Nessun limite temporale in fase esecutiva agli accertamenti dell’accusa

In tema di confisca prevista per i reati elencati all’art. 12 sexies, d.l. n. 306/1992, non sussiste violazione degli artt. 3, 11 e 12 della legge n. 146/2006, ove siano utilizzati, ai fini della predetta confisca, gli esiti degli accertamenti svolti dal Pubblico Ministero senza l’osservanza del limite temporale fissato dall’art. 430 c.p.p., atteso che tale limite si riferisce esclusivamente all’attività integrativa di indagine, finalizzata ad eventuali richieste al giudice del dibattimento, in vista della possibile adozione della confisca equivalente art. 11, l. n. 146/2006 o di una misura ablativa di cui all’art. 12 sexies d.l. 306/1992.

Lo ha stabilito la Prima sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15251, depositata il 20 aprile. La fattispecie. La pronuncia in esame prende le mosse dalla statuizione con la quale la prima sezione della Suprema Corte di Cassazione ha sostanzialmente confermato la legittimità del provvedimento di confisca di beni mobili ed immobili incluse quote di partecipazioni societarie , richiesto ed ottenuto dalla pubblica accusa, nei confronti di tre soggetti uno condannato in via definitiva per il delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, gli altri due nella qualità di terzi interessati dalla confisca . Tale decisione veniva impugnata dai ricorrenti, i quali, oltre alla violazione del principio di preclusione processuale, con specifico riguardo al divieto del ne bis in idem , denunciavano altresì l’intempestivo svolgimento degli accertamenti sui beni da confiscare, effettuati dalla competente Procura della Repubblica dopo la scadenza del termine di cui all’art. 430 c.p.p L’ipotesi atipica di confisca ex art. 12 sexies d.l. 306/1992. La confisca prevista per i reati elencati all’art. 12 sexies, d.l. 306/1992 costituisce misura ablativa, avente natura punitivo-repressiva, che va disposta, in seguito a condanna, o ad applicazione concordata della pena, per determinati reati indicati dalla stessa norma, in relazione ai beni non direttamente collegati alla commissione dei reati, più specificamente per il denaro, i beni o le altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica. In particolare, nella prassi investigativa come avvenuto pure nel caso di specie , è frequente l’adozione del sequestro preventivo ex artt. 321 e ss. c.p.p. e della confisca ex art. 12 sexies , legge n. 356/1992, eseguito contestualmente o subito dopo l'esecuzione delle misure cautelari personali, nei confronti degli indagati appartenenti ad una organizzazione di stampo mafioso. Il limite temporale dell’art. 430 c.p.p. non vale nella fase esecutiva. La sentenza de qua , nel rigettare integralmente i motivi di ricorso, effettua una importante precisazione in merito all’ambito di applicazione dell’art. 12, legge n. 146/2006. L’interpretazione letterale di tale norma impedisce infatti di estendere la limitazione temporale prevista dall’art. 430 c.p.p. alle ulteriori indagini poste in essere nella fase esecutiva dalla pubblica accusa, al fine di individuare, in modo esatto, i beni del condannato, di verificare la provenienza dei suddetti beni e di accertare la proporzionalità della consistenza e del valore di tali beni rispetto ai redditi dichiarati ed all’attività economica svolta. Peraltro, sotto il profilo eminentemente pratico, la prassi di ritardare il momento della confisca ex art. 12 sexies alla fase esecutiva, rischia di vanificare tanto l'esigenza di immediatezza dell'intervento sui patrimoni illeciti, quanto quella strettamente collegata di rendere totalmente inefficace ogni provvedimento ablativo. Ed infatti, il destinatario del provvedimento di confisca avrà tutto il tempo di compiere, anche a mezzo di interposte persone, tutte le operazioni di dispersione e/o occultamento delle proprio patrimonio, così sottraendo le proprie disponibilità al recupero delle stesse da parte dello Stato.