Condannato il geometra comunale che intasca i soldi versati per le pratiche edilizie

Condannato perché si appropria dei soldi versati dai cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose. Il reato di peculato si configura a prescindere dalla legittimità o meno dell'esercizio delle funzioni del geometra.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34086/2011 depositata il 14 settembre, ha confermato la condanna di peculato per il geometra comunale che intascava soldi versati dai cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose. Non è rilevante che l'appropriazione derivi da un corretto e legittimo esercizio delle funzioni o da un esercizio di fatto. La fattispecie. Un geometra dipendente dell'Area Urbanistica di un comune ligure, veniva condannato, in primo e secondo grado, per il delitto di peculato - essendosi appropriato di denaro versato da cittadini per la definizione di pratiche edilizie onerose - e per il delitto di truffa visto che, in altri casi, si era appropriato di somme non dovute all'amministrazione, ingannando altri utenti. Peculato o truffa? Il geometra ricorre per cassazione lamentando l'erronea qualificazione dei fatti in peculato, in quanto egli non poteva disporre del denaro pubblico. Viene così a mancare, secondo il ricorrente, il presupposto dell'appartenenza delle somme versate alla PA, quindi i fatti erano da qualificarsi come truffa. Di diverso avviso è invece la Corte Suprema. Le modalità di riscossione non sono rilevanti perché le somme già appartenevano alla PA. Infatti, gli importi che gli utenti versavano erano necessari per la definizione di pratiche edilizie - insomma spettavano alla Pa ed ad essa appartenevano - ma l'interessato, comportandosi da soggetto legittimato a riscuotere i pagamenti, si intascava il denaro. Il peculato è da escludere solo se il possesso del denaro è meramente occasionale. Nel caso di specie, chiarisce la Corte, non può considerarsi occasionale il possesso di denaro, visto che l'insorgere del presupposto di reato è stato favorito dall'affidamento riposto dal privato nella qualifica pubblica del soggetto. È dunque irrilevante se l'appropriazione sia derivata da un legittimo esercizio delle funzioni o dall'esercizio di fatto e arbitrario delle stesse. Gli ermellini, pertanto, dichiarano inammissibile il ricorso e condannano il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di euro 1.000 in favore della Cassa delle ammende.