Amministratori e lavoratori, i soldi presi con la società in stato di insolvenza, senza autorizzazione e in maniera occasionale non sono compensi

Insufficiente il richiamo ad un'attività manuale prestata, se mancano ben altri elementi utili ad attestare la qualificazione come compenso. Il prelievo delle mogli, socie accomandanti, è un'aggravante.

Compensi per l'attività di amministratore o distrazione di somme? La prima ipotesi non è plausibile quando i prelievi sono stati effettuati con la società già in stato di insolvenza, senza autorizzazione degli organi sociali, e senza una cadenza regolare. Eppoi, il fatto che siano state coinvolte anche le socie accomandanti - mogli dei soci accomandatari e amministratori - è una aggravante, non avendo alcun titolo a percepire compensi. Carta canta. Oltre 420milioni di lire. Questa la cifra che gli amministratori di una società in accomandita semplice dichiarata fallita pare abbiano tratto a proprio favore. Ad attestarlo ci sono le scritture contabili. E questo elemento è sufficiente per arrivare alla condanna, in primo e in secondo grado, dei due soci accomandatari e amministratori e delle due socie accomandanti. Tesi difensiva, ovvero somme prelevate a titolo di compenso, completamente rigettata. Norme in ballo Tuttavia, la stessa visione viene riproposta anche in Cassazione. A proporre ricorso, ovviamente, i soci accomandatari e le socie accomandanti. Due gli elementi centrali, per i ricorrenti, ovvero la contestazione dei requisiti della società per la dichiarazione di fallimento - in base alla nuova normativa - e la rivendicazione di quella somma come compensi effettivi per un'attività caratterizzata addirittura da lavoro manuale. e giurisprudenza contrastante. La valutazione affidata ai giudici della Suprema Corte è complessa, anche alla luce dei precedenti giurisprudenziali, ma, alla fine della fiera, la decisione è negativa per i ricorrenti. Per quanto concerne la possibilità di dichiarare fallita la società 'incriminata', il richiamo è a un pronunciamento delle Sezioni Unite Penali, con cui si è stabilito che i fatti di bancarotta continuano ad essere previsti come reato anche se in base alla nuova normativa l'imprenditore non possa più essere dichiarato fallito . Anche perché il disvalore della condotta non è venuta meno con la nuova normativa, essendosi il legislatore limitato a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrice penale . Sul secondo fronte, quello dei compensi, pur in presenza di diverse valutazioni giurisprudenziali, la posizione dei giudici è netta non risulta che i compensi siano stati determinati ed autorizzati dagli organi sociali e perché i prelievi sono stati effettuati quando la società versava già in stato di insolvenza, ma principalmente perché i giudici di merito hanno escluso che le somme prelevate potessero essere considerate compensi per l'attività prestata dagli amministratori a favore della società. Ciò perché i prelievi non hanno una cadenza regolare, non sono stati di eguale ammontare e sono stati effettuati anche dalle socie accomandanti, che non avevano alcun titolo per percepire compensi . Logico, consequenziale e scontato il rigetto del ricorso, e la conferma della condanna pronunciata in Appello.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 settembre 8 novembre 2011, n. 40324 Presidente Relatore Marasca Fatto e diritto C. G. e C.B. nella loro qualità di soci accomandatari ed amministratori, e P. R. e C. M., nella loro qualità di soci accomandanti, sono stati condannati in entrambi i gradi di merito --sentenze emesse dal tribunale di Ragusa il 17 luglio 2001 e dalla corte di Appello di Catania il 13 otto ore 2009-• alle pene. principale ed accessorie. ritenute di giustizia in relazione al fallimento della Co.Mo. Ter sas dichiarato dal tribunale di Ragusa il 6 luglio 1998 per avere distratto la somma di L.421.961.000, come risulta dalle scritture contabili. I giudici del merito