Operata da un falso dentista, lesioni non colpose. Possibile il dolo eventuale

Due anni di cure per una donna, ma gli effetti sono negativi malattia e indebolimento dell’organo della masticazione. Il finto medico si salva sia in primo che in secondo grado, ma ora la questione si riapre, con un aggravamento della sua responsabilità.

Lesioni colpose o dolose? Per il dentista irregolare, che interviene più volte sulla paziente, procurandole conseguenze anche gravi, è possibile sostenere l’elemento del dolo, anche eventuale. La pronuncia della Cassazione – sentenza numero 48074/2011, Quinta sezione Penale, depositata il 22 dicembre – fornisce un riferimento importante, approfondendo un tema, quello dei finti medici, sempre più d’attualità. Studio dentistico con sorpresa. L’incredibile disavventura di una donna merita di essere raccontata. Tutto comincia, in maniera banale, dalla necessità di alcune cure dentistiche, passaggio successivo è il contattare uno studio. All’interno della struttura, però, opera una persona che si spaccia per medico e invece è assolutamente privo del titolo professionale e che, purtroppo, prende in cura – per modo di dire – la donna. Risultati? Dopo diversi interventi, eseguiti in un arco temporale di due anni, per la paziente ci cono conseguenze poco piacevoli quella più lieve è una malattia durata oltre 40 giorni quella più grave è un indebolimento permanente dell’organo della masticazione . Il peso lieve della colpa? Eppure, nonostante questa chiara ricostruzione della vicenda, il sedicente medico si salva, sia in primo che secondo grado la pronuncia è di non doversi procedere per la tardività della querela. Tutto ciò perché l’accusa originaria viene modificata, e legata a quella di lesioni colpose. Ma la pronuncia non è considerata accettabile né dalla donna né dal Procuratore Generale. Ecco spiegato il ricorso per cassazione, finalizzato a meglio inquadrare la responsabilità del finto dentista, che, peraltro, è già stato condannato per esercizio abusivo della professione . Tornando a bomba, i ricorrenti mettono in evidenza, innanzitutto, che gli interventi sono stati compiuti in assenza del consenso informato e con violazione delle leges artis e che è da escludere l’applicabilità della scriminante riconosciuta agli esercenti l’attività sanitaria , perché il sedicente medico si è letteralmente avventurato in una serie di interventi senza le necessarie cognizioni tecniche . Ciò significa, sempre secondo i ricorrenti, che le lesioni patite dalla donna debbono essere valutate come dolose. Eventualmente dolo. Alla valutazione dei giudici della Cassazione, quindi, viene proposta una vicenda che, come detto – e come testimoniano spesso i media –, non pare straordinaria. Affidarsi a un medico e poi scoprire che in realtà non ha né titolo professionale né competenze, difatti, non è rarissimo Per questo, i giudici di piazza Cavour fanno subito chiarezza la giustificazione, rispetto ad effetti negativi dell’operato medico-chirurgico, ha senso solo se la condotta è rivolta a curare ed a rimuovere un male e se essa è preceduta dalla condicio sine qua non del consenso informato . Ebbene, entrambi questi elementi mancano, in questa vicenda. Per quanto concerne il consenso informato, difatti, alla donna era stato assicurato che il trattamento sarebbe stato eseguito dalla titolare dello studio medico . E per quanto concerne la ‘giustificazione’ dell’operato, non è certo sufficiente che il finto medico sia sorretto dalla convinzione di evitare ogni danno alla paziente . Altrimenti, seguendo questa visione – prospettata sia in primo che in secondo grado –, si rischierebbe di consentire l’esercizio di attività medico-chirurgiche a soggetti privi dell’abilitazione professionale, in ragione della finalità terapeutica da cui gli stessi sono mossi . Di conseguenza, è errato valutare il reato come colposo , piuttosto – concludono i giudici, accogliendo il ricorso e riaffidando la questione alla Corte d’Appello – è legittimo ipotizzare che il dolo, anche nella forma cosiddetta eventuale , nella condotta tenuta dal falso dentista.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 ottobre – 22 dicembre 2011, numero 48074 Presidente Grassi – Relatore amato Motivi della decisione Il tribunale di Milano dichiarava numero d.p. nei confronti di P.T. in ordine al delitto di cui agli art. 586 e 589 c.p., così modificata l’imputazione ex art. 582 – 583, numero 1 e 2 c.p., per la tardività della querela. La corte d’appello, sul gravame del PM e della p. civ., confermava. È stato accertato dai giudici di merito che la p.o. P. L. si rivolse allo studio dentistico di G. K., separatamente giudicata, ove prestava la sua opera l’imputato, sedicente medico, privo del titolo professionale, sottoponendosi nell’arco di due anni ad una serie di interventi estrazione denti arcata superiore ed alcuni di quella inferiore, sedute di implantologia, ecc. con esito infausto, da cui derivava malattia di durata superiore a