Escludere i maltrattamenti non significa non ammettere altri reati

Il giudice dell’udienza preliminare può dare al fatto per cui si procede un nomen juris diverso, qualificandolo correttamente ed esercitando il potere di riqualificazione del fatto che connota l’esercizio della giurisdizione. Nel caso concreto, il giudice ha affermato l’esistenza di determinate condotte, che non integrano il reato di cui all’art. 572 c.p., ma che non sono tali da escludere la sussistenza dei reati di cui agli artt. 571 e 610 c.p., senza tuttavia procedere ad una diversa qualificazione del fatto.

La Cassazione, con la sentenza n. 28481/12 della VI sezione Penale, ha quindi annullato la sentenza emessa per una nuova decisione sul punto. Il caso. Il GUP di Trapani emetteva sentenza di non luogo a procedere nei confronti di tre donne, indagate per il reato di maltrattamenti nei confronti di minori ai danni di una bambina di otto anni affetta da gravi malformazioni. I fatti oggetto della decisione si sarebbero svolti presso la scuola frequentata dalla minore, dove le indagate lavoravano come insegnanti di sostegno la persona offesa sarebbe stata abbandonata da sola per lungo tempo e avrebbe compiuto atti di autolesionismo in assenza di sorveglianza inoltre, le insegnanti avrebbero, in più occasioni, costretto la bambina a mangiare con violenza, bloccandole il capo con la forza e tappandole le narici per costringerla ad aprire la bocca infine, in occasiona di tali condotte, una di loro avrebbe affermato perché non la abortivano? riferendosi alla minore. L’impugnazione. Il Procuratore Generale presso il Tribunale di Trapani impugna, quindi, la sentenza, sostenendo che vi sia stata illogicità e contraddittorietà nelle motivazioni che hanno portato ad escludere la sussistenza del reato, in particolare che non vi sia stato un affievolimento delle prove in più, il GUP avrebbe dovuto, una volta escluso il reato di maltrattamenti, perlomeno ritenere i reati di violenza privata e diffamazione, sulla base di quanto emerso in fase istruttoria. Ricostruzione dei fatti. La Cassazione, che in sostanza accoglie il ricorso del PG, rileva che in effetti la decisione del GUP non è priva di contraddizioni in riferimento ai fatti accertati. Infatti, se, da un lato, è stato acclarato che la minore non è mai stata lasciata sola in una stanza, dall’altro la sentenza riconosce che la manovra di tapparle la bocca per costringerla a mangiare sia stata invece compiuta, seppur solo in due occasioni. Con ciò il giudice di prime cure riconosce il disvalore di tale condotta, che viene appunto definita ‘episodica sopraffazione’. Riqualificazione del fatto? Sì. Alla luce di una ricostruzione dei fatti come esposta, stabilisce la S.C., il GUP avrebbe dovuto riqualificare i fatti, valutando la configurabilità di altri reati. Simile prerogativa rientra senza dubbio tra i poteri del giudice dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 423 c.p.p Infatti, spetta alla Pubblica Accusa - nell’esercizio dell’azione penale - la modificazione dell’imputazione, ma il giudice può sempre attribuire al fatto il nomen juris che ritiene corretto. Nel caso di specie, di conseguenza, il giudice, una volta esclusa la sussistenza del reato di cui all’art. 572 c.p. in assenza della reiterazione delle condotte, avrebbe dovuto comunque valutare le condotte emerse dall’istruttoria e attribuire loro un diverso nomen juris , facendo riferimento ad altra fattispecie incriminatrice. Al contrario, la sentenza impugnata risulta illogica e contraddittoria nella motivazione in punto di esclusione della configurabilità dei reati di violenza privata dato che delle condotte di sopraffazione vengono descritte e di abuso dei mezzi di correzione o disciplina laddove si è invece affermata l’esistenza di reiterati atti di violenza fisica e morale , ferma restando l’esclusione per le medesime ragioni anche del reato di maltrattamenti. Per questi motivi la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata