Il condannato all’estero può ottenere lo sconto di pena anche se l’espiazione prosegue in Italia

In tema di ordinamento penitenziario, la concessione della detrazione di quarantacinque giorni di pena, di cui all’art. 54 del predetto ordinamento, in favore del condannato che collabori all’opera di rieducazione, è applicabile anche in favore del cittadino italiano condannato all’estero il quale, dopo un primo periodo di detenzione nello Stato di condanna, chieda ed ottenga di completare l’espiazione della propria pena in Italia, ai sensi della Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, ratificata dallo Stato italiano con la legge 25 luglio 1988, n. 334.

L’attuale assetto normativo della procedura penale dell’Unione Europea L’orientamento corrente delle Convenzioni tra Paesi dell’Unione Europea è quello di rendere possibile l’espiazione delle pene, inflitte dal giudice nazionale, in uno Stato membro diverso dell’Unione Europea, con la finalità di consentire il reinserimento del condannato nella propria comunità nazionale, e di favorirne, con questo, il proprio processo di risocializzazione, assurto a finalità comune di tutti gli ordinamenti statuali ed a principio fondante del cosiddetto Spazio Giuridico Europeo . La sentenza n. 31012/2012, depositata il 30 luglio 2012, della Prima sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, correttamente prende le mosse dalla Carta costituzionale, la quale agli articoli 3 e 27 sancisce, rispettivamente, i principi di uguaglianza, formale e sostanziale, e quello di rieducazione del condannato. Altro principio cardine, di matrice processualistica, richiamato nella decisione, è quello della fungibilità delle detenzioni espiate in Stati diversi art. 738, primo comma, c.p.p. , vieppiù significativo alla luce del processo di integrazione delle singole discipline processual-penalistiche degli Stati membri dell’Unione Europea. Altro testo fondamentale in materia è la Convenzione sul trasferimento delle persone condannate, firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983, la quale, come è noto, rappresenta il principale strumento pattizio con il quale è realizzata a livello internazionale l’esecuzione extraterritoriale dei giudicati penali sono ben 63 i paesi aderenti, di cui 17 extraeuropei , consentendo, su base consensuale, il proseguimento dell’esecuzione di una pena detentiva nello Stato di appartenenza della persona condannata. Ispirata essenzialmente da considerazioni umanitarie, la Convenzione vuol rappresentare un punto di equilibrio tra l’interesse di una buona amministrazione della giustizia e il reinserimento sociale dei condannati. Del resto, in altra recente sentenza Cass. Pen., Sezioni Unite, n. 36527/2008 , la Suprema Corte aveva già statuito relativamente alle persone condannate all’estero e trasferite in Italia per l’espiazione della pena, con la procedura stabilita dalla citata Convenzione di Strasburgo, ratificata e resa esecutiva dalla l. n. 334/1988, segnatamente pronunciandosi in materia di indulto. In un obiter dictum , la Corte già allora affermava che l’eventuale interpretazione, di segno difforme, della vigente normativa in materia, potrebbe indurre ad un rilievo d’incostituzionalità della legge di ratifica della Convenzione, in quanto esporrebbe il cittadino italiano condannato all’estero, che sia stato trasferito in Italia per l’esecuzione della condanna, ad un trattamento irragionevolmente deteriore rispetto agli altri detenuti, italiani e stranieri, i quali potrebbero beneficiare nella fase esecutiva della generalità degli istituti clemenziali e dei benefici previsti dalle rispettive legislazioni e ciò nonostante lo scopo dichiarato del trasferimento del condannato, che è – come detto – quello di favorirne il reinserimento sociale nel Paese d’origine. consente l’estensione dello sconto di pena al condannato all’estero. Nella decisione in esame, la Suprema Corte ribalta completamente quanto affermato nella sentenza impugnata dal ricorrente. La conclusione raggiunta dai giudici di Piazza Cavour è dunque che i benefici regolamentati dall’art. 54 dell’ordinamento penitenziario italiano, in favore del detenuto che dia prova di partecipazione all’opera di rieducazione sono applicabili anche ai periodi di detenzione espiati in uno Stato estero dell’Unione Europea, per fatti giudicati in quel Paese, quando l’espiazione venga poi completata nello Stato italiano.