disattendevano la tesi difensiva. secondo al quale le somme erano state prelevate a titolo di compenso, non essendovi elementi per ritenere che effettivamente si trattasse di compenso per l'attività di amministratore espletata. Con il ricorso per cassazione i ricorrenti deducevano 1 la violazione dell' art. 216 della la legge fallimentare in relazione all'art. 1 del decreto legge 9 gennaio 2006 n. 4 non tossendo la società i requisiti per essere dichiarata fallita alla luce della nuova normativa 2 la violazione di legge in relazione al citato artt. 216 ed il vizio di motivazione sul punto perché i due Cm erano amministratori ed effettuavano anche lavoro manuale e, quindi, pienamente legittime, oltre che congrue, erano le somme prelevate a titolo di compenso le somme prelevate dalle due donne erano state ritirate nell'interesse e per conto dei mariti amministratori 3 la prescrizione del reato commesso dalla P. e dalla C. perché il prelievo venne effettuato negli anni 1992-1993 e dei fatti commessi dagli altri due imputati fino a tutto il 1997. I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da C. G., C. B P. R. C.M. sono infondati. E', infatti. infondato il primo motivo di impugnazione e ciò a prescindere dal fatto se effettivamente i C. siano o meno nelle condizioni richieste dal nuovo testo legislativo per essere dichiarati falliti. La questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione può così essere sintetizzata se i fatti di bancarotta, e la relativa dichiarazione di fallimento. commessi prima della entrata in vigore del decreto legislativo n. 5 dei 2006 e del successivo decreto legislativo n 169 .lei 2000, che hanno modifìcato i requisiti perche l'imprenditore sia assoggettabile a fàllimento, continuino ad essere previsti come reato anche se in base alla nuova normativa l 'imprenditore non potrebbe più essere dichiarato fallito perchè piccolo imprenditore. La Suprema Corte aveva dato luogo ad un contrasto di giurisprudenza Cass. Sez. V penale n. 2083 del 18 ottobre 2007 aveva optato per una risposta negativa al quesito, non essendo suscettibile la modifica dell'articolo l della nuova legge fallimentare di meccanica trasposizione nelle dinamiche della successione di leggi penali. mentre Cass. Sez. V penale 20 marzo 2007 aveva dato una risposta affermativa al quesito proposto, sostenendo che era mutato in senso più favorevole all'imputato un elemento costitutivo del reato quale è la dichiarazione di fallimento oggi non più possibile che ha richiesto l'intervento delle Sezioni Unite Penali. Con decisione del 28 febbraio 2008 n. 16601 le Sezioni Unite Penali hanno stabilito che i fatti di bancarotta commessi prima della entrata in vigore della normativa richiamata continuano ad essere previsti come reato anche se in base alla nuova normativa l'imprenditore non possa più essere dichiarato fallito. Nella citata sentenza si rilevava, tra l'altro, che il giudice penale non può sindacare la sentenza dichiarativa di fallimento non solo quanto al presupposto oggettivo dello stato di insolvenza, ma anche quanto ai presupposti soggettivi inerenti alle condizioni previste dall'articolo 1 della legge fallimentare per la fallibilità dell'imprenditore, sicché le modifìche legislative apportate all'articolo l della legge fallimentare non esercitano influenza ai sensi dell'articolo 2cod.pen. sui procedimenti penali in corso Il Collegio ritiene di condividere 1'orientamento delle Sezioni Unite, che, peraltro, in materia di articolo 2c.p. e successioni di norme extrapenali nel tempo ha ripreso un orientamento già manifestatosi con SS. UU. 27 settembre 2007-16 gennaio 2008, secondo il quale deve ritenersi inapplicabile il principio previsto dall'articolo 2 comma III cod.pen. qualora SI tratti di modifiche della disciplina integratrice della fattispecie penale che non incidano sulla struttura essenziale del reato, ma comportino esclusivamente una variazione del contenuto del precetto delineando