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 7 marzo – 20 aprile 2012, numero 15251 Presidente Giordano – Relatore Cassano Ritenuto in fatto 1. Il 28 gennaio 2011 la Corte d'appello di Reggio Calabria rigettava l'opposizione proposta da G P. e, nella qualità di terzi interessati, da P.M.G.R. e M. avverso il provvedimento di confisca art. 12-sexies d.l. numero 306 del 1992 di beni immobili intestati acquistati da P. o dalla s.r.l. Pre. Ri. Co. , o intestati a P.M.G.R., a M. fratello di G. , di beni mobili, della s.r.l. Prematica amministratore unico M.G.R., moglie di G P. , nonché della quota di partecipazione di P.G. al consorzio Cogemat con sede a xxxxxx, disposto dalla medesima Autorità giudiziaria il 31 gennaio 2007 nei confronti di G P., condannato con sentenza della Corte d'appello di Reggio Calabria del 23 maggio 2003 definitiva il 2 novembre 2004 alla pena di sei anni, due mesi e venti giorni di reclusone in relazione al delitto di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Con il provvedimento opposto veniva accolta la richiesta di estensione del sequestro preventivo a beni ulteriori rispetto a quelli oggetto della precedente richiesta formulata dal Procuratore generale il 28 aprile 2007 limitata agli immobili posti in Rosarno e contraddistinti, rispettivamente, dalla part. 787 sub 1 piano terra e 787 sub 2 a f. 20 del catasto, dalla part. 756 sub 2 a f. 21, dalla part. 1107 sub 1 del f. 20, dalla part. 13 sub 15 piano terra categ. D/8 sub 47 piano terra cat. C/6 sub 48 cat. C/6 del f. 1 del catasto e veniva disposta la confisca degli ulteriori beni indicati nel decreto impugnato. La Corte, dopo avere respinto numerose eccezioni preliminari formulate dalla difesa, osservava che l’accoglimento della originaria richiesta avanzata dal Procuratore generale e di quella successivamente proposta si fondava sulla condanna definitiva di P. in ordine al delitto di cui all'art. 74 d.P.R. numero 309 del 1990, sulla intestazione fittizia alla moglie e al fratello, nonché alla s.r.l. Pre.Ri.Co dei beni, ritenuti riconducibili al condannato per interposta persona, sulla accertata sproporzione del valore dei beni stessi rispetto al reddito dichiarato negli anni da G P. detenuto ininterrottamente - salva una parentesi tra il 15 maggio 2000 e il 5 luglio 2000 - dall'8 marzo 2000 al 19 maggio 2005 , dedito in maniera stabile e duratura ad ingenti traffici di sostanze stupefacenti a partire dal 1998, nonché dalla moglie M.G.R 2. Avverso il suddetto provvedimento hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i due comuni difensori di fiducia che hanno redatto distinti atti di impugnazione, P.G., M.R., M P L'avv. Carmela Pirrottina, difensore di P.G. e M. e di M.G.R. , denuncia, anche mediante una memoria difensiva, inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e carenza della motivazione in ordine ai profili oggetto delle memorie difensive depositate nel corso del procedimento, concernenti, in particolare, la congruità tra i redditi dichiarati e/o comunque prodotti e gli esborsi sostenuti dai ricorrenti in relazione ai singoli beni, sottolineando che l'elaborato peritale a firma del dr S. ha omesso di considerare che a l'immobile posto in xxxxxx era stato acquistato all'esito dell'esercizio di un diritto di prelazione ed era stato comprato allo stesso prezzo risultante nell'atto di compravendita b per l'immobile situato in omissis , il mutuo era stato contratto con solo per l'acquisto del bene, ma anche per la sua ristrutturazione peraltro non realizzata ed era stato garantito dalla s.r.l. Fidart Calabria da ipoteca gravante sul bene e da Maria Grazia Rachele, già titolare di beni immobili c per l'immobile di R. il tecnico incaricato dal custode degli immobili sottoposti a sequestro aveva ritenuto congruo il relativo prezzo di acquisto d la difesa aveva contestato, nell'ambito delle memorie e delle note redatte dal consulente di parte dr A N. la cui audizione in contraddittorio con il perito d'ufficio veniva immotivatamente respinta , l'applicazione rigorosa degli indici Istat - non potendo gli stessi considerarsi come dati certi in assenza di indagini sul tenore di vita del nucleo familiare - e le modalità di calcolo e aveva confutato in maniera specifica l'esistenza di un rapporto di sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito e alle attività economiche dell'interessato e per l'immobile di omissis , non essendo stato il prezzo ancora pagato, era impossibile effettuare la necessaria verifica tra il reddito e i costi che, negli anni successivi, la s.r.l. Pre.Ri.Co aveva dovuto