Corte di Cassazione, sezione I Penale, sentenza 6 giugno – 30 luglio 2021, n. 31012 Presidente Siotto – Relatore Bonito Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Il Tribunale di sorveglianza di Roma, con ordinanza del 16 marzo 2011, respingeva il reclamo proposto da P.E. avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di sorveglianza capitolino aveva a sua volta respinto la sua domanda volta alla liberazione anticipata relativa al periodo di pena espiata dal omissis al omissis . A sostegno della decisione il giudice territoriale, correggendo la motivazione del magistrato di prime cure il quale aveva motivato la sua negativa valutazione sotto il profilo della non meritevolezza, osservava che l'istante sta scontando una pena di anni otto di reclusione per condotte delittuose consumate in Belgio e qui giudicate, che ha espiato in Belgio la pena inflitta dal omissis al omissis , momento in cui è stato trasferito in Italia per espiare il residuo della sanzione in forza della Convenzione di Strasburgo 21.3.1983, ratificata con L. 25.7.1988 n. 334, che ciò impediva l’accoglimento della istanza dappoiché inapplicabile il beneficio disciplinato dalla normativa nazionale per una pena espiata all'estero, come insegnato da Cass. 7.7.2010, n. 33520, per le differenze strutturali tra sistemi giudiziari ed amministrativi, per la impossibilità di avvalersi delle necessarie attività di osservazione, perché possibili altri benefici usufruiti nello Stato estero, perché, ai sensi dell'art. 9 della citata convenzione, ogni Stato regolamenta la propria esecuzione penale senza interferenze nella disciplina degli Stati esteri e perché, infine, il disposto dell'art. 10 della Convenzione, secondo cui la pena inflitta nello Stato di condanna può subire adattamento nello Stato di esecuzione, si applica quando sussiste una incompatibilità tra i due sistemi normativi, ipotesi non ricorrente nel caso di specie. 2. Ricorre per cassazione avverso detta ordinanza il P. , personalmente, denunciandone l'illegittimità per violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare osservando - il precedente di legittimità molto valorizzato dal giudice a quo Cass. 33520/2010 ha regolamentato una fattispecie diversa da quella in esame, dappoiché caratterizzata dal sovrapporsi di discipline di favore, avendo l'istante goduto negli USA di uno sconto di pena congruo del tutto analogo a quello oggetto della domanda all'autorità italiana - il rapporto che si instaura con la detenzione è necessariamente unitario giacché scaturente da un unico provvedimento limitativo della libertà personale - di qui la possibilità di considerare l'esecuzione straniera ai fini della legislazione italiana nella ipotesi data - una diversa interpretazione si pone in contrasto sia con il principio di uguaglianza, sia con le finalità rieducative della detenzione rispettivamente artt. 3 e 27 Cost. - fuorviante si appalesa l’argomento della estraneità agli ordinamenti stranieri del concetto di osservazione , sia perché possibile ottenere relazioni delle autorità estere sul comportamento carcerario del detenuto eventualmente trasferito, sia perché anche nell'ordinamento nazionale ricorrono ipotesi di detenzione attraverso misure alternative per le quali l'ordinaria nozione di osservazione subisce svuotamenti di contenuti gli arresti domiciliari ad esempio - anche quando non sia stato approntato il programma individuale di trattamento la valutazione sul comportamento del detenuto prescinde necessariamente dalla tradizionale osservazione - anche l'art. 16 co. 1 d. lgs. 161/2010, n. 161, relativo al reciproco riconoscimento delle sentenze penali, stabilisce il principio art. 16 co. 1 secondo cui La pena espiata nello Stato di emissione è computata ai fini dell'esecuzione . 3. Il ricorso è fondato. 3.1 Pur in costanza dell'arresto giurisprudenziale al quale il giudice territoriale ha ispirato la decisione impugnata, ritiene il Collegio di dover diversamente opinare, sia perché la fattispecie al suo esame è almeno parzialmente diversa da quella delibata da questa sezione prima con la pronuncia n. 33520/2010, sia perché nel frattempo, alla pur copiosa normativa internazionale di origine Europea in materia, sulla quale si tornerà, si è aggiunto il d. lgs. 7 settembre 2010, n. 161, recante disposizioni per conformare il diritto interno alla Decisione Quadro 2008/909/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale, ai fini della loro esecuzione nell'Unione Europea . Va inoltre osservato che è in atto ormai da oltre un decennio un insistito processo di integrazione Europea sui temi della giustizia, soprattutto