Un bicchiere di vino e un farmaco: valori sballati e automobilista condannata

L'alcoltest condanna l'automobilista anche se l'assunzione di un farmaco può aver alterato i valori dell'etilometro.

I motivi per cui i valori sono sballati non conta. L'importante è che l'etilometro abbia rilevato il superamento della soglia alcolemica, in questi casi, infatti, sostiene la Corte di Cassazione - nella sentenza n. 38793/2011 depositata il 26 ottobre - il conducente deve essere condannato. Il caso. Una automobilista fiorentina viene fermata e sottoposta al test dell'alcol. Dichiara di aver bevuto un bicchiere di vino, ma il risultato della prima prova è 1,03 g/l e 0,96 g/l quello della seconda. Scatta la denuncia e la condanna, in primo e secondo grado, per guida in stato di ebbrezza. A nulla è servita, infatti, la dichiarazione della donna agli agenti di polizia che il farmaco, da lei assunto quella sera, allungasse i tempi di smaltimento dell'alcol. Dichiarazione confermata dalla documentazione medica acquisita in causa, ma i giudici hanno considerato validi e attendibili i risultati del test e hanno ritenuto colpevole l'imputata per non aver agito in modo da evitare il superamento dei limiti di concentrazione di alcol nel sangue consentiti . Dunque, l'imputata presenta ricorso per cassazione. Lo stato di ebbrezza è una presunzione iuris et de iure La S.C. sottolinea che il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro . In pratica - precisa il Collegio - si deve ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogniqualvolta venga accertato il superamento della soglia alcolemica massima consentita . Il superamento della soglia non ammette prova contraria. In più, trattandosi di una presunzione legale assoluta, il conducente non può fornire prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche e la sua idoneità alla guida. In conformità ai principi esposti, il Collegio, pur ipotizzando la possibilità che il farmaco abbia rallentato la metabolizzazione dell'alcol, ritiene comunque accertata la responsabilità della donna, quindi, rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 settembre - 26 ottobre 2011, n. 38793 Presidente Marzano - Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Firenze ha confermato la sentenza del tribunale di Firenze con la quale L.D. è stata ritenuta colpevole del reato di guida in stato di ebbrezza e, concesse attenuanti generiche, è stata condannata a Euro 614 di ammenda, a seguito di procedimento celebrato con rito abbreviato. La L. è stata fermata alla guida della sua autovettura e sottoposta al test alcolimetrico, che ha dato un risultato pari a milligrammi per litro 1,03 alla prima prova e milligrammi per litro 0,96 alla seconda. Entrambi i giudici hanno ritenuto la imputata responsabile del contestato reato, ritenendo che lo stato di cui sopra non potesse essere ricondotto all'assunzione di un farmaco che assumeva a cagione della sua patologia arterite di Takayasu , così come dalla donna sostenuto la donna era consapevole della possibilità che il farmaco influisse sul risultato del testo, tanto che ella stessa lo aveva fatto presente agli agenti operanti inoltre, osservava la corte di appello, la documentazione medica acquisita in causa non dimostrava affatto che i farmaci assunti potevano aumentare i dati di concentrazione dell'alcol, ma solo che probabilmente ritardavano l'eliminazione dell'etanolo dal sangue e dunque che lo smaltimento dell'etanolo avveniva in tempi più lunghi dovevano considerarsi validi e attendibili i risultati del test ed in colpa la L. quanto meno per non aver agito in modo da evitare il superamento dei limiti di concentrazione di alcol nel sangue consentiti. 