sopportare per onorare gli impegni assunti e, in ogni caso, l'utile netto di esercizio della sala giochi omissis era superiore a quello ritenuto dal perito. L'avv. Managò, anch'egli difensore di fiducia di P.G. e M. e di M.G.R. lamenta, anche mediante una memoria difensiva, violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza della preclusione processuale, che invece si configura sotto due profili. Il giudice per le indagini preliminari, all'esito del giudizio abbreviato nel cui ambito il pubblico ministero aveva chiesto la condanna dell'imputato e il sequestro e la confisca dei beni e la difesa del ricorrente aveva prodotto documentazione patrimoniale per contrastare la richiesta dell'Ufficio di Procura v. verbale di udienza , aveva deciso implicitamente, respingendola, in merito alla richiesta ablativa. Inoltre, il Tribunale di Reggio Calabria aveva respinto la richiesta di applicazione di misura di prevenzione personale e patrimoniale avanzata dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria nei confronti di G P. , prendendo in esame il procedimento penale relativo al delitto di cui all'art. 74 d.p.r. numero 309 del 1990, instaurato nei confronti del predetto, e aveva disatteso la richiesta di confisca dei beni di P. e del suo nucleo familiare con la logica conseguenza che, almeno sino all'anno 2004, l'acquisizione dei beni e delle società era da ritenersi lecito. Pertanto i giudici dovrebbe dovuto nettamente distinguere tra i beni e le società acquisiti prima dell'anno 2004 e quelli acquistati in epoca successiva. Lamenta poi illogicità della motivazione, in quanto non è stata disposta la confisca della società Pre.ri.co , mentre è stata ordinata la confisca dei beni acquistati dalla predetta società appartamento posto in via omissis e dei locali di omissis , ove è situato il omissis . Eccepisce, inoltre, violazione degli artt. 3, 11 e 12 della l. numero 146 del 2006, essendo stati utilizzati, ai fini della confisca, gli esiti degli accertamenti svolti dal pubblico ministero senza l'osservanza del limite temporale fissato dall'art. 430 c.p.p Lamenta, altresì, erronea applicazione della legge penale con riguardo alla ritenuta sussistenza di un rapporto di sproporzione tra i redditi dichiarati e le altre attività economiche svolte dai ricorrenti e gli investimenti dagli stessi realizzati, atteso che il ragionamento contenuto nei provvedimento impugnato si fonda su presunzioni o sulla valorizzazione esclusiva dell'elaborato peritale d'ufficio con totale pretermissione dei rilievi formulati dalla difesa con le memorie ritualmente depositate e della documentazione ad esse allegate, nonché delle valutazioni svolte dal custode giudiziario dott.ssa Po. e dal consulente di parte. Osserva in diritto I ricorsi non sono fondati. 1. Con riguardo al primo motivo di censura prospettato nel ricorso a firma dell'avv. Managò, il Collegio osserva quanto segue. Il principio del ne bis in idem permea l'intero ordinamento giuridico e fonda il preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e delle decisioni sull'identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità e di funzionalità connaturate al sistema. A tale divieto va, pertanto, attribuito, il ruolo di principio generale dell'ordinamento dal quale, a norma del secondo comma dell'art. 12 delle preleggi, il giudice non può prescindere quale necessario referente dell'interpretazione logico-sistematica. Il divieto di duplicazione dei processi nei confronti della stessa persona in relazione al medesimo fatto-reato non è espressamente recepito nella Carta Costituzionale anche se nei lavori dell'Assemblea costituente si discusse dell'opportunità di costituzionalizzare il divieto, ma è espressamente elevato al rango di diritto civile e politico nei più importanti documenti internazionali di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali. Si richiama, in proposito, l'art. 4, par. I del VII Protocollo alla Cedu, dove si afferma che nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una condanna definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato . Si deve, peraltro, sottolineare che nel predetto Protocollo sussistono alcune eccezioni alla portata del principio, laddove si stabilisce che il ne bis in idem non è di per sé impeditivo