Incendio causato dalla canna fumaria: esclusa la cooperazione tra costruttore e installatore

di Ivan Meo

di Ivan Meo * Proprietà della canna fumaria e profili di responsabilità. Tra le questioni giuridiche più controverse vi è quella relativa alla identificazione del responsabile delle canne fumarie negli edifici condominiali in caso di incendio. Tale questione si è ulteriormente complicata negli ultimi anni a causa della trasformazione degli impianti centralizzati. Si tratta, in sostanza, di stabilire dove cominciano e finiscono le responsabilità dell'amministratore e dove invece cominciano e finiscono quelle del singolo condominio. La canna fumaria condominiale è soggetta alla presunzione di comunione ed è quindi considerata parte comune dell'edificio quando è posta a servizio dell'impianto centralizzato di riscaldamento e quando ne costituisce parte integrante e sostanziale. In tale ipotesi l'amministratore del condominio sarà direttamente responsabile della manutenzione ordinaria per il buon funzionamento delle cose comuni, e quindi anche della canna fumaria. Viceversa, quando la canna fumaria non è destinata ad un servizio comune, ma è posta a servizio esclusivo di una singola unità immobiliare, essa deve ritenersi di proprietà esclusiva del singolo condomino, con conseguente responsabilità a carico di quest'ultimo. Felix qui potuit rerum cognoscere causas. Nel 2004 si era sviluppato un incendio su un tetto condominiale, domato prontamente dal'intervento dei vigili del fuoco. Tale evento era stato attribuito al cattivo funzionamento di una stufa a legna, di proprietà di una condomina, che era stata collegata ad una canna fumaria che risaliva fino al tetto condominiale. Sulla causa invece erano state avanzate due ipotesi surriscaldamento della canna fumaria o inidoneità del comignolo alla fuoriuscita dei fumi prodotti dalla stufa. Al costruttore della palazzina veniva contestato l'incendio colposo per non aver provveduto adeguatamente alla coibentazione della canna fumaria all'installatore della stufa invece veniva contestato il fatto di non aver adeguatamente valutato la compatibilità tra l'impianto e la distanza del condotto di evacuazione del materiale combustibile. Secondo le valutazioni dei tecnici l'impianto era inadeguato a sopportare quel determinato calore e che il comignolo non era stato installato ad una altezza tale da poter consentire un raffreddamento della canna fumaria. L'evento si era verificato a causa della violazione delle norme di sicurezza quindi secondo la Corte di Appello di Venezia era configurabile una cooperazione nel delitto in quanto ad entrambi, costruttore ed installatore, ed era ascrivibile una condotta negligente per non aver installato una struttura tale da garantire un funzionamento in sicurezza. Omessa verifica della struttura complessiva. La Quarta Sezione Penale della Cassazione, con la sentenza n. 34379/2011 depositata il 20 settembre, ha rigettato il ricorso dei due imputati precisando che nel caso di specie è indubitabile la mancanza di una verifica preliminare della struttura in cui la stufa doveva essere installata. Infatti, fu allacciata alla canna fumaria condominiale, non seguendo le regole tecniche, rendendo concreto il rischio del fenomeno della combustione delle struttura lignee del tavolato di copertura posto in contiguità alla sezione della canna fumaria. Tale verifica poteva essere effettuata senza nessun azione invasiva all'appartamento. Negato il principio di affidamento. La Corte inoltre nella sua motivazione spiega che nonostante l'installatore fosse intervenuto dopo tre anni dalla costruzione della palazzina, quest'ultimo non aveva rimosso le condizioni di pericolo derivanti dall'impianto. Pertanto, non era neanche applicabile il principio dell'affidamento in forza del quale, nello svolgimento di attività rischiose ma giuridicamente autorizzate svolte da più soggetti, ciascuno è gravato da obblighi di diligenza aventi distinto contenuto c.d. obblighi divisi , il singolo partecipante può e deve potere confidare nel corretto comportamento degli altri soggetti, nell'osservanza cioè delle regole cautelari, scritte o non scritte, proprie delle rispettive attività da essi svolte. Tale principio, secondo la