La testimonianza indiretta del curatore è utilizzabile quale prova a carico dell’imputato

La testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da coimputati può essere utilizzata come prova a carico dell’imputato.

Il caso. Il socio accomandatario e amministratore di fatto di una società, veniva condannato, a seguito di giudizio abbreviato, per aver distrutto diritti patrimoniali sorti da convenzione di leasing su un autocarro non rinvenuto dal curatore in sede di inventario , per aver distratto giacenze di denaro per circa 120mila euro e sottratto libri contabili relativi al periodo precedente e successivo all’esercizio del 2004. Come valutare la qualità di amministratore di fatto? Nel ricorso per cassazione presentato dall’imputato, si eccepisce la carenza dei requisiti di amministratore di fatto in capo al ricorrente. La Corte di Cassazione – con la sentenza n. 24114/2012 depositata il 18 giugno – afferma che il paradigma su cui valutare la qualità di amministratore di fatto è fornito dall’art. 2639 c.c. consiste nella significatività delle funzioni esercitate e nella continuità del relativo esercizio . E, in effetti, le conclusioni dei giudici di merito sono aderenti alla previsione normativa citata. La testimonianza indiretta e la relazione del curatore sono utilizzabili in giudizio. Vi è di più, la S.C. precisa che, non soltanto la scelta del rito speciale legittima l’utilizzazione della prova testimoniale e documentale proveniente dal curatore, ma – si legge nel dispositivo - è utilizzabile, quale prova a carico dell’imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da coimputati . Il ricorso dell’imputato viene quindi rigettato dalla Corte.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 7 marzo – 18 giugno 2012, n. 24114 Presidente Ferrua – Relatore Sandrelli Ritenuto in fatto A seguito di giudizio abbreviato C G. è stato condannato dal GUP presso il Tribunale di Milano, in data 6.7.2007, quale colpevole della violazione dell'art. 223, 216 co. 1 e 2 l. fall., quale socio accomandatario ed amministratore di fatto di KING Sas., dichiarata fallita il omissis . Gli era contestata sia la condotta di distruzione dei diritti patrimoniali sorti da convenzione di leasing su autocarro MITSUBISHI, non rinvenuto dal Curatore in sede di inventario sia la distrazione di giacenze di denaro per circa 120.000 Euro dotazione finalizzata a costituire garanzia fideiussoria verso i creditori , anch'essi precedentemente allocati sui c/c societario, ma non trovati dalla procedura concorsuale sia la sottrazione dei libri contabili relativi al periodo precedente e successivo all'esercizio 2004 furono rinvenuti soltanto il libro giornale ed il registro IVA relativi a quell'anno . Avverso la condanna ha interposto ricorso la difesa del G. ed ha eccepito - l'erronea applicazione della legge penale per la carenza dei requisiti di amministratore di fatto, desunti esclusivamente dalle dichiarazioni dei coimputati e del curatore, tanto che il Giudice delegato non ha inteso dichiarare il fallimento personale del predetto, mai essendo stati evidenziati specifici atti di gestione, atti che potrebbero anche essere stati compiuti dal socio A. , dopo il recesso del G. dalla società nel 2004 - l'inosservanza della norma processuale per avere utilizzato le dichiarazioni rese l dagli imputati al curatore, come sostenuto da giurisprudenza di merito né la scelta del rito abbreviato legittima lo scrutinio della prova trattandosi di inutilizzabilità patologica. Considerato in diritto Il ricorso è infondato anche se, per alcuni aspetti, esso presenti profili di genericità al limite dell'inammissibilità, nella misura in cui ripropone censure già presenti in seno all'appello, ma non considera le motivazioni reiettive già rese dal giudice del gravame . Il paradigma su cui valutare la qualità di amministratore di fatto è fornito dall'art. 2639 cod. civ. consiste nella significatività delle funzioni esercitate e nella continuità del relativo esercizio. Orbene, le decisioni di merito hanno fondato il loro giudizio attributivo della qualità gestoria del ricorrente segnalando 1 la gestione del ramo di azienda allocato in omissis 2 la gestione in capo al G. dei comparto finanziario, quale titolare di delega sul conto corrente bancario della società presso S. Paolo/IMI agenzia di 3 la gestione delle pratiche con i clienti romeni, sia per quanto concerneva l'aspetto commerciale sia per quello burocratico. Ha corroborato questo giudizio anche la reciproca funzione svolta dal socio A. in seno ad altra società la KINGDOM Sas , ove i ruoli amministrativi era esattamente invertiti. La conclusione dei giudici di merito, considerata la rilevanza complessiva del ruolo assunto, è aderente alla previsione normativa dettata dall'art. 2639 cod. civ Ma, nel caso di specie, trattandosi di una società di persone, la situazione comporta anche l'applicazione dell'art. 2320 co. 1 cod. civ., potendosi agevolmente qualificare questo accomandante come socio ingeritosi nella conduzione sociale. Dunque anche per siffatta ragione corretta risulta l'affermazione della sua responsabilità illimitata, essendosi parificato all'accomandatario ed essendosi, conseguentemente, esposto alla medesima responsabilità verso i terzi. In questa lettura, diversamente dall'opinione del ricorrente e da risalente giurisprudenza, cfr. Cass., Sez. V, 30.9.1975, Fosca, CED Cass. 131979 , l'accomandante ingeritosi nella conduzione della società può essere chiamato a rispondere del delitto di bancarotta fraudolenta, quando il reato sia realizzato mediante taluna delle manifestazioni proprie del potere gestorio. Manifestamente infondata è la successiva doglianza. Non soltanto la scelta del rito speciale legittima l'utilizzazione della prova testimoniale e documentale proveniente dal curatore, ma - anche per il procedimento svolto nelle forme ordinarie - è utilizzabile, quale prova a carico dell'imputato, la testimonianza indiretta del curatore fallimentare sulle dichiarazioni accusatorie a lui rese da coimputati o trasfuse dallo stesso curatore nella relazione redatta ai sensi dell'art. 33 l. fall Si tratta di un indirizzo ermeneutico costante del giudice di legittimità cfr. da ultimo Cass. pen., sez. V, 18 gennaio 2011, Ced. Cass., rv. 249959 , fondato anche sulla considerazione che la relazione del curatore fallimentare diretta al giudice delegato secondo la previgente normativa, mentre il vigente art. 33 co. 5 della novata legge fall., prevede espressamente la successiva trasmissione al pubblico ministero non costituisce di per sé notizia di reato, ma documento utilizzabile in giudizio, ai sensi dell'art. 234 c.p.p., quale atto che non ha origine nel processo penale e non è ad esso finalizzato. L'assenza di ogni incombenza poliziesca in capo al curatore, preclude la possibilità di leggere nelle sue dichiarazioni o nella relazione ex art. 33 l. fall., la sostanza di un rapporto su notizie di reato. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.