di una revisione in peius se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale della procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza da cui scaturisce la preclusione art. 4, par. 2 . È affermato anche dall'art. 14, par. 7 del Patto internazionale per i diritti civili e politici che, a sua volta, recita nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova pena per un reato per il quale sia già stato assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun Paese . Analoghe formulazioni, con riferimento anche ai rapporti interstatuali, sono contenute nell'art. 20 dell’I.C.C. St. e nell'art. 50 della Carta di Nizza, poi trasfuso nell'art. 11-100 della Costituzione Europea. La matrice del divieto del ne bis in idem deve essere identificata nella categoria della preclusione processuale, ben nota alla teoria generale del processo, sia civile che penale. Ancor prima di esplicarsi quale limite estremo segnato dal giudicato, la preclusione assolve la funzione di scandire i singoli passaggi della progressione del processo e di regolare i tempi e i modi dell'esercizio dei poteri delle parti e del giudice, dai quali quello sviluppo dipende, con la conseguenza che la preclusione rappresenta il presidio apprestato dall'ordinamento per assicurare la funzionalità del processo in relazione alle sue peculiari conformazioni risultanti dalle scelte del legislatore. Il processo, infatti, quale sequenza ordinata di atti, modulata secondo un preciso ordine cronologico di attività, di fasi e di gradi, è legalmente tipicizzato in conformità di determinati criteri di congruenza logica e di economicità procedimentale in vista del raggiungimento di un risultato finale, nel quale possa realizzarsi l'equilibrio tra le esigenze di giustizia, di certezza e di economia. Questa impostazione teorica, comunemente accolta anche dalla dottrina processuale penalistica, rende evidente che la preclusione costituisce un istituto coessenziale alla stessa nozione di processo, non concepibile se non come serie ordinata di atti normativamente coordinati tra toro, ciascuno dei quali - all'interno dell'unitaria fattispecie complessa a formazione successiva - è condizionato da quelli che lo hanno preceduto e condiziona, a sua volta, quelli successivi secondo precise interrelazioni funzionali. L'istituto della preclusione, attinente all'ordine pubblico processuale, è intrinsecamente qualificato dal fatto di manifestarsi in forme differenti, accomunate dal risultato di costituire un impedimento all'esercizio di un potere del giudice o delle parti in dipendenza dell'inosservanza delle modalità prescritte dalla legge processuale, o del precedente compimento di un atto incompatibile, ovvero del pregresso esercizio dello stesso potere. In quest'ultima ipotesi la preclusione è normalmente considerata quale conseguenza della consumazione del potere. Nel perimetro della preclusione-consumazione ricade, oltre all'esercizio dell'azione penale, anche il potere di ius dicere ad opera del giudice, secondo quanto costantemente affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr. Sez. Unumero 28 giugno 2005, numero 34655 Sez. Unumero 14 luglio 2004, numero 36168 Sez. Unumero 31 marzo 2004, numero 18339 Sez. Unumero 29 maggio 2002, numero 28807 Sez. Unumero 22 marzo 2000, numero 9 Sez. Unumero 19 gennaio 2000, numero I Sez. Unumero 23 febbraio 2000, numero 8 Sez. Unumero , 10 dicembre 1997, numero 17 Sez. Unumero 31 luglio 1997, numero 10 Sez. Unumero 18 giugno 1993, numero 19 Sez. Unumero 8 luglio 1994, numero II Sez. Unumero 23 novembre 1990, numero 373 Corte Cost., sent. numero 318 del 2001, numero 144 del 1999, numero 27 del 1995 . Il ne bis in idem è, quindi, finalizzato ad evitare che per lo stesso fatto Sez. Unumero , 28 giugno 2005, numero 34655 Sez. I, 21 aprile 2006, numero 19787 Sez. II, 18 aprile 2008, numero 21035 si svolgano più procedimenti e si adottino più provvedimenti anche non irrevocabili, l'uno indipendentemente dall'altro, e trova la sua espressione in rapporto alle diverse scansioni procedimentali disegnate dal legislatore. In tale contesto le deduzioni difensive sono prive di pregio. Infatti il giudice dell'esecuzione, con puntuale richiamo delle emergenze processuali, ha evidenziato che non vi è alcuna coincidenza