Corte, non applicabile nel caso di condotta imprudente tale da far innescare l'incendio per una contingenza di fattori alimentazione eccessiva e prolungata della stufa ed inadeguatezza del sistema d'installazione della stufa all'interno della canna fumaria. Negata la cooperazione nel delitto colposo. La disciplina prevista in materia di cooperazione colposa è prevista dall'art. 113 c.p La sussistenza della cooperazione si verifica qualora più persone pongano in essere una autonoma condotta nella reciproca consapevolezza di contribuire all'azione od omissione altrui. Quest'ultima sfocia nella produzione dell'evento lesivo non voluto. I giudici, nella sentenza, hanno sostenuto che se la realizzazione delle canne fumarie in un edificio viene eseguita omettendo l'adozione di cautele e presidi necessari al fine di evitare il rischio incendi, sono entrambi penalmente responsabili perché sia il surriscaldamento della canna fumaria collegata ad una stufa di un appartamento sottostante sia l'inidoneità del comignolo alla fuoriuscita dei fumi della medesima stufa accanto a dei tavolati rappresentano delle concause dell'evento. Fra l'altro, il nesso di casualità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause. In questo caso non si può configurare una cooperazione nel delitto colposo perché sia l'installatore che il costruttore hanno posto in essere condotte colpose senza essere consapevoli dell'intervento dell'altro. Quindi il fenomeno della cooperazione colposa è delimitato entro confini ben delineati, ovvero da circostanze contingenti ed oggettive, basate sulla consapevolezza in capo al compartecipe che la propria condotta accede a quella di altri. * Consulente giuridico

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 luglio 20 settembre, n. 34379 Presidente Morgigni Relatore Piccialli Ritenuto in fatto Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Venezia confermava quella di primo grado che aveva ritenuto S.G. e C.C. responsabili del reato di incendio colposo ex artt. 423, 449 c.p., contestato sotto il profilo di condotte colpose indipendenti, mentre assolveva dal medesimo reato M.S. per non aver commesso il fatto. Il giorno omissis in omissis si era sviluppato un incendio sul tetto di un condominio, che veniva domato dopo alcune ore dai Vigili del Fuoco. L'origine del fuoco è stata attribuita ad una stufa funzionante a legna, meglio definita stubotto , con potenza termica globale di 10.000 Kcal/h, che era stata collocata tre anni prima al piano terra in un appartamento di proprietà di M.S., collegata ad una canna fumaria propria che risaliva fino al tetto del condominio e fuoriusciva attraverso un comignolo di circa un metro di altezza sopra la copertura. Su come fosse scoppiato l'incendio erano state formulate due ipotesi surriscaldamento della canna fumaria, rivestita con lana di roccia di tre centimetri o inidoneità del comignolo alla fuoriuscita dei fumi di una stufa a legna. Al S., nella qualità di titolare della ditta costruttrice della palazzina condominiale, veniva contestato di avere colposamente dato causa all'incendio, avendo predisposto e posto in essere una inadeguata coibentazione isolamento della canna fumaria nella parte in cui questa veniva a contatto con il legno del sottotetto e del tetto in violazione dell'art. 7 d.p.r. 22.12.70 n. 1391 e del punto 4.2.2 della normativa UNI. Al C., quale installatore dello stubotto, era, invece, contestato, di non avere adeguatamente valutato la compatibilità dell'impianto e la distanza del condotto di evacuazione dal materiale combustibile o infiammabile al fine di prevenire con idonee coibentazioni ed isolamenti ogni tipo di incendio domestico in violazione della normativa sopra indicata. Il giudicante riteneva che le caratteristiche dell'evento descritto in imputazione erano tali da integrare la fattispecie delittuosa contestata, avendo l'incendio raggiunto vaste proporzioni, tali da renderlo potenzialmente incontrollabile. La causa dello stesso veniva individuata nel surriscaldamento della canna fumaria, essendo irrilevante che il legname si fosse incendiato in diretta conseguenza o per ricaduta di qualche favilla uscita dal comignolo. Dalle valutazioni complessive degli esperti si doveva