L'amministratore è sempre responsabile, anche se è in carcere

L'amministratore unico è responsabile dell'infortunio anche se, al momento dell'incidente occorso al lavoratore, era detenuto in carcere.

L'amministratore unico è responsabile delle lesioni anche se al momento dell'incidente era detenuto in carcere. Per scaricare la sua responsabilità avrebbe dovuto fare un atto formale di delega. Così ha deciso, con la sentenza n. 28800/2011 depositata il 19 luglio, la Corte di Cassazione. La fattispecie. Un uomo, impiegato come operatore ecologico, si infortunava al pollice sinistro contro una leva del compattatore posteriore dell'automezzo utilizzato per la raccolta manuale dei rifiuti prognosi superiore a 40 giorni. Sia il Tribunale che la Corte d'appello successivamente adita, ritenevano responsabile dell'accaduto, quale datore di lavoro, l'amministratore unico dell'azienda utilizzatrice. Le omissioni contestate all'imputato riguardavano sia il non aver messo a disposizione del lavoratore attrezzature adeguate e sia per non essersi assicurato che lo stesso ricevesse una formazione adeguata al lavoro da svolgere. Avverso la sentenza di condanna, l'amministratore propone ricorso per cassazione. Una volta esclusa, dai giudici con l'ermellino, sia la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale che una diversa lettura dei dati processuali, la sentenza impugnata viene dichiarata logica e congrua. La postazione non era idonea e il lavoratore non era stato formato. Nella specie, l'infortunio era stato determinato, da un lato, dalla complessiva inidoneità della postazione sulla quale operava il lavoratore, dall'altro dalla impreparazione tecnica dello stesso, che svolgeva originariamente mansioni di autista e non aveva mai ricevuto una formazione professionale quale addetto al caricamento dei cassonetti dell'immondizia sul camion compattatore. L'amministratore unico, al momento dei fatti, si trovava in carcere. A parere della Corte di legittimità, il fatto che, all'epoca dei fatti, il ricorrente si trovasse in carcere è irrilevante. Per escludere la propria responsabilità, infatti, avrebbe dovuto procedere alla sua sostituzione con un atto formale di delega, accettato dal delegato, atto, che, invece, non risultava essere stato fatto. Il suo sostituto era in malattia. Parimenti irrilevante era poi la circostanza che la persona che avrebbe dovuto sostituirlo era in malattia il Collegio sottolinea che l'imputato era sicuramente a conoscenza di questo, visto che la malattia del sostituto era iniziata ben 2 mesi prima del suo arresto. Ma la responsabilità del datore non viene meno. La S.C. osserva che quella di stazionare sulle pedane era una comune modalità di lavoro. Pertanto, il ricorso viene rigettato visto che non poteva considerarsi abnorme e frutto di autonoma iniziativa il comportamento del lavoratore che era salito sulla pedana del mezzo. Risulta, dunque, provato il collegamento causale con modalità di lavoro non sicure impiegate nell'azienda.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 giugno - 19 luglio 2011, n. 28800 Presidente Marzano - Relatore Marinelli Ritenuto in fatto Con sentenza del 10.03.2009 il Tribunale di Pistoia - Sezione distaccata di Monsummano Terme - aveva dichiarato P.P. colpevole del reato di lesioni colpose commesso in danno di C.L. e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena di Euro 500,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. A P.P. era stato contestato il reato di cui agli articoli 590, commi 1 e 2 c.p. perché, in qualità di Amministratore Unico della Servizi Ecologici Srl e dunque quale datore di lavoro di C.L. - dipendente della Vehicles Service Srl ma distaccato presso la Servizi Ecologici Srl per essere impiegato come operatore ecologico - violando norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare a art. 11, comma 7, d.p.r. 547/55 per non avere strutturato il posto di lavoro esterno, cioè l'automezzo compattatore per la raccolta manuale dei rifiuti in modo tale che l'operatore ecologico non potesse scivolare o cadere dalla pedana posteriore, b art. 35/1 d.lgs. 626/94 per non aver messo a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere, ovvero adatte a tale scopo ed idonee ai fini della sicurezza e della salute, c art. 22, comma 1 e 2 d.lgs. 626/94 per non avere assicurato che il lavoratore C.L. ricevesse una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni, - cagionava per colpa lesioni personali al lavoratore C.L. il quale, mentre si trovava sulla pedana dietro al mezzo compattatore, per non cadere durante il tragitto percorso dall'automezzo, si teneva con la mano sinistra alla base dell'asta che apre i coperchi dei cassonetti. Tale asta, per l'urto tra la pedana e l'asfalto dovuto ai mutamenti di inclinazione del fondo stradale, cadeva violentemente alla sua base schiacciando il dito pollice della mano sinistra del lavoratore C., il quale riportava lo schiacciamento della falange distale del primo dito della mano sinistra, con uno stato di malattia ed impedimento alle ordinarie occupazioni superiori ai giorni 40. Avverso la decisione del Tribunale di Monsummano Terme ha proposto appello il difensore dell'imputato. La Corte di Appello di Firenze in data 3.02.2011, con la sentenza oggetto del presente ricorso, confermava la sentenza emessa dal Tribunale e condannava l'imputato al pagamento delle spese del grado. Avverso la predetta sentenza P.P., a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione chiedendone l'annullamento e la censurava per i seguenti motivi 1 Mancata assunzione di una prova decisiva ai fini della decisione, mancata motivazione in proposito. Osservava sul punto la difesa del ricorrente che, sebbene nel giudizio di appello il Procuratore Generale avesse richiesto la prova testimoniale sollecitata dalla difesa nel corso del giudizio di primo grado e, in quella sede, rigettata, la Corte territoriale non aveva ritenuto di ammetterla senza esplicitare i motivi per cui aveva ritenuto di rigettare la richiesta del Procuratore Generale. 