per vizio di motivazione, con rinvio al Tribunale di Trapani per nuova deliberazione riguardo alla riqualificazione dei fatti come violenza privata ovvero abuso dei mezzi di correzione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 17 aprile – 16 luglio 2012, n. 28481 Presidente Ippolito – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Trapani ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di C.M.T., D.A. e G.A., imputate del reato di maltrattamenti nei confronti di Gr.Je., una bambina di otto anni affetta da gravi malformazioni dovute dagli esiti di una rosolia connatale, ipovedente, affetta da ipoacusia bilaterale, con forti deficit del sistema nervoso centrale e con tratti autistici. In particolare, secondo la contestazione le imputate, nell'ambito del servizio prestato presso la scuola primaria A.A. di Erice, dove la minore era affidata alle loro cure, la C. quale insegnante di sostegno, la D. quale assistente igienico sanitaria e la G. quale assistente alla comunicazione di alcuni alunni portatori di handicap, si sarebbero disinteressate della Gr. , abbandonandola per ore in una stanza e lasciando che questa si dedicasse ad atti di autolesionismo sbattendo la testa contro il pavimento e contro il muro inoltre, l'avrebbero costretta a mangiare con violenza, bloccandole il capo e le braccia e stringendole il naso per indurla ad aprire la bocca in alcuni casi, accompagnando tali condotte con considerazioni del tipo perché non l'abortivano? , pronunciate dalla C Secondo la sentenza sia la denuncia presentata da F.R., madre della minore, sia le iniziali dichiarazioni accusatorie rese da Ai.An. e da Ga.Al., la prima insegnante di religione e la seconda collaboratrice scolastica, entrambe presso la stessa scuola, che avevano riferito alla F. delle modalità con cui veniva nutrita la minore, risultano fortemente depotenziate dai risultati dell'attività di indagine e, in particolare, dalla diretta visione del dvd contenente i confronti con le imputate, nonché da quanto successivamente riferito dalle stesse Ai. e Ga., da T.M.T., logopedista della minore e dalla madre di quest'ultima, sentite tutte ai sensi dell'art. 422 c.p.p In sostanza, all'esito dell'istruttoria condotta in sede di udienza preliminare sarebbe emersa l'infondatezza dell'ipotesi accusatoria, anche per la mancanza di condotte abituali di maltrattamenti. Tutte le persone sentite, interne alla scuola, hanno escluso che le imputate abbiano utilizzato metodi violenti nei confronti della minore inoltre, è stato accertato che la Gr. non veniva lasciata sola nella stanza e che non veniva trasportata in una stanza separata dall'aula per costringerla ad ingurgitare cibo ovvero per agevolare altre condotte vessatorie il fatto di trattenere il capo e le mani della minore per alimentarla non era una condotta di maltrattamenti, ma una manovra di contenimento, necessaria per le condizioni psico-fisiche della Gr., anzi costituiva un tentativo volto a superare una alimentazione esclusivamente liquida, problema di cui la stessa madre era stata informata anche a voler ritenere del tutto fondate le dichiarazioni rese da Ai. e Ga. in ordine alla chiusura delle narici per far aprire la bocca della minore, il giudice ha escluso che potesse trattarsi di una condotta abituale diretta ad infierire e a maltrattare la bambina infine, la stessa Ai. ha precisato che la frase attribuita alla C. perché non la abortivano? sarebbe stata pronunciata durante un confronto con altre insegnanti, per cui si sarebbe trattato di una semplice opinione, senza alcun collegamento con intenti vessatori. 