ricavare, secondo il giudicante, che la canna non era idonea a sopportare un calore particolarmente elevato e che il comignolo non era dell'altezza necessaria che avrebbe consentito un maggior raffreddamento. Veniva altresì precisato che la lana di roccia dello spessore utilizzato nella specie era idoneamente astratta a sopportare il calore, pur non essendolo all'evidenza laddove la canna incontrava il tavolato in legno. In conclusione, il S. era venuto meno all'obbligo di assicurarsi che sia la canna che lo stubotto potessero essere installati e posti in uso nel condominio in condizioni di sicurezza. Il C. , invece, era venuto meno all'obbligo di accertarsi che la canna fumaria fosse idonea a garantire la fuoriuscita regolare dei gas e che le strutture lignee non fossero collocate eccessivamente vicine al passaggio della canna. Nella fattispecie la Corte territoriale riteneva la configurazione della cooperazione nel delitto colposo concorrendo la condotta negligente di chi non aveva predisposto la struttura in maniera idonea con quella di chi non si era curato di accertare la compatibilità del prodotto da installare con la struttura esistente. Avverso tale sentenza hanno proposto distinti ricorsi S. e C S. articola due motivi. Con il primo lamenta vizio di motivazione della sentenza sotto più profili. Innanzitutto per avere indicato apoditticamente che l'origine del fuoco era da individuarsi nel surriscaldamento della canna fumaria, ritenendo irrilevante la circostanza che il legname si fosse incendiato per l'immediata contiguità tra la canna fumaria ed il legno o per la ricaduta di faville uscite dal comignolo. Ciò senza tener conto che le cause possibili dell'incendio erano due oltre quella descritta nel capo di imputazione inidoneità della canna fumaria per insufficiente coibentazione , quella emersa nel corso del giudizio di primo grado la conformazione del comignolo, con i fori di uscita che non erano a norma e che pertanto intralciavano la fuoriuscita dei fumi di scarico, con il conseguente rimbalzo delle faville sopra il tavolato del tetto . In secondo luogo, per avere stabilito un'asserita inidoneità della canna fumaria sulla base di un riferimento del tutto generico a valutazioni complessive degli esperti senza alcuna indicazione di quali fossero gli esperti in tal senso si erano espressi il consulente del pubblico ministero ed il geometra che aveva svolto un accertamento tecnico preventivo prodromico ad una successiva causa di risarcimento dei danni e senza tener conto della diversa valutazione di altri consulenti il riferimento è a quelli della difesa che avevano riconosciuto l'efficacia isolante di uno strato di 3 cm di lana di roccia . La questione della idoneità della canna fumaria era stato oggetto di specifico motivo di appello sul quale la Corte territoriale aveva omesso di motivare incorrendo secondo il ricorrente in una insanabile contraddizione, costituente il terzo profilo di contraddittorietà della motivazione. Il giudicante, da una parte avrebbe evidenziato l'inidoneità della canna fumaria a sopportare un calore particolarmente elevato e dall'altra avrebbe fatto riferimento alla idoneità dello spessore della lana di roccia a sopportare il calore, richiamando la valutazione di esperti che tale idoneità avevano invece negato. Infine, ulteriore profilo di contraddittorietà viene rinvenuto nella apodittica affermazione della inidoneità della canna a sopportare il calore laddove la medesima incontrava il tavolato in legno, con valutazione ex post, quando le cause dell'incendio erano due, di cui una riguardante il comignolo. Con il secondo motivo si censura la sentenza per aver condannato il ricorrente per profili di responsabilità diversi dalla colpa specifica contestata nella imputazione , che era quella di aver predisposto ed installato una canna fumaria non adeguatamente isolata. La Corte territoriale aveva invece escluso che la coibentazione fosse insufficiente, rilevando l'insufficienza dello spessore della lana di roccia esclusivamente laddove la canna incontrava il tavolato in legno, concludendo per la configurabilità a carico del S. di un profilo di colpa generica costituito dall'inadempimento dell'imputato all'obbligo di assicurarsi che sia