La gravità della situazione scrimina l'omissione del medico

La gravità delle condizioni cliniche della paziente scrimina l'eventuale intervento tardivo del medico chirurgo, perché l'evento era comunque inevitabile.

La gravità delle condizioni cliniche, scriminano l'eventuale intervento tardivo del medico chirurgo, perché l'evento era inevitabile. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 34238/2011 del 16 settembre. Il caso. Un medico chirurgo, in servizio presso la divisione di pneumologia, veniva accusata di omicidio colposo per aver omesso di richiedere o di effettuare accertamenti e trattamenti di urgenza nei confronti di una paziente, deceduta a causa di un tamponamento cardiaco conseguente al versamento ematico da carcinoma polmonare. Sia in primo che in secondo grado, l'imputata veniva assolta, così le parti civili presentano ricorso per cassazione. La dottoressa ha usato la diligenza propria del professionista? Secondo i ricorrenti, il chirurgo aveva omesso di chiedere il parere ad un consesso di medici - facilmente reperibili all'interno dell'ospedale - per vagliare la possibilità di intervenire di fronte ad un paziente in evidente stato di gravità, anziché affidarsi a mere cure di routine. L'intervento del sanitario non avrebbe assicurato alla vittima una ulteriore, significativa, frazione di vita I giudici di legittimità avallano quanto già deciso dai colleghi del merito, affermando che, anche se l'imputata avesse apprestato i presidi medici, diagnostici e terapeutici del caso e richiesto la consulenza del rianimatore, comunque l'exitus sarebbe stato prossimo ed inevitabile . l'evento era inevitabile. Infatti, precisa il Collegio, anche ammesso che la dottoressa abbia tardato colpevolmente nell'intervenire, un tale ritardo è da ritenersi ininfluente, vista l'incertezza sulla effettiva utilità e la ininfluenza ad assicurare una apprezzabile protrazione della vita della paziente . In conclusione, il ricorso viene rigettato e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 luglio - 16 settembre, numero 34238 Presidente Morgigni - Relatore Bianchi Ritenuto in fatto 1. L. R., medico chirurgo in servizio presso la seconda divisione di pneumologia dell'ospedale San Paolo di Bari, è stata chiamata a rispondere di omicidio colposo per aver omesso di richiedere o di effettuare trattamenti di urgenza nei confronti della paziente D.B. A. e accertamenti parimenti urgenti che avrebbero consentito di diagnosticare tempestivamente il versamento pericardico in atto e la necessità di esecuzione di pericardiocentesi, così cagionando la morte della predetta D.B. intervenuta a seguito di un tamponamento cardiaco conseguente a versamento ematico da carcinoma polmonare. 2. Assolta in primo grado, le parti civili proponevano appello e la sentenza di assoluzione veniva confermata. 3. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso per cassazione le parti civili M. L., M. G., M. M., D.B. C., D.B. A. D.B. A., deducendo che nel caso di specie la dott. ssa R. avrebbe dovuto rivolgersi ad un consesso di medici, facilmente reperibili all'interno dell'ospedale, per esplorare le possibilità di intervenire di fronte ad un paziente in evidente stato di gravità, anziché affidarsi a mere cure di routine sostengono che la sentenza deve essere riformata perché non ha tenuto conto della mancata attività della professionista che, pur cosciente della propria inesperienza specifica, dinanzi ad un problema da lei non governabile, non ha usato la diligenza propria del professionista chiedendo una consulenza di medici specialisti. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Le deduzioni svolte con il medesimo si soffermano a sottolineare la colpa della dott.ssa R. per il ritardo con cui sarebbe stato effettuata la pericordicentesi, nonostante la gravità della situazione della paziente, e a ricordare l'obbligo del medico di eseguire tutte le attività possibili per procrastinare anche di una sola ora la vita del paziente. Tali deduzioni non tengono conto che i giudici di primo e secondo grado hanno correttamente effettuato il giudizio controfattuale affermando, sulla base delle considerazioni svolte dal consulente del pubblico ministero, che anche ove l'imputata avesse apprestato i presidi medici, diagnostici e terapeutici del caso ed avesse richiesto una consulenza al rianimatore non appena si avvide del peggioramento delle condizioni cliniche della D.B. onde consentire l'immediata effettuazione di una pericardiocentesi, non di meno l'exitus sarebbe stato prossimo ed inevitabile. È stato ritenuto, con valutazione che certamente costituisce apprezzamento in fatto incensurabile in questa sede, che l'intervento del sanitario non avrebbe assicurato alla vittima una ulteriore, significativa, frazione di vita in quanto la formazione di liquido ematico nel cavo pericardico era originata non da una fonte emorragica isolata, ma dall'infiltrazione dei tessuti neoplastici che, lesionando le pareti del cavo pericardico, avevano provocato un'emorragia non più arrestabile. Anche ammesso che la dott. ssa R. abbia tardato colpevolmente, peraltro di solo qualche ora, un tale ritardo è stato ritenuto ininfluente attesa la incertezza sulla effettiva utilità e la ininfluenza ad assicurare una apprezzabile protrazione della vita della paziente. Tale valutazione corrisponde ai canoni che, in tema di rapporto di causalità, sono stati posti dalla giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte che, con la nota sentenza Franzese, collegandosi al principio della offensività della condotta, hanno ritenuto necessario ai fini dell'esistenza del rapporto di causalità una incidenza significativa del comportamento omesso sulle prospettive di vita del paziente. 3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.