2. Contro questa sentenza ricorre il pubblico ministero, che deduce due distinti motivi. Innanzitutto, denuncia il vizio di motivazione, sostenendo l'illogicità e la contraddittorietà delle argomentazioni con cui il giudice, esaminate le risultanze probatorie, ha escluso la sussistenza del reato, sebbene dalle dichiarazioni di Ai. e di Ga. sia stata confermata la circostanza che la minore veniva imboccata coattivamente, tappandole il naso per costringerla ad aprire la bocca. In altri termini, contesta che vi sia stato un affievolimento delle prove a carico a seguito dell'istruttoria celebrata ai sensi dell'art. 422 c.p.p Con un altro motivo il pubblico ministero ricorrente deduce l'erronea applicazione dell'art. 572 c.p In particolare, dopo avere criticato la sentenza per avere escluso la sussistenza del reato di maltrattamenti, assume che il giudice avrebbe dovuto per lo meno ritenere i diversi reati di violenza privata continuata, per quanto riguarda le modalità con cui le imputate nutrivano la minore, e di diffamazione, con riferimento alla frase pronunciata dalla C. , trasmettendo gli atti all'ufficio del pubblico ministero. 3. Nell'interesse di C. e D. l'avvocato Vittorio Cangemi ha depositato una memoria in cui replica ai motivi contenuti nel ricorso del pubblico ministero e ne chiede il rigetto. Considerato in diritto 4. Il ricorso dei pubblico ministero è fondato nei limiti di seguito indicati. 4.1. Il G.u.p., attraverso una puntuale e completa ricostruzione degli avvenimenti, ha verificato che molte delle condotte attribuite alle imputate non si erano in realtà mai verificate ovvero non configuravano il reato ipotizzato. In particolare, è stato escluso che la piccola J. sia stata abbandonata per ore, da sola, in una stanza allo stesso modo non è risultato che la minore venisse portata in una stanza isolata per costringerla ad ingurgitare cibo o per agevolare altre condotte vessatorie la sentenza ha chiarito che la manovra con cui le venivano tenuti fermi il capo e le mani era funzionale alla sua alimentazione, per prevenire i movimenti incontrollati causati dalla sua patologia inoltre, il giudice ha ritenuto che la frase perché non la abortivano? è stata pronunciata dalla C. nell'ambito di un confronto con altre insegnanti, sicché costituiva una opinione dell'imputata senza alcun intento denigratorio nei confronti di alcuno. Si tratta di condotte che il G.u.p., in base ad una motivazione logica e coerente, basata su una corretta applicazione dell'art. 572 c.p., ha ritenuto che non potessero configurare la fattispecie di maltrattamenti, sia per la mancanza del requisito dell'abitualità, sia per l'assenza della coscienza e volontà di sottoporre la minore ad una serie di sofferenze fisiche e morali dirette ad instaurare un sistema di sopraffazioni e di vessazioni. La sentenza ha preso in considerazione anche l'operazione con cui le imputate, per costringere la minore a mangiare, le tappavano le narici per farle aprire la bocca, e in questo caso, pur riconoscendo il carattere di episodica sopraffazione , ha escluso la sussistenza del reato di cui all'art. 572 c.p. per la mancanza del requisito dell'abitualità, rilevando che l'operazione incriminata è stata eseguita in sole due occasioni. Invero, su questo ultimo punto la motivazione risulta tendenzialmente perplessa, in quanto il giudice, da un lato, sembra ritenere che la manovra della chiusura delle narici rientri nella normalità di un percorso educativo-riabilitativo alimentare della minore, dall'altro lato, in maniera contraddittoria, giustifica la mancata nomina di un perito, diretta ad accertare se tale operazione possa rientrare in un corretto percorso di alimentazione secondo la migliore scienza ed esperienza medico e pedagogica , in relazione alla insussistenza del requisito dell'abitualità proprio del reato di maltrattamenti. In questo modo il giudice, pur riconoscendo il possibile disvalore della condotta contestata alle imputate - chiusura delle narici -, ha limitato la sua verifica alla sussistenza del solo reato di cui all'art. 572 c.p., evitando di accertare se i fatti, come obbiettivamente emergenti dagli atti, integrassero altri reati. 