la canna che lo stubotto potessero essere installati e posti in uso nel condominio in condizioni di sicurezza. Si sottolinea, inoltre, che tale profilo di colpa era stato esteso sino ad addebitare al S. circostanze di fatto non previste né prevedibili dall'imputato la diversa destinazione del magazzino, l'installazione di una stufa a legna delle dimensioni dello stubotto in violazione delle norme di sicurezza ed al di fuori del suo potere di intervento e che, secondo la tesi difensiva, erano da qualificare come circostanze sopravvenute da sole sufficienti a determinare l'evento. C. articola tre motivi. Con il primo lamenta la violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta configurabilità del reato di incendio, dovendosi escludere nel caso che si fosse trattato di un fuoco di dimensioni tali da ingenerare pericolo per la pubblica incolumità, avendo intaccato soltanto una parte del sottotetto in legno dell'edificio condominiale ed essendo stato spento con facilità dai vigili del fuoco. Con il secondo motivo si duole della violazione di legge e del difetto di motivazione afferente l'individuazione del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento dannoso. Si deduce che le conclusioni cui erano pervenuti i giudici di merito sulla inidoneità della canna fumaria laddove la stessa incontrava il tavolato di legno era fondata su di una mera ipotesi che non aveva trovato riscontro nell'istruttoria svolta. Analoga censura viene svolta con il terzo motivo che deduce violazione di legge e difetto di motivazione sotto il profilo soggettivo, difettando la prova della prevedibilità dell'evento da parte dell'imputato, che ignorava le modalità di realizzazione della canna fumaria mentre non aveva motivo di dubitare della correttezza della realizzazione da parte dell'impresa, tenuto conto della recente costruzione e della impossibilità di ispezionare la canna all'interno della muratura. Sotto questo profilo si lamenta che il giudizio di responsabilità configgeva con i principi affermati da questa Corte in tema di affidamento. È stata depositata memoria difensiva nell'interesse del C. con la quale, approfondendo il secondo motivo di ricorso, sono state censurate entrambe le sentenze di merito in quanto, in presenza di un reato omissivo improprio quale quello contestato al ricorrente, non avrebbero individuato con precisione le norme poste a fondamento della ritenuta posizione di garanzia. Considerato in diritto I ricorsi sono infondati, pur a fronte di una motivazione della sentenza di appello oltremodo sintetica, costruita rinviando di fatto a quella di primo grado. Infatti, nella specie, tale modo di argomentare, se pur non ineccepibile, non risulta meritevole di censure in questa sede, risultando sostanzialmente assolto l'obbligo di corrispondere alle doglianze dei ricorrenti. I giudici di appello, sia pure assai sinteticamente, hanno confermato il giudizio di responsabilità, facendo riferimento all'inadempimento da parte entrambi gli imputati alla luce della rispettiva posizione di garanzia all'obbligo di adozione delle cautele e dei presidi necessari e dovuti al fine di prevenire gli incendi, la cui omissione è stata posta in nesso di relazione causale con l'evento prodottosi. Sono state, pertanto, recepite le argomentazioni logico-giuridiche contenute nella sentenza di primo grado afferenti le evidenti irregolarità che nella concreta fattispecie hanno caratterizzato sia le modalità di realizzazione del sistema canna fumaria comignolo sia la installazione della stufa-stubotto, collegata a quel sistema per l'evacuazione dei prodotti della combustione. Rispetto alla ricostruzione delle cause tecniche dell'evento incendio, le doglianze dei ricorrenti, per quanto si esporrà, si risolvono in censure di merito, inaccoglibili in questa sede e risultano implicitamente superate dalle ragioni di segno contrario che legittimano la decisione. Ciò premesso, entrambi i ricorrenti censurano, sotto diversi profili, la logicità della motivazione nella parte in cui afferma la loro responsabilità e ciascuno vorrebbe che fosse escluso l'addebito a proprio carico per l'incendio la cui configurabilità è contestata dal C. anche in questa sede , sul rilievo reciproco che l'evento