Utilizzabili i prelievi ematici anche senza il consenso dell’imputato per l’accertamento dello stato di ebbrezza

Sono utilizzabili i risultati dei prelievi ematici effettuati durante il ricovero ospedaliero per la prova della guida in stato di ebbrezza, effettuati durante il ricovero a seguito di incidente stradale in una struttura pubblica, anche se raccolti senza il consenso dell’imputato, trattandosi di documentazione medica da considerarsi elemento di prova sul quale il Giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento.

Il caso. L’imputato veniva ricoverato, a seguito di incidente stradale, presso un nosocomio. Durante la degenza all’imputato venivano effettuati prelievi ematici, nell’ambito di attività di carattere terapeutico, che evidenziavano fra gli altri dati la presenza di tasso alcol emico pari a 3,21 g/l. A seguito del predetto sinistro veniva emesso decreto penale di condanna che ritualmente opposto dava origine alla celebrazione di rito abbreviato all’esito del quale l’imputato veniva condannato per la violazione del disposto dell’art. 186, lett. c , c.d.s. guida in stato di ebbrezza . Avverso la decisione l’imputato frapponeva appello, ma la Corte adita confermava la pronuncia di condanna. L’imputato proponeva ricorso per Cassazione lagnandosi in ordine alla utilizzazione da parte dei giudici di primo e secondo grado dei risultati provenienti da esami ematici effettuati senza il consenso dell’imputato. La Corte rigettava il ricorso. La sentenza in commento si pone nell’alveo, ben definito da tempo, delle precedenti pronunce che hanno sempre ritenuto utilizzabili i dati ematici ottenuti da prelievi effettuati da strutture mediche ritenendoli e valutandoli alla stregua di prove documentali, per l’utilizzo delle quali non è prevista la richiesta di alcun consenso fra le tante si vedano Cass., Sez. IV, n. 1827/2009 e n. 4118/2008 . Fin qui dunque niente di nuovo. Ma leggendo attentamente la motivazione della sentenza traspare un elemento di novità che appare meritevole di attenzione. L’onere di eccepire l’inutilizzabilità. La Corte, subito dopo aver ribadito che la sentenza resa può dirsi figlia di giurisprudenza consolidata testualmente afferma tanto più in sede di giudizio abbreviato e dopo un’opposizione a decreto penale, nel corpo della quale nessuna eccezione di invalidità degli atti è stata formulata . Dunque la Corte, pur riconoscendo la validità della propria giurisprudenza consolidata, rileva che, in difetto di qualsiasi doglianza da parte dell’imputato il Giudice ha il diritto dovere di valutare ogni prova che gli sia posta a disposizione, tanto più in giudizio quale il rito abbreviato che si fonda proprio sul consenso fornito dall’imputato all’utilizzazione degli atti raccolti. L’utilizzabilità degli atti in abbreviato. La Corte di Cassazione partendo da questo presupposto indica gli atti riferiti al prelievo ematico quali perfettamente utilizzabili. Ritenendoli, posta l’assenza di doglianza in punto formulata da parte del difensore o dell’imputato, non affetti da inutilizzabilità patologica, unica che avrebbe consentito-obbligato il Giudice a non tenerne in considerazione il contenuto. Per dichiararli non affetti da inutilizzabilità patologica, la Corte si impegna in una ricostruzione apprezzabile che prende le mosse dal disposto dell’art. 224, comma 2, c.p.p., dettato in tema di perizia per come interpretato dalla Corte Costituzionale con la pronuncia n. 238/1996, facendo leva proprio sulla motivazione del provvedimento citato che, facendo espresso riferimento al dettato degli artt. 186 e 187 c.d.s. in relazione al rifiuto di sottoporsi ad esami clinici, ne evidenziava la disciplina specifica che, non intervenendo coattivamente sull’indagato ne sanzionava il rifiuto attraverso l’applicazione di un’autonoma e differente sanzione . Richiamando poi, ad abundatiam , il disposto del novellato art. 224- bis c.p.p. che, a dire della Corte, avrebbe posto rimedio alla carenza legislativa denunciata dal Giudice delle Leggi. Uno spazio per una