attraverso una armonizzazione delle discipline statuali su singoli argomenti di rilevanza strategica e strutturale ed attraverso il riconoscimento reciproco di atti e provvedimenti. In questo ambito si collocano gli accordi convenzionali volti, altresì, a rendere possibile l'espiazione delle pene inflitte dal giudice penale nazionale in uno Stato diverso della comunità Europea, con la finalità di consentire il reinserimento del condannato nella propria comunità nazionale e favorirne, con questo, il processo di risocializzazione, assurto a finalità comune di tutti gli ordinamenti Europei statuali ed a principio fondante dello spazio giuridico Europeo. In tale quadro vanno, pertanto, lette le disposizioni nazionali da parte del giudice italiano, il quale peraltro, secondo insegnamento ormai consolidato nella lezione ermeneutica di questa Corte di legittimità, deve sempre fondare l'interpretazione per il caso concreto sui principi della Costituzione la c.d. interpretazione costituzionalmente orientata . 3.2 Prendendo le mosse da tale premessa non può non rivalutarsi profondamente la precedente lettura data da questa sezione della Corte alla questione giuridica posta dal ricorso in esame, con il quale si domanda al giudice di legittimità di stabilire se, la disciplina di favore di cui all'art. 54 O.P. in forza della quale al condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata , sia applicabile o meno in favore del cittadino italiano condannato all'estero il quale, dopo un primo periodo di detenzione nello Stato di condanna, chieda ed ottenga di completare l'espiazione della pena, ai sensi della Convenzione di Strasburgo innanzi citata, in Italia. 3.3 Più ragioni convergono per una risposta positiva al quesito posto. Innanzitutto il testo letterale della norma, che non distingue se la detenzione da prendere in considerazione ai fini della disciplina di favore sia quella inflitta da un giudice italiano ovvero da un giudice straniero, né se sia stata in parte espiata in strutture carcerarie non nazionali. Inoltre il principio - normativamente affermato - della fungibilità delle detenzioni espiate in Stati diversi art. 738 c.p.p., co. 1 fungibilità vieppiù significativa nella sua dimensione sistematica se riferita ai rapporti tra stati dell'Unione Europea, tra i quali è in atto, come detto, un processo di integrazione giuridica, che ha come fine ultimo quello di costruire un unitario sistema giuridico e processuale Europeo. 3.4 C'è poi la disciplina positiva desumibile dall'art. 16 co. 1 d. lgs. 161/2010, n. 161, innanzi richiamato, il quale, nel dare esecuzione ad una Decisione Quadro volta all'armonizzazione dei sistemi esecutivi e ad una loro sostanziale fungibilità, stabilisce il principio art. 16 co. 1 secondo cui La pena espiata nello Stato di emissione è computata ai fini dell'esecuzione . Tale disposizione, applicabile al caso in esame in forza della norma transitoria di cui all'art. 25 co. 2, non può essere letta in termini meramente aritmetici, rendendola in tal modo pressocché inutile, ma va interpretata sostanzialmente, inserendola nel sistema dell'esecuzione penale e dei principi di essa ispiratori, in primis quelli della nostra Costituzione e della funzione da essa riconosciuta, unitamente alle convenzioni Europee, all'espiazione della pena lo stesso preambolo della Convenzione di Strasburgo, la decisione Quadro innanzi detta, l'art. 5, co. II lett. a del d.lgs. 161/2010 che vi ha dato esecuzione, la Raccomandazione R 2010 1 adottata dal Comitato dei Ministri il 20.1.2010 in occasione della riunione 1075 sull'attività dei servizi sociali e sulla opportunità di perseguire una uniformità della relativa disciplina nonché sulla possibilità di attività utilizzabili dalle varie autorità giudiziarie ed amministrative degli Stati membri, l'art. 6 della Raccomandazione R 2006 2 adottata dal Comitato dei ministri in occasione della riunione del 11.1.2006 sul reinserimento sociale del detenuto . 3.5 Ma anche la Convenzione di Strasburgo innanzi citata, nelle parti evocate dal giudice territoriale, esprime principi evolutivi del sistema e non certo profili di antistorico spessore autoctono, errati in sé e, soprattutto, palesemente contrastanti con l’ humus stesso del quadro giuridico dell'Unione Europea e del processo politico e giuridico in atto. Stabilisce l'art. 10 della Convenzione, dopo la rubrica Continuazione dell'esecuzione 1. In caso di continuazione dell'esecuzione, lo Stato di esecuzione è vincolato alla natura giuridica e alla durata della sanzione così come stabilite dallo Stato di condanna. 