sarebbe riconducibile esclusivamente alla condotta colposa dell'altro, integrante una causa sopravvenuta sufficiente da sola a produrre l'evento ex art. 41, comma terzo, c.p Passando all'esame del ricorso proposto dal S., osserva il Collegio che le censure sono infondate avendo i giudici di merito logicamente evidenziato che nella fase di realizzazione dell'edificio condominiale da parte dell'impresa edile facente capo all'imputato erano state realizzate le indicate canne fumarie senza osservarsi tutte le dovute cautele imposte dalla normativa tecnica di settore, proprio al fine di evitare il rischio incendi, tenuto conto della prossimità delle predette canne a materiali combustibili ed infiammabili quale il legno del tetto . Né può validamente contrastarsi la sussistenza di detto rischio nella fattispecie concreta, visto che le canne fumarie, come evidenziato dai giudici di merito, fuoriuscivano dalla copertura del tetto, composta da strutture in legno e dalla guaina bituminosa, in violazione della Norma Uni 10683, ove è espressamente indicato che la canna fumaria deve essere adeguatamente distanziata da materiali combustibili o infiammabili mediante intercapedine d'aria od opportuno isolante. La citata inadeguatezza nel caso in esame, peraltro, come accertato dalle consulenze in atti, non riguardava solo lo spazio/intercapedine tra le canne fumarie ed il tavolato della copertura ma anche lo strato di lana di roccia, all'interno delle citate canne, che, pur funzionando da isolante termico, non garantiva sufficientemente dal rischio di surriscaldamento delle circostanti strutture lignee contigue alle canne stesse. Un ulteriore profilo di colpa, rilevante causalmente, è stato, inoltre, correttamente individuato nella realizzazione di un unico comignolo per due canne fumarie, con la conseguente difficoltà tecnica nella adeguata evacuazione dei fumi da un camino per effetto della pressione dei fumi uscenti dall'altro. Sul punto le doglianze del ricorrente sono meramente assertive e si fondano su una opinabile ricostruzione della vicenda che non può essere proposta all'attenzione della Corte di legittimità. Si tratta, in vero, di una ricostruzione che poggia su un asserita imprevedibilità di circostanze di fatto, sopravvenute alla realizzazione dell'edificio la diversa destinazione del magazzino, l'installazione di una stufa a legna delle dimensioni dello stubotto in violazione delle norme di sicurezza , che si assumono al di fuori del potere di intervento del S. nonché sulla condotta colposa del C., della quale si afferma la rilevanza in via esclusiva nella determinazione dell'evento. Quanto alla prima contestazione, i giudici di merito hanno, invece, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, sottolineato la consapevolezza del S. circa destinazione del magazzino a vano abitabile e delle canne fumarie e del comignolo allo scarico dei prodotti derivanti dalla combustione della legna, proprio evidenziando che lo stesso risultava titolare dell'impresa costruttrice dell'edificio condominiale, che aveva installato le citate canne su richiesta dell'acquirente della singola unità immobiliare e previo accordo con la parte interessata per l'acquisto dei materiali. Quanto alla seconda contestazione, proprio le inosservanza colpose ascritte all'imputato, sopra descritte, consentono di ritenere infondate le censure svolte dal ricorrente su quella parte della motivazione che aveva escluso l'efficienza causale in via esclusiva alla condotta del coimputato, tale da poter rilevare ai fini della interruzione del nesso causale. Sul punto il ricorrente tralascia di considerare che, secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l'evento articolo 41, comma secondo, c.p. , il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento ha riferimento a fattori completamente atipici, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, che non si verificano se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. In proposito, dovendosi escludere che possa assumere tale rilievo eccezionale la condotta di un soggetto, pur negligente, la cui condotta inosservante trovi la sua origine e spiegazione nella condotta di chi abbia creato colposamente