la portata del comando. Insomma il disvalore sociale della condotta non è venuta meno con la nuova normativa. essendosi il legislatore limitato a modificare i presupposti per l'applicazione della norma incriminatrìce penale cosicché appare del tutto ragionevole ritenere che siffatte modifiche retroagiscano vedi anche Cass. 18 maggio 2006 n. 1723 . Il secondo motivo d impugnazione è infondato e di merito. In effetti i ricorrenti. pur non citandola, sembrano riferirsi alla più recente giurisprudenza in ordine alla somme prelevate dagli amministratori a titolo di compenso che ha escluso trattarsi di ipotesi di bancarotta per distrazione, dovendosi. invece. configurare il deliro di bancarotta preferenziale. Bisogna precisare che sul punto vi è stato, ed ancora perdura, un contrasto di giurisprudenza di legittimità perché sono rinvenibili decisioni che hanno ritenuto sussistere in fattispecie come quella in oggetto il delitto di bancarotta per distrazione perché, comunque. si configurerebbe un vantaggio patrimoniale dell'amministratore vedi, tra le tante Cass Sez. V. 14 ottobre .21 dicembre 1999 n. 1438O. Patrucco. rv 215186 e Cass., Sez. v. 4 aprile 19 maggio 2003, Coquerant, n. 22022. n 224535 ed altre che. invece. hanno escluso che fosse configurabile tale delitto ed hanno ritenuto, nella maggior parte dei casi, sussistere quello di bancarotta preferenziale vedi, tra le tante, Sez. V. 6, luglio24 settembre 2006, n. 38149, Casagrande ed altri. rv 236034 con riferimento ad una società di capitali Sez. V. 18 maggio 7 luglio 2006. n. 23730. Romanazzi ed altri rv .235325. Sez. V. 1O novembre-15 dicembre .2004, Andreotti, n. 48280 rv 230513. in relazione ad una società in accomandita semplice . Tuttavia nel caso di specie non ricorre la problematica evocata non solo perché non risulta che i compensi siano stati determinati ed autorizzati dagli organi sociali e perché i prelievi sono stati effettuati quando la società versava già in stato di insolvenza ma anche su tali punti vi è contrasto nella giurisprudenza di legittimità , ma. principalmente. perché i. giudici di merito hanno escluso. on motivazione del tutto ragionevole, che le somme prelevate potessero essere considerate compensi per l'attività prestata dagli amministratori a favore della società. Ciò perché i prelievi non hanno una cadenza regolare, non sono stati di eguale ammontare e sono stati effettuati anche dalle socie accomandanti. che non avevano alcun titolo per percepire compensi. Orbene gli argomenti succintamente posti a sostegno del rigetto della tesi difensiva. appaiono del tutto ragionevoli, non risultando superati dalle contrarie affermazioni dei ricorrenti. Appare, ad esempio, mera affermazione quella che le due donne abbiano effettuato i prelievi per conto dei mariti amministratori in verità non si comprende la ragione di una tale operazione e non viene offerto alcun elemento a sostegno di tale affermazione . Alla fine quella dei giudici di merito. che hanno escluso trattarsi di compensi. è frutto di un accertamento di fatto., che per essere sorretto da una motivazione immune da manifeste illogicità, non merita censure sotto il profilo della legittimità. Manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione perché per giurisprudenza costante il delitto di bancarotta si consuma con la declaratoria di fallimento e non con il verificarsi dei singoli fatti distrattivi. Cosicché nessun rilievo ha il fatto che le due socie abbiano prelevato danaro nel 1992 1993 perché il termine di prescrizione decorre dalla dichiarazione dì fallimento. ovvero dal 6 luglio 1998. e scade, secondo il previgente testo dell'art. 157 cod. pen applicabile nel caso di specie. essendo stata emessa la sentenza di primo grado nel 200l. dopo quindici anni, ovvero il 6 luglio 2013. Per le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato e ciascun ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente a pagare le spese dei procedimento.