2. Avverso questa sentenza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputata. Lamenta con un primo motivo che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto l'imputata colpevole sulla base di un unico accertamento, laddove l'articolo 186 del codice della strada richiede due accertamenti e cioè richiede che siano preventivamente acquisiti elementi utili quale il comportamento della persona fermata percepito dagli agenti intervenuti o un accertamento anche attraverso apparecchi portatili che giustifichi la sottoposizione della stessa al test alcolimetrico nella specie invece il comportamento tenuto dalla donna al momento del fermo non aveva giustificato il sospetto di uno stato di ebbrezza, tanto che dal verbale degli accertamenti urgenti non risulta che gli agenti intervenuti abbiano rilevato alcuna delle condotte tipiche di tale stato. Con un secondo motivo il difensore lamenta l'erroneità della sentenza impugnata laddove ha disatteso la tesi della difesa secondo cui l'alterazione era frutto del farmaco assunto dalla donna, farmaco che poteva alterare in aumento i dati di concentrazione dell'alcol nel sangue senza però avere influenza sulla capacità di guida il difensore lamenta che questa tesi si basava sulla documentazione medica prodotta che la corte avrebbe travisato infatti la corte ha ignorato il certificato dello specialista Dott. F M. dell'Università di . con cui si afferma che i farmaci possono comportare il rallentamento delle normali funzioni, possono comportare una concentrazione plasmatica superiore a quanto atteso in soggetti sani e più a lungo ed inoltre non ha tenuto conto del fatto che il dottor C.G. aveva comunque affermato che quei farmaci possono avere influenza sui test alcolimetrici senza condizionare i riflessi neurologici quindi non vi è prova dell'incidenza sullo stato di lucidità e della guida in stato di ebbrezza inoltre si lamenta il difensore che non sia stato ritenuto applicabile il beneficio della non menzione. Con successiva memoria si insiste sul fatto che la L. è affetta da una rara malattia poco conosciuta e che è stata superficialmente affrontata la problematica attinente all'influenza del farmaco, con un atteggiamento che si risolve in una penalizzazione ingiusta delle persone malate. Considerato in diritto 1. Il ricorso non merita accoglimento. 2. La L. è stata giudicata con rito abbreviato e dunque sulla base degli atti acquisiti, tra cui la annotazione di servizio e gli scontrini del test. Dalla prima risultava che gli agenti avevano percepito l'alito vinoso della donna, dai secondi il superamento del limite consentito. Risulta dunque positivamente accertato lo stato di ebbrezza, che, a differenza di quanto si sostiene con il ricorso, non necessita, peraltro, di un duplice sostegno probatorio e cioè i di elementi sintomatici e dell'accertamento strumentale ma può essere ritenuto sulla base di un accertamento compiuto nell'uno o nell'altro morto sez. IV sentenza N. 41846 del 29/9/2009 RV245788 . 3. Anche il secondo motivo è infondato. La norma punisce chiunque si pone alla guida in stato di ebbrezza conseguente all'uso di bevande alcoliche. Il parametro di riferimento adottato dal legislatore per valutare lo stato di ebbrezza non è rappresentata dalla quantità di alcol assunta, bensì da quella assorbita dal sangue, misurata in grammi per litro. Si tratta con tutta evidenza di una presunzione iuris et de iure , che porta a ritenere il soggetto in stato di ebbrezza ogniqualvolta venga accertato il superamento della soglia di alcolemia massima consentita, senza possibilità da parte del conducente di discolparsi fornendo una prova contraria circa le sue reali condizioni psicofisiche e la sua idoneità alla guida. Nella specie, per averlo ammesso la stessa imputata, è pacifico che ella aveva assunto un bicchiere di vino, atto che soltanto la L. colloca alcune ore prima del controllo, sostenendo che il permanere e il potenziamento dell'effetto di tale modesta quantità di alcol erano conseguenza del farmaco. Anche ammesso che ciò possa essere vero, la responsabilità dell'imputata è correttamente accertata infatti chi sa di assumere farmaci di tal genere deve astenersi dalla ingestione di alcol e specialmente deve evitare di mettersi alla guida oppure deve controllare con gli appositi test facilmente reperibili in commercio di trovarsi in condizioni tali da non risultare passibile della sanzione penale. 4. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.