le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente v. Sez. 4^, 29 aprile 2009, Cipiccia ed altri, rv. 243933 . Il giudicante di merito, sia pure con motivazione implicita ma chiaramente desumibile dal complessivo apprezzamento della parte esplicativa della decisione, ha correttamente applicato tali principi quando ha escluso che potesse integrare tale causa eccezionale l'intervento dell'installatore della stufa. Ciò perché, in ogni casi, la realizzazione improvvida dello stubotto era intervenuta in un sistema canna fumaria comignolo eseguito in violazione della normativa di settore. Anche il ricorso proposto dal C. è infondato. Infondato è il primo motivo con il quale anche in questa sede si contesta a configurabilità del fatto come incendio. Basta ricordare che per la configurabilità del reato di incendio colposo, il fuoco, causato dalla condotta imprudente e negligente dell'agente, deve essere caratterizzato dalla vastità delle proporzioni, dalla tendenza a progredire e dalla difficoltà di spegnimento, restando irrilevante che resti circoscritto entro un limite oltre il quale non possa estendersi in presenza di tali caratteristiche, il giudice, il cui accertamento di fatto non è sindacabile in sede di legittimità se condotto con criteri non illogici, deve prescindere dall'accertamento di un pericolo concreto, in quanto nel reato in questione il pericolo per la pubblica incolumità è presunto tra le altre, Sezione 4^, 21 febbraio 2007, Marasà, non massimata . È alla luce di questo principio che deve apprezzarsi la logicità della decisione insindacabile in questa sede, alla luce di quanto appena detto che ha affermato la sussistenza in fatto dell'incendio, evidenziandone la vastità e la difficoltà di spegnimento che vide impegnati per molte ore i vigili del fuoco . Ciò premesso, la colpa del C. è stata correttamente e logicamente individuata dai giudici di merito nell'omessa verifica della struttura complessiva in cui la stufa doveva essere inserita, verifica alla quale era strettamente connesso l'obbligo di controllo del funzionamento dell'apparecchio e dell'assenza di situazioni di pericolo ricollegabili comunque al suo funzionamento, così come del resto era prescritto nel libretto di istruzioni per l'installazione dello stubotto. È stato, in particolare, sottolineato che tali verifiche non avrebbero richiesto azioni invasive con rottura delle strutture murarie, così come sostenuto dalla tesi difensiva, ma più semplicemente un accesso alla copertura dell'edificio anche attraverso il sottotetto pertinente all'appartamento sovrastante quello della M., con la possibilità di accorgersi delle anomale caratteristiche del comignolo e della presenza anomala di due canne fumarie coperte dallo stesso comignolo. La sentenza è congruamente motivata anche nella ricostruzione del nesso eziologico e nel collegamento del fatto anche alla condotta colposa del C., che, intervenuto tre anni dopo il S., non aveva comunque rimosso le condizioni di pericolo derivanti dalla condizione dell'impianto. Né, per escludere la responsabilità del prevenuto a fronte di un evento dannoso ragionevolmente ritenuto prevedibile per il rischio incendio derivante dalla contiguità tra le canne fumarie ed il tavolato ligneo ed evitabile laddove fossero state rispettata la normativa tecnica di riferimento potrebbe valere il principio dell'affidamento , invocato dal ricorrente, ossia il principio secondo il quale ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio della attività che di volta in volta viene in questione. Tale principio, infatti, pacificamente, non è invocabile allorché l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente che viene in questione, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale da parte di chi invoca il principio ossia allorché l'altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse v. da ultimo, Sez. 4^, 8 ottobre 2009, p.c. in proc. Minunno, rv. 245663, sia pure con riferimento ai reati colposi in tema di violazione della normativa sulla circolazione stradale . Ciò che nella specie è indubitabile a fronte della rilevata mancanza di verifica della struttura complessiva in cui andava inserita la stufa a legna, che venne allacciata ad una delle canne fumarie con le irregolarità