diversa interpretazione? Quid juris se l'imputato si fosse lagnato dell'utilizzabilità degli atti richiedendo al giudice di prime cure di dichiarare la documentazione medica prodotta inutilizzabile? Ovvero, era possibile sostenere che la documentazione medica prodotta fosse da dichiarasi inutilizzabile perché raccolta in violazione di legge o senza curarsi delle garanzie difensive attribuite all'imputato? Se per esempio si fosse eccepito che la documentazione medica acquisita senza consenso dell'imputato contenente dati tecnici destinati a far prova contro l'imputato senza che questi avesse consentito al loro utilizzo, costituisse violazione della libertà personale o morale del medesimo nonché patente lesione del principio nemo tenetur se detegere , tempestivamente non potendosi, ed in ciò la visione della Corte pare assolutamente condivisibile, ritenere patologica l'inutilizzabilità inerente gli atti, la risposta sarebbe stata diversa? Difficile affermarlo con certezza, ma quell'inciso, intrigante, relativo all'omessa tempestiva eccezione di inutilizzabilità da effettuarsi, tempestivamente, sin dal primo atto difensivo, ovvero con la formulazione dell'opposizione al decreto penale di condanna emerso, pare lasciare spazio ad una tesi difensiva che faccia leva sulla necessità di trasformare le garanzie per l'imputato da formali in sostanziali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 21 dicembre 2011 - 1° marzo 2012, n. 8041 Presidente Sirena – Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3/12/2009 il G.I.P. del Tribunale di Brescia, in sede di rito abbreviato, condannava P.P. per il reato di cui all'art. 186 lett. c C.d.S. per guida in stato di ebbrezza di un'auto Golf, con tasso alcolemico rilevato di 3,21 g/l acc. in OMISSIS . Con sentenza del 12/1/2011 la Corte di Appello di Brescia confermava la pronuncia di condanna. Osservava la Corte distrettuale che la responsabilità dell'imputato emergeva chiara dalla analisi ematica svolta da cui risultava il suo elevato tasso alcolemico. Quanto alla legittimità delle analisi essere erano state svolte in occasione di esami clinici ospedalieri per finalità terapeutiche, dopo il grave incidente che aveva provocato, pertanto era irrilevante la presenza o meno del consenso dell'interessato. 2. Avverso l'ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'indagato lamentando 2.1. La violazione di legge per avere il giudice di merito fatto uso di un esame ematico svolto senza il consenso dell'interessato. La stessa penalizzazione del rifiuto fa desumere la necessità di un preventivo consenso all'atto. Inoltre gli accertamenti ospedalieri sono consentiti nel caso in cui il paziente versi in stato di incoscienza prima di allora gli esami sono consentiti solo previo consenso informato. 2.2. La illogicità della motivazione, laddove la corte di merito aveva affermato che il prelievo ematico era stato effettuato per finalità terapeutiche, mentre nella stessa sentenza si era affermato che vie era stata una esplicita richiesta in tal senso della P.G Considerato in diritto 3.1 motivi di censura sono infondati e pertanto il ricorso deve essere rigettato. 3.1. Questa Corte di legittimità, con giurisprudenza consolidata, ha avuto modo di statuire che I risultati del prelievo ematico, effettuato durante il ricovero presso una struttura ospedaliera pubblica a seguito di incidente stradale, sono utilizzabili nei confronti dell'imputato per l'accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica e restando irrilevante, ai fini dell'utilizzabilità processuale, la mancanza del consenso Cass. Sez. 4, Sentenza n. 1827 del 04/11/2009 Ud. dep. 15/01/2010 , Rv. 245997 Cass. Sez. 4, Sentenza n. 4118 del 09/12/2008 Ud. dep. 28/01/2009 , Rv. 242834 . Pertanto l'accertamento medico attestante il tasso alcolemico del P. , proveniente dall'Ospedale di OMISSIS , integra un elemento di prova che legittimamente può fondare il convincimento del giudice, tanto più in sede di giudizio abbreviato e dopo un'opposizione a decreto penale, nel corpo della quale nessuna eccezione di invalidità degli atti è stata formulata. 