salvo che per il bene immobile posto in xxxxxxx, part. 1107 di cui al foglio 20 del catasto tra la richiesta di confisca ex art. 12-sexies l. numero 356 del 1992 avanzata dal pubblico ministero con l'atto in data 21 novembre 2001, richiamato all'udienza preliminare del 22 novembre 2001, e il provvedimento impugnato. In secondo luogo, con spiegazione immune da vizi, ha messo in luce la circostanza che il giudice per le indagini preliminari non ha adottato, neppure implicitamente, alcuna decisione in tema di confisca e che, pertanto, in assenza di un'espressa statuizione da parte del giudice di merito, non sussistevano i presupposti per ritenere configurarle la preclusione, intesa nel senso in precedenza illustrato. 2. Alla luce dei principi in precedenza enunciati non sussiste neppure la preclusione derivante, secondo la prospettazione difensiva cfr. secondo motivo del ricorso dell'avv. Managò , dall'intervenuta decisione nell'ambito del procedimento di prevenzione instaurato nei confronti di G P. e conclusosi con il rigetto della richiesta di applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale avanzata dal Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Il provvedimento impugnato, con iter argomentativo esente da vizi logici e giuridici, ha evidenziato l'assenza di coincidenza tra il decreto adottato nell'ambito del procedimento di prevenzione e quello emesso in sede esecutiva sia sotto il profilo soggettivo atteso che al procedimento di prevenzione sono rimasti estranei la moglie e il fratello del proposto, odierni ricorrenti insieme con G P. che sotto quello oggettivo, considerata, relativamente a quest'ultimo aspetto, la parziale diversità dei beni, risultando maggiori gli investimenti, anche immobiliari, oggetto della domanda di confisca ex art. 12-sexies I. numero 356 del 1992, nel cui ambito viene in rilievo in particolare l'immobile di OMISSIS il cui valore ha fatto enormemente lievitare la sproporzione di detti investimenti rispetto alle capacità economiche lecite, accertate in capo a G P. . L'ordinanza impugnata è, inoltre, esente da censure nella parte in cui ha messo ulteriormente in luce la diversità dell'intero thema decidendum, anche alla luce delle ulteriori indagini effettuate dall'Ufficio di Procura e confluite nell'articolata richiesta formulata dalla Procura generale in sede esecutiva, nonché la non riconducibilità alla posizione di G P. , bensì a quella di Gi Pi. , delle considerazioni svolte in merito alla legittima provenienza dei beni oggetto della domanda di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale. A tale riguardo il giudice dell'esecuzione ha evidenziato che il Tribunale della prevenzione aveva ritenuto insussistente, nei confronti di G P. , il requisito della attuale pericolosità sociale e che, solo in conseguenza di ciò, non aveva proceduto al vaglio del requisito della sproporzione e della legittima provenienza dei beni riconducibili al medesimo direttamente o per interposta persona. Le considerazioni sinora svolte consentono di ritenere priva di pregio anche la censura difensiva di omessa distinzione, da parte del giudice dell'esecuzione, tra acquisizione legittima dei beni in epoca antecedente al 2004 e acquisto dei beni in data posteriore. 3. Priva di pregio è anche la dedotta violazione degli artt. 3, 11 e 12 della l. 16 marzo 2006 numero 146 di ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine transnazionale cfr. quarto motivo del ricorso a firma dell'avv. Managò . Ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 12 della l. numero 146 del 2006 il pubblico ministero può compiere, nel termine e a i fini di cui all'art. 430 del codice di procedura penale ogni attività di indagine che si renda necessaria circa i beni, il denaro o le altre utilità soggette a confisca a norma dell'art. 11 in quanto costituenti il prodotto, il profitto o il prezzo di un reato da considerare transnazionale a norma dell'art. 3 della medesima legge. Il chiaro ed univoco tenore letterale dell'art. 12 della l. 146 del 2006 consente di affermare che i limiti posti dalla norma allo svolgimento degli accertamenti da parte del pubblico ministero si riferiscono esclusivamente all'attività integrativa di indagine art. 430 c.p.p. funzionale alla formulazione delle