2 Manifesta illogicità della motivazione. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Secondo la difesa del ricorrente l'evento si è determinato per una serie di circostanze negative e imprevedibili, quali il fatto che il P. fosse ristretto in carcere il fatto che il responsabile del servizio che aveva la delega fosse in malattia la circostanza che il compattatore automatico che di solito faceva il giro per la raccolta dei rifiuti fosse guasto e che fosse guasto altresì il furgone che doveva seguire il compattatore. Sarebbe quindi erronea la ricostruzione della Corte territoriale perché i lavoratori, tra i quali la persona offesa C.L., avevano deciso di proseguire il servizio sul predellino dell'automezzo più grosso di propria iniziativa e senza alcuna autorizzazione, tenendo pertanto un comportamento abnorme che, solo, aveva determinato l'evento. 3 Manifesta illogicità della motivazione. Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. Secondo la difesa del ricorrente l'evento si era verificato per caso fortuito e quindi il P. non ne doveva rispondere perché era intervenuto un fattore causale imprevedibile che escludeva la sussistenza dell'elemento psicologico. Considerato in diritto Osserva la Corte di Cassazione che i proposti motivi di ricorso non sono fondati. Per quanto attiene al primo si osserva che, in merito al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, non può certo essere ritenuta prova decisiva l'escussione di un testimone richiesta dal Procuratore Generale nel giudizio di appello, richiesta che già era stata rigettata nel giudizio di primo grado, allorquando la difesa dell'imputato aveva formulato una prima richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, cfr. Cass., Sez. 6, Sent. n. 37173 dell'11.06.2008, Rv 241009 , la mancata assunzione di una prova può essere dedotta in sede di legittimità, a norma dell'art. 606, comma 1, lett. d , c.p.p. in quanto si tratti di una prova decisiva , ossia di un elemento probatorio suscettibile di determinare una decisione del tutto diversa da quella assunta, ma non quando i risultati che la parte si propone di ottenere possono condurre, confrontati con le ragioni poste a sostegno della decisione, solo ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell'ambito dell'istruttoria dibattimentale. Per quanto attiene agli altri due motivi, si osserva cfr. Cass., Sez. 4, Sent. n. 4842 del 2.12.2003, Rv. 229369 che, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento ciò in quanto l'art. 606, comma 1, lett. e c.p.p. non consente a questa Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. Tanto premesso la motivazione della sentenza impugnata appare logica e congrua e supera quindi il vaglio di questa Corte. I giudici della Corte di appello di Firenze hanno infatti chiaramente evidenziato gli elementi da cui hanno dedotto la sussistenza della responsabilità del P. in ordine al reato ascrittogli. In particolare hanno osservato che la dinamica dell'infortunio aveva dimostrato che lo stesso era stato determinato, da un lato, dalla complessiva inidoneità della postazione sulla quale fu chiamato ad operare il lavoratore, dall'altro dalla impreparazione tecnica dello stesso, che svolgeva originariamente mansioni di autista e non aveva mai ricevuto una formazione professionale quale addetto al caricamento dei cassonetti dell'immondizia sul camion compattatore, e dalla sua conseguente incapacità di affrontare il pericolo derivante dalla inidoneità del camion compattatore in uso quel giorno che era munito di pedane posteriori per l'alloggiamento dei due addetti al caricamento dei cassonetti prive di adeguati presidi anticaduta. Correttamente poi i giudici della Corte territoriale osservavano che era irrilevante la circostanza che il P. si trovasse in carcere, in quanto egli avrebbe dovuto procedere alla sua sostituzione con un atto formale di delega accettato dal delegato, atto, che, invece, non risultava essere stato fatto e che solo avrebbe potuto esonerarlo dalla piena responsabilità rispetto alla sicurezza e alla salute degli operai che lavoravano con lui con criteri di subordinazione. Parimenti irrilevante era poi la circostanza che la persona che avrebbe dovuto sostituirlo, tale Ca., si trovasse in malattia, circostanza che era chiaramente conosciuta dall'odierno ricorrente, dal momento che il Ca. si trovava in malattia in seguito ad un infortunio sin da due mesi prima dell'arresto del P Osservavano poi correttamente i giudici della Corte territoriale che non potevano essere considerate circostanze imponderabili, impreviste e imprevedibili né il guasto occorso al camion compattatore a caricamento automatico,né l'improvviso guasto al furgone di appoggio, atteso che tali eventi erano adeguatamente ovviabili con la sostituzione dei mezzi in questione con altri, di cui tra l'altro non risultava che l'azienda non disponesse. Correttamente quindi la sentenza impugnata concludeva osservando che quella di stazionare sulle pedane era una comune modalità di lavoro, pur se principalmente collegata a quelle situazioni in cui il camion compattatore effettuava brevi spostamenti da un gruppo di cassonetti all'altro e quindi non poteva considerarsi abnorme e frutto di autonoma iniziativa il comportamento del lavoratore C.L. che era salito sulla pedana del mezzo , dovendo pertanto escludersi che l'infortunio fosse stato conseguenza di un caso fortuito, ma risultando invece provato il suo collegamento causale con modalità di lavoro non sicure impiegate nell'azienda. Il proposto ricorso deve essere, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.