3.2. Né può sostenersi che il difetto di consenso al prelievo del campione costituisca una causa di inutilizzabilità patologica dell'accertamento compiuto, facendo appello a principi di natura costituzionale. In particolare, non appaiono violati i principi affermati con la sentenza della Corte Costituzionale 238/1996, la quale ha dichiarato l'illegittimità dell’art. 224, co. 2, c.p.p. nella parte in cui consente che il giudice, nell'ambito delle operazioni peritali, disponga misure che comunque incidano sulla libertà personale dell'indagato o dell'imputato o di terzi, al di fuori di quelle specificamente previste nei casi e nei modi dalla legge . Principio a maggior ragione da valere anche per gli atti di indagine. Va osservato che la Corte Costituzionale, è giunta alla pronuncia di illegittimità per arginare l'utilizzo di provvedimenti coercitivi atipici, astrattamente riconducibili alla nozione di provvedimenti . necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali , senza che fosse prevista alcuna distinzione tra quelli incidenti e quelli non incidenti sulla libertà personale, così cumulandoli in una disciplina, connotata da assoluta genericità di formulazione e totale carenza di ogni specificazione dei casi e dei modi in presenza dei quali soltanto poteva ritenersi legittima l'esecuzione coattiva di accertamenti peritali mediante l'adozione, a discrezione del giudice, di misure restrittive della libertà personale. Carenza normativa a cui, peraltro, di recente il legislatore ha posto riparo con l'introduzione dell'art. 224 bis c.p.p Invero, la stessa Corte, nella motivazione della sentenza, nel momento in cui censurava la genericità della disciplina del rito penale, ha segnalato come invece, in un diverso contesto, che è quello del nuovo codice della strada artt. 186 e 187 , il legislatore - operando specificamente il bilanciamento tra l'esigenza probatoria di accertamento del reato e la garanzia costituzionale della libertà personale - abbia dettato una disciplina specifica e settoriale dell'accertamento sulla persona del conducente in apparente stato di ebbrezza alcoolica o di assunzione di sostanze stupefacenti della concentrazione di alcool nell'aria alveolare espirata e del prelievo di campioni di liquidi biologici, prevedendo bensì in entrambi i casi la possibilità del rifiuto dell'accertamento, ma con la comminatoria di una sanzione penale per tale indisponibilità dei conducente ad offrirsi e cooperare all'acquisizione probatoria disciplina - questa - la cui illegittimità costituzionale è stata recentemente esclusa da questa Corte sentenza n. 194 del 1996, citata proprio denegando, tra l'altro, la denunziata venerazione dell'art. 13, secondo comma, della Costituzione atteso che la dettagliata normativa di tale accertamento non consente neppure di ipotizzare la violazione della riserva di legge . Ne consegue che lo stesso giudice delle leggi ha riconosciuto, nelle due pronunce sopra riportate, la legittimità della disciplina del codice della strada, anche laddove nell’indicare le modalità degli accertamenti tecnici per rilevare lo stato di ebbrezza, non prevede alcun preventivo consenso dell'interessato al prelievo dei campioni. Ciò che può essere opposto è il rifiuto al controllo ma la stessa sanzione penale che accompagna tale condotta, sancendone il disvalore, risulta incompatibile con la pretesa di un esplicito consenso al prelievo dei campioni. Nel caso di specie, detto prelievo è stato effettuato nel rispetto delle norme vigenti all'epoca dei fatti dopo la riforma introdotta dal D.L. 151/03, conv. in L. 214/03 , ai sensi del 5 comma dell'art. 186 C.d.S., legittimamente presso il presidio ospedaliero in cui era stato portato per controlli medici il P. . Per quanto detto, le censure di inutilizzabilità degli accertamenti ospedalieri in relazione alla positività all'alcool dell'imputato sono infondate. Al rigetto segue, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.