richieste al giudice del dibattimento in vista dell'eventuale adozione della confisca per equivalente art. 11 l. numero 146 del 2006 o di una misura ablativa ex art. 12 sexies l. numero 356 del 1992. La previsione contenuta nell'art. 12 non può, quindi, trovare applicazione al di fuori del processo di cognizione e non può comportare, mediante una non consentita lettura estensiva della norma, l'introduzione di limiti allo svolgimento, in sede esecutiva, da parte del pubblico ministero di accertamenti funzionali alla esatta individuazione dei beni del condannato e alla doverosa verifica circa la provenienza dei beni di cui lo stesso disponga, anche per interposta persona, e il rapporto di proporzione rispetto ai redditi dichiarati e all'attività economica svolta. La confisca ex art. 12-sexies l. numero 356 del 1992, già positivamente scrutinata dal giudice delle leggi Corte cost., ordinanza 29 gennaio 1996, numero 18 ha inteso inserire nel sistema processuale una misura di sicurezza atipica che, sulla base di predeterminati presupposti, aggredisce entità patrimoniali, evocando una presunzione relativa d'ingiustificata locupletazione, rispetto alla quale la tutela del bene-patrimonio si affievolisce nel bilanciamento di valori che privilegiano esigenze di soddisfacimento di istanze diffuse, tese all'espropriazione di beni sottratti in maniera illecita alla collettività, cui vanno restituiti, salvo giustificazione, una volta eliminata con la condanna l'apparenza della disponibilità legittima Sez. Unumero 30.5.2001, numero 29022 . Il correlativo diritto di difesa non va inteso in senso assoluto, ma va modulato secondo l'oggetto del procedimento, essendo indubitabile la differenza ontologica insita tra l'accertamento della colpevolezza e l'applicazione di una misura di sicurezza patrimoniale. Il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove ha argomentato l'inapplicabilità dell'art. 12 della l. numero 146 del 2006 al caso in esame, in cui gli accertamenti sono stati svolti in sede esecutiva dopo il passaggio in giudicato 2 novembre 2004 della sentenza pronunziata dalla Corte d'appello di Reggio Calabria nei confronti di G P., imputato del delitto di associazione a delinquere finalizzata a traffici di sostanze stupefacenti art. 74 d.P.R. numero 309 del 1990 . 4.Parimenti infondate sono sia le ulteriore doglianze difensive contenute nel ricorso a firma dell'avv. Managò che quelle sviluppate nell'atto di ricorso a firma dell'avv. Pirrottina e nelle rispettive memorie difensive. Il giudice dell'esecuzione è pervenuto alla decisione di respingere l'opposizione al decreto di confisca in base ad un ben articolato percorso argomentativo, che lungi dal valorizzare esclusivamente le risultanze le indagini svolte dall'ufficio del pubblico ministero e l'elaborato peritale a firma del Dott. S. , univocamente indicativi della sproporzione esistente tra il reddito dichiarato da G P. e dai suoi familiari ed il valore dei beni oggetto della richiesta di confisca, ha valutato attentamente i molteplici rilievi difensivi e la documentazione di parte prodotta. In tale ottica, con argomentazione immune da vizi logici e giuridici, ha spiegato le ragioni per le quali non poteva tenersi conto, per ritenere giustificata la provenienza dei beni o delle altre utilità, dell'attività economica svolta da Pretti nel settore dei videogiochi e non documentata in modo obiettivo e incontrovertibile Sez. Unumero 17.12.2003, numero 920 e in presenza di una illiceità originaria del comportamento che continuava a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca Sez. VI, 27.5.2003 numero 36762 Sez. V, 5 maggio 2000, numero 3203 Sez. VI, 22 marzo 1999, numero 950 Sez. II, 6.5.1999, numero 2181 . Il giudice dell'esecuzione ha, inoltre, spiegato le ragioni per le quali, pure alla luce dei rilievi difensivi e della documentazione prodotta dalle parti, le conclusioni dell'articolato e completo elaborato peritale del Dott. S. devono ritenersi del tutto appaganti e logiche, tenuto conto della metodologia seguita stima dei beni immobili e delle partecipazioni societarie e alle aziende acquisiti da P.G. e M. e M.G.R. a far data dal 1988 ricostruzione degli investimenti effettuati dalla s.r.l. Pre.Ri.Co , dalla s.a.s. Pierre e dalla s.r.l. Prematica