tecniche sopra descritte, rendendo così concreto il rischio di fenomeni di carbonizzazione e combustione delle strutture lignee del tavolato di copertura posto in contiguità alla sezione della canna fumaria cui venne allacciato lo stubotto. Rischio che si concretizzò nel pomeriggio del 3 gennaio 2004 in presenza di contingenti fattori quali l'alimentazione intensiva e prolungata dello stubotto. In conclusione le condotte omissive e commissive di entrambi gli imputati,sono state determinanti nella causazione dell'evento e si sono poste come condotte colpose indipendenti nella produzione dell'incendio ex art. 41, comma 1, c.p Tale conclusione è coerente applicazione del principio affermato in più occasioni da questa Corte il quale, quando l'obbligo di impedire l'evento ricade su più persone che debbano intervenire o intervengano in tempi, diversi, il nesso di causalità tra la condotta omissiva o commissiva del titolare di una posizione di garanzia non viene meno per effetto del successivo mancato intervento da parte di altro soggetto, parimenti destinatario dell'obbligo di impedire l'evento, configurandosi, in tale ipotesi, un concorso di cause ai sensi dell'art. 41, comma primo, c.p Per mera completezza espositiva, pur non essendo oggetto di specifico motivo di impugnazione, va, pertanto, chiarito che non è configurabile nel caso in esame la cooperazione nel delitto colposo, come invece affermato nella sentenza impugnata. Ciò che caratterizza la cooperazione nel delitto colposo cosiddetto concorso improprio articolo 113 c.p. è il legame psicologico che si instaura tra gli agenti, ognuno dei quali è conscio della condotta degli altri. Tale consapevolezza riguarda, ovviamente, solo la partecipazione di altri soggetti e non il verificarsi dell'evento, vertendosi in tema di reato colposo. A tal fine, inoltre, non è necessaria la conoscenza dell'identità dei partecipi e delle specifiche condotte di questi, essendo necessaria e sufficiente la coscienza dell'altrui partecipazione al contesto in cui si svolge la propria condotta ovvero, più specificamente, allorquando si verta in ipotesi di condotte che si svolgono nell'ambito di organizzazione complesse organizzazione sanitaria imprese settori della pubblica amministrazione , la coscienza che la trattazione della vicenda sottoposta alla propria attenzione non è soltanto a sé riservata perché anche altri soggetti ne sono o ne saranno investiti v. oltre, la già citata sentenza Cipicchia ed altri, anche, sempre della 4^ Sez. 12 novembre 2008, Calabrò ed altro, non massimata sul punto . Alla luce di questi principi è, pertanto, evidente che nella fattispecie in esame non è configurabile, tenuto conto della ricostruzione dei fatti, quale emerge dalla sentenza impugnata, la cooperazione nel delitto colposo, poiché nessuno dei due titolari delle rispettive posizioni di garanzia, nel porre in essere le distinte condotte colpose il S., l'omessa predisposizione della struttura nel rispetto della normativa sulla sicurezza ed il C. la omessa verifica della compatibilità della citata struttura con la stufa da installare , era consapevole dell'intervento dell'altro. L'erronea tesi giuridica applicata dal giudice di merito, non riflettendosi sulle erroneità della decisione, non ha però rilievo ai fine della impugnazione, perché in questi casi difetta l'interesse ad impugnare. Questo principio nel giudizio di legittimità è esplicitato dall'art. 619, comma primo, c.p.p., secondo il quale, gli errori di diritto nella motivazione e le erronee indicazioni di testi di legge non producono l'annullamento della sentenza impugnata, se non hanno avuto influenza decisiva sul dispositivo. Ciò che si è verificato nel caso in esame, laddove ciò che rileva, comunque, ai fini della contestazione,oltre anche al nomen iuris del fatto esplicitato nel capo di imputazione, sono le condotte concretamente contestate e le circostanze fattuali al riguardo evidenziate, mentre è irrilevante sotto il profilo dell'art. 521 c.p.p., l'erroneo richiamo di una norma di legge nella specie, l'art. 113 c.p. v. in questo senso anche Sez. 4^, 4 febbraio 2004, Caffaz e altri, non massimata . Al rigetto dei ricorsi consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.