2. Tuttavia, se la natura o la durata della sanzione sono incompatibili con la legge dello Stato di esecuzione, o se la sua legge lo esige, questo Stato può, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare la sanzione alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato. La natura di tale pena o misura deve corrispondere, per quanto possibile, a quella inflitta con la condanna da eseguirsi. Essa non può essere più grave, per natura o durata, della sanzione imposta nello Stato di condanna, né eccedere il massimo previsto dalla legge dello Stato di esecuzione . Il Tribunale, per trarre conforto alla propria tesi, ha arrestato la sua lettura al primo periodo del secondo comma, osservando che nella fattispecie non v'è incompatibilità di sorta tra il sistema belga Stato di condanna e quello italiano Stato di esecuzione mentre il secondo periodo del comma in esame esplicitamente stabilisce che se la sua legge lo esige lo Stato di esecuzione può, per mezzo di una decisione giudiziaria o amministrativa, adattare la sanzione alla pena o misura prevista dalla propria legge interna per lo stesso tipo di reato . E nel caso di specie la nostra legge riconosce la disciplina di favore della liberazione anticipata come diritto del detenuto, diritto il quale, se negato nella fattispecie, darebbe corso ad un duplice rilievo di costituzionalità, come difensivamente denunciato. Per un verso, infatti, si negherebbe al cittadino italiano che abbia espiato una parte della pena detentiva all'estero, la possibilità di vedersi valutato detto periodo ai fini della pratica concretizzazione degli istituti normativi nazionali predisposti ai fini della risocializzazione del detenuto stesso. Per altro verso si porrebbe una ingiustificata disparità di trattamento in relazione alla stessa persona pur nella identica condizione di detenuto in espiazione pena, anche in questo caso sotto un duplice profilo la stessa persona che si vede valutare in modi diversi una parte di pena rispetto all'altra a seconda del luogo della espiazione, ovvero due cittadini italiani che nelle identiche situazioni di fatto e di diritto godono di discipline penitenziarie opposte solo perché uno di loro ha espiato parte della pena inflitta in un altro Paese Europeo. È appena il caso di aggiungere che i rilievi appena illustrati non intendono suffragare un sospetto di dubbia costituzionalità, ma porre ragioni per una lettura della fattispecie ispirata ai principi costituzionali. 3.6 Né può ammettersi l'obiezione argomentata dal Tribunale a quanto sin qui detto anche in questo caso traendo ispirazione dalla pronuncia del 2010 di questa sezione della Corte dappoiché l'impossibilità di una osservazione ai fini penitenziali del periodo di detenzione subita in Belgio si appalesa non decisiva. Da una parte giova osservare che una relazione penitenziaria delle autorità amministrative belghe è in atti, che su di essa il magistrato ebbe a rigettare l'istanza del detenuto e che in forza delle raccomandazioni Europee approvate dal Comitato dei ministri della comunità innanzi citate nulla vieta di richiedere la collaborazione tra servizi sociali dei vari Stati dell'Europa unita. Dall'altra, non può non considerarsi che anche nel nostro sistema penitenziario nazionale può verificarsi l'ipotesi concreta di una osservazione per le più varie ragioni non eseguita senza che ciò possa impedire l'esercizio da parte del detenuto dei suoi diritti. 3.7 Neppure condivisibile si appalesa, infine, la lettura data dal tribunale dell'art. 9 della Convenzione di Strasburgo, per il giudice a quo impositiva di una sorta di intangibilità della parte di pena espiata nello Stato di condanna. Nulla di più errato. L'art. 9 infatti stabilisce esattamente il principio contrario e cioè che una volta trasferito il detenuto nello Stato al quale appartiene per cittadinanza, l'esecuzione della pena avviene nel rispetto della disciplina legislativa dello Stato di esecuzione. 4. Alla stregua di quanto sin qui argomentato, l'ordinanza impugnata merita di essere annullata, con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma affinché, in piena libertà di giudizio in ordine alla meritevolezza dell'invocato riconoscimento, applichi il seguente principio di diritto i benefici regolamentati dall'art. 54 O.P. in favore del detenuto che dia prova di partecipazione all'opera di rieducazione sono applicabili anche ai periodi di detenzione espiati in uno Stato estero della comunità Europea per fatti giudicati in quel Paese quando l'espiazione venga poi completata nello Stato italiano . P.T.M. la Corte annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al tribunale di sorveglianza di Roma.