sin dalla fase delle rispettive costituzioni, avvenute nel 1997, nel 1993, nel 2006 puntuale analisi, da parte del perito d'ufficio, della perizia tecnico-contabile di parte a firma del dott. N. , delle relazioni del custodie giudiziario, Dott. Gi Po. , delle dichiarazioni dei redditi del P. , della R. , della s.r.l. Pre.Ri.Co , dei coniugi P.M. e D F. , delle informazioni reddituali acquisite presso i competenti uffici . Il giudice dell'esecuzione ha, inoltre, sottolineato il rigore del metodo seguito dal perito che, per gli anni in esame, ha dato conto dei redditi prodotti dai singoli soggetti, dei redditi d'impresa e dei redditi di partecipazione in società di persone, degli oneri deducibili quote di muto e contributi previdenziali , dell'imposta netta, del reddito effettivamente spendibile, e ha preso in debita considerazione le osservazioni difensive alla luce delle quali ha tenuto conto degli utili societari non distribuiti della s.r.l. Pre.Ri.Co , sommando tali utili ai redditi personali dei soggetti interessati dall'accertamento. L'ordinanza impugnata ha, poi, messo in luce il fatto che il perito ha valutato i finanziamenti di terzi per mutui o per affidamento di conto corrente, i relativi costi e i successivi rientri, passando quindi alla vantazione dell'importo necessario per il sostentamento della famiglia P. , composta da due percettori di reddito G P. e la moglie, M.G.R. e da tre figli a carico e attingendo, al pari del consulente di parte, ai dati Istat. Contrariamente all'assunto difensivo, il provvedimento censurato ha puntualmente ricostruito tutte le vicende relative a all'acquisto, da parte di G P., immobile posto in omissis e all'accensione del mutuo b all'acquisto, ad opera della R., dell'immobile di Ricadi peraltro non oggetto di confisca , le cui vicende sono state motivamente ritenute rilevanti ai fini della delineazione del modus operandi c alla compravendita dell'immobile di omissis , acquistato dalla R. , la cui parte locataria, il 22 marzo 2004, effettuava in favore della minorenne M P. , figlia di G. , la donazione di un immobile con relative pertinenze, posto in omissis , simulante un vero e proprio atto di investimento della famiglia P. d all'acquisto, da parte della s.r.l. Pre.Ri.Co , dell'immobile di omissis in cui era situata l'azienda omissis , alle modalità del relativo prezzo, all'accensione del mutuo assistito da ipoteca su detto immobile, nonché alla correlate vicende societarie con conseguente distribuzione delle cariche, agli investimenti effettuati in attrezzature e arredi, ai bilanci di esercizio della omissis . Dopo tale complessa analisi, il giudice dell'esecuzione, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha osservato che tali cospicui investimenti non trovavano, pur tenendo conto di tutti i rilievi difensivi, un'obiettiva giustificazione nella situazione reddituale dei soggetti controllati e che esisteva un'obiettiva sproporzione tra il valore dei suddetti beni e i redditi dichiarati dai ricorrenti. Ha, infine, argomentato che non era ravvisabile alcuna contraddittorietà riconducibile al fatto che la confisca non ha riguardato la s.r.l. Pro.Ri.Co , costituita nel 1997, atteso che la misura reale ha piuttosto colpito i maggiori investimenti dalla stessa operati acquisto dell'immobile di OMISSIS e dell'attrezzatura del omissis e acquisto dell'immobile posto in omissis , trattandosi di un'entità economica direttamente riconducibile a G P. . Sulla base di quanto sin qui esposto è agevole rilevare che le prospettazioni difensive in ordine a pretese carenze argomentative dell'ordinanza impugnata si risolvono, in definitiva, in una sostanziale rilettura degli elementi di fatto, condotta in base a dati ritenuti motivatamente poco attendibili dal giudice dell'esecuzione, che risulta preclusa in sede di legittimità e sono volte a sollecitare una non consentita diversa lettura delle emergenze processuali in presenza di un complessivo apparato argomentativo sorretto da una completa, solida e coerente motivazione, fondata sulla scrupolosa analisi di tutto il materiale acquisito anche su iniziativa di parte e sulla confutazione dei rilievi formulati dagli opponenti. Al rigetto dei ricorsi consegue di diritto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.