4.2. Occorre ribadire che rientra tra i poteri del giudice dell'udienza preliminare la riqualificazione del fatto oggetto dell'imputazione, dal momento che l'esatta attribuzione del nomen iuris è strettamente connaturale all'esercizio della giurisdizione Sez. 3, 1 dicembre 2010, n. 1803, Alain . Secondo l'art. 423 c.p.p. la modifica dell'imputazione rientra nell'esercizio dell'azione penale e, quindi, è attribuita al potere - dovere del pubblico ministero non del giudice tuttavia, quest'ultimo può sempre dare al fatto una diversa qualificazione. Infatti, il giudice non può modificare il fatto oggetto dell'imputazione, ma, anche in sede di udienza preliminare, può dare al fatto il nomen juris che ritiene corretto. Il potere del giudice di qualificare correttamente il fatto, sotto il profilo giuridico, si risolve nella esatta applicazione della legge, sicché non tollera limitazioni, così come non deve essere specificamente previsto, proprio perché è un connotato dell'esercizio della giurisdizione. 4.3. Nel caso di specie, l'esclusione del reato di maltrattamenti non avrebbe dovuto esaurire il compito del G.u.p., perché dalla sua stessa ricostruzione dei fatti è emerso un contesto di condotte - quantomeno quelle relative alle modalità di alimentazione della piccola J. - in grado di configurare altre fattispecie di rilievo penale, meno gravi, che andavano comunque prese in considerazione. D'altra parte, si è visto come il G.u.p. abbia ammesso la presenza di condotte di episodica sopraffazione nei confronti di un soggetto con forti deficit psico-fisici, ma a tale constatazione non è seguita alcuna concreta valutazione sul rilievo penale delle condotte stigmatizzate, essendosi pronunciato esclusivamente sulla insussistenza del reato di maltrattamenti. In realtà il G.u.p. si è limitato ad escludere, frettolosamente, la sussistenza dei reati di lesione personale e di violenza privata, ritenendo generiche e imprecise le dichiarazioni accusatorie, giustificazione che però dimostra tutta la sua illogicità nella misura in cui, per il più grave reato di maltrattamenti, lo stesso giudice ha operato una dettagliata ricostruzione degli avvenimenti sulla base delle medesime fonti di accusa che, contraddittoriamente, non ha considerato né generiche, né imprecise. Una analoga contraddittorietà si rinviene nella motivazione della sentenza là dove esclude la configurabilità del reato di cui all'art. 571 c.p. in questo caso il G.u.p. ritiene che in presenza di condotte estrinsecantesi in reiterati atti di violenza fisica oltre che morale ” non vi sia spazio per il reato previsto dal citato art. 571 c.p. non potendovi essere alcuna finalità correttiva ed educativa. Qui, inspiegabilmente, assume consistenza il carattere reiterato degli atti di violenza, che invece viene negato decisamente nel momento in cui la sentenza prende in esame il reato di maltrattamenti. Di conseguenza, se la sentenza per escludere il reato di maltrattamenti ha negato l'abitualità delle condotte poste in essere dalle imputate, allora avrebbe dovuto riprendere in considerazione la configurabilità del reato di abuso dei mezzi di correzione in presenza di quelle episodiche sopraffazioni , cui si fa riferimento nella parte conclusiva della decisione. In sostanza, una volta escluso il ricorso sistematico ad atti di violenza vi era spazio per riconsiderare la sussistenza del reato di cui all'art. 571 c.p., proprio prendendo in esame quelle condotte di minima valenza fisica o morale, che la sentenza ha qualificato di sopraffazione , perché funzionali a superare i comportamenti oppositivi della minore durante la sua alimentazione. 5. In conclusione, la sentenza è incorsa in un vizio di motivazione là dove ha escluso, con argomentazioni illogiche, la riqualificazione dei fatti contestati nei diversi reati di violenza privata ovvero di abuso dei mezzi di correzione, in questo modo facendo anche una erronea applicazione della legge penale. Ne consegue l'annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Trapani per nuova deliberazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Trapani per nuova deliberazione.