gg. 40 ed indebolimento permanente dell’organo della masticazione. - Ricorrono PG e PC, deducendo violazione di legge. L’imputato assume la Pubblica Accusa è già stato condannato per esercizio abusivo della professione. Gli interventi sulla P. sono stati compiuti in assenza del consenso informato e con violazione della leges artis. L’esito infausto che ne è sortito esclude l’applicabilità della scriminante riconosciuta agli esercenti l’attività sanitaria, sulla scorta della radicale incompatibilità fra l’attività terapeutica e il delitto di lesioni personali S.U. 18.12.08, numero 2437, Giulini . Le lesioni patite dalla p.l. vanno ascritte al prevenuto a titolo di dolo. - Non diversamente, la parte civile evidenzia che il gip che ha giudicato la G. ha ravvisato il dolo, poiché la copertura costituzionale dell’art. 32 Cost., garantita agli esercenti l’attività sanitaria, opera solo per le condotte istituzionalmente volte a soddisfare le finalità terapeutiche, mentre l’imputato, già condannato per il reato di cui all’art. 348 c.p., si è avventurato in una lunga e complessa serie di lavori di implantologia”, pur privo delle necessarie cognizioni tecniche, malgrado la patologia acuta ed ingravescente della p.o. - I ricorsi sono fondati. I principi che regolano la materia sono rinvenibili nella pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte del 18.12.08, numero 2437, ric. G., che costituisce il punto di approdo di una lunga e complessa elaborazione giurisprudenziale Non integra il reato di lesione personale, né quello di violenza privata la condotta del medico che sottoponga il paziente ad un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato, nel caso in cui l’intervento, eseguito nel rispetto dei protocolli e delle leges artis, si sia concluso con esito fausto, essendo da esso derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute del paziente, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte dello stesso”. Requisiti indefettibili della causa di giustificazione concernente l’attività medico chirurgica sono tanto la condotta istituzionalmente” rivolta a curare ed a rimuovere un male, quanto il consenso informato del paziente. Entrambi difettano nella specie, secondo quanto pacificamente acclarato nella sede del merito. L’imputato ha svolto abusivamente la professione medica, sicché gli interventi sulla P. gli erano preclusi. Né la scriminante in parola può essergli riconosciuta per il solo fatto di essere intervenuto”chirurgicamente”, non essendo l’intervento assistito dal titolo di abilitazione, condizione necessaria di legittimazione dello stesso. È un fuor d’opera, pertanto, invocare il difetto di tipicità della condotta o scriminante dell’attività medico-chirurgica, posto che l’imputato difettava della qualifica professionale postulata dalla suddetta causa di giustificazione. -Viziato è, poi, il consenso prestato dalla P., cui era stato assicurato che il trattamento di cui necessitava sarebbe stato eseguito dalla titolare dello studio medico, dottoressa G. - Non può convenirsi, infine, sull’assunto della corte territoriale secondo cui non sussiste nella specie il dolo integrante il reato di lesioni volontarie, neppure nella forma eventuale, dal momento che l’imputato non volle la malattia, né agì anche a costo di cagionarla, essendo sorretto dalla convinzione di evitare ogni danno alla paziente. La prospettazione va disattesa sia perché errata, sia perché sfornita di adeguata motivazione, nella misura in cui sembra consentire l’esercizio di attività medico-chirurgiche a soggetti privi dell’abilitazione professionale, in ragione della finalità terapeutica da cui gli stessi sono mossi. In primo luogo va chiarito che prevale nettamente in giurisprudenza l’opinione secondo cui l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 582 c.p. è costituito dal dolo generico, ossia dalla coscienza e volontà di colpire taluno con violenza, di infliggere ad altri una violenta manomissione, non essendo necessario che la volontà dell’agente sia volta alla produzione di conseguenze lesive. L’esito infausto, la lunghezza del trattamento, la dissimulazione della mancanza della qualifica professionale, la delicatezza e l’invasività degli interventi praticati sulla paziente, soverchiano largamente la sicumera” del P., accreditato immotivatamente dai giudici di merito della piena convinzione” di evitare danni alla P., senza precisazione alcuna del quadro clinico, delle difficoltà del caso e del grado di esperienza e di abilità” sul quale il prevenuto faceva affidamento temerario. Errata appare la decisione impugnata laddove riconosce la natura colposa del reato, essendo state trascurate le molteplici e ineludibili circostanze di fatto emerse, suscettibili di indiziare il dolo che sorregge la condotta del P. nella forma c.d. eventuale. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano per nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della corte d’appello di Milano per nuovo giudizio.