momento dell'acquisto delle opere acquisto documentato , manca il presupposto per incidere su un provvedimento in sé legittimo, laddove gli interessi del richiedente non risultano comunque pregiudicati, potendo questi fare valere le sue pretese in sede civilistica che, quanto alla richiesta subordinata della Difesa, allo stato, nessuna contestazione risulta mossa in sede penalistica in ordine alla titolarità delle opere, tale da avere rilevanza ai fini dell'applicazione dell'art. 263 co. 3 c.p.p. cfr, la giurisprudenza ha affermato, invero, il seguente principio In tema di riesame, il principio di cui all'art. 324, comma ottavo, cod. proc. pen. secondo cui, nel caso di contestazione della proprietà, il giudice penale rinvia la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro, presuppone che il giudice adempia all'onere di accertare la reale esistenza di una controversia, che deve essere effettiva e, quindi, già instaurata oppure instauranda, non essendo sufficiente la mera sussunzione di una tale contestazione Cass. n. 41879 del 11.10.2007, rv. 237939”. La suddetta decisione, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente, non si presta ad alcuna censura in quanto il giudice per le indagini preliminari ha correttamente applicato i consolidati principi di diritto enunciati, in casi similari, da questa Corte di legittimità. In particolare, la dedotta questione dell'applicabilità degli artt. 1153 e 1147 c.c. è fuorviante in sede penale per le stesse ragioni esposte dal giudice per le indagini preliminari il quale ha correttamente rilevato che la controversia fra il legittimo proprietario e colui che afferma essere possessore in buona fede, dev'essere risolta in sede civile ove il ricorrente potrà far valere le sue pretese eventualmente anche cautelari, anche perché, al momento della decisione, non ricorreva l'ipotesi di concreta attualità della controversia ex art. 263/3 cod. proc. pen., non rilevabile sulla base della mera contestazione del R. , argomento questo sul quale il ricorrente non ha ritenuto, in questa sede, di dedurre alcuno specifico motivo. La motivazione dell'ordinanza impugnata, quindi, deve ritenersi corretta, logica e conforme alle norme di diritto di conseguenza, non essendo rilevabile alcuno dei vizi dedotti dal ricorrente, il ricorso dev'essere respinto. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.